• la variabilità (o l’omogeneità) del materiale riproduttivo da cui si parte;
• la posizione dei singoli bulbilli nel bulbo-madre e le loro dimensioni;
• lo stato fisico (integrità o meno ) e sanitario dei singoli bulbilli;
• la posizione e la profondità di collocamento del bulbillo nel terreno;
• le caratteristiche chimico-fisiche del terreno (tessitura, caratteristiche pedologiche, fertilità, 
pH etc.), che assieme alle altre cause suddette, hanno un’azione significativa nella crescita e 
nella morfologia e pezzatura del bulbo finale e delle caratteristiche che lo compongono;
• facilità e difficoltà del bulbo ad accrescersi dipendenti dalla siccità e, all’opposto, dalla  
tenacità o incrostamento del suolo;
• regolarità o irregolarità di pezzatura e morfologia del bulbo influenzate dalla regolarità di d
isponibilità nutritive ed idriche lungo tutta la fase di ingrossamento;
• stati nutrizionali e regime idrico durante tutta la fase di ingrossamento.
Il tutto non solo nella determinazione della grossezza e del peso del bulbo, di tutti i bulbi 
della  coltura,  ma  anche  della  loro  serbevolezza,  della  loro  regolare  disposizione  e  posizione 
reciproca dei singoli bulbilli e del loro accrescimento, della compattezza nel loro insieme. 
Il bulbo raccolto a fine coltura riflette con intensità variabile, tutte le situazioni elencate, 
oltre  quelle  determinate  dai  fattori  meteorici  in  senso  lato,  compreso  l’andamento  termico  e 
luminoso del periodo di vegetazione e coltivazione.
Non è difficile comprendere come dall’insieme e dal ripetersi per così lungo tempo di tanti 
fattori influenzanti, finiscano per delinearsi, nei diversi ambienti colturali, fisionomie diverse di una 
stessa entità originaria. 
É la  caratterizzazione  precisa  che  diviene  allora  difficile;  e  fisionomie  provvisorie, 
determinate  dai  fattori  ambientali  occasionali,  possono  venire  scambiate  o  confuse  con  quelle 
veramente  caratterizzanti,  cioè  definitive,  che  solo  dalla  prolungata  combinazione  genotipo-
ambiente  (con  il  tramite  dell’azione  selettiva  operata  dall’uomo)  possono,  se  veramente 
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generalizzate, configurare un aglio diverso da un altro (Cervato, 1982).
1. Origine e diffusione
Di  origine  incerta,  alcuni  botanici  pensano  che  provenga  dall’Asia  centrale  (Iran  ed 
Afghanistan)  dove si  trova  allo  stato  selvatico  il  suo probabile  antenato l’A. longicuspis Regel 
(2n=16), mentre altri indicano l’Egitto e l’India (Cipriani 2001; Bianco e Pimpini,1990). Linneo 
indica addirittura la Sicilia come sua possibile area di origine.
É conosciuto sin dall’antichità nella forma con cui ancora oggi viene coltivato. Sin da 3000 
anni prima di Cristo veniva utilizzato dagli egiziani e poi dai greci, romani, cinesi e indiani (Baldoni 
e Giardini,1989).
Nel 1584 fu importato in Inghilterra dalle coste del Mediterraneo, dove abbonda. (Burgess, 1986). 
Attualmente  il  consumo più  elevato  si  riscontra  in  alcuni  paesi  asiatici,  latino-americani  e  del 
bacino del Mediterraneo. 
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2. Importanza economica
L’aglio è coltivato in gran parte dei paesi del mondo, la sua produzione mondiale si aggira, 
secondo i dati Fao relativi al 2006, su poco meno di 130 milioni di quintali .
La Cina è al primo posto fra le nazioni produttrici al mondo, essa infatti, nel 2006 ha prodotto 
oltre 115 milioni di quintali; seguono India (6 milioni), Corea (3 milioni) ed infine, laTurkia, la 
Thailandia e l’Indonesia. Tutte al di sotto di 1 milione di tonnellate.
Dall’osservazione della fig. 1 si nota come nel contesto mondiale l’Asia abbia il primato 
della produzione con circa l’87% del totale, seguono, a ruota: Europa; America Latina e Carabi; 
U.S.A. ed Africa (Giannini, 2004).
