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La tutela della maternità e dell'infanzia ''recluse'': tra sollecitazioni sovranazionali e riforme (incompiute) dell'ordinamento penitenziario italiano

La presente ricerca rappresenta un’opportunità per riflettere sulla dimensione della detenzione femminile, concentrandosi in particolar modo sulla questione della maternità in carcere. Attraverso un’analisi delle principali tappe cui è approdato il legislatore e la disamina degli itinerari giurisprudenziali degli ultimi anni, se ne evidenziano le conquiste e le lacune ancora in essere alla luce del preminente interesse del minore a condurre un rapporto quanto più “normale” e “continuativo” con la figura materna, ancorché reclusa.
L’analisi approfondirà l’articolato quadro di istituti e benefici penali, processuali e penitenziari preposti a tutela della maternità “ristretta”, sia durante la delicata fase cautelare che nel corso dell’esecuzione della pena. Verranno messe in evidenza – de iure condendo – le prospettive per i futuri sviluppi legislativi volti ad attenuare gli effetti negativi della detenzione genitoriale sui figli e ad eliminare definitivamente il fenomeno dei bambini costretti all’interno del circuito penitenziario.
Attraverso il presente studio, si intende valorizzare l’importanza di adottare misure legislative che tengano conto delle specifiche esigenze della coppia madre-figlio, affinché possano dirsi pienamente attuati i principi costituzionali preposti a salvaguardia della maternità e dell’infanzia.

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6 INTRODUZIONE La detenzione femminile, con tutte le sue criticità, è un fenomeno ancora poco indagato e ciò è principalmente dovuto alla scarsa presenza delle donne in carcere, la quale si attesta intorno al 4-5% dell’intera platea delle persone in vinculis. Ne deriva pertanto una condizione di marginalità che ha reso e renderebbe quantomai opportuna l’adozione di un approccio culturale in grado di cogliere e valorizzare le differenze di genere e le specificità di cui si fanno portatrici le detenute, al fine di eliminare quella “scala gerarchica” interna al sistema penitenziario che le relega inesorabilmente in una posizione subordinata rispetto alla componente carceraria maschile. A confrontarsi con la sistematica marginalità ed invisibilità derivante dall’essere inserita in un contesto in cui risulta difficile sviluppare soluzioni organizzative e programmi trattamentali sensibili alle esigenze tipicamente femminili è poi la condizione di colei che sia nel contempo madre di prole in tenera età. La maternità “ristretta” rappresenta una complessa vicenda che invoca una peculiare attenzione sulla base del rilievo per cui la pena di una madre assume una portata “bilaterale”. Gli effetti dell’esecuzione penale non si riversano infatti esclusivamente sul soggetto condannato bensì colpiscono indirettamente anche persone terze, totalmente estranee alla vicenda giudiziale e particolarmente bisognose di cure ed attenzioni: i figli minori, “vittime secondarie” la cui sfera affettiva risulta inevitabilmente compressa per effetto della detenzione materna. Trattasi dell’unico rapporto – quello che lega una madre alla prole – che non può essere fisiologicamente interrotto neanche dalla carcerazione, dovendo pertanto essere mantenuto anche nel rispetto dei principi costituzionalmente e universalmente garantiti. Una corretta comprensione dell’attualità del problema non può prescindere dalla considerazione di una delle norme più discusse in assoluto della legge penitenziaria: l’art. 14, comma 7, in forza del quale «alle madri è consentito tenere presso di sé i figli fino all’età di tre anni», per la cura e l’assistenza dei quali «sono organizzati appositi asili nido» interni agli istituti penitenziari.

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Informazioni tesi

  Autore: Chiara Laigueglia
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2022-23
  Università: Università degli studi di Genova
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Franco Della Casa
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 727

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Parole chiave

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maternità in carcere
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madri ristrette
infanzia in carcere
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