vi
dell’attività bancaria. Vengono introdotte delle metodologie complesse di misurazione, quali i 
rating, e viene sancito formalmente il legame tra rischio e rendimento. Le banche cioè, 
relativamente al rischio di credito, saranno chiamate a valutare attentamente il rischio assunto 
per ogni borrower con metodologie che possono diventare molto complesse sino 
all’implementazione di un sistema di rating interno i cui input derivano dal database della banca 
stessa. Inoltre, in base al rischio assunto esse dovranno “prezzare” i loro prestiti sfruttando, 
magari, le moderne tecniche di pricing corretto per il rischio. Cambiano, in altre parole, le 
modalità di affidamento della clientela e pertanto il modo di fare credito. Dunque, la riforma che 
riguarda le banche causerà, di riflesso, delle conseguenze anche sulla clientela. La normativa in 
questione è molto complessa e tutt’ora non definitiva ma, sulla base delle sue prime versioni, le 
analisi degli esperti evidenziano un potenziale peggioramento delle condizioni di erogazione del 
credito (incremento dei tassi e credit crunch), soprattutto verso le piccole e medie imprese che 
necessitano, per quanto detto, di significativi volumi di credito ed anche considerevoli problemi 
di compatibilità con l’attività tipica dei confidi. Le suddette prospettive sicuramente preoccupano 
gli operatori del settore; ritengo, quindi, che per far chiarezza sulla questione, sia utile valutare 
l’impatto della proposta di revisione della normativa di vigilanza sull’universo delle PMI e 
sull’attività dei consorzi di garanzia collettiva dei fidi. 
 1 
CAPITOLO 1 
RISCHIO DI CREDITO E CREDIT RISK MANAGEMENT 
 
1. GLI SVILUPPI CONCETTUALI E METODOLOGICI 
 
1.1 I CONCETTI CHIAVE
1
 
 
Il definitivo utilizzo dei concetti propri ai rischi di mercato nell’ambito del rischio di 
credito ha avviato un generale ripensamento delle logiche tradizionali di gestione del rischio 
creditizio e la nascita del credit risk management. Questa filiazione del financial management 
richiede molti più sforzi organizzativi e operativi alle banche, dato che la gestione del rischio di 
credito, rispetto a quella dei rischi di mercato, coinvolge un numero molto più elevato di 
operatori. 
Di seguito verranno esposti i principali  concetti che devono essere interiorizzati da chi 
intende operare nell’ambito del credit risk management. 
 
1.1.1 L’ESPOSIZIONE E IL RISCHIO 
 
Alcuni operatori, commettendo un’imprecisione,  considerano ancora sinonimi i termini 
“esposizione” (dimensione dei fidi) e “rischio” (di credito). Essi, infatti, possono essere 
considerati tali solo nell’irrealistica ipotesi  in cui  ogni esposizione abbia la stessa probabilità di 
generare lo stesso ammontare di perdite
2
. Inoltre, considerare l’esposizione quale sinonimo di 
rischio equivale ad assumere la prospettiva della massima perdita realizzabile in assoluto. Più 
corretto appare invece decidere con che grado di avversione al rischio si intende operare e basare 
le proprie decisioni sulle ipotesi più probabili
3
. Questo è un aspetto molto importante di ogni 
tecnica di risk management.  
Occorre dunque stimare l’esposizione al momento dell’insolvenza (EAD, Exposure at 
Default) considerando ad esempio che sulle linee di credito a utilizzo discrezionale, l’ammontare 
dell’esposizione al momento dell’insolvenza tende a essere superiore del livello corrente. 
                                                 
