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Le influenze del linguaggio cinematografico nel teatro di Harold Pinter

Questo lavoro, chiamato “Le influenze del linguaggio cinematografico nel teatro di Harold Pinter”, è nato durante un lavoro di avvicinamento al corpo teatrale pinteriano, che mi ha condotto ad identificare nel linguaggio e nelle strutture formali dell’autore una stretta comunione tra la prassi teatrale – che per Pinter, autore sicuramente legato alla tradizione teatrale, è alla base dell’essere in palcoscenico- e una rivisitazione di questa in chiave cinematografica, ossia lasciando che le macro categorie della Narrazione, ossia lo Spazio e il Tempo, - al di là dell’evidenza del linguaggio, banale e quotidiano come quello del cinema – assumano una forma ed uno stato d’essere proprie più del mondo di celluloide che non del mondo teatrale. Lo stesso pinteresco, infatti, vocabolo ormai d’uso nella lingua inglese e sinonimo di tutto quel nuovo mondo che si è portato dietro Pinter nella sua ribalta internazionale, ha nei suoi fondamenti determinate caratteristiche che sicuramente derivano molto più dal cinema che non dal teatro.
Pinter stesso ammette che nella sua formazione giovanile ha contato molto più il cinema – i gangster movies anglosassoni che riempivano le sale negli anni ’40 – che non il teatro (che scoprirà da attore nel dopoguerra).

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1 1 L’artista di cinema e l’artista di teatro. Harold Pinter nasce nel 1930. Nasce nel mondo del cinema. Il nostro mondo. Ha più di trent’anni, ormai, il mondo di celluloide, e da molto tempo ormai ha acquisito il diritto ad essere arte: arte perché ha un suo linguaggio, arte perché ha i suoi autori, e arte soprattutto perché determina ormai ritmi e prospettive della vita reale. Il cinema è ormai dettaglio, visivo e sonoro, il cinema è l’esistenza di una realtà fuoricampo, il cinema è simultaneità. E’ punti di vista. E’ il mondo moderno. Ed è il mondo in cui vede luce Harold Pinter (e quello in cui crede: nel suo discorso per il premio Nobel, parla di molte verità: Sono molte le verità. E si sfidano l’una con l’altra, si ritraggono una di fronte all’altra, si rispecchiano l’una nell’altra, si ignorano l’una con l’altra, si prendono in giro, si nascondono l’una all’altra. Qualche volta ti sembra di avere in mano la verità per un momento, ma poi ti scivola via tra le dita ed è persa.. 1 ; parlava in questo caso di arte drammatica, ma riserva le stesse considerazioni per la vita ordinaria.) Paradossale, se si vuol vedere meglio: il teatro di Pinter, ossia il suo ruolo sociale, vive della realtà, e di essa acquisisce il senso - un senso cinematografico, appunto. Un teatro che parla “comune”, come il cinema, sporco, casalingo, un teatro fatto di singoli bozzetti-fotogrammi, un teatro dove la costruzione del tempo è arbitraria e interiore quanto il tempo cinematografico – bergsonianamente interiore - . Un teatro che, e questo è il paradosso, è e rimane teatro, senza confondersi con il suo fratello-assassino cinema: un aratro sofisticato e ipermoderno contro il trattore– tritasassi. Dunque, due linguaggi, quelli del teatro e del cinema, due modi di rappresentazione diversa della realtà umana, che in Pinter si comportano proprio come le verità della vita: si inseguono e si sfuggono, si adattano e si isolano, ma che procedono sempre e comunque sullo stesso piano, tenendo bene in alto i loro scopi: parlare di e agli uomini di loro stessi. Specchi. 1 Harold Pinter, Nobel Lecture 2005

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Informazioni tesi

  Autore: Damiano Brogna
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2005-06
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: DAMS - Discipline dell'arte, della musica e dello spettacolo
  Relatore: Maria Vittoria Tessitore
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 70

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Parole chiave

analisi testuale
drammaturgia
harold pinter
premio nobel
sarah kane
sceneggiatura
semiologia
teatro inglese
the hothouse
violenza verbale

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