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La politica fascista tra rivoluzione e ricerca del consenso: uno sguardo d'insieme e il caso del territorio livornese

La politica del fascismo duranti gli anni del regime tende ad un'acquisizione di consenso “globale”, in un periodo storico in cui non è più sufficiente il “pugno di ferro”, ma occorrono nuovi strumenti, in grado di strutturare un Paese ed una popolazione nuovi, profondamente “rigenerati” da un cambiamento di portata rivoluzionaria.
Dalla politica de “la terra ai contadini”, che tende a incanalare all'interno del nascente movimento fascista il malcontento dei reduci della Grande Guerra traditi dalla borghesia, alla “bonifica globale” dei territori insalubri, all'attenzione per le madri e le giovani generazioni, all'utilizzo dell'architettura e del cinema in funzione di controllo e di diffusione di stili di vita nuovi, al controllo del territorio esercitato in maniera estensiva da parte dei grandi gerarchi, come Costanzo Ciano a Livorno e Buffarini Guidi a Pisa, alla progettazione di utopie visionarie come la risposta toscana ad Hollywood, sorta su un territorio selvaggio e strappato alla malaria, all'uso massiccio di tutti i nuovi mezzi di comunicazione offerti dalla nascente tecnologia moderna, all'uso sacrale del mito del capo: una lotta condotta senza esclusione di colpi, che si evolve dall'uso della violenza fisica e della coercizione verso forme più raffinate di controllo sociale, a mano a mano che la rivoluzione si trasforma in uno status quo accettato e condiviso. Armi nuove per la costruzione di un mondo nuovo: tra le tante, il libro ne analizza due, il cinema e l'architettura; immagini, in movimento e statiche, capaci di emozionare, di sbalordire, di fungere da monito, di generare passione, di ipnotizzare. Due forme d'arte, profondamente controllate dal regime, ma che conservano comunque una loro vitalità che supera e trascende le intenzioni del fascismo, rimanendo profondamente impresse nel territorio e nell'immaginario collettivo, come accade a Livorno. Forme d'arte che, dopo il crollo del regime, lasciano comunque le loro tracce, che l'iconoclastia postbellica cancella senza eliminare mai del tutto. Perché il passato resta, e condiziona il presente, e molto spesso mostra, nonostante tutto, anche qualche lezione interessante da valutare e considerare.

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27 CAPITOLO SECONDO LA GUERRA DELLE IMMAGINI: “IL CINEMA E’ L’ARMA PIU’FORTE” 1. La politica cinematografica e l’Istituto LUCE L’interesse del regime per il mezzo cinematografico quale strumento di diffusione dell’ideologia fascista e di propaganda, sia a livello nazionale sia internazionale, comincia a strutturarsi un decennio dopo la presa del potere. In effetti, all’inizio degli anni Venti, l’industria cinematografica nazionale, dopo i fasti del passato, era giunta ad una situazione di stallo e molti dei migliori artisti del settore erano emigrati all’estero. Il tipo di intervento attuato dallo Stato fascista nel decennio in questione fu essenzialmente di natura restrittiva, diretto quindi ad accertare la natura non antifascista degli spettacoli. In continuità con quanto già attuato precedentemente dal Ministero dell’Interno, in epoca liberale, nel 1923 Mussolini ampliò i poteri della Commissione per la censura cinematografica, attribuendo al governo la facoltà di censurare incondizionatamente tutti i film, sia nazionali, sia d’importazione; la Commissione fu poi sostituita, verso la fine del decennio, con un organo nuovo, la Commissione per la Revisione Cinematografica, comprendente al suo interno anche rappresentanti del Pnf, del Ministero dell'Economia Nazionale, del Ministero delle Corporazioni e di altri Enti statali. 37 In questo decennio viene inoltre a crearsi l’organismo che avrebbe successivamente dato i natali a quello che sarebbe stato il più importante ed innovativo strumento di propaganda del regime, il Sindacato di istruzione cinematografica, un gruppo privato che si proponeva di creare film didattici: nel settembre 1924 esso fu trasformato ne L'Unione Cinematografica Educativa, popolarmente nota come Istituto Luce, trasformato nel 1925 38 in un Ente di stato incaricato di diffondere la cultura popolare e l’istruzione attraverso il mezzo del documentario cinematografico . I documentari prodotti dall’Istituto avevano ad oggetto non solo materiale di pura propaganda politica, ma anche, come già ricordato, documentari finalizzati alla didattica, soprattutto in 37 Cfr. Philip V. Cannistraro, op. cit, pagg. 273-275. 38 R.D. 5 novembre 1925, n. 1985, “Creazione dell’Istituto nazionale per la propaganda e la cultura a mezzo della cinematografia, denominato L.U.C.E.”, in RU, anno 1925, IX, cit. ibidem, pag. 277.

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Informazioni tesi

  Autore: Anna Maria Andreini
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2014-15
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze Politiche
  Relatore: Marco Tarchi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 101

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