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Brexit: il ruolo dei social nell’uscita dall’U.E.

Mercoledì 22 gennaio 2020 la Regina del Regno Unito Elisabetta II ha concesso il “Royal Assent” al testo dello European Union Withdrawal Agreement Act concludendo di fatto l’iter parlamentare a Westminster. La Brexit è quindi realtà. Ovvero, è iniziata l'era dell'autonomia politica nei confronti dell'U.E.
L’annuncio del Royal Assent è stato formalizzato alla Camera dei Comuni e il 31 gennaio 2020 alle ore 11,00 Londra lascia l’Unione Europea pur restando legata alla struttura comunitaria fino al 31 dicembre 2020.
Solo il tempo potrà dimostrarci se la volontà degli inglesi di isolarsi dal contesto europeo porterà benefici ai britannici o costituirà un fardello pieno di criticità.
In un momento storico in cui sarebbe molto importante la coesione internazionale, l’isolamento dal contesto Europeo di un paese importante come il Regno Unito non lascia bene sperare.
I social media sono diventati parte della nostra vita e sono non pochi gli studi di antropologi, sociologi e psicologi tesi a dimostrare quanto l’ambiente circostante possa influenzare, direttamente o indirettamente, l’individuo.
La rivoluzione più importante del XX secolo cioè Internet ha cambiato la vita delle persone, ed è innegabile come i social network abbiano cambiato le nostre vite, il modo di rapportarsi gli uni con gli altri, il modo di pensare. Zygmunt Bauman ha sostenuto che i network sono una trappola. Quando ancora in vita la sua visione sulla rivoluzione digitale è stata presa come punto di riferimento per il movimento globale di Occupy e degli indignados e tutta la sua interpretazione della modernità avanzata come epoca "liquida" è stata condivisa da tali movimenti sociali. Bauman ha posto in risalto quanto i social network abbiano cambiato la protesta sociale. Per il nostro «la questione dell’identità è stata trasformata in qualcosa a cui è stato dato un compito: è necessario creare la tua comunità. Ma non si crea una comunità, o ce l’hai o no; ciò che i social network possono creare è un sostituto. La differenza tra la comunità e la rete è che si appartiene alla comunità, ma la rete appartiene a voi. È possibile aggiungere amici e eliminarli, è possibile controllare le persone con cui siamo legati. La gente si sente un po’ meglio, perché la solitudine è la grande minaccia in questi tempi di individualizzazione. Tuttavia nella rete è così facile aggiungere o eliminare gli amici che non abbiamo bisogno di abilità sociali. Queste si sviluppano quando sei per strada, o sul posto di lavoro, e incontri persone con le quali devi avere un’interazione ragionevole. Devi affrontare le difficoltà di coinvolgerli in un dialogo. Papa Francesco, che è un grande uomo, ha dato la sua prima intervista a Eugenio Scalfari, un giornalista italiano che è un ateo auto-proclamato. È stato un segnale: il dialogo reale non è parlare con persone che la pensano come te. I social network non insegnano il dialogo, perché è così facile evitare le polemiche… Molte persone usano i social network non per unire e per ampliare i propri orizzonti, ma piuttosto, per bloccarli in quelle che chiamo zone di comfort, dove l’unico suono che sentono è l’eco della propria voce, dove tutto quello che vedono sono i riflessi del proprio volto. Le reti sono molto utili, danno servizi molto piacevoli, però sono una trappola» (da, Intervista a El Pais, 9 gennaio 2016).
In media ogni cittadino italiano trascorre online più di due ore al giorno e non bisogna tralasciare che la comunicazione tramite i social è interattiva e quindi chi partecipa alla conversazione lo fa attivamente e non come semplice ascoltatore passivo come succedeva con la comunicazione di massa di qualche anno fa (ad esempio quella della radio o della televisione).
In tale contesto il problema delle fake news non può essere quindi ridotto a un problema delle piattaforme di social networking, ma riguarda l’intero sistema della informazione. Il popolo dei Social Network non può essere non preso in considerazione.
Occorre però saper scindere la molteplicità di informazioni che si trovano in Internet, di per sé ottimo strumento di ricerca, con la criticità di non verificare le fonti delle informazioni in esso riposte.
Solo affidandosi a ricerche tramite siti accreditati è possibile limitare la diffusione di notizie false spesso utilizzate per manipolare il popolo dei social.
Vorrei concludere con una provocazione lasciando al lettore la libertà di pensiero sull’accezione positiva o meno di una frase che ben si innesta nel presente elaborato.
Durante la consegna di una Laurea honoris causa all’Università di Torino il 10 giugno 2015 Umberto Eco scatenò un ampio dibattito pubblico con una frase:
«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».

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25 2.1. Populismo: un fenomeno complesso Il populismo è un fenomeno complesso la cui definizione risulta altrettanto difficile trovare nella dialettica moderna fermo restando una matrice omogena del termine che rievoca il concetto di popolo 32 , depositario di valori positivi che si scontra con i poteri forti dell’establishment politico e del centralismo statale. Si è affermato che il populismo è «una parola pigliatutto che tira dentro, come se appartenessero alla stessa natura, cose vecchie e cose nuove, manifestazioni di protesta radicale dell’altro ieri e forme di rivolte elettorale di oggi e forse di domani, i populisti russi dell’Ottocento e i qualunquisti italiani» 33 . Invero, nel contesto dell’Unione Europea, i movimenti populisti contrastano proprio tutte quelle forze politiche che, in spregio ai valori e alle tradizioni delle singole nazioni, promuovono gli interessi delle grandi multinazionali e delle lobbies finanziarie a discapito del cittadino comune. Nonostante il termine sia di origine latina, furono i Greci ad attribuirgli un significato sia collettivo che individuale che rievoca l’idea essenziale che esprime la parola popolo stessa ovvero un insieme di individui riuniti insieme sotto vari aspetti: territorio, lingua, leggi, religione, tradizioni, usi, costumi, territorio. 32 L’etimologia della parola popolo si riallaccia alla radice indoeuropea par- o pal- che esprime il concetto di riunire, mettere insieme. Anche il greco antico ha assorbito questa radice che ritroviamo, ad esempio nella parola πλῆθος (plethos) = folla. www.etimoitaliano.it. Sotto l’aspetto squisitamente giuridico, il popolo è il complesso di cittadini, dei soggetti, cui lo stato riconosce quel particolare status o condizione giuridica che è la cittadinanza (vale a dire l’insieme delle situazioni giuridiche attive e passiva che pongono i cittadini in relazione esclusiva con l’apparato autoritario). Il riconoscimento della cittadinanza ha segnato il passaggio da un mero stato di soggezione al potere pubblico (sudditanza), ad uno stato di libertà, che implica anche il diritto di partecipare alla vita politica del proprio paese. Il popolo non va confuso con la popolazione, che esprime una nozione di carattere demografico, in quanto comprende le diverse persone che in un dato momento convivono sul territorio statuale, siano essi cittadini stranieri o apolidi. Del tutto distinto è anche il concetto di nazione, intesa come società naturale di uomini accomunati da unità di territorio, di origine, di costumi e di lingua e conformati a comunanza di vita e di coscienza sociale. R. Bin – G. Petruzzella, Diritto Costituzionale, Giappichelli, Torino 2017. 33 M. Revelli, Populismo 2.0, Einaudi, Torino, 2017.

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Informazioni tesi

  Autore: Danilo Verde
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Napoli - Federico II
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze della Pubblica Amministrazione
  Relatore: Gianluca Luise
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 71

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