1
 I termini e gli acronimi utilizzati in questa dissertazione sono gli stessi  e hanno il medesimo significato dei termini 
e acronimi utilizzati dal Comitato di Basilea. In letteratura però non è inusuale rinvenire sinonimi come accade ad 
esempio per EDR (Expected Default Rate) sinonimo del più utilizzato PD (Probability of Default). Ancora LIED 
(Loss in the Event of Default) equivalente di LGD (Loss Given Default) ecc. 
2
 Ogni esposizione presenta una distinta probabilità di insolvenza. Inoltre consente gradi diversi di recupero a 
seconda, ad esempio, della forma tecnica utilizzata. 
3
 E cioè definire un livello di confidenza (probabilità di accadimento degli eventi) funzione della propria avversione 
al rischio.  
CAPITOLO 1 
 2
Viceversa, nei prestiti con piano di rimborso predefinito, l’esposizione  residua al verificarsi 
dell’insolvenza è inferiore a quella corrente. 
L’EAD dovrebbe essere valutata “a valori di mercato” e non “a valori contabili”. Questo 
per evitare che operazioni identiche per caratteristiche, vengano considerate in momenti 
differenti di mercato, analogamente rischiose.
4
 
 
1.1.2 LA PERDITA ATTESA 
 
Un modo per esprimere il rischio di credito è rappresentato dalla perdita attesa che 
consiste nella probabilità di insolvenza del debitore e nella quota non recuperabile 
dell’esposizione in caso di insolvenza.  
Distinguere l’esposizione dal rischio e considerare la  perdita attesa come sinonimo di 
rischio di credito rappresenta un primo indubbio avanzamento concettuale. 
Proseguendo la trattazione, consideriamo ex-ante ogni operazione come una variabile 
casuale
5
. Ex-post essa genera o meno perdite riducendo a due gli eventi possibili.  Una prima 
stima del tasso di perdita atteso (ELR, Expected Loss Rate)
6
 è dato dalla media dei tassi di 
perdita rilevati ex-post su un portafoglio di operazioni con caratteristiche omogenee (l’orizzonte 
temporale a cui riferire la perdita attesa è il medesimo del set di impieghi considerati). Questo 
comporta però che, in un’ottica ex-ante, tutte le esposizioni vengano accomunate da un identico 
tasso medio di perdita. Cioè si dice che in media tutte le esposizioni oggetto del portafoglio 
subiranno un’identica perdita. E’ ovvio che solo ex-post si conosceranno i reali defaults. Questo 
inconveniente induce quindi a valutare molto attentamente la possibilità di suddividere il 
portafoglio complessivo in sub-portafogli ancora più omogenei nei quali, l’utilizzo di un tasso 
medio calibrato su ognuno di essi sia più accettabile. Mi riferisco, ad esempio, alle tecniche che 
prevedono l’adozione di classi di rating: ognuna di esse è composta da impieghi omogenei per 
caratteristiche rispetto a un tasso di perdita atteso. 
Tecnicamente il tasso di perdita atteso può essere scomposto in due componenti 
elementari: 
1. la probabilità di insolvenza del debitore (PD, Probability of Default); 
2. la quota del credito non recuperabile in caso di insolvenza neppure attivando azioni 
giudiziarie o stragiudiziali di recupero (LGD, Loss Given Default). 
                                                 
4
 Si consideri ad esempio due mutui di medesima esposizione e vita residua, entrambi a tasso fisso, erogati a favore 
di debitori di simile affidabilità e con analogo corredo di garanzie. Se il primo è stato negoziato in una fase di tassi 
alti e il secondo in un periodo di tassi più bassi il danno per la banca derivante dall’insolvenza sul primo è superiore 
al danno causato dall’insolvenza del secondo. 
5
 Cioè espressione di un insieme di eventi possibili. 
6
 L’ELR esprime un valore atteso e cioè un tentativo di anticipare, in un’ottica quindi ex-ante, gli accadimenti futuri. 
RISCHIO DI CREDITO E CREDIT RISK MANAGEMENT 
 3
L’ELR della esposizione i-esima è allora rappresentata dal prodotto tra PD e LGD “i-esimi”: 
 
Equazione 1   ELR
i
=PD
i
*LGD
i 
 
 
La perdita attesa in valore (EL, Expected Loss) dell’esposizione i-esima è invece data dal 
prodotto di tre fattori: 
1. PD; 
2. LGD; 
3. l’esposizione attesa al momento del default (EAD, Exposure at Default). 
 
