1
INTRODUZIONE
Il dolore toracico rappresenta una delle principali cause di accesso al Pronto
Soccorso, con una frequenza che oscilla tra il 5% e il 10% di tutte le visite effettuate.
Tuttavia, la sua rilevanza va oltre la mera statistica, poiché porta con sé un tasso di
mortalità significativamente elevato, stimato tra il 2% e il 4%. Questa mortalità,
spesso legata a diagnosi mancate o a una gestione inadeguata del paziente, sottolinea
l'urgenza di una comprensione approfondita e di un approccio tempestivo a questa
patologia. Nell'affrontare un paziente con sintomi di dolore toracico, la priorità
massima risiede nell'identificazione precoce di eventuali condizioni potenzialmente
letali, la letteratura dimostra come tutti i dolori toracici debbano essere considerati
come potenzialmente pericolosi per l’incolumità del paziente fino ad esclusione di
tutte le cause critiche Questa valutazione, che inizia già nell'ambito extraospedaliero,
richiede un'attenzione particolare e una metodologia strutturata, poiché in questo tipo
di sintomatologia le diagnosi differenziali possono essere molteplici e più p meno
gravi, conseguentemente giungere ad una diagnosi da campo in maniera tempestiva
aumenta notevolmente le chance di sopravvivenza del paziente ed il rischio di
eventuali sequele gravi. Acronimi come "SAMPLE" e "OPQRST" dettate dal metodo
AMLS forniscono una guida utile per una raccolta anamnestica mirata, consentendo
ai professionisti della salute di ottenere informazioni critiche per una diagnosi
accurata e un trattamento farmacologico tempestivo. Parallelamente, la
classificazione del dolore toracico in categorie "tipiche" e "atipiche", insieme alla
valutazione della stabilità emodinamica del paziente, riveste un ruolo fondamentale
nella strategia di gestione. Questi strumenti di valutazione contribuiscono a
determinare il livello di urgenza e la centralizzazione adeguata di ciascun paziente.
Il presente elaborato di tesi nasce da un’esperienza personale di tirocinio presso il
“SET 118 di Modena” che ha stimolato il mio interesse ad affrontare un argomento
di tale criticità focalizzando la mia attenzione sul ruolo chiave dell’infermiere e la
sua autonomia sull’assistenza extraospedaliera.
Nel primo capitolo viene trattata l’anatomia dell’apparato cardiocircolatorio e la
fisiopatologia della Sindrome Coronarica Acuta. Il secondo capitolo tratta
dell’organizzazione del sistema di emergenza urgenza territoriale nella provincia di
Modena, la differenza tra le tipologie di mezzi di soccorso e il percorso del paziente
2
dalla realtà extraospedaliera fino all’ospedalizzazione. Il terzo capitolo è incentrato
sulla gestione infermieristica dell’infarto miocardico acuto in ambito
extraospedaliero dall’utilizzo del metodo AMLS per la raccolta di dati anamnestici
all’utilizzo della CPS (Chest Pain Score) per la valutazione del dolore toracico, della
Killip score per la valutazione dello stato emodinamico, nonché l’utilizzo della NIV
in caso di scompenso cardiaco, le varie strategie di intervento farmacologico, gli
algoritmi infermieristici avanzati che permettono all’infermiere di lavorare in
completa autonomia e portando una comparazione con lo stesso protocollo Svizzero.
Nel quarto capitolo viene presentato un caso clinico di un paziente con IMA. Infine,
nel quinto capitolo si propone un progetto per le associazioni di volontariato che
fanno servizio nell’ambito di Emergenza/Urgenza nella provincia di Modena ai fini
di una rapida, completa e tempestiva valutazione del dolore toracico. Per la stesura
della tesi sono state consultate le principali banche dati quali PubMed ed Embase con
le seguenti stringhe di ricerca: “Acute Coronary Syndrome”, “Incidence of Acute
Myocardial Infarction”, “Role of the Nurse in Ambulance”, “EMT Role and Skill”,
“Pathophysiology of ACS”, “Chest Pain Score”, “Killip Score”, “Prehospital
Management of AMI”, “Pharmacological Treatment of ACS in the Prehospital
Setting”, “Heart Failure”, “Non-Invasive Ventilation in Patients with ACS”. Altri
dati sono stati reperiti da libri di testo di Medicina D’urgenza, dall’Istituto Superiore
di Sanità, siti internet affidabili e dai protocolli dell’Azienda ospedaliera di
competenza.
