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INTRODUZIONE 
 
 
 
 
 
Il presente lavoro si occupa della sentenza del 6 novembre 2003 della Corte 
Internazionale di Giustizia, relativa al caso Oil Platforms, che vede come protagonisti 
l’Iran, nella veste di attore, e gli Stati Uniti, come convenuti. 
Il primo capitolo, dopo un breve excursus storico relativo alla guerra Iran-Iraq, analizza 
il procedimento davanti alla Corte. In questo contesto, viene approfondito il problema 
della giurisdizione, con un confronto con una precedente sentenza, Attività militari e 
paramilitari in e contro il Nicaragua, del 27 giugno 1986. 
Il secondo capitolo si sofferma su un aspetto della sentenza, ossia il concetto di attacco 
armato e l’esercizio della legittima difesa.  
Si considera inizialmente il tema dell’uso della forza, affermandone il principio di 
divieto come norma di ius cogens nel diritto internazionale, e considerandone le 
possibili eccezioni. In particolare, viene dedicato un approfondimento al diritto di 
legittima difesa, con un’analisi dei suoi limiti.  
Il terzo capitolo, infine, si occupa del concetto di “attacco armato”, considerando 
inizialmente il diritto internazionale, in particolare la Definizione di aggressione 
dell’Assemblea delle Nazioni Unite, adottata il 14 dicembre 1974 e analizzandone, in 
seguito, i requisiti, con attenzione particolare alla valutazione della gravità.  
Viene anche trattato un aspetto del concetto di attacco armato preso in considerazione 
nella sentenza del 6 novembre 2003, ossia l’ ”intento”.  
La trattazione dei diversi argomenti segue un percorso concentrico: si parte dal diritto 
internazionale generale, per poi soffermarsi sulla sentenza in esame. In particolare, 
scopo della trattazione è evidenziare, nel ragionamento sviluppato dalla Corte 
Internazionale di Giustizia, le eventuali conferme o divergenze, rispetto al diritto 
internazionale generale, in merito al concetto di “attacco armato”.
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CAPITOLO PRIMO 
LA SENTENZA DELLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA NEL 
CASO “OIL PLATFORMS” 
 
 
SOMMARIO: Sezione Prima. Il contesto storico 1. La guerra Iran-Iraq (1980-1988) 2. La situazione nel 
Golfo Persico: il periodo della “Tanker War” e l’operazione “Earnest Will” 3. Gli episodi rilevanti per la 
causa: gli attacchi del 19 ottobre 1987 e del 18 aprile 1988 a complessi petroliferi iraniani Sezione 
Seconda. Il procedimento davanti alla Corte Internazionale di Giustizia 1. Deposito di documenti 
delle parti e svolgimento delle udienze davanti alla Corte Internazionale di Giustizia 1.1 Base della 
giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia: il Trattato di Amicizia del 1955 tra Stati Uniti e 
Iran 1.2 Le conclusioni finali presentate dalle parti 2. La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia 
del 6 novembre 2003 Sezione terza. La giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia e la 
sentenza del 12 dicembre 1996 1. Obiezione preliminare degli Stati Uniti alla giurisdizione della Corte 
Internazionale di Giustizia e la sentenza del 12 dicembre 1996 2. Un confronto: la giurisdizione della 
Corte Internazionale di Giustizia nel caso “Nicaragua c. Stati Uniti” 
 
 
Sezione Prima   
Il contesto storico
1
  
 
 
1.  Il 22 settembre 1980 l’Iraq attacca l’Iran, iniziando una sanguinosa guerra che si 
protrae fino al 1988
2
. Saddam Hussein, appena salito al potere in Iraq alla guida del 
partito Ba’th, pensa di poter vincere rapidamente, riconquistare la posizione irachena 
sullo Shatt al-Arab e costituire uno stato satellite nel Khuzistan, provincia sud-
occidentale dell’Iran, ricca di petrolio.  
Inizialmente le forze irachene hanno la meglio, ma l’Iran riesce a resistere all’invasione, 
riunendo un nuovo esercito e passando all’offensiva. Nel 1982 le truppe irachene sono 
cacciate dalla maggior parte dell’Iran. Il governo di Teheran, però, rifiuta di sancire la 
fine delle ostilità e continua le azioni militari contro l’Iraq, mosso dalla volontà di 
punire il nemico.  
Tra il 1982 ed il 1987 l’offensiva iraniana viene sferrata lungo tutta la frontiera 
occidentale. L’Iraq riesce comunque a resistere, grazie alle donazioni e ai prestiti 
concessi dagli stati arabi del Golfo e alle armi fornite principalmente dall’Unione 
sovietica e da paesi occidentali: l’aviazione irachena bombarda le città iraniane, gli 
insediamenti petroliferi e le navi cisterna nel Golfo Persico. Vengono impiegate anche 
armi chimiche contro alcune città curde filo-iraniane.  
 