Equazione 2   EL
i
=PD
i
*LGD
i
*EAD
i
 
 
Scomponendo nelle sue parti elementari il tasso di perdita atteso (ELR) possiamo, ad 
esempio adottando un rating system, costruire delle classi di rating dei debitori caratterizzate da 
tassi di insolvenza simili e classi di rating delle operazioni caratterizzate da tassi di perdita simili. 
Così facendo rendiamo indipendenti la valutazione del debitore dalla valutazione delle singole 
linee di affidamento. E’ dunque possibile costruire il tasso di perdita atteso relativo al “k-esimo” 
cliente per le sue “m” esposizioni nei confronti della banca
7
, caratterizzate ognuna da una propria 
LGD
w
 e da un proprio peso in termini di EAD
w
: 
 
Equazione 3  
∑
∑
=
=
=
m
w
m
j
j
w
wkk
EAD
EAD
LGDPDELR
1
1
**  
 
Se consideriamo ora un intero portafoglio di posizioni debitorie, la perdita attesa in valore 
di un insieme di “n” esposizioni risulta essere la somma dei prodotti tra PD, LGD e EAD di ogni 
singola posizione. Ricordando che PD*LGD=ELR otteniamo la seguente identità: 
 
Equazione 4  
∑
=
=
n
i
ii
EADELREL
1
)*(  
 
Possiamo altresì calcolare il tasso di perdita atteso del portafoglio formato dalle “n” 
esposizioni; esso deve tenere conto del peso relativo di ognuna: 
                                                 
7
 Sulla base dell’ipotesi che se il debitore è insolvente lo sarà per ogni suo debito. 
CAPITOLO 1 
 4
 
Equazione 5  
∑
∑
=
=
⎟
⎟
⎟
⎟
⎟
⎠
⎞
⎜
⎜
⎜
⎜
⎜
⎝
⎛
=
n
i
n
j
j
i
i
EAD
EAD
ELRELR
1
1
*   
 
Nella tabella seguente si riepilogano le formulazioni sin qui introdotte che, come detto, si 
riferiscono all’ottica ex-ante in quanto valori attesi (expected). 
 
Tabella 1 - Formulazioni introdotte nella visione ex-ante 
Ex-ante (valore atteso) 
 
Tasso di perdita                                                      ELR
i
=PD
i
*LGD
i
 
della singola esposizione 
 
 
Perdita della singola esposizione                           EL
i
=PD
i
*LGD
i
*EAD
i
 
 
 
Tasso di perdita di portafoglio                              
∑
∑
=
=
⎟
⎟
⎟
⎟
⎟
⎠
⎞
⎜
⎜
⎜
⎜
⎜
⎝
⎛
=
n
i
n
j
j
i
i
EAD
EAD
ELRELR
1
1
*
 
 
 
Perdite di portafoglio                                              
∑
=
=
n
i
ii
EADELREL
1
)*(
 
                                              
 
 
 
Occorre ora fornire alcuni chiarimenti relativi alla visione ex-post. E’ chiaro che non 
hanno senso i valori di perdita medi se confrontati con le singole esposizioni. Infatti, il tasso di 
perdita ex-post individuale LR
i
 (Loss Rate della posizione i-esima) necessariamente deve essere 
uguale a zero se l’esposizione non ha subito insolvenza, pari alla LGD in caso contrario. I valori 
medi assumono invece significato con riguardo a un insieme di posizioni. Il tasso di perdita 
medio ponderato del portafoglio WALR (Weighted Average Loss Rate), risulta essere la media 
dei tassi di perdita individuali effettivamente subiti, ponderata per le esposizioni relative:  
 
Equazione 6 
∑
∑
=
=
=
n
j
j
i
n
i
i
UT
UT
LRWARL
1
1
*  
 
RISCHIO DI CREDITO E CREDIT RISK MANAGEMENT 
 5
Molto interessante è altresì stimare  disgiuntamente, grazie all’analisi dei dati storici, le 
frequenze di default dei debitori e i tassi di perdita in caso di default delle singole posizioni 
rispetto al valore che esse presentano al momento dell’insolvenza. Ancora, ex-post la perdita di 
portafoglio è semplicemente la somma delle eventuali perdite subite dalle singole posizioni: 
 
Equazione 7 
∑
=
=
n
i
i
LL
1
 
 
 Tutto quanto detto in merito alla visione ex-post è qui di seguito riassunto. 
 