3
CAPITOLO 1
FISIOPATOLOGIA DELL’INFARTO DEL MIOCARDIO
1.1 Anatomo – fisiologia del cuore
Il cuore è un organo muscolare cavo, impari e paramediano, svolgente funzione di
pompa, che permette la circolazione del sangue all’interno dei vasi sanguigni; esso è
situato nella cavità toracica, nel mediastino medio o anteroinferiore, è contenuto in
un sacco fibrosieroso, detto pericardio ed è internamente costituito da quattro cavità,
due posterosuperiori (atrio destro e atrio sinistro separati dal setto interatriale), e due
anteroinferiori (ventricolo destro e ventricolo sinistro separati dal setto
interventricolari) (Barbatelli, et al., 2018). Ciascun atrio è collegato al sottostante
ventricolo mediante l’orifizio atrioventricolare provvisto di un sistema valvolare che
consente il deflusso di sangue solo dall’ atrio al rispettivo ventricolo. Negli atri
sboccano le vene e dai ventricoli originano le arterie alla cui base si trovano le
valvole semilunari che permettono il passaggio di sangue dai ventricoli alle rispettive
arterie e non viceversa (Figura 1) (Barbatelli, et al., 2018).
Figura 1: anatomia del cuore (https://www.cardiologiaoggi.com/nozioni-semplici-di-
anatomia-del-sistema-cardiovascolare/)
4
Dal punto di vista microscopico, la parete cardiaca risulta costituita da tre tonache
sovrapposte che, procedendo dall’interno all’ esterno, sono l’endocardio, il
miocardio e il pericardio.
L’endocardio riveste la superficie interna di tutte le cavità cardiache ed è formato da
un sottile stato di cellule endoteliali adagiato su uno strato di tessuto connettivo
sottoendoteliale.
Il miocardio, che è la tonaca maggiormente rappresentata, è costituito da muscolo
striato cardiaco organizzato per formare due sistemi fra loro indipendenti, uno per gli
atri e uno per i ventricoli. Lo spessore del miocardio è differente in rapporto alla
forza contrattile che ogni cavità deve esercitare per la propulsione del sangue; ne
consegue che la parete degli atri è più sottile di quella dei ventricoli e la parete del
ventricolo sinistro è tre volte più spessa rispetto a quella del ventricolo destro
(Barbatelli, et al., 2018). Il tessuto muscolare striato cardiaco è formato da cellule
chiamate cardiomiociti, collegate tra loro tramite delle giunzioni dette dischi
intercalari dove sono presenti desmosomi e giunzioni comunicanti (Barbatelli, et al.,
2018). Il meccanismo di contrazione del cuore è regolato da due tipi di cellule
collegate tramite dischi intercalari e sinapsi elettriche: le cellule di Purkinje,
costituenti il miocardio comune e responsabili della contrazione, e le cellule
pacemaker che formano il miocardio specifico responsabile del sistema di
conduzione del cuore (Barbatelli, et al., 2018). Altre cellule con funzione pacemaker
le troviamo all’interno del muscolo cardiaco a livello di due punti detti nodo
senoatriale e nodo atrioventricolare. La contrazione cardiaca è avviata dal potenziale
d’azione che si origina da tali cellule e non dalla stimolazione nervosa; dal momento
che il segnale da cui si origina la contrazione cardiaca nasce all’interno del muscolo
cardiaco stesso, l’attività contrattile cardiaca viene detta miogena (Alloatti, et al.,
2017).
La terza tonaca è il pericardio, sacco fibrosieroso che contiene il cuore e l’origine dei
grossi vasi; la parte esterna è il pericardio fibroso ed è di tipoconnettivale, mentre
quella interna è il pericardio sieroso (Barbatelli, et al., 2018).
Per quanto riguarda la vascolarizzazione del cuore, l’irrorazione avviene ad opera di
da due arterie coronarie, destra e sinistra, che costituiscono il circolo coronarico; le
arterie coronarie e le loro ramificazioni principali decorrono sulla superficie esterna
5
del cuore, coperte dall’epicardio, accolte nei solchi coronario e interventricolari e,
spesso, circondate da accumuli di grasso. Fra le due arterie coronarie, esistono delle
anastomosi spesso pero rappresentate da vasi molto sottili e perciò insufficienti a
stabilire un circolo collaterale. I principali collegamenti tra le arterie coronarie destra
e sinistra sono situate in corrispondenza del setto interventricolare e a livello della
parete anteriore degli atri (figura 2) (Barbatelli, et al., 2018)
Figura 2: la circolazione coronarica (https://medicinaonline.co/2022/05/02/anatomia-
macroscopica-del-cuore-sistema-circolatorio-e-circolazione-coronarica/)
1.2 Sindrome coronarica acuta (SCA)
Con “sindrome coronarica acuta” si intendono diverse varianti della diagnosi di
cardiopatia ischemica acuta, con manifestazioni cliniche quali l’infarto acuto del
miocardio con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI), o senza sopraslivellamento
(NSTEMI) e l’angina pectoris instabile (UAP) (Chiaranda, 2022).