1
 Per le notizie storiche ho consultato in particolare i seguenti articoli: Guerra Iran-Iraq, in Enciclopedia 
Microsoft Encarta, 2000; Iran, in Atlante geopolitico, Garzanti Libri, 1999; La guerra Iran – Iraq, 
reperibile all’indirizzo web: http://www.presentepassato.it/Schede/Medioriente/guerra_iraqiran_tx.htm. 
2
 Le origini del conflitto si ritrovano nelle rivalità regionali di vecchia data tra arabi e persiani, in 
particolare nel desiderio dell’Iran di modificare la frontiera sullo Shatt al-Arab, fiume che nasce dalla 
confluenza fra il Tigri e l’Eufrate, in Iraq, e sfocia nel Golfo Persico. Si tratta della linea di confine 
definita dall’Accordo di Algeri del 6 marzo 1975, a seguito di una guerra di frontiera combattuta da Iran e 
Iraq tra il 1971 ed il 1975. Stipulando l’Accordo, i due Stati si promettono una reciproca non ingerenza 
negli affari interni ed una sovranità condivisa sulle acque dello Shatt al-Arab. La rivoluzione islamica in 
Iran nel 1979, però, stravolge gli equilibri regionali. Anche il partito Ba’th, al potere in Iraq sotto la guida 
di Saddam Hussein, mira ad espandersi a danno dell’Iran, convinto che la potenza militare di questo paese 
si sia indebolita a seguito della rivoluzione del 1979. Inoltre, si vuole porre un freno all’influenza 
politico-religiosa del nuovo regime iraniano dell’ayatollah Ruhollah Khomeini sulla minoranza sciita 
irachena.
3 
 
 
L’Iran, isolata politicamente dagli Stati occidentali
3
, attua rappresaglie contro le flotte 
degli Stati che appoggiano l’Iraq. Solo nel 1987 le grandi potenze adottano misure per 
proteggere le navi in transito nel Golfo. Gli Stati Uniti, in particolare, aiutano Saddam 
Hussein sul piano sia diplomatico che militare
4
. Alla fine la spinta aggressiva dell’Iran 
si allenta.  
Il 20 luglio 1987 viene approvata la risoluzione 598 da parte del Consiglio di Sicurezza 
delle Nazioni Unite
5
. Si impone il cessate il fuoco, ma non si distingue, come chiede 
l’Iran, la posizione dell’aggredito da quella dell’aggressore. Il governo di Teheran si 
dichiara disposto ad accettare la risoluzione, ma chiede l’istituzione di una commissione 
che determini la responsabilità dell’inizio delle ostilità. L’Iraq si oppone e nessuno Stato 
si sforza per una mediazione. Dato l’isolamento politico in cui si trova, l’Iran accetta 
alla fine la risoluzione, che viene così firmata il 20 agosto 1988, a poca distanza dallo 
scoppio della Seconda Guerra del Golfo
6
. 
I costi umani di questo conflitto sono pesantissimi per entrambe le parti: non si conosce 
la cifra esatta delle vittime, ma si pensa non siano meno di un milione. 
 
2.  La guerra si combatte nei territori di entrambi gli Stati, nonché nel Golfo Persico, 
rotta commerciale internazionale della massima importanza. 
 
