INTRODUZIONE
Uno degli strumenti fondamentali per l’essere umano è l’empatia.
La nostra è una specie che si è evoluta grazie alla straordinaria capacità di cooperazione 
sociale che ci ha permesso di fare gruppo e raggiungere un’incredibile livello di 
complessità.
In questo scenario diventa fondamentale riuscire a ricevere informazioni non solo 
relative alle azioni degli altri, facilmente percepibili, ma soprattutto le informazioni 
relative ai pensieri, alle emozioni, alle intenzioni di chi stiamo osservando. La capacità 
di saper condividere i sentimenti altrui rappresenta uno dei meccanismi più importanti che 
regolano le relazioni sociali, la comunicazione umana e lo scambio tra simili.
Nel corso del primo anno di vita gli affetti “sono il mezzo e l’argomento principale 
della comunicazione” (Stern, 1985, p.133)
 L’importanza di questa funzione si evince dalla natura filogenetica di questo 
meccanismo, presente a livello rudimentale perfino nei primati.
Gli studi del dottore Rizzolatti e la scoperta dei neuroni “mirror” (neuroni presenti nella 
corteccia premotoria della scimmia, che si attivano non solo nell’esecuzione di 
un’azione ma anche alla sola  osservazione della stessa azione) ci permettono di capire 
in che modo riusciamo a comprendere, in maniera immediata, ciò che sta facendo 
l’altro, e le evidenze sembrano confermare che l’azione osservata viene esperita sui 
nostri piani motori, come se l’azione viene svolta da noi stessi.
Noi, per usare le parole di Gallese (2003), “simuliamo” ciò che osserviamo e di 
conseguenza diamo un senso all’azione osservata.
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Se guardiamo qualcuno avvicinare il braccio verso una tazza, di conseguenza 
l’informazione percepita raggiunge la nostra corteccia premotoria in cui è presente il 
programma motorio “prendere una tazza”. Così facendo inferiamo direttamente la 
finalità dell’azione attraverso la nostra esperienza relativa al prendere una tazza.
Questo è un meccanismo di base che fa luce sul funzionamento cerebrale nelle 
interazioni sociali ma che rappresenta solamente l’inizio di una complessa serie di 
funzioni che completano lo scenario complesso di quella che viene considerata la 
Cognizione Sociale.
Diversi studi hanno ormai confermato la presenza di un sistema specchio nell’uomo 
(Dacety et. al. 1994; 10 Rizzolatti et. al., 1996; Grafton et. al. 1996; Fadiga et. al.,1995; 
Gangitano et. al. ,2001;Maeda et. al.,2002;), ed è evidente il ruolo che ha nei processi 
empatici.
Iacoboni (2006) lega la funzione simulativa dei neuroni specchio con l’empatia 
ipotizzando un circuito che lega la corteccia premotoria all’insula e al sistema limbico. 
Osservando un’espressione facciale, i neuroni specchio permettono di simulare sui 
propri piani motori la disposizione dei muscoli facciali osservati, l’insula, connettendosi 
con i centri limbici, fornisce il significato dell’espressione osservata elicitando 
nell’osservatore l’analoga emozione (Iacoboni,2006). 
Anche se la simulazione dell’azione ha un ruolo chiave nella condivisione 
dell’emozione, l’empatia è un costrutto molto più complesso della semplice 
condivisione affettiva.
Nel processo empatico interagiscono diverse variabili relative alla consapevolezza di sé, 
alla propria esperienza, alla percezione a alla valutazione di chi abbiamo di fronte, ai 
propri schemi relazionali ma soprattutto una variabile che permette di differenziare 
l’empatia dal semplice contagio emotivo che è la distinzione sé-altro (Bonino,1998).
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Il problema consiste nel capire quali sono i meccanismi neurali che ci consentono di 
entrare in comunicazione con i nostri simili, di trasmettere loro i nostri desideri, le 
nostre credenze, le nostre intenzioni, e, contemporaneamente, comprendere ciò che gli 
altri fanno e perché lo fanno.
Questo lavoro ha l’obiettivo di descrivere in termini neuroscientifici e psicodinamici la 
complessità del concetto “empatia” focalizzandosi soprattutto sulla differenza con il 
contagio emotivo.  Inoltre verrà approfondito il ruolo della giunzione Temporo-
Parietale dell’emisfero destro (rTPJ) nel determinare la distinzione fra sé/altro, 
requisito fondamentale dell’esperienza empatica.
Quest’area cerebrale è responsabile nella percezione del proprio corpo all’interno dello 
spazio, e diversi studi dimostrano come pazienti con lesioni alla rTPJ hanno disturbi 
relativi alla percezione corporea (Blanke et al.,2002).  L’ipotesi è che uno sviluppo 
integrato e continuo del sé psicologico (responsabile di sentimenti empatici maturi) 
derivi dallo sviluppo di un sé corporeo che permetta l’integrazione di diversi aspetti 
legati all’emozione e alle sensazioni corporee. Essendo un’area di integrazione di 
informazioni etero modali, la giunzione Temporo-Parietale sarebbe attiva al momento di 
distinguere, non solo i propri stati mentali da quelli altrui (Saxe,2003,2006), ma anche i 
propri stati affettivi da quelli osservati in un'altra persona.