Le alterazioni elettrocardiografiche sono fondamentali per fare luce su una sospetta
alterazione fisiopatologica; nella maggior parte dei casi il sopraslivellamento del
tratto ST sta ad indicare una occlusione in atto o imminente di un ramo coronarico
con un’ampia area miocardica a rischio (Chiaranda, 2022).
Il termine "infarto miocardico" indica la morte dei miociti cardiaci derivante da
ischemia, la quale è causata da uno squilibrio tra domanda e offerta di perfusione. I
6
sintomi potenziali dell'ischemia includono vari stati quali fastidio a livello toracico
(chest discomfort), agli arti superiori, alla mascella o in sede epigastrica, insorgenti
sia durante uno sforzo che a riposo. Il disagio associato all'infarto miocardico acuto
solitamente persiste per almeno 20 minuti. Questo disagio è spesso diffuso, non
localizzato, non influenzato dalla posizione del corpo, definito come senso di
oppressione e può essere accompagnato da difficoltà respiratoria, sudorazione,
nausea o svenimento (Thygesen, et al., 2007).
È importante notare come tali sintomi non sono specifici per l'ischemia miocardica e
potrebbero essere diagnosticati erroneamente come disturbi gastrointestinali,
neurologici, polmonari o muscoloscheletrici. L'infarto miocardico può presentarsi
con sintomi atipici o persino senza sintomi evidenti, e può essere rilevato solo
tramite ECG, aumento dei biomarcatori o imaging cardiaco (Thygesen et al., 2007).
1.3 Fattori di rischio
I tipici fattori di rischio della SCA includono il tabagismo, il sovrappeso/obesità,
l'ipertensione, l'iperglicemia e l'iperlipidemia (Figura 3). Tuttavia, recentemente sono
stati individuati nuovi fattori che rappresentano rilevanti rischi indipendenti per la
SCA, come i livelli di fibrinogeno plasmatico (FiB), i livelli sierici di cistatina C,
l'acido urico nel sangue (UA), il rapporto neutrofili/linfociti e il volume piastrinico
medio. Gli indicatori più significativi dell'infiammazione sono i livelli di hsCRP
(high-sensitivity C-Reactive Protein ovvero proteina C-reattiva ad alta sensibilità), la
quale può favorire l'adesione e la migrazione delle cellule infiammatorie all'endotelio
vascolare, contribuendo e accelerando lo sviluppo dell'aterosclerosi. Diversi studi
hanno confermato che i livelli plasmatici di hs-CRP costituiscono un efficace
indicatore per valutare la vulnerabilità delle placche aterosclerotiche coronariche,
riflettendo potenzialmente la gravità delle lesioni dell'arteria coronaria nei pazienti
con SCA (Zhang, et al., 2021).
7
Figura 3: Fattori di rischio cardiaci (https://www.melarossa.it/salute/patologie/infarto/).
Le alterazioni della coagulazione e della fibrinolisi giocano un ruolo cruciale
nell'insorgenza e nella progressione della SCA. Concentrazioni elevate di FiB
portano a un aumento della viscosità del sangue, favorendo l'accumulo di globuli
rossi e piastrine e accelerando la trombosi (Zhang, et al., 2021).
Relativamente al peso indice significativo di rischio è dato dal BMI (Body Mass
Index) che normalmente deve essere compreso tra 18.5 e 24.99 ma che quando
compreso tra 25,0 e 29,9 indica sovrappeso mentre quando è uguale o superiore a 30
indica l'obesità, Altri elementi predittivi dada considerare sono una dieta eccessiva o
non salutare e lo scarso esercizio fisico (con frequenza di esercizio fisico pari o
inferiore a una volta alla settimana) (Tummala & Farshid, 2015).
Il colesterolo LDL e il colesterolo HDL sono considerati come fattori di rischio per
le lesioni aterosclerotiche in quanto i livelli eccessivi di colesterolo LDL-C e/o bassi
livelli di HDL-C compromettono la funzione endoteliale, accelerando la formazione
di ateromi. (Zhang, et al., 2021).