INTRODUZIONE
Il cinema offre motivi d'interesse davvero poliedrici. E' per questo forse che se pure si sfugge al
fascino della sua aleatorietà si ricade nell'interesse dei contenuti culturali, sociali o perfino politici
che esso racchiude. Eppure nel contempo ogni film offre una meravigliosa quanto realistica
realizzazione di un sogno. Non c'è articolo o libro o pubblicazione che non faccia richiamo esplicito
e testuale al gemellaggio attribuito fin dall'inizio al cinema e alla psicoanalisi, già dalla comparsa
sulla scena storica: la proiezione al Grand Café di Parigi (28 dicembre 1895) e la stesura, nello
stesso anno, degli “Studi sull'Isteria” di Freud. Eppure il padre della psicoanalisi non mascherò mai
una chiara idiosincrasia nei confronti del cinema e non si risparmiò nel dichiararla anche ai suoi
allievi che insistevano in merito ad una collaborazione loro richiesta per la produzione
cinematografica di “I misteri di un'anima”(1926) del regista Georg W. Pabst. Il 14 agosto 1925, in
una lettera indirizzata a Ferenczi si esprimeva così a riguardo: "La riduzione cinematografica
sembra inevitabile, così come i capelli alla maschietta, ma io non me li faccio fare e personalmente
non voglio avere nulla a che spartire con storie di questo genere. La mia obiezione principale
rimane quella che non è possibile fare delle nostre astrazioni una presentazione plastica che si
rispetti un po'. Non daremo comunque la nostra approvazione a qualcosa di insipido..." (Ricci,1998,
p.127).
Perchè Freud disprezzasse così tanto l'arte cinematografica non è documentato molto, ma certo è
che la sua opinione non cambiò neanche ai tentativi ripetutisi negli anni da altri, come André
Breton, vate del surrealismo, che più volte tentò inutilmente di fargli riconoscere la paternità degli
strumenti introspettivi utilizzati dai fautori della corrente citata. Unica eccezione documentata da
Ernst H. Gombrich (1967), una lettera scritta il 20 luglio 1938 da Freud all’amico Stephan Zweig,
in conseguenza all'incontro combinato con l'artista spagnolo Salvador Dalí per il quale riserva un
apprezzamento che comunque non muterà le sue opinioni (p.25). Gli stessi fratelli Lumiere erano
convinti che la loro invenzione avrebbe avuto interesse esclusivamente scientifico e nessuno a
livello di comunicazione. Convinzione in contrasto con la potenza comunicativa insita del mezzo in
questione e della forza di imprimersi del messaggio veicolato grazie al flusso incessante delle
immagini che scorrono sullo schermo in una condizione della visione quasi ipnotica.
Nonostante l'opinione dichiaratamente avversa del padre della psicoanalisi e dei suoi stessi creatori,
il cinema ha attinto fin dai suoi primi respiri con entusiasmo e a piene mani da materiale di natura
introspettiva, dando forma e vita anche alla divulgazione di massa dei temi psicoanalitici. Tra le
molteplici trattazioni condotte sul tema della correlazione tra cinema e psicoanalisi, regna l'analogia
con i meccanismi del sogno come descritti da Freud: condensazione, spostamento, rappresentatività
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ed elaborazione secondaria. Fabbrica dei sogni, macchina dei desideri, produttrice di illusioni, la
definizione di cinema non manca mai di alludere al richiamo della dimensione onirica e
dell'immaginario (Morin, E. 1956, pp.X-XI). E se Freud definiva il sogno come la via regia di
accesso all'inconscio, il cinema dà l'impressione di aprire una finestra su i processi che ne regolano
le dinamiche. Il rifiuto di stabilire alcun tipo di connessione tra cinema e psicoanalisi è andato ben
oltre l'opinione, sia pure monumentale, di Freud e ha visto vivere fasi alterne alla reputazione di
questa nuova forma espressiva, divisa tra la nascita della censura moraleggiante a cura di una élite
preoccupata di una divulgazione a basso costo della cultura e i danni paventati da alcuni medici che
elencavano tutta una serie di disturbi fisiologici a danno del sistema visivo e neurologico provocati
dalla visione cinematografica (d'Abundo G. 1911,433-442).
Dopo un inizio così sconfortante, prolungatosi anche a causa dell'oscuramento della seconda guerra
mondiale per tutto quello che non fosse a propaganda bellica, finalmente nasce un recupero di
attenzione verso il cinema come attento scrutatore dell'animo umano. Il fiorire di esempi
cinematografici ne è ampia riprova ed è tale filo conduttore, che lega il sogno alla dimensione
filmica, che ho cercato di seguire in forma consapevolmente non esaustiva, richiamando opere e
autori cinematografici che hanno contribuito a far del cinema un sogno ad occhi aperti. Modi e stili
diversi di considerare l'immaginario allucinatorio per ognuno degli autori citati: sogno utilizzato per
ampliare la conoscenza introspettiva (Bunuel), per smascherare con ironia le illusioni della realtà
ingannevole (Fellini), per dare vita all'eterna dualità conflittuale dell'animo umano (Kubrick).
