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INTRODUZIONE 
Alcuni studi hanno appurato la connessione esistente tra la qualità dello 
stile di attaccamento negli adulti e varie forme di disagio psichico, 
soprattutto in riferimento alla connessione tra uno stile di attaccamento 
insicuro e le problematiche da abuso di sostanze (Kassel, Wardle, 
Roberts, 2007; Flores, 2001; Schindler, Thomasius, et al., 2005).  
Nelle definizioni e classificazioni del fenomeno della tossicodipendenza 
spesso viene data enfasi ad alcune variabili a discapito della 
comprensione di una realtà che ha una enorme complessità e di 
conseguenza a una comprensione troppo riduttiva e sacrificata del 
fenomeno. Accade per esempio che ciò che cattura immediatamente 
l’attenzione quando si cerca di definire fenomeno della dipendenza, sono 
proprio i comportamenti e gli atteggiamenti manifesti (manipolazione 
della relazione, comportamenti antisociali, ecc…) che riescono ad 
offuscare aspetti più profondi del problema. 
Al fine di provare a comprendere quali siano le dinamiche psicologiche 
che guidano le azioni di questa complessa categoria di soggetti, sembra 
opportuno cercare di approfondire quale tipo di problematiche relazionali 
egli si trova a dover affrontare. Sembra opportuno chiedersi da dove si 
origini questa difficoltà del tossicodipendente a sostenere le richieste 
poste dalla relazione interpersonale. Probabilmente uno dei fattori in 
gioco è rappresentato dalla difficile situazione familiare che questi 
soggetti potrebbero avere alle spalle, anche se bisogna sottolineare che i 
tossicodipendenti possono provenire anche da nuclei familiari che non 
presentano particolari problematiche. In ogni caso, molto spesso le loro 
famiglie sono particolarmente instabili, con la presenza di un unico 
genitore o gravi e profondi disaccordi. Sono storie costellate di decessi, di 
allontanamenti più o meno lunghi, passaggi da un nucleo familiare ad un
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altro oppure da una comunità per minori all’altra. In alcune situazioni, il 
soggetto tossicomane proviene da famiglie in cui almeno uno dei genitori 
aveva una storia di dipendenza da sostanze. 
Tutte queste considerazioni ci fanno rendere conto di quanto sia difficile 
per individui che provengono da famiglie di questo tipo avere 
rappresentazioni parentali solide e valide in cui identificarsi. Dal momento 
in cui è stato impossibile al soggetto sviluppare capacità identificatorie, gli 
rimane preclusa ogni tipo di interiorizzazione con la conseguente perdita 
della capacità di sviluppare una relazione fantasmatica con l’altro che 
permetta anche di reggere l’assenza senza che sia interpretata come un 
abbandono definitivo. 
Ciò che è stato detto a proposito delle relazioni familiari e le mancate 
identificazioni parentali nelle tossicomanie, è strettamente connesso al 
discorso sull’attaccamento. Si cercherà infatti di individuare le eventuali 
relazioni che possono esistere tra la scelta di far uso di sostanze 
stupefacenti e lo stile di attaccamento del tossicodipendente. 
E’ infatti dato condiviso dalla letteratura internazionale, nazionale che le 
probabilità di una diagnosi di disturbo di personalità fra i tossicodipedenti 
si assesti su livelli molto più elevati rispetto alla popolazione generale, su 
valori compresi, nella maggior parte dei casi, tra il 40 e il 60%, con o 
senza comorbilità con disturbi dell’asse I (Clerici et Al, 1989; Pani et Al., 
1991; Clerici & Carrà, 2003). 
Al fine di comprendere quanto sia stretto il legame tra dipendenza da 
sostanze ed attaccamento è opportuno far riferimento alla teoria di Flores 
(2001), il quale definisce la dipendenza come un disturbo 
dell’attaccamento. 
Questa ricerca si propone di indagare sulle modalità sulle relazioni fra 
stile d’attaccamento e la presenza di profili psicopatologici in quanto dalla 
letteratura emerge che molto spesso i tossicomani presentano una
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diagnosi di patologia psichiatrica oltre a quella di dipendenza da sostanze 
(Sánchez-Hervás, Tomás Gradolì, Morales,Gallús, 2001).
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CAPITOLO PRIMO 
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LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO 
 
