6 
 
Introduzione 
 
 
 
Le ultime righe della tesi che scrissi per la laurea triennale sancivano l’importanza di 
alcuni principi emersi dall’analisi delle metodologie di valutazione della sostenibilità, 
applicate ai Meccanismi di Sviluppo Pulito (CDM) previsti dal protocollo di Kyoto. Fra di 
essi vi era la consapevolezza di come il concetto di sostenibilità, applicato a livello locale, 
cambi in relazione al contesto culturale, ambientale e socio-economico e di come quindi 
siano fondamentali i processi partecipativi per far emergere tali significati e rendere i 
progetti compatibili con essi.  
L’interesse per la relatività dei pensieri e delle percezioni e per la ricerca di metodologie 
utili per operare in modo corretto nel campo della tutela dell’ambiente mi ha spinta a 
proseguire lungo questo tema, portandomi a proporre uno studio apparentemente molto 
diverso ma in realtà profondamente legato al primo. Sostituendo ai Clean Development 
Mechanisms il tema più generale della gestione delle aree protette e della cooperazione 
ambientale e al concetto di sostenibilità quello di paesaggio, l’equazione che rappresenta la 
questione principale che sottende tutto il lavoro è ancora valida: è possibile con le 
metodologie di valutazione della sostenibilità garantire la qualità dei progetti CDM? É 
possibile, attraverso l’analisi del paesaggio, migliorare la qualità della gestione delle 
risorse e dei progetti di cooperazione ambientale? 
Il concetto di paesaggio si è rivelato man mano sempre più ricco di significati e sfumature, 
nonché di campi di applicazione. La natura interdisciplinare del concetto, oltre che 
corrispondere all’impronta del mio percorso di studi, permette di comprendere, con uno 
sguardo ampio, molti aspetti della complessità del reale, senza tuttavia isolarli l’uno 
dall’altro ma mantenendoli interconnessi, come verrà illustrato, in una struttura generale 
unitaria. In primo luogo il paesaggio può essere considerato come l’oggetto di alcune 
discipline scientifiche, dell’ecologia del paesaggio principalmente, la quale sviluppa una 
serie di strumenti e di concetti con l’obiettivo di analizzare la disposizione degli elementi,
7 
 
naturali e antropici, nello spazio. Secondo questo primo approccio, quindi, il paesaggio si 
configura come un livello di analisi della realtà. Una visione radicalmente opposta è quella 
propria di approcci più umanistici, i quali sottolineano la componente percettiva del 
paesaggio, che nasce, in questo senso, unicamente grazie alla presenza di un soggetto, 
individuale o collettivo, che osserva il mondo. Interpretare così il paesaggio significa 
considerare i significati personali, il linguaggio utilizzato, la storia e in generale la cultura 
che contribuisce a plasmare lo spazio rendendolo territorio percepito. La geografia, 
attraverso ad esempio le teorie di Claude Raffestin, di Eugenio Turri e Angelo Turco, 
dimostra di essere una delle discipline maggiormente in grado di cogliere la natura 
multidimensionale del paesaggio, espressione ultima del rapporto tra l’uomo e il suo 
ambiente. Seguendo quindi l’evoluzione del pensiero di Angelo Turco e quella più recente 
dell’ecologo Almo Farina, è possibile trovare nella complessità una chiave di lettura 
olistica per il paesaggio. Attraverso l’interpretazione del paesaggio come sistema 
complesso, l’ecologia e la geografia convergono verso una concezione comune capace di 
comprendere al suo interno le diverse dimensioni, materiale e immateriale così come 
personale e collettiva, del paesaggio. 
Accanto al paesaggio, vi sono altri due temi che, come colonne portanti, sostengono 
l’intero impianto teorico della tesi. Essi sono la gestione delle aree protette, così come dei 
progetti di cooperazione legati alla tutela ambientale, e le teorie e strategie di 
partecipazione.  
In primo luogo si è scelto di considerare la gestione dei parchi e di seguito il tema della 
cooperazione ambientale poiché nei casi concreti spesso entrambe le situazioni sono 
coesistenti, si opera quindi in una zona già sottoposta a tutela ma all’interno di progetti e 
di reti internazionali. È necessario quindi chiarire come sono nate e quali sono le 
metodologie di gestione delle aree protette che sono state sviluppate ed applicate fino ad 
oggi. Da santuari della natura isolati completamente dal mondo esterno antropizzato, le 
aree protette sono infatti sempre più integrate nel territorio circostante, dal quale non sono
8 
 