Tabella 2 - Formulazioni introdotte nella visione ex-post 
Ex-post (valore medio) 
Tasso di perdita  
delle singola esposizione                                --- 
 
Perdita della singola esposizione                  --- 
 
Tasso di perdita di portafoglio                  
∑
∑
=
=
=
n
i
n
j
i
i
UTj
UT
LRWALR
1
1
*
 
                                                                        
                                                                       Utile la stima disgiunta       
                                                                       delle frequenze di default, 
                                                                       dei tassi di perdita e del valore 
                                                                       dell’utilizzo (UT) 
 
Perdita di portafoglio                                  
∑
=
=
n
i
i
LL
1
 
 
 
 
1.1.3 LA PERDITA INATTESA 
 
A ben vedere la perdita attesa è appunto “attesa” dalla banca (almeno nel lungo periodo) 
e quindi non rappresenta appieno la vera natura del rischio di credito
8
. Così si ritiene che 
l’esistenza di una variabilità attorno alle perdite attese conduca a un più appropriato concetto di 
rischio: la “perdita inattesa”.  Infatti, la perdita attesa consiste in una media da utilizzare in una 
visione di lungo periodo e quindi può ragionevolmente discostarsi dalle perdite effettive subite 
medio-tempore. Queste ultime possono mettere in crisi la banca. Ecco allora che misurare la 
volatilità delle perdite rispetto alla media (vero e proprio rischio) diventa fondamentale per 
preservare l’integrità del patrimonio ma non solo. Le perdite attese sono coperte dagli 
                                                 
8
 Il concetto di rischio può essere inteso come variabilità dei risultati rispetto alle aspettative. Variabilità che può 
condurre a risultati peggiori  ma anche a risultati migliori. In questo contesto il rischio va interpretato come 
variabilità avversa alla banca. 
CAPITOLO 1 
 6
accantonamenti a riserva in bilancio e dalle rettifiche di valore di libro dei prestiti; le perdite 
inattese costringono la banca a mettere in gioco del capitale di rischio commisurato alla loro 
volatilità
9
. E come si sa, il capitale di rischio ha un costo approssimabile, in prima battuta, alla 
remunerazione attesa dagli azionisti; quindi determinare la variabilità delle perdite ha chiare 
implicazioni sulla scelta di come allocare il capitale e sul pricing  dei prestiti. 
Le debolezze della perdita attesa (cioè di un indicatore medio) e quindi la necessità di 
superarle tramite un indicatore di volatilità, è immediatamente percepibile grazie al seguente 
esempio. 
Esempio: poniamo di avere due portafogli di attività A e B. Entrambi hanno un tasso di 
perdita atteso annuo del 4%. Il portafoglio B non subisce medio-tempore brusche oscillazioni 
nella manifestazione delle perdite; al contrario il portafoglio A  presenta picchi di perdite del 
20% e momenti in cui il loss rate è vicino allo 0%.  Dunque, sotto il profilo del rischio, è 
preferibile per il management della banca, il portafoglio B in quanto più “stabile” nel tempo; 
questo importante aspetto non viene colto se l’analisi è interamente basata sull’indicatore medio. 
Pensiamo ora di avere due comparti di prestiti A e B le cui funzioni di densità dei tassi di 
perdita
10
 sono riportate nella figura 1. Le due curve approssimano i tassi di perdita subiti dalla 
banca mese per mese negli ultimi trenta anni. Supponiamo che il tasso di perdita medio dei due 
comparti sia identico. Se il pricing dei prestiti delle due linee si basasse esclusivamente sul ELR 
verrebbe loro applicato lo stesso ricarico. Si può, però, visivamente rilevare che la variabilità dei 
tassi di perdita nel comparto A è superiore a quella del comparto B, essendo maggiori le 
frequenze di tassi di perdita più distanti dalla media. Capiamo allora che i due settori non sono 
egualmente appetibili e non vanno prezzati nello stesso modo, poiché la probabilità di incorrere 
in ingenti perdite è più elevata nel comparto A: la banca è infatti obbligata ad approntare una 
quantità di capitale di rischio maggiore rispetto a quella necessaria nel comparto B.                       
Figura 1 - Funzioni di densità dei tassi di perdita dei due comparti A e B. 
Frequenza relativa                                      B 
 