1.1 Le origini 
 
Bowlby definisce l’attaccamento come una tendenza innata dell’individuo 
a costruire legami affettivi con altri significativi (Bowlby, 1969). Per figura 
di attaccamento si intende l’oggetto di quella pulsione primaria che 
spinge il bambino a mettere in atto il comportamento di attaccamento, 
cioè l’insieme di comportamenti finalizzati a stabilire una vicinanza 
interpersonale, un legame profondo tra genitori e prole (Bowlby, 1978) 
rappresentando in tal senso una motivazione primaria con funzioni 
biologiche legate alla sopravvivenza e alla protezione. Ecco perché 
dunque il comportamento di attaccamento si manifesta in particolari 
situazioni di pericolo come una separazione o un abbandono.  
Non tutti i rapporti umani, anche quando sono significativi, devono 
comunque essere considerati relazioni di attaccamento. Perché un legame 
possa essere considerato tale, devono essere presenti almeno tre 
condizioni di base (Weiss 1982): 1) la ricerca della vicinanza tra la 
persona attaccata e la persona che offre attaccamento; 2) la presenza di 
reazioni di protesta di fronte alla separazione, cioè la manifestazione di 
“comportamenti di attaccamento” (proteste, accuse, grida, pianti) che 
hanno lo scopo di richiamare la figura di attaccamento quando si 
allontana o non è disponibile; 3) lo sviluppo di una “base sicura”, cioè di
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una particolare atmosfera di sicurezza e di fiducia che si instaura tra 
figura attaccata e figura di attaccamento. 
Da ciò deriva il concetto di attaccamento sicuro come possibilità  cioè di 
sentire  sicurezza e protezione, anche nei momenti di pericolo, al 
contrario di un attaccamento insicuro che implica invece una mancanza 
del senso di protezione. 
In una relazionale madre bambino realistica si possono individuare i due 
poli opposti  delle affermazioni precedenti, costituite da una parte dalla 
vicinanza con la madre e dall’altra dall’esplorazione dell’ambiente: quando 
il piccolo si trova in presenza di un pericolo, il sistema si attiva e il 
bambino mette in atto quei comportamenti che “producono” la vicinanza 
con la madre. Quando le circostanze ambientali cambiano e il sistema dà 
il segnale di “cessato pericolo”, il bambino riprende ad esplorare.  
Il sistema di attaccamento è quindi funzionale al mantenere in modo 
omeostatico un equilibrio tra le condizioni esterne e quelle interne al 
soggetto relativamente al senso di sicurezza.  
Si potrebbe dire che il bambino attiva un continuo controllo della 
posizione dell’adulto e questo continuo monitoraggio gli permette di 
attivare o disattivare i comportamenti del sistema di attaccamento e dei 
tre principali sistemi comportamentali (di esplorazione, affiliativi e di 
paura-attenzione) in interazione dinamica tra loro, in funzione della 
specifica situazione. 
Un sistema di attaccamento caratterizzato da una base insicura, incapace 
di provvedere a fornire cure, intimità, calore e protezione in modo 
prevedibile potrebbe costituire causa di disturbi psicopatologici. 
Il bisogno che gli esseri umani hanno di garantirsi la vicinanza e la 
disponibilità affettiva di una persona significativa, così ben evidenziato e 
descritto dalla teoria dell’attaccamento rappresenta uno dei sistemi 
motivazionali (Fonagy, 2001; Lichtenberg, Lachmann e Fosshage, 2010)
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che ha interessato il dibattito scientifico negli ultimi quarant’anni (Cassidy 
e Shaver, 2008). 
 