più separate da confini netti bensì da zone buffer con diversi gradi di tutela e soprattutto 
contenenti insediamenti e attività umane compatibili con l’obiettivo della riserva.  
La ricerca di una sintesi tra conservazione e lotta alla povertà, soprattutto nei paesi del sud 
del mondo, corrisponde quindi al tentativo di coniugare la tutela con l’utilizzo delle 
risorse e in ultima analisi porta a rifarsi al concetto di sviluppo sostenibile, all’interno del 
quale tutela dell’ambiente ed equità sociale ed economica trovano una sintesi. La 
cooperazione internazionale in campo ambientale si presenta così come lo strumento più 
adatto per intervenire su entrambi i fronti.  
Trasversalmente a questi temi scorre quindi quello della partecipazione ai progetti di 
cooperazione e alla gestione delle aree protette; fondamentale per poter giungere ad una 
migliore comprensione delle istanze locali, nonché per la ricerca dell’armonia tra 
conservazione e utilizzo delle risorse naturali. La storia delle metodologie di 
partecipazione, così come viene ripercorsa da Sam Hickey e Giles Mohan, vede la 
partecipazione compiere un percorso per nulla lineare: da rivendicazione contro un 
modello di sviluppo imposto dall’alto a oggetto di pesanti critiche per tornare ad essere 
poi presentata come la soluzione ad ogni problema. Come si vedrà esistono numerosi 
modi per intendere la partecipazione e altrettante metodologie per applicarla; in ogni caso 
essa si configura come la chiave per poter giungere ad una conoscenza profonda del 
territorio, che si tratti di un’area protetta o dell’area di intervento di un progetto di 
cooperazione. 
La struttura teorica del lavoro sorregge a sua volta l’analisi dell’esperienza pratica che ho 
fortunatamente potuto effettuare durante i primi mesi del 2009. Il desiderio di osservare 
con i miei occhi, concretamente, quello di cui avrei voluto scrivere mi ha portata in 
Burkina Faso, dove è stato possibile raccogliere numerose informazioni su di un caso 
studio particolarmente adatto al tema in questione. Nel sud del paese erano infatti presenti 
contemporaneamente entrambe le situazioni sopra descritte: un progetto di cooperazione 
internazionale di tipo ambientale e la presenza di aree protette coinvolte in tale progetto. 
Nello specifico si è voluto approfondire il caso dell’istituzione di un corridoio ecologico tra
9 
 
il Parc National Kaboré Tambi e il Ranch de Nazinga, atto fortemente territorializzante che 
ha fatto emergere la presenza di visioni del paesaggio differenti, visioni che si è cercato 
quindi di analizzare e di riprodurre. 
 
Ricerca teorica e osservazione empirica non basteranno tuttavia a colmare il divario che 
separa il mio paesaggio da quello di qualsiasi altra persona davanti all’area del corridoio 
ecologico o a qualsiasi altro territorio. Quello che mi chiedo, forse utopisticamente, è come 
l’apertura verso l’altro, verso nuovi e differenti punti di vista, la curiosità così come il 
rispetto verso il territorio e verso chi lo abita possano guidare le politiche e i progetti in 
modo tale da renderli compatibili con i paesaggi di ciascuno.
10 
 
1. Il concetto di paesaggio 
 
 
 
 
Si può affermare che il termine paesaggio apparve inizialmente durante il Rinascimento 
grazie ai primi dipinti che ritraevano, portandoli all’attenzione dello spettatore e non più 
lasciandoli in secondo piano, vedute, scorci e, appunto, paesaggi. Questo genere pittorico, 
sviluppatosi durante fine del XV secolo, nacque dall’idea di riprodurre in un quadro 
l’immagine di ciò che l’occhio umano può percepire osservando il territorio che si estende 
davanti a lui.
1
 In seguito il termine divenne l’oggetto delle descrizioni di naturalisti, 
esploratori e cartografi. Alexander Von Humboldt, nel XIX secolo definì il paesaggio come 
“il carattere di una regione della terra nella sua totalità” accentuando già l’aspetto umano 
e culturale del concetto, nonostante il punto di partenza fosse comunque la geografia 
fisica. Allo stesso modo il geografo francese Vidal de la Blache, pur partendo dal punto di 
vista della geografia storica e umanistica, riconobbe il paesaggio come l’insieme degli 
aspetti culturali e naturali che si manifestano in una regione. Nonostante entrambi i 
geografi abbiano inserito implicitamente nelle loro definizioni anche un aspetto estetico, 
nei loro studi e nelle loro classificazioni non svilupparono lo studio della percezione del 
paesaggio. 
2
  Proseguendo lungo la storia, il termine paesaggio è stato definito in numerosi 
modi sino a divenire un concetto molto comune nel linguaggio odierno, spesso tuttavia 
confuso con altri termini come panorama, ambiente, natura o spazio. Queste incertezze 
semantiche non vanno tuttavia confuse, come sottolinea Gambino
3
, con l’ambiguità “utile 
e feconda” che caratterizza il termine e che stimola una continua ricerca di interpretazioni 
                                                 
