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Il Bullismo sul posto di lavoro: effetti sulla Salute mentale e sulla Soddisfazione lavorativa

A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, una parte della ricerca scientifica si è concentrata sull’analisi del bullismo sul posto di lavoro e sull’impatto che esso può avere sugli individui e sulle organizzazioni. Si tratta, secondo la ricerca, di un fenomeno che coinvolge una percentuale di lavoratori che va dal 10 al 15% all’interno delle organizzazioni europee e nord-americane. Il bullismo sul posto di lavoro è caratterizzato da comportamenti aggressivi, reiterati e duraturi, che vengono percepiti come ostili da parte del target che, posto in una posizione di inferiorità, si rivela incapace di difendersi dagli attacchi messi in atto dal bullo (o dai bulli) (Einarsen & Raknes, 1997). Molti studiosi si sono occupati di fornire una definizione unitaria di questo costrutto, ma, ad oggi, non ne esiste una che sia condivisa all’interno dell’intera comunità scientifica. Ciò è dovuto alla complessità del fenomeno del bullismo sul posto di lavoro, che si configura come un processo in continua evoluzione, dovuto all’interazione di fattori psicologici, culturali ed individuali che rendono gli strumenti di misura, spesso, inadeguati a cogliere la manifestazione del fenomeno nella globalità di aspetti che lo caratterizzano. Solo in tempi più recenti, le organizzazioni hanno iniziato ad occuparsi della prevenzione e del sanzionamento dei persistenti comportamenti ostili che si verificano al loro interno ai danni di uno o più lavoratori da parte di supervisori e/o colleghi: un interesse crescente dovuto soprattutto al notevole impatto negativo del fenomeno su alcuni outcomes organizzativi come produttività, assenteismo e turnover. Tuttavia, l’impatto del bullismo sui risultati organizzativi è subordinato all’impatto negativo che tale fonte di conflitto interpersonale ha sulle vittime a livello psicologico, portandole a sviluppare una costellazione di sintomi di disagio psicologico, legati alla situazione vissuta sul posto di lavoro, come ansia, depressione e altri disturbi psicologici associati allo stress, ma anche atteggiamenti negativi verso il lavoro che generano un decremento sostanziale della soddisfazione lavorativa. La valutazione del bullismo sul posto di lavoro come rischio per la salute mentale dei lavoratori, che ne sono vittime (o testimoni), ha spinto i ricercatori a mettere a punto una serie di studi per comprendere a pieno la natura del fenomeno e fornire alle organizzazioni un punto di partenza per intraprendere azioni organizzative volte a contrastare il succedersi di tali eventi. La prima parte di questo elaborato si concentrerà sull’inquadramento del fenomeno del bullismo all’interno dei contesti organizzativi, prendendo in esame le caratteristiche individuali della figura della vittima e del bullo, le variabili organizzative che contribuiscono a prevenire o che, contrariamente, incentivano la manifestazione di comportamenti di bullismo e le conseguenze negative che questi ultimi provocano sul benessere delle vittime, dei testimoni e dell’organizzazione. Si passeranno in rassegna, inoltre, le varie tipologie di bullismo sul posto di lavoro, delineate all’interno di differenti classificazioni, messe a punto da importanti studiosi del fenomeno e si concluderà fornendo un quadro teorico di riferimento, per comprenderne il processo alla luce delle diverse variabili che intervengono nella genesi del fenomeno, e un resoconto degli strumenti di misura più utilizzati dalla comunità scientifica. Uno spazio importante sarà dedicato anche agli effetti degli atti negativi sul posto di lavoro sulla salute mentale, passando in rassegna alcune evidenze empiriche che ne sottolineano l’influenza sulle manifestazioni di ansia e depressione in alcuni campioni analizzati. Infine, la rassegna si concentrerà sul costrutto della soddisfazione lavorativa, sottolineandone l’evoluzione degli approcci teorici e misurativi, e mettendo in luce i risvolti negativi che il bullismo può avere su di essa. Con queste premesse, nella seconda parte dell’elaborato, verranno analizzati i dati provenienti dalla ricerca condotta su un campione di 1079 soggetti tratti dalla popolazione normale. La ricerca ha l’obiettivo di stabilire se vi sia una correlazione tra il Bullismo sul posto di lavoro e la Salute Mentale e la Soddisfazione Lavorativa. Il bullismo verrà qui inteso, e misurato, nella forma dell’intenso conflitto interpersonale al lavoro (Baillien et al., 2009; Leymann, 1996) e della supervisione abusiva (Tepper, 2000). In ultima istanza, dopo aver presentato le caratteristiche del campione, verranno illustrati gli strumenti e le procedure, e l’analisi dei dati, i cui risultati saranno discussi sulla base della letteratura esistente sul tema.