3
 L’Iran della rivoluzione islamica del 1979 intimorisce gli Stati occidentali per la sua carica di fanatismo 
religioso. Saddam Hussein coglie allora l’occasione per assumere il ruolo di agente stabilizzatore della 
Regione e in questo senso viene appoggiato dalle potenze occidentali. L’Iran, comunque, conta 
sull’appoggio di Siria, Libia, Corea del Nord e Cina, dalle quali riceve armamenti. 
4
 Gli Stati Uniti tengono un atteggiamento di crescente sostegno nei confronti dell’Iraq. In un primo 
momento si limitano a bloccare le condanne del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, poi, dal 1982, 
cominciano a fornire sostegno tecnologico, mentre incoraggiano anche l’Arabia Saudita e gli Emirati a 
finanziare la guerra di Saddam Hussein. 
Nel caso davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, l’Iran presenta memorie dove si citano diverse 
dichiarazioni, alcune ufficiali, rese nel corso degli anni da esponenti governativi statunitensi. In 
particolare, da una dichiarazione, rilasciata dall’allora sottosegretario alla difesa Korb, si evince 
chiaramente come il vero scopo dell’intervento americano fosse quello di assicurare la vittoria all’Iraq e 
fare in modo che gli iraniani imparassero “la lezione” (“When we went in, we wanted to ensure that Iran 
didin’t win that war from Iraq. That was our real objective, and so we were doing a lot of things to ensure 
that we could teach the Iranians a lesson”). È comunque indubbio che il diretto coinvolgimento degli Stati 
Uniti nell’ultima fase della guerra e le varie azioni intraprese contro l’Iran siano state determinanti per la 
decisione iraniana di accettare il cessate il fuoco richiesto dalla ris. 598(1987) del Consiglio di Sicurezza. 
5
 Ris. 598(1987) del 20 luglio 1987.  
Subito dopo l’aggressione da parte dell’Iraq nel 1980 il Consiglio di Sicurezza approva una generica 
risoluzione, esprimendo preoccupazione per la situazione che si sta profilando nella zona del Golfo 
Persico, senza però condannare l’aggressione irachena e senza richiedere il ristabilimento delle frontiere 
internazionali (ris. 479(1980) del 28 settembre 1980). Il rispetto delle frontiere e la cessazione delle 
ostilità vengono richieste solo quando, nel 1982, l’Iran respinge l’esercito iracheno e penetra in Iraq (ris. 
522(1982) del 4 ottobre 1982).  
Soltanto nel rapporto del 9 dicembre 1991 del Segretario generale dell’ONU Perez de Cuellar, si 
riconosce che l’attacco iracheno del 22 settembre 1980, non giustificabile sulla base della Carta dell’ONU 
o sulla base di regole o principi riconosciuti di etica internazionale, fa sorgere, in capo all’Iraq, la 
responsabilità del conflitto (“an outstandig event,…which cannot be justified under the Charter of the 
UN, any recognized rules and principles of international morality and which entails the responsability for 
the conflict”). 
Per il rapporto del 9 dicembre 1991: Report on Implementation of Security Council Res. 598/1987, UN 
Doc.S/23273. 
Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza sono reperibili all’indirizzo web: 
http://www.un.org/Docs/sc/unsc_resolutions.html. 
6
 La guerra Iran-Iraq viene normalmente indicata come Prima Guerra del Golfo, per distinguerla dalla 
Seconda Guerra del Golfo del 1990, che ha inizio il 2 agosto con l’invasione del Kuwait da parte 
dell’esercito iracheno.
4 
 
 
Inizialmente l’Iran stabilisce una zona di difesa attorno alle sue coste. L’Iraq, da parte 
sua, nell’ottobre del 1980 dichiara una “zona di guerra proibita” e più tardi stabilisce 
una “zona esclusiva navale” nella parte settentrionale del Golfo Persico. 
Nel 1984 l’Iraq incomincia ad attaccare navi cisterna che trasportano petrolio iraniano: 
si tratta dei primi episodi della “Tanker War”. Tra il 1984 e il 1988 numerose navi 
commerciali e navi da guerra di varie nazioni, incluse navi neutrali
7
, vengono attaccate 
da aerei, elicotteri, missili, navi da guerra e mine poste nelle acque del Golfo Persico. Il 
conflitto viene portato avanti da entrambi i belligeranti, peraltro con scarso rispetto delle 
norme della guerra marittima
8
. 
Numerosi Stati cominciano allora a prendere misure adeguate per la sicurezza delle loro 
navi nel Golfo Persico.  
Tra il 1986 e il 1987 il governo del Kuwait esprime preoccupazione per gli attacchi 
iraniani alle sue navi mercantili nel Golfo Persico e chiede agli Stati Uniti, Gran 
Bretagna e Unione Sovietica di dare protezione alle sue navi. Così la Compagnia delle 
Petroliere del Kuwait noleggia navi sovietiche e fa viaggiare quattro navi sotto la 
bandiera della Gran Bretagna e undici sotto la bandiera degli Stati Uniti. Inoltre, il 
governo americano fornisce una scorta navale alle navi del Kuwait battenti bandiera 
americana in transito nel Golfo Persico. Le missioni di scorta iniziano nel luglio 1987: è 
l’inizio dell’operazione “Earnest Will”, che si conclude nell’agosto del 1989. Altre 
potenze straniere, come Belgio, Francia, Olanda, Italia, intraprendono azioni parallele, 
mantenendo navi da guerra nella regione per proteggere il transito navale internazionale. 
Nonostante questi sforzi, molte navi sono comunque oggetto di attacchi. 
 