1.2 Da Freud a Bowlby 
 
Freud parlava delle persone come se fossero sistemi individuali chiusi. Ma 
iniziando con la sfida teorica nei confronti della teoria freudiana classica 
portata avanti da Fairbairn (1952), secondo la quale i bambini non 
cercano la soddisfazione sessuale ma la relazione, e gli studi empirici di 
Bowlby, gli analisti sono stati sempre più impressionati dall’ubiquità delle 
relazioni umane, del nostro essere inevitabilmente parte integrante di un 
sistema interpersonale nel quale la nostra natura sessuale o aggressiva 
non è tutto. In seguito è apparsa un’ampia letteratura alimentata da 
ricercatori e clinici che si sono  confrontati ripetutamente con le prove del 
fatto che le persone hanno bisogno per tutta la vita di oggetti e arene per 
le loro varie passioni. Un’importanza analoga è quella che gli psicologi del 
Sé attribuiscono al carattere perenne del bisogno di oggetti-Sé che ci 
rispecchino e convalidino. Nonostante i miti occidentali sull’indipendenza 
umana, tutti noi abbiamo bisogno degli altri per tutta la vita, sia per 
ragioni emotive sia per ragioni pratiche. La differenza tra gli attaccamenti 
infantili e quelli adulti è che, a differenza di questi ultimi, i bambini non 
possono scegliere le persone da cui dipendere, né possono di solito 
lasciare i propri caregiver se sono inadeguati, e non hanno potere 
sufficiente a influenzare i loro oggetti affinchè modifichino il loro 
comportamento. Molti adulti vanno in terapia sentendosi come bambini 
intrappolati in relazioni distruttive e convinti del fatto che c’è qualcosa di 
pericoloso nel loro bisogno degli altri. Idealmente, nel corso del 
trattamento capiscono che non sono problematici i  loro bisogni di base, 
ma il loro modo di padroneggiarli (Nancy McWilliams, 2002).
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La teoria dell’attaccamento scardinò il primato delle pulsioni (libido o 
pulsione di vita e aggressività o pulsione di morte), ponendo al centro del 
comportamento e della psiche umana il sistema di attaccamento che 
diviene, quindi, il principale sistema motivazionale. 
L’idea di Bowlby che la ricerca di vicinanza alle figure di riferimento 
appartenga alle tendenze innate dell’essere umano oggi è universalmente 
accettata e inscritta in pressoché ogni ipotesi eziologica del 
comportamento naturale e patologico (Barone, Del Corno, 2007). 
La relazione di attaccamento può essere definita dalla presenza di tre 
caratteristiche: in primo luogo la ricerca di vicinanza di una persona 
preferita, in secondo luogo l’effetto base sicura, e infine, la protesta per 
la separazione. 
La base sicura rappresenta per il bambino un trampolino per sviluppare la 
curiosità e l’esplorazione. La funzione di base sicura, che nei primi anni di 
vita viene assolta fisicamente dalla mamma, diviene poi, attraverso 
l’interiorizzazione dei comportamenti e degli affetti suscitati dalla mamma 
stessa, una struttura interna capace di consolare e proteggere. 
In questo modo il bambino, e poi l’adulto, può sentirsi libero di 
allontanarsi e differenziarsi gradualmente dal caregiver e iniziare a 
esplorare il mondo esterno, con la sicurezza di poterlo ritrovare al suo 
ritorno. La protesta per la separazione rappresenta la risposta primaria 
alla separazione dai genitori. La funzione della protesta è duplice: riparare 
il legame di attaccamento la cui rottura è minacciata dalla separazione e 
punire il caregiver per evitare ulteriori separazioni.
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1.3 Bowlby e Mary Ainsworth 
 
A queste teorizzazioni relative alla relazione caregiver-bambino è seguita 
una importante collaborazione tra Bowlby e Mary Ainsworth che ha 
portato agli sviluppi teorici e metodologici degli anni successivi. 
Se a Bowlby va sicuramente il merito di aver creato la teoria 
dell'attaccamento, alla Ainsworth va sicuramente il merito di averla resa 
misurabile attraverso l'ideazione e la costruzione della  Strange Situation. 
Il contributo della Ainsworth riguarda infatti l’ideazione di una procedura 
per la valutazione della qualità delle relazione di attaccamento attraverso 
la messa appunto della Strange Situation Procedure (SSP). Dal punto di 
vista teorico e metodologico il merito è quello di avere messo in evidenza 
l' importanza delle differenze individuali nella qualità dell'attaccamento. 
Ogni bambino possiede un determinato stile di attaccamento, che riflette 
il modo in cui ciascun soggetto ha vissuto il rapporto con i caregivers, che 
possono avere soddisfatto il bisogno di protezione e di sicurezza, oppure 
possono essere stati poco responsivi (Ainsworth, Bleahr, Waters e Wall, 
1978).   
In questa procedura osservata in laboratorio, la strange situation 
appunto, vengono introdotti per il bambino elementi di stress via via 
crescenti, con lo scopo di attivare i sistemi comportamentali di 
attaccamento, paura ed esplorazione. Il bambino quindi si trova a 
negoziare tra il desiderio di esplorare un ambiente sconosciuto e il 
bisogno di essere rassicurato. Sulla base di questi comportamenti 
manifestati dai bambini nei confronti della figura di attaccamento, 
Ainsworth e colleghi (1978) hanno individuato tre tipologie di 
attaccamento: “Sicuro” di tipo B, “Ansioso-Evitante” o tipo A e “Ansioso-
Resistente” o tipo C. Successivamente Mary Main e Judith Solomon