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7 CAPITOLO 1 - IL BULLISMO SUL POSTO DI LAVORO E I SUOI EFFETTI SULLA SALUTE MENTALE E SULLA SODDISFAZIONE LAVORATIVA 1. Il Bullismo sul posto di lavoro Essere vittima di comportamenti aggressivi e ostili in costanza di lavoro rappresenta uno dei rischi psicosociali che possono incidere - in misura maggiore e in modo negativo -sulla salute del lavoratore e sul funzionamento ottimale delle organizzazioni. A partire dagli ultimi decenni del Novecento, l’interesse della ricerca scientifica per il fenomeno del bullismo sul posto di lavoro si è sviluppato notevolmente. Le radici del fenomeno sono riscontrabili - già a partire dagli anni Settanta - all’interno dell’opera “The harassed worker” dello psichiatra americano Carroll Brodsky (1976), in cui l’autore riportava i vissuti di alcuni lavoratori costretti a subire persistenti molestie durante l’orario lavorativo da parte di colleghi e/o superiori. L’autore si riferiva alle molestie sul luogo di lavoro come tentativi reiterati da parte di una o più persone di creare sensazioni di fastidio, frustrazione e di provocare una reazione in un’altra. La consapevolezza crescente della presenza del bullismo sul posto di lavoro trova spazio in Nord Europa nel corso degli anni Ottanta, al termine dei quali viene pubblicato il primo vero e proprio studio scientifico che indaga il fenomeno, ad opera di Leymann (1990). Egli scoprì, studiando i comportamenti di bullismo che intervenivano nelle interazioni di gioco tra un gruppo di bambini, che tali comportamenti potevano essere rintracciati anche nelle interazioni tra persone sul luogo di lavoro. Lo studio condotto da Leymann trova le sue premesse negli studi condotti sul comportamento del gregge da parte dello psicologo scandinavo Heinemann (1972), il quale - per riferirsi ai comportamenti di aggressione messi in atto da un gruppo di bambini in età scolare nei confronti di un bersaglio - utilizzò per primo il termine “mobbing”, coniato dalla radice inglese “mob” che significa “moltitudine”, “folla”. Successivamente, diversi studi norvegesi hanno affermato che il bullismo sul posto di lavoro rappresentava un fenomeno con elevata incidenza all’interno delle organizzazioni (Einarsen, Raknes e Matthiesen, 1994). In Europa, il termine “mobbing” venne utilizzato nei Paesi di lingua germanica, nei Paesi Bassi e Scandinavi e da alcuni Paesi nell’area del Mediterraneo, mentre il termine “bullismo”(“bullying”, in inglese) venne utilizzato dai Paesi anglofoni.

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Informazioni tesi

  Autore: Domenico Graziano
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia applicata ai contesti della salute del lavoro e giuridico-forense
  Relatore: Claudio Barbaranelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 135

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Parole chiave

mobbing
salute mentale
analisi fattoriale
ptsd
regressione multipla
workplace bullying
job satsfaction
einarsen

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