1 
 
 
Introduzione 
 
 
Le sostanze perflouroalchiliche (PFAS) sono un gruppo eterogeneo di sostanze 
chimiche di origine antropica, composte da un legame carbonio-fluoro di differenti 
misure e un gruppo funzionale idrofilo all’estremità. Grazie alla loro repellenza 
all’acqua e ai grassi e alla loro stabilità termica, sono ampiamente utilizzati in 
differenti settori industriali e in beni di consumo fin dagli anni Sessanta; le 
applicazioni commerciali più conosciute sono le pentole antiaderenti (Teflon) e i 
tessuti impermeabili traspiranti (Gorotex).  
Gli studi della comunità scientifica internazionale non hanno ancora reso noto gli 
effetti e i rischi di tali sostanze sulla salute e sull’ambiente, ma, ad oggi, la presenza 
di PFAS è stata registrata in tutte le matrici ambientali (Mastrantonio et al. 2017). 
La questione delle PFAS nella regione Veneto emerse nel 2007 quando furono 
pubblicati i risultati dello studio PERFORCE (Perfluorinated Organic compuonds 
in the european Environment), che riportavano alte concentrazioni di Acido 
Perfluoroottanico PFOA nelle acque del fiume Po. Da questa nota, il Ministero 
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha intrapreso un iter per 
approfondire queste indagini arrivando, solo, nel 2013 a confermare la situazione 
di inquinamento in diversi fiumi italiani; più in particolare, si è specificata la 
contaminazione da sostanze PFAS nei bacini idrici del Bacchiglione e del Fratta 
Gorzone (CNR-IRSA 2013). 
Con tale documento, il Ministero fa notare l’importanza di azioni immediate come 
una maggiore conoscenza degli impatti poiché le concentrazioni delle sostanze 
PFAS sono risultate significative. 
Si parla più nello specifico di Acido Perfluoroottanico PFOA e Acido 
Perfluoroottansolfonico PFOS, le quali hanno la capacità di essere chimicamente 
persistenti nell’ambiente e accumulabili lungo la catena alimentare. 
La conseguenza più rilevante dovuta al rilascio di tali sostanze è legata alla 
contaminazione della falda acquifera e dei corpi idrici fluviali superficiali, sia per
2 
il valore di risorsa idrica sia per il deflusso che la stessa possiede; inoltre le 
interazioni con il suolo e con il sottosuolo permettono un adsorbimento
1
 tale da 
rallentare i processi naturali.  
 
La propagazione degli inquinanti in un reticolo idrografico è un fenomeno molto 
complesso e ciò non permette il ricorso a metodi statistici classici; i fiumi, infatti, 
costituiscono delle reti ramificate che canalizzano flussi di energia, materia e 
informazioni attraverso stretti corridoi. Perciò, trattare dal punto statistico questi 
fenomeni richiede l’implementazione di una nuova classe di modelli spaziali 
chiamata Spatial Stream Network Models (SSN). Gli SSN Models si basano su 
strutture di covarianza adatte ai corsi d’acqua, come la struttura dendritica, la 
direzione dei flussi, le confluenze, la conformazione del territorio, e, mediante la 
specificazione di diverse distribuzioni statistiche, è possibile adattarli a differenti 
tipi di dati rilevati sul flusso, come per esempio le concentrazioni di sostanze 
chimiche. I metodi di previsione degli SSN permettono di compiere delle predizioni 
sui siti non monitorati, creando così delle mappe di previsione piuttosto accurate e 
utili per analisi trasversali. 
 
Le intenzioni di questa tesi mirano a delineare due analisi congiunte. La prima di 
tipo spaziale su ArcGIS con il tool STARS, il quale permette di calcolare le 
informazioni spaziali necessarie dei dati di flusso dei corpi idrici superficiali; la 
seconda, invece, di natura statistica, prevede tramite il pacchetto SSN di RStudio 
uno studio quantitativo e qualitativo sullo stato di due bacini idrografici del Veneto, 
il Fratta Gorzone e il Bacchiglione, in riferimento all’inquinamento da sostanze 
perfluoroalchiliche (PFAS). 
 
 
 
 
 
 
                                                 
1
 Accumulo di sostanze fluide su superfici condensate.
3 
 
 
1 Le sostanze perfluoroalchiliche 
 
 
1.1 Che cosa sono le sostanze PFAS 
 
 
Le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sono un gruppo di composti antropogenici 
appartenenti alla famiglia di sostanze fluorurate. Una categoria molto ampia che 
comprende sia sostanze organiche che inorganiche con almeno un atomo di Fluoro 
(F). 
La caratteristica determinante dei PFAS è la presenza di una struttura composta da 
una catena alchilica idrofobica, composta da 4 a 16 atomi di Carbonio, e da un 
gruppo funzionale idrofilico, carbossilico o sulfonato. La differenza di tali 
caratteristiche permette di rilevare il grado di persistenza nell’ambiente e negli 
organismi: gli acidi a catena lunga e con 8 o più atomi di Carbonio sono ritenuti i 
più persistenti e bioaccumulabili. 
Al fine di fornire una rappresentazione sintetica ed esaustiva dei principali 
sottogruppi afferenti alla categoria dei PFAS, si riporti il PFASs-tree elaborato da 
Wang e collaboratori (Wang et al. 2017).  
Le PFAS ricercate sono gli anioni2 degli acidi, perciò non si tratta di una sostanza 
come tale, nonostante questi siano disponibili sotto forma di sali, polimeri e 
derivati, incorporati in altri composti durante i processi di lavorazione. Risulta 
necessario identificare come fonte di pressione inquinante qualsiasi molecola 
contenente la frazione perfluoroalchilica, che attraverso i processi di degradazione 
microbiotica nell’ambiente o di metabolizzazione all’interno di un organismo si può 
slegare dall’acido. 
Più nello specifico, ad oggi sono state identificate più di 2060 sostanze PFAS e 
PreFAAs, ma il numero è in continuo aumento a causa della larga diffusione di tali 
                                                 