Nel primo capitolo verrà affrontato il contagio emotivo attraverso una lente clinica e 
neuroscientifica. In particolare questo fenomeno verrà accostato alla condivisione 
affettiva immediata e alla funzionalità dei neuroni specchio, che ci permettono di 
entrare immediatamente in sintonia emotiva con l’altro.
Il secondo capitolo esporrà la complessità del fenomeno “Empatia” descrivendolo 
attraverso l’interazione delle diverse variabili cognitive e affettive. Verrà discussa, 
attraverso una rivisitazione di diversi studi, la dicotomia empatia emotiva vs. empatia 
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cognitiva ed il modo in cui le diverse componenti interagiscono per fornire uno 
“strumento sociale” evoluto che si serva sia di informazioni di carattere affettivo che 
cognitivo.
Il terzo capitolo esplorerà i principali modelli teorici psicodinamici utilizzati per 
descrivere lo sviluppo dell’empatia nel bambino. In particolare verranno presi in 
considerazione il modello della “separazione-individuazione” di Margareth Mahler 
(1975) e la teoria della mentalizzazione di Fonagy e Target (2002).
Il quarto capitolo entrerà nel dettaglio della funzionalità della giunzione Temporo-
Parietale destra (rTPJ) analizzando i più recenti studi in merito.
Infine il quinto e ultimo capitolo si dedicherà alla ricerca effettuata in laboratorio che 
indagherà il ruolo di quest’area cerebrale nella comprensione dell’emozione del sé e 
dell’altro.
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CAPITOLO 1
IL CONTAGIO EMOTIVO
PRECURSORE DELL’EMPATIA
“Possediamo una mente 
conversazionale
intrinsecamente diadica”
         (Trevarthen,1998)
Premessa
Questo capitolo descriverà attraverso i principali modelli teorici psicodinamici e 
neuropsicologici,  i processi con cui gli individui, in un contesto sociale, entrano in 
sintonia emotivamente, percependo e sentendo in prima persona ciò che sente l’altro. 
Quest’esperienza, che non corrisponde totalmente all’empatia, può essere riassunta con 
il termine “contagio emotivo” che descrive come l’emozione di una persona può 
passare, come un vero e proprio contagio, ad un'altra persona che interagisce con essa.
Ovviamente questo fenomeno è un requisito fondamentale per la comunicazione fra 
individui, in quanto, sentire ciò che sente l’altro, permette di essere, per usare un 
termine di Stern (1985) “sintonizzati” con quest’ultimo al fine di comprendere, non 
solo cognitivamente ma soprattutto emotivamente, l’intenzione comunicativa del nostro 
interlocutore. 
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Nel corso del primo anno di vita gli affetti “sono il mezzo e l’argomento principale della 
comunicazione” (Stern, 1985,p.133)  Il neonato non ha abilità verbali per comunicare 
simbolicamente il proprio stato interno, e non ha autonomia per appagare 
autonomamente i propri bisogni. Il caregiver deve riuscire a comprendere 
empaticamente i reali bisogni che il bambino comunica e rispondere ad essi così da 
permettergli la regolazione dello stato di tensione. Questa capacità empatica è stata 
definita da Winnicott (1965) “preoccupazione materna primaria” descrivendo la 
tendenza psicologica ma anche biologica (l’aumento nel sangue del livello di ossitocina, 
ormone che facilita le relazioni) delle neomamme rivolta all’accudimento del bambino 
che aumenta il livello di coinvolgimento empatico con quest’ ultimo.
Saranno presentati alcuni studi sul paradigma dell’infant research per dimostrare come, 
l’uomo possiede una capacità innata, di imitazione del suo ambiente sociale, così da 
permettere, fin dai primi mesi di vita, la condivisione dell’emozione.
Infine un paragrafo sarà dedicato alla grande scoperta dei neuroni mirror e alla teoria 
della simulazione incarnata di Gallese (2003), che aiuta a comprendere a livello 
neuronale, come riusciamo a condividere lo stato emotivo di chi stiamo osservando.
1.1 Contagio emotivo: emozional sharing
“Emozional sharing”  è il termine utilizzato dai paradigmi sperimentali neuroscientifici 
per definire quella capacità di condividere la stessa esperienza emotiva con un altro 
soggetto che stiamo osservando. L’aspetto che più interessa ai neuroscienziati è la 
possibilità di visualizzare attraverso la risonanza magnetica funzionale (fMRI), le aree 
cerebrali  che si sovrappongono fra l’attore dell’azione e l’osservatore. Questo concetto 
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