3.  Nel periodo della “Tanker War” si registrano i due episodi che sono alla base del 
ricorso presentato dall’Iran alla Corte Internazionale di Giustizia il 2 novembre 1992. 
Durante l’operazione “Earnest Will”, il 16 ottobre 1987 la Sea Isle City, nave 
kuwaitiana battente bandiera americana, viene colpita in acque territoriali del Kuwait da 
un missile “Silkworm”. Tre giorni dopo gli Stati Uniti, attribuendo l’attacco all’Iran, 
colpiscono i complessi petroliferi iraniani di Reshadat e Resalat
9
. Il 19 ottobre 1987 
quattro cacciatorpediniere della Marina Americana, con relativo supporto aereo, 
avvicinano la piattaforma principale del complesso del Reshadat, la R-7. Il personale 
iraniano viene avvisato via radio dell’imminente attacco e abbandona la struttura. 
Quindi, le forze americane distruggono la piattaforma. Successivamente, anche un’altra 
piattaforma del complesso, la R-4, viene fatta evacuare, per poi essere gravemente 
 
7
 Nel caso davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, gli Stati Uniti presentano nelle loro contro-
memorie una lista fornita dal Maritime Information Service della Lloyd, in base alla quale più di 
cinquecento navi, per la maggior parte appartenenti a Stati neutrali, risultano essere state vittime di 
attacchi durante la guerra. L’Iran, davanti alla Corte, nega la propria responsabilità per qualsiasi azione 
contro navi neutrali. Gli unici episodi che ammette riguardano navi che avevano rifiutato una legittima 
richiesta di ispezione da parte di forze iraniane (cfr. par. 23-24 della sentenza del 6 novembre 2003). 
8
 Il Consiglio di Sicurezza si limita a condannare la violazione del diritto umanitario e ribadire il diritto al 
libero commercio e navigazione dei neutrali nelle risoluzioni 540 del 31 ottobre 1983 e 552 del 1°giugno 
1984, ma senza specificare gli Stati responsabili. 
9
 Il complesso del Reshadat è composto da tre piattaforme di trivellazione e produzione, denominate 
rispettivamente R-3, R-4 e R-7, collegate a ventisette pozzi petroliferi. La piattaforma R-7, che 
comprende anche il centro operativo generale, grazie ad una conduttura sottomarina comunica con il 
complesso del Resalat, a sua volta composto da tre piattaforme. Il petrolio grezzo prodotto dai due 
complessi, dopo la separazione di acqua e gas, viene trasportato tramite una conduttura sottomarina 
all’isola di Lavan. Al momento degli attacchi, questi complessi sono in riparazione, a seguito dei danni 
riportati per precedenti attacchi. Davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, l’Iran afferma che i lavori 
di riparazione erano quasi completati quando gli Stati Uniti hanno lanciato l’attacco.
5 
 