In Italia oltre il 60% della superficie destinata alla coltura (poco meno di 3000 ha) e delle 
relative  produzioni  (circa  270.000  q.li)  sono  concentrate  nelle  4  maggiori  regioni  produttrici: 
Campania, E. Romagna, Veneto e Sicilia. Il resto è suddiviso nelle restanti regioni (tab.2).
Dal confronto delle tabb. 2 e 3 si vede come in Sicilia la superficie destinata ad aglio e la sua 
produzione  siano aumentate,  con  un incremento  nell’arco  di  pochi  anni  di  oltre  il  60% per  la 
superficie  e  del  21,5%  per  la  produzione.  Le  province siciliane  maggiori  produttrici  di  aglio 
nell’annata  agraria  ‘98/99,  sono  in  ordine  decrescente  di  produzione:  Caltanissetta,  Agrigento, 
Trapani, Palermo, Enna e Catania.
La prima,  in particolare,  produce più di  tutte  le altre cinque province considerate nel  loro 
insieme,  mentre  le  ultime  due  nel  complesso,  non  raggiungono  il  2%  della  produzione 
complessivamente considerata (Bonora, 2000).
Riguardo  alla  produzione  di  aglio  per  seme,  emblematico  è  il  caso  della  Polonia,  che 
collabora costantemente con diverse organizzazioni straniere riguardo all’attività di incrocio e alla 
produzione di seme (Garek, 2004).
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3. Caratteri botanici e biologia
Il genere Allium appartiene alla famiglia delle Liliaceae. Secondo alcuni autori esso è invece 
da  includere  all’interno  della  famiglia  delle  Amarillidaceae.  Recentemente  è  stato  viceversa 
proposto un nuovo inquadramento  che  individua nelle  Alliaceae la  famiglia  di  appartenenza di 
questo genere ( Giannini, 2004).
Pianta erbaceaa, bulbosa, con 40-60 radici cordiformi, superficiali, il cui maggior volume si 
trova  nei  primi  30  cm  di  terreno,  ma  che  comunque  non  si  approfondiscono  oltre  60  cm  e 
lateralmente oltre i 30 -40 cm. 
La pianta, che può raggiungere l’altezza di 90 cm, ha da sei a quattordici foglie, distinte in una 
porzione basale amplessicaule (guaine fogliari),  nella quale la foglia più esterna avvolge la più 
giovane.  Le guaine fogliari  contribuiscono a formare una struttura abbastanza consistente,  detta 
falso fusto, che può raggiungere i 40 cm di altezza. Nella porzione non amplessicaule le foglie sono 
lineari, lisce, di colore verde-grigiastro, con la faccia inferiore più chiara e ricoperta da uno strato 
ceroso, sono larghe fino a 3 cm alla base ed appuntita all’apice.
L’infiorescenza,  del  tutto  simile  ad  un  ombrella,  è  in  realtà  costituita  da  cime  unipare 
elicoidali; detta infiorescenza è avvolta da una spata appuntita che si spacca da un lato rimanendo 
comunque attaccata allo scapo.
Il singolo fiore, portato da un pedicello sottile, è formato da sei tepali lanceolati-acuminati e da 
sei stami: si presenta di colore bianco, rosa o rosso violaceo; l’ovario è supero e triloculare con stilo 
filiforme e diritto e stigma intero.
Le gemme fiorali possono dare origine in alcune popolazioni a bulbilli (viviparia) che possono 
essere impiegati per la propagazione della pianta. Il frutto, che si sviluppa di rado, è una capsula con 
uno o due semi, sterili, per loggia.
Il bulbo maturo, detto volgarmente capo o testa, di peso compreso tra 20 e 150 g, è rivestito da 
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otto  a  quattordici  foglie  trasformate  dette  tuniche;  quelle  esterne,  dette  tuniche  sterili,  sono di 
consistenza papiracea ed hanno funzione protettiva per i bulbilli.
Quelle interne, fertili, sono foglie metamorfosate (catafilli), da cui si formeranno da sei a venti 
bulbilli o spicchi, strettamente appressati tra di loro, irregolarmente ovoidali, arcuati, con la faccia 
dorsale convessa all’esterno e quella concava rivolta all’interno (Bianco e Pimpini, 1990). Ogni 
bulbillo è costituito da foglie modificate, la più esterna avvolge il bulbillo e si presenta sottile e 
membranacea, la seconda è carnosa e assolve la funzione di riserva, essendo c.a. l’80% del peso 
totale. La terza foglia è la prima che fuoriesce dal terreno durante il germogliamento, proteggendo 
la quarta e la quinta che costituiscono le foglie vere e proprie (Zanini, 1961).