 
1
 M. C. Zerbi, L. Scazzosi, Paesaggi straordinari e paesaggi ordinari, Ed. Guerini, Milano, 2005. 
2
 M. Antrop, From holistic landscape synthesis to transdisciplinary landscape management, 2005. 
3
 R. Gambino, Conservare, innovare. Paesaggio, ambiente, territorio, Utet, Torino, 1997. 
 
George Washington Caucamàn scese dal taxi e si chiese se il 
paesaggio di una città potesse essere fatto dalle persone. 
 
 
Luis Sepúlveda, Jacaré
11 
 
del rapporto tra realtà e percezione, tra uomo e natura, nonché questa stessa ricerca. 
Alcune discipline hanno colto questa sfida sul paesaggio e hanno cercato, ciascuna con 
prospettive diverse, di sistematizzare il concetto in funzione dei propri paradigmi.  
In questo contesto è utile analizzare principalmente tre approcci, ognuno dei quali apporta 
alcuni elementi importanti per l’elaborazione di una ipotetica struttura complessiva del 
concetto di paesaggio, il più possibile orientata all’applicazione concreta.  
Tali contributi sono:  
• l’approccio naturalistico, all’interno del quale si sviluppa l’ecologia del paesaggio; 
• l’approccio umanistico, il quale pone l’accento sull’aspetto percettivo, storico e 
culturale del concetto; 
• lo studio della complessità, all’interno del quale si incontrano studi provenienti dai 
primi due approcci ma che si distinguono da essi per il fatto di ricercare visioni 
olistiche e interdisciplinari, le quali permettano di giungere ad una visione 
sistemica del paesaggio.  
Di seguito verranno descritti alcuni concetti e strumenti forniti dagli approcci sopra 
elencati, con l’intento di arricchire di volta in volta il campo semantico del termine 
paesaggio e di mostrarne allo stesso tempo l’utilità per una comprensione il più completa 
della realtà in cui si opera. Come degli insiemi concentrici, le diverse teorie sul paesaggio 
che verranno considerate saranno in seguito l’una più complessa dell’altra, intendendo 
con il termine complessità la capacità di contenere al proprio interno sistemi, domini e 
logiche molteplici. Tuttavia lo schema non è così semplice, poiché ognuna delle teorie 
esposte si sta contemporaneamente, ma con punti di origine differenti, orientando verso 
una maggiore complessità e verso la ricerca di una visione interdisciplinare d’insieme. 
L’interdisciplinarietà è infatti uno dei tratti comuni degli approcci qui considerati. La 
chiave per la comprensione della realtà e per la sua analisi diviene così la connessione e 
l’utilizzo di strumenti provenienti da materie originariamente distanti fra loro come ad 
esempio l’ecologia e la sociologia, o la cartografia tecnica e l’antropologia.
12 
 