 
 
                                          A                                     
                            
                                                                           Tassi di perdita                                                                                   
                                                 
9
 E’ questa la ratio che emerge dai più recenti orientamenti della Vigilanza. 
10
 E’ fondamentale per l’analisi del rischio di credito disporre di distribuzioni di probabilità, funzioni di densità o 
distribuzioni di frequenza relative ai fenomeni osservati; si pensi infatti che i credtit risk models sono definibili 
come l’insieme delle politiche, procedure e prassi che sono usate dalle banche per determinare le funzioni di densità 
del portafoglio crediti. 
RISCHIO DI CREDITO E CREDIT RISK MANAGEMENT 
 7
 Da questo breve esempio si comprende l’importanza di misurare in maniera precisa la 
volatilità delle perdite rispetto alla media. A tal fine l’indicatore statistico più utilizzato è la 
“deviazione standard” (σ, sigma) rappresentata nell’equazione 6: 
 
Equazione 8
11
    
∑
=
−
−
=
n
i
i
WALRLR
n
1
2
)(*
)1(
1
σ  
 
dove: 
LR
i 
= loss rate della posizione i-esima; 
WALR = weighted average loss rate.  
 
La volatilità di un dato set di n osservazioni storiche dei tassi di perdita è quindi data 
dalla radice quadrata del prodotto tra 1/(n-1) e la somma di tutte le differenze al quadrato tra i 
singoli tassi di perdita e il tasso medio di perdita (rappresentato dal WALR delle n osservazioni 
disponibili ponderato per la dimensione delle esposizioni). Il risultato così ottenuto può essere 
utilizzato come stima della volatilità futura per lo stesso set di impieghi. 
E’ chiaro che quanto maggiore è la deviazione standard (e quindi la volatilità) tanto più si 
prevede di subire delle perdite inattese. Attualmente, quindi, la deviazione standard esprime le 
perdite inattese; i due termini vengono utilizzati come sinonimi
12
. 
 
1.1.4 IL VaR 
 
Il VaR (value at risk) è un indicatore molto importante in quanto misura la differenza tra 
la perdita massima conseguibile in un dato orizzonte temporale stabilito un certo livello di 
confidenza e la perdita attesa. L’analisi del rischio è quindi evoluta, in quanto si è passati dal 
concetto di perdita attesa e inattesa (volatilità del tasso di perdita) a quello più sofisticato di 
valore o capitale a rischio. Il VaR esprime sostanzialmente il valore delle perdite inattese relative 
a un dato set di crediti. Per la sua determinazione occorre, come detto, definire un orizzonte 
temporale e il livello di confidenza che si è disposti ad accettare
13
.  
Vediamo un semplice esempio basato sulla funzione di densità delle perdite del comparto 
A (quello più volatile) relativo all’esempio precedente. Anziché essere interessati a una misura di 
sintesi della variabilità delle perdite sull’orizzonte mensile, ci interessa ora percepire quale sia la 
massima perdita caratterizzata da un livello di confidenza del 99% su quel dato orizzonte 
                                                 