L'esposizione ha necessariamente sacrificato alla coerenza della trattazione altri aspetti della
produzione dei suddetti registi, che se pur importanti, risultavano a giudizio dell'autore troppo
fuorvianti dal tema oggetto del presente elaborato.
Nella maggior parte dei casi la macchina del cinema utilizza l'analisi della dimensione inconscia, in
quanto altro dal sé reale, per assurgere a nuove forme di conoscenza e consapevolezza. Talvolta
però si assiste ad originali risoluzioni cinematografiche della vita onirica che si distinguono perché,
abbandonando le consuete modalità di approccio, offrono prospettive diverse del tema
analizzandolo da nuove angolazioni (Maraschini, E., 2010, www.ipercritica.com). E' il caso della
regia di Christoper Nolan che, assumendo come definito il sistema di funzionamento dell'inconscio,
si pone e pone di rimando allo spettatore la sfida di capire fino a dove ci si può spingere e quali
vantaggi (o svantaggi) possono derivare dall'osare troppo. E' l'atavica spinta alla conoscenza,
premio e condanna, che conduce l'uomo ad andare sempre oltre il limite, ad osare l'impossibile fino
a rischiare di perdersi per sempre. Stavolta nelle profondità della psiche che è descritta a più livelli e
ricorda per alcuni versi l'inferno dantesco nei cui accessi più remoti sono confinati i peccati (e
peccatori) più inquietanti proprio come nel limbo di Nolan. E per controbattere e conquistare anche
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gli epicurei più tenaci, coloro che negano l'esistenza di alcunché non sia tangibile, il regista si
ancora ad una serie di concetti neurofisiologici accademici come la funzione di sintesi e attivazione
cerebrale del dottor Jie Zhang (Sbrescia, V. 2012, www.HumanTrainer.com) e di evidenze
sperimentali che godono di credito scientifico nonché attualissime, come quelle concernenti i “sogni
lucidi” di Stephen Laberge (Maraschini, E., 2010, www.ipercritica.com). Sembra sempre un
controsenso, un paradosso accostare ai freddi e sistematici calcoli della scienza l' inconsistenza e
vaghezza del sogno, eppure anche l'uomo più scettico non può negare di aver sognato qualche volta.
Magari nel periodo felice che Fellini suggeriva nell'infanzia, quando la parete porosa dell'anima non
si è ancora indurita ad impedire che la realtà del mondo e l'incongruità dello spirito si mescolino.
Un film rimane comunque uno strumento di soddisfazione, di appagamento fittizio dei nostri
desideri che siano confessabili o meno. E in questo senso ciò che paga è il risultato più che il modo,
anche perché l'attribuzione di significato ai contenuti è data dallo spettatore, che già nella scelta di
un film inconsciamente sta selezionando il sogno che vuole vedere proiettato sullo schermo.
Prendendo atto del legame che intercorre tra tipo di film e tipo di emozioni suscitate, si può
arrivare a costituire un uso terapeutico del cinema: la cinematherapy. Nasce in America circa venti
anni fa con Gary Solomon e la pubblicazione del suo manuale che già dal titolo si inseriva di diritto
nel filone dell'editoria del fai da te “ Guardi questo film e mi chiami domani mattina” (Mismetti
Capua, C.2002, www.cinemaepsicoanalisi.it). Il clamore americano per l'argomento è di molto
affievolito in Italia dalle raccomandazioni e osservazioni critiche dell'avanguardia medica
competente. Pur riconoscendone la possibilità concreta d'uso, da Ignazio Senatore, vicepresidente
della Sezione Arte-cinema-Spettacolo della Società Italiana di Psichiatria, a Vincenzo Mastronardi,
professore di Psicopatologia Forense all’Università “La Sapienza” di Roma, solo per citarne alcuni,
è unanime l'esortazione a considerare il cinema non come mezzo ma come strumento di cura
utilizzabile esclusivamente nell'ambito di una relazione terapeutica (ivi).
Cinema dunque ha tanti volti e ognuno richiama i suoi mille ambiti di esplicazione: lo svago, la
cultura, la politica, la ragione sociale, la religione, l'ambiente. Si va al cinema per divertirsi, per
conoscere o per emozionarsi, ma qualunque motivo ci spinga ad entrare in una sala cinematografica
l'effetto sarà sempre quello di sognare il nostro sogno, finchè le luci rimarranno spente e forse anche
un po' oltre.
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