1.1. Il paesaggio come mosaico ambientale 
 
La struttura del testo, come evidenziato in precedenza, cerca di riflettere la complessità del 
concetto di paesaggio districandola in una gerarchia di approcci diversi che forniscono 
una serie di concetti e strumenti di analisi i quali verranno in seguito utilizzati e 
ricomposti in una ipotetica procedura di analisi complessa del paesaggio che tenga conto 
di tutti gli aspetti presi in considerazione in precedenza.  
Se l’obiettivo è quindi quello di scoprire i diversi elementi che creano un paesaggio, non si 
può proseguire senza prima aver definito l’elemento base di questa creazione. Non si 
tratta di una sequenzialità del processo di formazione del paesaggio, poiché i diversi 
fattori interagiscono contemporaneamente e ininterrottamente, ma di una gerarchia di 
insiemi concentrici. Il primo aspetto da considerare è quindi ciò che sta alla base, ovvero il 
substrato naturale sul quale e con il quale interagiscono i numerosi altri fattori che portano 
alla continua ricreazione di un paesaggio. Si tratta quindi di specificare che i termini 
natura e ambiente non siano sinonimi di paesaggio, bensì ne facciano parte.  
Per indicare l’insieme concreto ma indefinito di dati naturali, i quali possono essere le 
caratteristiche morfologiche del terreno, l’idrografia, il clima o le componenti abiotiche e 
biotiche presenti in un paesaggio, si può applicare il concetto di quadro ambientale.
4
 I 
quadri ambientali differiscono tra loro per numerosi fattori (clima, produzione primaria, 
tipo di vegetazione, suolo e via dicendo), principalmente è utile prendere in 
considerazione quelli che sono i fattori limitanti, ovvero le caratteristiche che 
maggiormente condizionano la vita in un dato ambiente. Presenza o assenza di acqua, 
inclinazione e quantità di radiazioni solari incidenti, composizione del suolo, latitudine e 
altitudine sono i principali fattori che distinguono tra loro le diverse tipologie di quadri 
ambientali. Il paesaggio presente in un particolare quadro ambientale è continuamente 
influenzato da esso e allo stesso tempo ne condiziona l’evoluzione. Un esempio può essere 
                                                 
 
4
 P. Faggi, Il ruolo dei quadri ambientali nella comprensione del sottosviluppo, in F. Boggio, G. Dematteis, Geografia 
dello sviluppo, Utet Libreria, Torino, 2002.
13 
 
il paesaggio della foresta tropicale, fortemente influenzato dalle caratteristiche climatiche e 
vegetazionali, le quali però vengono allo stesso tempo modificate dalla continua 
produzione di paesaggio sul paesaggio da parte dell’uomo: in questo caso ad esempio 
provocando deforestazione, impoverimento rapido del terreno o persino desertificazione, 
cambiando così drasticamente il tipo di quadro ambientale.  
Il semplice studio del quadro ambientale non può bastare per la descrizione di un 
paesaggio, si tratta quindi di una componente necessaria ma non sufficiente per questo 
obiettivo e in particolare nel caso in cui si interpreti il paesaggio in chiave naturalistica 
come avviene nel caso dell’ecologia del paesaggio. 
L’ecologia del paesaggio, o landscape ecology, nasce convenzionalmente nel 1939 grazie al 
tedesco Carl Troll, il quale definisce la materia come “lo sposalizio tra geografia e 
biologia”
5
 e considera il paesaggio come “entità spaziale vissuta dall’uomo”, richiamando 
in questa definizione il concetto di Umwelt o “intorno soggettivo” di Jakob Johann von 
Uexkull
6
. Unire geografia e biologia significa così far rientrare nel concetto di ecosistema, e 
nell’insieme dei fattori biologici che ne fanno parte, anche la componente umana. L’uomo 
diventa uno degli attori fondamentali all’interno dello studio dei sistemi ecologici, poiché 
coincide con uno dei maggiori agenti di trasformazione dell’ambiente naturale. Secondo 
Carl Troll l’ecologia del paesaggio deve coincidere quindi con lo studio olistico delle 
interazioni complesse tra le biocenosi e il loro ambiente in una determinata porzione di 
spazio considerata.  
Nel corso degli anni si sono sviluppate diverse scuole di ecologia del paesaggio: la scuola 
tedesca è la più legata alla geografia pura e presenta meno aspetti applicativi, la scuola 
canadese al contrario è più orientata all’ecologia applicata e ricava le basi teoriche dalla 
scuola americana che si è occupata dello studio delle interazioni ecologiche dei grandi 
spazi dove la presenza dell’uomo è poco evidente; infine la scuola britannica è forse quella 
che è riuscita a coniugare meglio l’aspetto teorico con quello applicativo, mantenendo allo 
stesso tempo una forte componente geografica. 
                                                 
 
5
 M. Antrop, From holistic landscape synthesis to transdisciplinary landscape management, 2005. Pag.30 
6
 A. Farina, Verso una nuova scienza del paesaggio, Oasi Alberto Perdisa, 2004.
14 
 
La definizione tradizionale di ecosistema come di un’unità territoriale naturale in cui 
componenti biotiche e abiotiche interagiscono producendo un sistema stabile in cui vi 
sono percorsi circolari di materia, fornita da Odum
7
 , non chiarisce se l’uomo faccia parte o 
meno delle componenti biotiche. L’ecologia tradizionale, infatti, si occupa generalmente di 
aree o ambienti nei quali l’uomo gioca un ruolo marginale, se non esclusivamente di 
disturbo. Inoltre, in ecologia, il termine paesaggio si riferisce il più delle volte solo a un 
preciso livello di organizzazione biologica che corrisponde all’insieme di più ecosistemi 
interagenti tra loro. 
 