11
 La deviazione standard così calcolata è chiamata “campionaria”. Il suo utilizzo in questa formulazione è dovuto a 
particolari proprietà matematiche di cui gode. 
12
 COMITATO DI BASILEA PER LA VIGILANZA, Credit risk modellig: current praticies and applications. 
13
 Ad esempio una confidenza del 99% significa escludere solo l’1% dagli eventi considerati. E’ chiaro che quell’1% 
rappresenta eventi catastrofici e proprio per questo poco probabili. 
CAPITOLO 1 
 8
temporale in quanto, ovviamente, la variabilità che deriva da tassi di perdita realizzati inferiori a 
quelli attesi non preoccupa e considerare tassi di perdita realizzati molto elevati può condurre a 
considerare eventi estremamente improbabili.  
Figura 2:Il VaR 
 
Probabilità                                             A 
 
                                                                                                                                          
 
 
                                                                                      
                                                                                             
                                               ELR                                    LR corrispondente al 99° percentile 
 
                                                                   VaR                                    
 
Viste le funzioni di densità delle perdite dei due comparti (figura 1) appare chiaro che il 
VaR del comparto A è maggiore del VaR del comparto B. Ciò è causato dalla maggiore densità 
verso tassi di perdita più elevati del settore A rispetto a quella di B. 
Come ho già avuto modo di sottolineare, le perdite inattese vengono coperte dalla banca 
apprestando un adeguato stock di costoso capitale di rischio detto anche “economic capital”; 
esso può differire significativamente dal capitale regolamentare (“regulatory capital”) richiesto 
dalla normativa di vigilanza nel caso in cui, quest’ultimo, venga calcolato senza tener conto dei 
particolari aspetti del rischio di credito messi in evidenza e quindi con metodi poco o per nulla 
sensibili al rischio
14
. Quello che in questa sede intendo sottolineare è che il VaR è un ulteriore e 
importante elemento da considerare attentamente nel pricing dei prestiti. 
 
1.1.5 IL RISCHIO DI SPREAD  
 
Un ulteriore profilo del rischio di credito è rappresentato dalla perdita conseguente al 
deterioramento del merito creditizio dell’affidato a cui dovrebbe conseguire un adeguato 
incremento delle condizioni contrattuali. Se considerato in un sistema di rating tale rischio è 
detto anche “di migrazione” in quanto, il soggetto rated che subisce un down-grading, passa in 
una classe peggiore di rischio . Il peso del rischio di spread  sull’economicità della banca dipende 
dalla durata e dalla struttura dell’operazione. Infatti bisogna distinguere le operazioni a breve 
termine, per le quali il rinnovo delle condizioni contrattuali avviene in tempi ravvicinati, dalle 
operazioni a lungo termine, per le quali i rinnovi sono molto più rari nel tempo. Ancora, bisogna 
                                                 
