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La contrattazione collettiva europea

Quando nel 1957 venne sottoscritto il Trattato di Roma, la creatura che ne scaturì, la Comunità Economica Europea, si poneva l’obiettivo di promuovere un grande mercato unificato che potesse garantire lo sviluppo economico dei paesi che lo avevano creato. In quegli anni, le questioni sociali erano considerate certamente in maniera subordinata rispetto all’esigenza di incrementare il benessere economico, partendo anche dalla considerazione (o dalla speranza?) espressa nel “Rapporto Spaak” che un mercato robusto ed in espansione avrebbe senza dubbio favorito l’armonizzazione ed il progresso dei sistemi sociali.
Questa è d’altronde la stessa situazione disegnata dal Trattato istitutivo della CECA del 1951: secondo gli artt. 2 e 3, obiettivi comunitari erano «l’incremento dell’occupazione» ed «il miglioramento del tenore di vita degli Stati membri». Alle Alte Autorità era attribuito il compito, fra gli altri, di «promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della mano d’opera, permettendone l’uguagliamento nel progresso». Tali previsioni erano però contemporaneamente vanificate dalla mancanza di reali strumenti normativi d’attuazione e dall’esclusione di un livello sovranazionale nella competenza in materia sociale.
Anche nel Trattato di Roma si rinviene così, quale unica eccezione alla competenza degli Stati nella legislazione sociale, la possibilità di intervenire attraverso raccomandazione nel caso in cui la concorrenza risultasse falsata da livelli salariali «anormalmente bassi». In effetti, gli strumenti giuridici più incisivi, cioè il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative, potevano essere utilizzati soltanto laddove l’azione riequilibratrice automatica del trattato non avesse operato e «nella misura necessaria al funzionamento» di quest’ultimo. Così, nonostante la solenne proclamazione dell’importanza della politica sociale, presente nel Preambolo e negli artt. 2 e 3 del Trattato CEE, è stato affermato come tali dichiarazioni programmatiche rappresentassero in realtà un’azione politica soltanto «indiretta»...

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Capitolo I L’EVOLUZIONE STORICA DELLA POLITICA SOCIALE COMUNITARIA 1. LA POLITICA SOCIALE DA ROMA A MAASTRICHT AD AMSTERDAM Quando nel 1957 venne sottoscritto il Trattato di Roma, la crea- tura che ne scaturì, la Comunità Economica Europea, si poneva l’obiettivo di promuovere un grande mercato unificato che potes- se garantire lo sviluppo economico dei paesi che lo avevano crea- to. In quegli anni, le questioni sociali erano considerate certa- mente in maniera subordinata rispetto all’esigenza di incrementa- re il benessere economico, partendo anche dalla considerazione (o dalla speranza?) espressa nel “Rapporto Spaak” 1 che un mer- cato robusto ed in espansione avrebbe senza dubbio favorito l’armonizzazione ed il progresso dei sistemi sociali. 1 Stilato il 21 aprile 1956, si tratta di un rapporto preparatorio al Trattato di Roma, predi- sposto da un Comitato intergovernativo creato ad hoc e presieduto dal belga Paul-Henri Spaak. Presentato alla Conferenza dei Ministri degli Esteri di Venezia nel maggio 1956, in esso si affermava che «la tendenza spontanea nell’armonizzazione dei sistemi sociali e dei livelli salariali, così come l’azione dei sindacati in vista del conseguimento di un allinea- mento nelle condizioni lavorative, saranno favorite dalla creazione progressiva del mercato comune». Vedi ROCCELLA – TREU, Diritto del lavoro della Comunità Europea, CE- DAM, Padova, 1992, 7.

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Informazioni tesi

  Autore: Fabio Burchi
  Tipo: Tesi di Specializzazione/Perfezionamento
Specializzazione in diritto europeo
Anno: 2000
Docente/Relatore: Giuseppina Bizzarri
Istituito da: Università degli Studi di Teramo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 101

FAQ

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