 
danneggiata
10
. L’attacco militare è rivolto direttamente al complesso del Reshalat, ma 
anche le attività del connesso complesso del Resalat ne risentono profondamente. 
Davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, l’Iran afferma che la produzione dei due 
complessi viene interrotta per diversi anni a seguito degli attacchi. 
La natura dell’attacco e la sua presunta giustificazione vengono presentati dagli Stati 
Uniti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU in termini di legittima difesa
11
. In particolare, 
si sostiene che il complesso del Reshadat è un obiettivo legittimo, dal momento che ha 
ospitato forze militari iraniane impegnate in una serie di azioni militari contro navi e 
aerei appartenenti agli Stati Uniti e ad altri Stati non belligeranti. 
Il 14 aprile 1988 la nave da guerra USS Samuel B. Roberts tocca una mina in acque 
internazionali vicino al Baharain, mentre è di ritorno da una missione di scorta, subendo 
considerevoli danni materiali. Quattro giorni dopo, il 18 aprile 1988, le forze della 
marina americana attaccano i due complessi petroliferi di Nasr e Salman
12
, dopo aver 
fatto evacuare il personale presente sulle piattaforme. Davanti alla Corte Internazionale 
di Giustizia, l’Iran afferma che, in seguito agli attacchi subiti, le attività di produzione 
sono rimaste ferme per quattro anni. 
Gli Stati Uniti giustificano anche quest’operazione in termini di legittima difesa
13
. Si 
ribadisce che le piattaforme petrolifere sono un legittimo obiettivo militare, in quanto 
punto di riferimento per le forze militari iraniane
14
. 
 
 
Sezione Seconda   
Il procedimento davanti alla Corte Internazionale di Giustizia
15
 
 
 
 
10
 La piattaforma R-4 non è un obiettivo originariamente previsto dal piano di attacco americano: viene 
considerato al momento “a target of opportunity”. Lo si evince direttamente dal rapporto del Pentagono 
citato dalla stampa e mai smentito degli Stati Uniti. 
11
 Cfr. la Lettera del Rappresentante permanente degli Stati Uniti del 19 ottobre 1987 (S/19219), riportata 
al par 48 della sentenza del 6 novembre 2003. 
12
 Il complesso del Salman è composto da sette piattaforme, collegate a ventun pozzi petroliferi. Dopo la 
separazione iniziale di gas ed acqua, il petrolio grezzo viene trasportato, grazie ad una conduttura 
sottomarina, all’isola di Lavan. Il complesso, dopo due attacchi nel 1987, nell’aprile del 1988 è ancora in 
riparazione. Il complesso di Nasr è anch’esso composto da sette piattaforme, collegate a quarantotto pozzi 
petroliferi. Il petrolio grezzo viene trasportato , sempre da una conduttura sottomarina, all’isola di Sirri. Il 
complesso è funzionante nell’aprile del 1988. 
13
 Cfr. la Lettera del Rappresentante permanente degli Stati Uniti del 18 aprile 1988 (S/19791), riportata 
al par 67 della sentenza del 6 novembre 2003. 
14
 Gli attacchi ai complessi Salman e Nasr fanno parte di una più estesa operazione militare, denominata 
“Praying Mantis”, condotta dagli Stati Uniti contro una serie predeterminata di obiettivi militari iraniani. 
Durante l’intera operazione vengono colpiti, fra gli altri, fregate, navi e aerei iraniani. 
15
 Per i commenti alla sentenza: Bekker, P. H. F. The World Court Finds that U.S. Attacks on Iranian Oil 
Platforms in 1987-1988 were not Justificable as Self-Defense, but the United States did not Violate the 
Applicable Treaty with Iran in ASIL Insights in www.asil.org/insights/insigh119.htm; Gattini, A. La 
legittima difesa nel nuovo secolo: la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia nell’affare delle 
Piattaforme Petrolifere in Rivista di Diritto Internazionale, 2004, vol. 82, fasc. 1, pp. 147-170; Jouannet, 
E. Le Juge International Face aux Problemes d’Incoherence et d’Instabilite du Droit International – 
Quelques Réflexions à Propos de l’Arrêt CIJ du 6 novembre 2003, Affaire des Plates-Formes Pétrolières 
in Revue Générale de Droit International Public, 2004, vol. 108, fasc. 4, pp. 917-948; Kammerhofer, J. 
Oil’s Well that Ends Well? Critical Comments on the Merits Judgement in the Oil Platforms Case in 
Leiden Journal of International Law, 2004, vol. 17, fasc. 4, pp. 695-718; Raab, D. Armed Attack after the 
Oil Platforms Case in Leiden Journal of International Law; 2004, vol. 17, fasc. 4, pp. 719-735; Small, D. 
H. The Oil Platforms Case: Jurisdiction through the - Closed - Eye of the Needle in The Law and 
Practice of International Courts and Tribunals, 2004,vol. 3, fasc. 1, pp. 113-124.