14
 Le novità introdotte al riguardo dal Comitato di Basilea per la vigilanza sono proprio volte a migliorare la 
sensibilità al rischio dei metodi di calcolo dei coefficienti patrimoniali minimi. Ma questo argomento verrà 
approfondito nel capitolo 4 “LA REGOLAMENTAZIONE SULL’ADEGUATEZZA DEL CAPITALE”.   
RISCHIO DI CREDITO E CREDIT RISK MANAGEMENT 
 9
distinguere le operazioni che beneficiano di un qualche aggiustamento (ad esempio 
l’indicizzazione) relativa al merito di credito, da quelle che non prevedono alcun aggiustamento 
automatico delle condizioni. Se non è possibile per la banca ridurre o eliminare il rischio di 
spread, allora si troverà ad avere in portafoglio delle operazioni sotto-prezzate. L’effetto del 
peggioramento della solvibilità (aumento del rischio di credito) è ottimamente percepibile se si 
osservano ad esempio i corsi dei titoli obbligazionari. Se un emittente rated (cioè la cui società 
e/o le cui emissioni sono “dotate” di rating espresso da una società apposita), subisce un down-
grading i corsi relativi alla sua emissione sconteranno l’evento e quindi scenderanno. Infatti 
ricordando che:  
∑
=
+
=
n
t
t
t
i
FCE
V
1
)1(
)(
  il valore attuale (V) del titolo è dato dalla somma dei flussi di 
cassa (E(FC
t
)) che genererà nei periodi t-esimi attualizzati a un tasso di sconto (i) espressione 
della preferenza temporale tra potere d’acquisto presente e futuro per quel dato impiego che 
possiede certe caratteristiche, un down-grading (conseguenza del peggioramento della 
solvibilità) farà incrementare il tasso di sconto (in quanto il titolo diventa più rischioso) 
producendo per l’appunto il calo del prezzo del titolo. Le differenze tra le curve dei tassi di 
sconto che riflettono, per diverse scadenze, i tassi di interesse che remunerano il rischio di 
credito espresso da diversi rating e la curva dei tassi risk-free costituiscono le curve dei 
cosiddetti credit spreads. Ovviamente a classi peggiori di rating corrispondono curve dei credit 
spreads più elevate. Queste considerazioni spingono taluni a proporre una definizione più 
generale di perdita da rischio creditizio che consideri la probabilità di migrazione del rating 
dell’esposizione anche in classi diverse da quella estrema di default. Tra i sostenitori di questa 
tesi esistono, tuttavia, due scuole di pensiero. La prima propende per tenere in considerazione il 
rischio di spread solo per alcuni tipi di investimento (sostanzialmente: obbligazionari e credit 
derivatives sensibili al rating) in considerazione del fatto che negli altri casi non ci sono 
implicazioni per la contabilità ufficiale della banca fintanto che non vi sia un default. La seconda 
scuola, invece, propende per prendere in considerazione il rischio di spread su tutti i tipi di 
esposizione facendo leva su due considerazioni: la prima è che la regolamentazione sul capitale 
di vigilanza (capital regulation) è orientata verso la previsione di uno stretto collegamento tra 
classe di rating del prenditore/operazione e requisiti di capitale. Di conseguenza, una migrazione 
in una classe di rischio peggiore genera evidenti costi per la banca in termini di capitale 
assorbito, pur in assenza di default. La seconda considerazione è che, in un’ottica gestionale, non 
si può fare a meno di misurare e tentare di gestire i fenomeni che incidono sul valore della banca 
anche quando la contabilità ufficiale non sia così raffinata da tenerne conto. La prima scuola che 
propende per la sola analisi delle perdite conseguenti all’insolvenza del debitore, abbraccia le 
CAPITOLO 1 
 10
cosiddette logiche di default-mode approach. La seconda che considera qualsiasi variazione del 
“valore di mercato” degli impieghi conseguenti ai down-gradings oltre che all’insolvenza, 
abbraccia le cosiddette logiche di mark-to-market approach. 
 
1.1.6 LA DIVERSIFICAZIONE, CORRELAZIONE: EFFETTI SUL PORTAFOGLIO 
 
Dai paragrafi 1.1.3 “LA PEREDITA INATTESA” e 1.1.4 “IL VaR” abbiamo capito che 
un concetto più preciso di rischio di credito va ricercato nelle perdite inattese e nella misurazione 
del capitale sotto rischio. Cerchiamo ora di comprendere se sia possibile ridurre il credit risk 
senza dover ricorrere a strumenti finanziari di copertura, quali ad esempio i derivati, difficili da 
gestire e particolarmente pericolosi. A tal fine introduciamo un concetto noto a chi opera 
professionalmente su portafogli composti da titoli. Tali operatori conoscono perfettamente i 
benèfici effetti, in termini di riduzione del rischio complessivo di portafoglio, che l’introduzione 
di una attività, i cui risultati non sono correlati positivamente a quelli delle altre attività, produce. 
Questo è appunto il cosiddetto “effetto di portafoglio” che si raggiunge solo diversificando 
opportunamente le componenti del portafoglio stesso
15
. Tali logiche sono attualmente utilizzate 
dai gestori del rischio di credito nell’ambito dei cosiddetti “portfolio credit risk models”. Ancora 
una volta, quindi, metodologie proprie alla gestione del market risk sono sfruttate nell’ambito 
della gestione del credit risk. Perciò le seguenti considerazioni possono anche avere ad oggetto 
portafogli composti da crediti. 
L’idea di fondo è che aggiungendo un’attività molto più rischiosa delle altre già presenti 
in portafoglio, ciò non produrrà complessivamente un incremento del rischio (per quanto detto, 
in termini di perdite inattese) di pari ammontare. Anzi, se la volatilità delle perdite dell’attività 
aggiunta non è correlata positivamente in maniera perfetta alla volatilità delle altre, il rischio 
complessivo calerà sino a scomparire in determinate ipotesi di correlazione.     
                                                                                    
