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I disturbi di personalità nei bambini e negli adolescenti

Lo scopo di questa tesi è di presentare i disturbi di personalità nei bambini e adolescenti, in modo tale che possano essere più rapidamente riconosciuti e trattati. Si tratta di un tema innovativo e ancora estremamente dibattuto. Nel DSM, infatti, nella presentazione dei criteri dei DP, non viene fatto riferimento al loro esordio già nell’infanzia, anzi viene chiarito che si tratta di un quadro stabile e di lunga durata, il cui esordio si fa risalire all’adolescenza o alla prima età adulta, se non in quei casi relativamente insoliti in cui i particolari tratti di personalità non adattivi dell’individuo sembrano essere pervasivi, persistenti e non limitati ad un particolare stadio dello sviluppo o ad un episodio di un disturbo dell’Asse I. Tuttavia, il DSM “avvisa” che i tratti di un DP che compaiono nell’infanzia spesso non persistono immodificati fino alla vita adulta, fatta eccezione per il DP Antisociale. Anche nell’ICD-10 si trovano pressoché gli stessi criteri diagnostici. L’esistenza dei DP nei bambini ha iniziato ad essere presa in considerazione intorno gli anni '90, ma solo nel 2000, grazie a Paulina Kernberg, moglie del celebre Otto Kernberg, si apre un nuovo capitolo nello studio dei disturbi della personalità: questa autrice sostiene che essi possono essere diagnosticati e trattati anche nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza e ritengono che sia discutibile non poter fare diagnosi di DP prima della maggiore età, come se per questa area della psicopatologia, a differenza di quanto emerge sempre più dalla letteratura, esistesse una grande discontinuità psicopatologica. Nello specifico, sostiene che si possa parlare di disturbo di personalità nel bambino quando i tratti e i modelli caratteristici di percezione, relazione e pensiero diventano rigidi, disadattivi e cronici, causano un notevole deficit funzionale, producono grave difficoltà soggettiva e perdurano nel tempo e nelle situazioni.
Il segno distintivo dei DP, quindi, è proprio il loro essere disadattivi, rigidi, invasivi e non flessibili. Oggi, non c’è ancora consenso unanime tra i clinici e tuttora l’esistenza dei DP nei bambini è considerata dubbia. Infatti, continua a persistere una forte resistenza a parlare di DP nel bambino,un po’ meno invece nell’adolescente,e continua ad esserci una grande tendenza a procrastinare questa diagnosi nell’età adulta. I clinici, infatti, hanno grandi resistenze a credere che un bambino possa avere un disturbo con un così profondo e prolungato impatto su se stesso e su gli altri e hanno riserve riguardo all’etichettarli con una diagnosi che implica una tale gravità e non malleabilità. C’è poi la preoccupazione che un’etichetta di DP abbia effetti negativi sul concetto di sé del bambino oppure che ne pregiudichi il futuro. Tuttavia, bisogna tenere presente che anche il non diagnosticare un DP ad un bambino ne metterà a repentaglio il futuro, rendendogli difficile o impossibile ottenere il trattamento necessario e appropriato. Inoltre, alcuni clinici credono che la personalità non si sia ancora del tutto formata e cristallizzata nel bambino, ma, a questo proposito, P. Kernberg ritiene che in ciascuna fase dello sviluppo si formi una personalità appropriata all’età. Infine, spesso si reputa che i bambini siano plasmabili e che il processo evolutivo spinga verso il cambiamento e che, quindi, molti dei problemi psicologici e comportamentali possano essere superati con il tempo. Bisogna però tener presente che ci sono problemi che si presentano a livello prescolare che sono transitori e che si possono risolvere spontaneamente e altri che sono invece persistenti. Quindi, è sicuramente necessario distinguere i pattern disadattivi persistenti da quelli limitati a un particolare stadio dello sviluppo. Si ritiene che, nonostante tali difficoltà, si tratti di un tema urgente e che i disturbi di personalità necessitino di una più chiara concettualizzazione e di una più accurata descrizione, che tengano conto della loro insorgenza precoce, della loro continuità nel tempo o comunque dei segni particolari che ne preavvisano la comparsa. Infatti, la diagnosi di DP, oltre ad essere in progressivo aumento, ha un profondo e prolungato impatto sull’individuo, sulla famiglia e sulla società. Va quindi da sé che individuare i comportamenti predittivi e i fattori predisponesti dei DP sia di cruciale importanza, in quanto permetterebbe di rendere le diagnosi di DP meno nefaste. Infatti, diagnosticandoli e trattandoli già nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza, si potrebbe evitare una loro “cristallizzazione”. Entrare nell’ottica che i disturbi di personalità inizino a formarsi già dall’infanzia permetterebbe, infatti, di prendere provvedimenti in anticipo e quindi di evitare che il disturbo diventi troppo rigido e di conseguenza difficile (se non impossibile) da trattare.

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5 Introduzione I disturbi di personalità (DP) nell’età adulta hanno un profondo e prolungato impatto sull’individuo, sulla famiglia e sulla società. In questi ultimi anni la ricerca epidemiologica indica un’alta prevalenza di DP anche nei bambini e giovani, soprattutto nella fascia d’età tra i nove e i diciannove anni (Bernstein et al., 1993), tuttavia lo sviluppo dei DP nei giovani non ha ricevuto l’attenzione che merita. Il tema dei disturbi di personalità nei bambini e adolescenti, infatti, è innovativo e di grande attualità, ma è ancora estremamente dibattuto e, attualmente, non gode nØ di una vivace letteratura nØ di un consenso unanime. Lo scopo di questa tesi è di presentare i DP nei bambini e adolescenti, in modo tale che possano essere piø rapidamente riconosciuti e trattati. L’esistenza dei DP già nei bambini ha iniziato ad essere presa in considerazione dagli anni Novanta, ma è sempre stata molto criticata. Nel 2000, invece, grazie a Paulina Kernberg, Alan Weiner e Karen Bardestein, si apre un nuovo capitolo nello studio dei disturbi della personalità: gli autori sostengono che questi possono essere diagnosticati e trattati anche nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza. Tali autori ritengono che i DP nel bambino, così come nell’adulto, siano identificabili in modo affidabile, che si correlino con altri disturbi sull’Asse I e sull’Asse II e che mostrino il pattern di persistenza che rende il loro impatto pervasivo e grave. Si ritiene, infatti, che sia discutibile non poter fare diagnosi di DP prima della maggiore età, come se per questa area della psicopatologia, a differenza di quanto emerge sempre piø dalla letteratura, esistesse una grande discontinuità psicopatologica. P. Kernberg (2000) considera la continuità psicopatologica anche nell’area dei disturbi

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Informazioni tesi

  Autore: Giulia Caffaro
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia Clinica e di Comunità
  Relatore: Franco Freilone
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 177

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Parole chiave

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