I bulbilli sono inseriti sul fusto, detto girello, che risulta appiattito, di forma irregolare, avente 
uno spessore di  5-6 mm,  lungo 2-3 cm e largo 1-2 cm;  da  questo hanno origine 40-60 radici 
avventizie, cordiformi, superficiali in numero; la maggior parte dell’apparato radicale è collocato 
nei primi 30 cm di profondità (Bianco e Pimpini,1990).
L’aglio è una bulbosa perenne poiché differenzia un organo sotterraneo costituito da un fusto 
metamorfosato (il bulbo, per l’appunto) che rimane quiescente nel terreno in modo da superare la 
stagione avversa che per la specie è rappresentata da quella estiva; lo scapo fiorale coi semi può 
differenziarsi nel secondo anno ma, sebbene siano stati rinvenuti dei cloni fertili di  A. sativum (in 
Campania agli inizi degli anni ‘90 ne è stata isolata una accessione tetraploide autofertile) esso è 
generalmente considerato, a differenza di quello selvatico, una pianta apomittica obbligata poiché i 
fiori, quando si formano, nella maggior parte dei casi non si aprono, avvizziscono e cadono mentre i 
semi,  nei  rari  casi  che si  formano,  sono scarsamente germinabili  ragion per cui nella  pianta la 
riproduzione  può  avvenire  solo  per  via  agamica  tramite  i  bulbilli  che  compongono  la  testa, 
impropriamente chiamati seme (Giannini, 2004). 
I bulbilli appena raccolti sono dormienti quindi incapaci di emettere radici e di germogliare; la 
durata  della  loro  conservazione   è  variabile   secondo  la  cultivar  o  popolazione  considerata, 
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condizioni di conservazione ed il passaggio attraverso alcuni stadi fisiologici legati alle condizioni 
climatiche (Baldoni e Giardini,1989).
L’interruzione  della  dormienza  assume  un  ruolo  diverso  a  seconda  della  destinazione  del 
prodotto; ai fini della commercializzazione è necessario che la essa non venga interrotta per non 
deprezzare il prodotto; nei bulbi utilizzati per la propagazione, invece, deve essere  quanto più breve 
al fine di impiantare prima la coltura e ridurre così la durata del ciclo colturale (Bianco e Pimpini, 
1990).
Il processo di germogliazione e la conseguente emissione delle foglie, varia in funzione delle 
condizioni termiche: esso avviene a spese di sostanze di riserva e perciò è tanto più rapido quanto 
più  grossi  sono gli  spicchi  messi  a  dimora.  La  durata  di  tale  processo varia  in  funzione  della 
temperatura: per i bulbi messi a dimora in autunno ha luogo dopo 40-50 giorni, mentre avviene 
dopo pochi giorni se la semina viene effettuata in primavera (Bianco e Pimpini, 1990).
La  durata  del  periodo  che  va  dal  trapianto  all’emergenza  è  utilizzato  come  indice  della 
precocità di germogliazione e quindi di reattività delle piante al germogliamento.
L’aglio è una specie resistente alle basse temperature ma si adatta meglio ai climi temperato-
caldi. Le condizioni ambientali ottimali per fase vegetativa sono contraddistinte da condizioni di 
giorno corto e da livelli termici pari a 18-20°C; le foglie per giungere al completo accrescimento 
richiedono una somma termica di 100 gradi giornalieri (Espagnacq, 1987).
Il processo di bulbificazione ha inizio quando il rapporto diametro massimo del bulbo e 
quello del falso fusto (guaine fogliari) è uguale a due, cioè quando il diametro del bulbo è il doppio 
di quello del falso fusto; tale rapporto è stato assunto da molti Autori quale indice di bulbificazione; 
generalmente  tale  condizione  fenologica  si  raggiunge dopo circa  65-70 giorni  dal  trapianto,  in 
condizioni di fotoperiodo lungo e con regime termico di 18-20°C, invece in condizioni di giorno 
corto (meno 11 ore di luce) e con basse temperature (10-15°C) la pianta non bulbifica (Gorini, 
1977). 
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