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Aspetti e problemi delle politiche per il mercato del lavoro a livello nazionale e regionale

Oggetto di questo studio sono le politiche per il mercato del lavoro effettuate attualmente in Italia.
Il discorso sarà, però, limitato a quegli interventi che più direttamente influenzano il mercato del lavoro; altrimenti, si correrebbe il rischio di estendere troppo il discorso. Verranno, cioè, tralasciati gli interventi di politica fiscale e monetaria anche se spesso hanno una forte ricaduta in termini occupazionali; si pensi per esempio all'impatto che provoca il bilancio pubblico sull'economia.
Fino agli anni settanta, gli strumenti delle politiche per il mercato del lavoro erano essenzialmente rappresentati dal bilancio pubblico e dagli interventi assistenziali. Un comportamento di questo genere era supportato da una visione keynesiana dell'economia. A partire dagli anni settanta, però, l'andamento dell'economia mondiale ha messo in evidenza una parziale inefficacia degli interventi keynesiani.
E' proprio in questo periodo che si è iniziato a parlare di politiche ''attive'' del lavoro contrapposte alle politiche ''passive'' che erano state usate fino ad allora. Per politiche attive si intendono quegli interventi che tendono a mettere in contatto domanda ed offerta di lavoro diminuendo il tempo necessario per la ricerca di lavoro. In particolare le politiche attive vengono divise in: servizi all'occupazione, formazione professionale, job creation e altri interventi.
Le politiche passive, viceversa, operano attraverso sussidi di disoccupazione, assegni di integrazione salariale (cassa integrazione), ecc., oppure attraverso l'utilizzo del bilancio pubblico per rilanciare l'economia.
Le politiche attive sono state utilizzate massicciamente nei paesi scandinavi. In particolare in Svezia sono state applicate politiche attive sia per quel che riguarda la formazione, sia per quel che riguarda gli uffici di collocamento.
Sono state date giustificazioni alla maggiore efficacia delle politiche attive.
Alcuni disoccupati smettono di cercare lavoro perchè scoraggiati dalle scarse opportunità di lavoro: attraverso la formazione professionale o attraverso un utilizzo attivo del collocamento si può favorire l'occupazione dei disoccupati scoraggiati.
Recentemente è stato messo in risalto (Layard et al. (1991)) che alti sussidi di disoccupazione (interventi ''passivi'') comportano un abbandono della ricerca di lavoro dato che per l'individuo risulta più conveniente rimanere disoccupato e ricevere il sussidio piuttosto che cercare lavoro. Le politiche attive incentivano, direttamente o indirettamente, la ricerca di lavoro e quindi aumentano le possibilità di trovare un lavoro, senza però concedere dei sussidi senza condizioni.
In molti paesi vengono rilevati, oltre al numero dei disoccupati, anche il numero dei posti di lavoro vacanti. Da queste rilevazioni si può notare che, anche quando c'è disoccupazione, rimangono comunque alcuni posti di lavoro vacanti; ciò è dovuto alla mancanza di perfetta informazione nel mercato del lavoro. Il servizio di collocamento può, quindi, servire per mettere meglio in contatto la domanda con l'offerta e per aumentare le informazioni a disposizione dei lavoratori e delle persone in cerca di lavoro.
Abbiamo quindi mostrato una serie di argomenti con i quali si motiva, solitamente, la maggiore efficacia delle politiche attive. Cerchiamo ora di aggiungere un altro motivo: le politiche attive hanno maggiore capacità di adattarsi ai cambiamenti che, inevitabilmente, avvengono nel mondo del lavoro rispetto alle politiche passive. Queste ultime risultano più rigide e quindi presentano maggiori difficoltà ad affrontare problemi che nascono in un mondo in continua trasformazione.

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3 INTRODUZIONE Oggetto di questo studio sono le politiche per il mercato del lavoro effettuate attualmente in Italia. «Le politiche per il mercato del lavoro (welfare, redditi, occupazione), quindi, comprendono tutto l'insieme degli strumenti a disposizione dell'autorità pubblica per influenzare la dinamica del mercato del lavoro nelle sue componenti attive e non attive, con l'obiettivo di valorizzare l'impiego della forza lavoro disponibile, creare nuove opportunità occupazionali (a livello sia micro che macroeconomico), ridurre la disoccupazione, migliorare l'efficienza del mercato del lavoro in termini di prezzo e quantità, provvedere all'ammortizzazione in termini di reddito delle situazioni di squilibrio, marginalità, precarietà.» (Brunetta (1992), pp.52-53) Nella definizione di politiche del lavoro si potrebbero far comprendere tutti gli interventi fatti dalle autorità visto che in ogni caso si hanno ricadute sull'occupazione. La decisione di costruire nuove opere pubbliche, per esempio, solitamente ha un forte effetto sull'occupazione; allo stesso modo, una politica monetaria restrittiva influenza l'andamento del mercato del lavoro. Il discorso sarà, però, limitato a quegli interventi che più direttamente influenzano il mercato del lavoro; altrimenti, si correrebbe il rischio di estendere troppo il discorso. Verranno, cioè, tralasciati gli interventi di politica fiscale e monetaria anche se spesso hanno una forte ricaduta in termini occupazionali; si pensi per esempio all'impatto che provoca il bilancio pubblico sull'economia. Fino agli anni settanta, gli strumenti delle politiche per il mercato del lavoro erano essenzialmente rappresentati dal bilancio pubblico e dagli interventi assistenziali. Un comportamento di questo genere era supportato da una visione keynesiana dell'economia. A partire dagli anni settanta, però, l'andamento dell'economia mondiale ha messo in evidenza una parziale inefficacia degli interventi keynesiani (vedi oltre a pagina 9). E' proprio in questo periodo che si è iniziato a parlare di politiche "attive" del lavoro contrapposte alle politiche "passive" che erano state usate fino ad allora. Per politiche attive si intendono quegli interventi che tendono a mettere in contatto domanda ed offerta di lavoro diminuendo il tempo necessario per la ricerca di lavoro. In particolare le politiche attive vengono divise in: servizi all'occupazione, formazione professionale, job creation e altri interventi. Le politiche passive, viceversa, operano attraverso sussidi di disoccupazione, assegni di integrazione salariale (cassa integrazione), ecc., oppure attraverso l'utilizzo del bilancio pubblico per rilanciare l'economia.

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Informazioni tesi

  Autore: Gianluca Principato
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 1993-94
  Università: Università degli Studi di Perugia
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia e Commercio
  Relatore: Pierluigi Grasselli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 78

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Parole chiave

cassa integrazione
disoccupazione
job creation
mercato del lavoro
politiche attive del lavoro
politiche del lavoro

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