La figura 3 rappresenta quest’ultima estrema 
situazione tra due impieghi e gli effetti 
complessivi  sul portafoglio.                                                   
 
 
Figura 3: Nel caso di perfetta correlazione 
negativa il rischio scompare.         
                                                 
15
 In generale, per  beneficiare dell’effetto di portafoglio, occorre determinare precisamente il peso relativo di ogni 
attività all’interno del portafoglio stesso. Non è detto, infatti, che allocando in parti uguali le risorse ad ogni attività 
si ottenga la migliore diversificazione possibile. 
-40
-30
-20
-10
0
10
20
30
40
Periodi
A
n
d
a
m
e
n
t
o
Impiego 1
Impiego 2
Portafoglio
RISCHIO DI CREDITO E CREDIT RISK MANAGEMENT 
 11
Quanto affermato discende proprio dal fatto che la rischiosità  “avversa” di un portafoglio 
non risulta essere semplicemente la somma della variabilità delle perdite delle singole attività; 
occorre stimare anche la correlazione tra le perdite degli impieghi considerati. Cioè calcolare gli 
effetti compensativi che si producono all’interno del portafoglio dovuti alla diversa “reazione” di 
un’attività rispetto ad un’altra. La proprietà in questione è misurata tecnicamente dalla 
covarianza espressa, per due impieghi in crediti, dall’equazione 9.  
 
Equazione 9 
∑
=
−−=
n
i
AiBiBBiAAiAB
pELRLRELRLR
1
*)(*)(σ   
 
Si nota che anche per questo calcolo sono necessari dei buoni dati storici rilevati su un 
orizzonte temporale preferibilmente medio-lungo e a certe scadenze (ad esempio mensili), quali 
il tasso di perdita degli impieghi di A e di B e i relativi tassi medi di perdita. La covarianza è 
dunque rappresentata dalla media ponderata dei prodotti delle deviazioni dei tassi di perdita dai 
tassi medi, rispettivamente degli impieghi A e B, pesati per le frequenze relative p
AiBi
. 
Un altro indicatore che misura la correlazione tra le attività, chiamato appunto 
“coefficiente di correlazione” (ρ), gode della proprietà di esprimere risultati compresi tra +1 e -1. 
Formalmente, considerando due attvità: 
 
Equazione 10 
BA
AB
AB
σσ
σ
ρ =                   11 +≤≤−
AB
ρ  
 
Se ρ
AB 
= -1, si dice che tra le due attività c’è perfetta correlazione negativa. Ciò consente, 
come abbiamo visto nella figura 3, di eliminare il rischio di perdita in quanto i risultati negativi 
di una delle attività vengono compensati dai risultati positivi dell’altra e viceversa. Se ρ
AB 
= 0, 
allora A e B sono indipendenti tra loro. Infine se ρ
AB 
= +1, tra le due attività c’è perfetta 
correlazione positiva. Ciò significa che si muoveranno in sintonia e non sarà possibile ridurre il 
rischio complessivo che al contrario cresce. Chiaramente si possono ottenere risultati intermedi 
(ma sempre compresi tra –1 e +1); quanto più essi si avvicinano a –1 e tanto più il rischio 
complessivo di portafoglio cala. 
Pensiamo ora di voler calcolare la deviazione standard delle perdite di un portafoglio 
formato da due soli impieghi in crediti A e B caratterizzati singolarmente da una propria varianza 
(σ
2
A
 ; σ
2
B
) e di peso relativo in portafoglio pari a EAD
A 
ed EAD
B
.