2
 Ioni con carica negativa
4 
molecole; all’interno della famiglia PFAS particolare attenzione è riservata al 
PFOS, afferente al sottogruppo degli acidi perfluorosolfonici, e al PFOA, che si 
annovera tra gli acidi perfluorocarbossilici. Questi due acidi ricoprono un ruolo di 
preminenza grazie al loro maggior impiego nei processi produttivi e ad un’ampia 
diffusione nelle matrici ambientali.  
 
 
Figura 1 PFAS-tree. Fonte Wang et al, 2017 
Per il PFOS l’emivita stimata per idrolisi a 25°C supera i 41 anni, mentre l’emivita 
per fotolisi supera i 3,7 anni; per quanto riguarda la biodegradazione biotica e 
abiotica, invece, non vi sono osservazioni della sua presenza (CNR-IRSA 2013). 
Per il PFOA l’emivita in ambiente acquoso è stimata di 92 anni (ARPAV 2016).  
Dagli anni Quaranta i PFAS sono stati largamente utilizzati in differenti settori 
dell’economia, dai trattamenti di rivestimento delle carte alimentali a prodotti come 
emulsionanti per la pulizia di pellame e tappeti; in particolare, i PFOS sono
5 
impiegati per la produzione di schiume antincendio e per l’industria aeronautica ma 
anche per la produzione di padelle antiaderenti, abbigliamento tecnico e detergenti 
domestici ed industriali. Ci sono ulteriori storici utilizzi di tali molecole ritrovati 
nella letteratura scientifica, ne è stata trovata traccia in alcuni pesticidi, 
apparecchiature mediche e tensoattivi oleosi. 
L’aspetto importante di tali molecole è che non sono legate chimicamente ai 
materiali in cui sono utilizzate quindi la loro diffusione nell’ambiente avviene in 
ogni fase del ciclo di vita del prodotto, dalla produzione al consumo, fino allo 
smaltimento. 
La fluorizzazione e la telomerizzazione, processi a cui sono soggetti i PFAS, 
generano dei composti chimici altamente stabili e resistenti a qualsiasi fenomeno 
di degradazione naturale. Tali molecole sono resistenti all’idrolisi, alla termolisi, 
alla fotolisi e alla degradazione biologica. Queste caratteristiche chimico-fisiche 
permettono impieghi produttivi molto vantaggiosi, ma sono anche la principale 
causa della loro persistenza. 
 
 
1.2 Comportamento idrodinamico dei PFAS 
 
 
I comportamenti idrodinamici dei PFAS, più in particolare la solubilità e 
l’adsorbimento, sono delle caratteristiche fondamentali per capirne la diffusione a 
livello ambientale e di conseguenza l’estensione dell’inquinamento da essi 
provocato. 
La solubilità in acqua degli acidi perfluoroalchilici è in funzione sia della catena di 
carbonio, al diminuire di quest’ultima aumenta la solubilità, sia della natura del 
gruppo funzionale; si è notato infatti che gli acidi di carbonio sono più idrosolubili 
rispetto agli acidi di zolfo. 
L’adsorbimento, invece, è un fenomeno che ha un importante riscontro sulla 
velocità di propagazione in falda degli inquinanti: infatti provoca un ritardo 
quantificato dal fattore di ritardo (R) correlato alla velocità di falda (1):
6 
 = 
 à      à     ′                              (1) 
 
Nel nostro caso, questo effetto è reversibile attraverso l’applicazione del 
procedimento inverso, vale a dire il desorbimento, durante il quale l’adsorbato torna 
in soluzione. 
 
La velocità effettiva del deflusso idrico sotterraneo risulta un parametro di primaria 
importanza per una stima attendibile dei tempi di propagazione di un inquinamento 
nelle acque sotterranee e quindi stabilirne l’origine nel tempo. L’equazione (2) 
spiega come, tramite la velocità del flusso d’acqua e la distanza della fonte di 
contaminazione, si può approssimare il tempo impiegato dalle sostanze inquinanti 
a coprire tale distanza: 
    = 
    ′  à    ×  (2) 
 
Nel caso in esame “risulta che il tempo impiegato da quello storico evento di 
contaminazione a raggiungere il fronte della contaminazione di allora (meno 
estesa come quella attuale) non poteva essere superiore a 11 anni ovvero, 
rapportato a quel tempo, antecedente al 1966 in quanto anno di costruzione 
dell’industria chimica (allora RIMAR)” (ARPAV 2015). 
 
Le conclusioni dello studio (ARPAV 2015) di permettono di accertare la diffusione 
pluridecennale dell’inquinamento nelle province di Padova, Vicenza e Verona, con 
velocità effettiva di falda che oscillano dai 3 a 6 m/giorno; per quanto concerne 
invece il tempo di esaurimento naturale, si stima un intervallo temporale di almeno 
50 anni.