Figura 1.1: Livelli di organizzazione biologica della materia 
 
 
L’evoluzione del concetto di paesaggio all’interno delle discipline naturalistiche ha portato 
alla progressiva inclusione dell’uomo e dei suoi comportamenti negli studi e nelle 
definizioni date. Nel 1984 l’ecologo Zev Naveh definisce il paesaggio come “l’integrazione 
tra geosfera, biosfera e gli artefatti umani”
8
, assegnando grande importanza all’intervento 
                                                 
 
7
 E. P. Odum, Basi di ecologia, Ed. Piccin, Padova, 1988. 
8
 Z. Naveh, A. Lieberman, Landscape ecology: Theory and Applications, Springer Verlag, New York 1984.
15 
 
umano, il quale non viene più visto esclusivamente come un’interferenza esterna. I fattori 
e i processi sociali non interagiscono con l’ambiente come se si trattasse di due entità 
esterne, bensì ne fanno propriamente parte. Lo stesso Naveh illustra la complessità del 
reale come riportato in Figura 1.2, annullando così la separazione cartesiana tra uomo e 
natura. 
 
Figura 1.2: La gerarchia ecologica e le relative discipline scientifiche 
 
Fonte: Gambino, 1997.
16 
 
L’ecologia del paesaggio ha sviluppato in seguito alcuni strumenti di studio e di analisi 
del paesaggio, definiti in particolare dai professori americani Forman e Godron a metà 
degli anni ’80 nel loro testo sull’ecologia del paesaggio
9
. I due ecologi innanzitutto 
definiscono il paesaggio come “un’area territoriale eterogenea composta da sistemi 
interagenti”, quali il substrato fisico, la vegetazione, gli animali e l’uomo con i suoi 
artefatti; individuando poi al suo interno alcune forme caratteristiche, con le quali 
costruiscono un modello di analisi definito “patch-corridor-matrix”. 
Gli elementi che costituiscono il paesaggio sono osservati e studiati tramite l’utilizzo di 
foto aeree, satellitari o di fotografie scattate da punti sopraelevati, in modo tale da poter 
analizzare la disposizione degli elementi nello spazio e nel tempo, in questo caso 
utilizzando serie storiche di fotografie della stessa area. Le forme che vengono individuate 
sul paesaggio sono di tre tipi: tessera, matrice o corridoio. Le tessere, patches nel modello 
in lingua inglese, corrispondono alle aree non lineari e omogenee al loro interno che si 
distinguono da ciò che le circonda, ad esempio un boschetto circondato da campi coltivati. 
La matrice corrisponde all’ecosistema di sfondo, l’uso del suolo prevalente o ciò che 
circonda le tessere. Infine i corridoi corrispondono agli elementi non lineari che uniscono 
tra loro più tessere fra loro simili.  
In Figura 1.3 è riportato un esempio di paesaggio collinare in cui vengono evidenziate 
patches di bosco connesse tra loro da piccoli corridoi ecologici; la matrice circostante è 
composta da campi coltivati, sullo sfondo le aree urbanizzate potrebbero essere classificate 
come patches di tipo antropico. 
 
 
 
 
 
                                                 
 
9
 R. T. Forman, M. Godron, Landscape Ecology, John Wiley, New York., 1986.
17 
 
Figura 1.3: Esempio di paesaggio a scala ridotta. 
 
Fonte: M.Isaia 
 
Questo tipo di analisi può essere effettuata a scale differenti, adattando via via l’estensione 
e la risoluzione dello sguardo a seconda dell’oggetto di studio.  
L’ecologia del paesaggio si occupa così di analizzare la distribuzione, la quantità, la qualità 
e la forma degli elementi del paesaggio grazie anche all’utilizzo di sistemi informativi 
geografici tramite i quali è possibile calcolare una serie di indici ed effettuare analisi 
dettagliate sulle caratteristiche di un paesaggio.  L’ecologo Almo Farina sostiene infatti che 
l’obiettivo dell’ecologia del paesaggio è quello di studiare i rapporti tra patterns che 
appaiono in un ambiente eterogeneo ed i processi che creano questi patterns o che da essi 
sono influenzati, nonostante ciò, come verrà illustrato in seguito, egli stesso si è orientato 
verso uno sviluppo più complesso della scienza del paesaggio.
10
  
La presenza o meno di corridoi tra tessere simili, l’estensione delle tessere, la 
frammentazione e la forma sono alcuni degli aspetti fondamentali che influenzano i 
processi in atto all’interno di un paesaggio. 
                                                 
 
10
 A. Farina, Paradigmi fondativi per una scienza del paesaggio, Congresso di Benevento.
18 
 
È utile inquadrare meglio il concetto di corridoio ecologico, poiché è un termine che verrà 
richiamato spesso all’interno di questo elaborato, essendo un concetto molto utile nella 
gestione delle aree protette. Si tratta di elementi del paesaggio che permettono la 
connessione di due tessere altrimenti distanti e separate. A una scala piccola, come 
nell’esempio precedente, un corridoio può essere composto anche solo da un filare di 
alberi o di siepi che connettono fra loro due zone boschive. Se si adotta un punto di vista 
più ampio, come nel caso studio che in seguito verrà esposto, un’area protetta di 
collegamento tra due parchi naturali vicini ma precedentemente non connessi costituisce 
un perfetto esempio di creazione di un corridoio ecologico. Le funzioni di questo elemento 
del paesaggio, il quale può essere naturale, e quindi residuale rispetto a un processo di 
“erosione” del tessuto circostante, oppure di origine antropica, come nell’esempio delle 
due aree protette, sono molteplici: funge da vero e proprio habitat per alcune specie, in 
particolare quelle che si sono adattate a vivere in ambienti con un alto gradiente di 
disturbo; la sua funzione principale è quella di passaggio, permettendo uno spostamento 
da un’area ad un’altra senza dover uscire da un certo tipo di habitat;  inoltre costituisce un 
filtro per le specie che dalla matrice entrano nel corridoio e da qui nelle aree più vaste, 
garantendo un certo grado di permeabilità; infine può avere funzione di source-sink 
ovvero di “sorgente o pozzo”, nel caso in cui si diffondano nuove specie dall’interno 
all’esterno o viceversa.   
Le funzioni sono quindi molteplici e il ruolo dei corridoi ecologici si è rivelato 
fondamentale soprattutto per contrastare la perdita di biodiversità dovuta in particolare 
alla frammentazione degli habitat.  
Per grado di frammentazione si intende il livello di continuità, oppure, in negativo, la 
numerosità delle interruzioni di habitat, che si rileva all’interno di un’insieme di tessere 
dello stesso tipo, ovvero la progressiva suddivisione di un’area dapprima vasta e 
ininterrotta in parti sempre più piccole e separate fra loro. Le principali conseguenze di 
questa tendenza sono la perdita di habitat e l’isolamento delle aree rimaste. Aumentando 
l’isolamento delle specie presenti nelle tessere di habitat distanti fra loro, aumenta di
19 
 
conseguenza anche il loro tasso di estinzione poiché vi si verificano fenomeni di 
inbreeding genetico e inoltre aumenta il perimetro di confine con la matrice, riducendo la 
dimensione delle aree interne più protette. L’esempio riportato in Figura 1.4 mostra nella 
parte destra il disegno di una porzione di bosco intatta mentre sul lato sinistro una serie di 
macchie isolate; un tale processo di frammentazione può essere causato ad esempio 
dall’abbattimento di fasce boschive per la costruzione di piste sciistiche o impianti di 
risalita. 
 
Figura 1.4: Esempio di frammentazione 
 
 
 
Grazie anche agli studi di ecologia del paesaggio si è potuto comprendere quindi il ruolo 
dell’estensione e della connessione di habitat simili nella tutela della biodiversità e nella 
lotta all’estinzione delle specie a rischio. La frammentazione degli habitat è ora 
riconosciuta anche a livello delle grandi organizzazioni nazionali o internazionali per la 
tutela dell’ambiente come il Wwf, l’Unesco e l’IUCN, come principale causa di perdita di 
biodiversità; per questo si agisce sempre più spesso cercando di creare reti ecologiche, 
macroaree protette, riserve della biosfera e corridoi ecologici, tenendo presente il fatto che 
l’oggetto da tutelare non può più essere solo la specie singola bensì il paesaggio intero in