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Introduzione
Il decreto legislativo n.150 del 27 Ottobre 2009 con il quale il IV 
Governo Berlusconi ha dato attuazione alla legge delega n.15 del 4 
Marzo 2009 finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro 
pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche 
amministrazioni, è l’ultimo in ordine di tempo tra gli interventi 
legislativi che a partire dall’inizio degli anni ’90 si sono succeduti in 
materia di pubblico impiego. 
Tale decreto, altresì noto come decreto Brunetta, dal nome del 
Ministro della Pubblica Amministrazione e dell’Innovazione, che lo 
ha fortemente voluto e altrettanto caparbiamente sostenuto, è stato 
proposto all’opinione pubblica alla stregua di un rimedio taumaturgico 
da applicare come cura per  tutti i mali della pubblica 
amministrazione.
I promotori del progetto legislativo hanno, infatti, presentato la 
riforma con toni propagandistici, parlando di rivoluzione copernicana 
al servizio dei cittadini. Non eccezionalmente, l’annuncio delle misure 
ha avuto un forte riscontro presso i mass media e l’opinione pubblica, 
alimentando un’interessante riflessione collettiva che ha visto come 
protagonisti  esponenti del mondo politico, delle associazioni sindacali 
e della società civile. Dal dibattito e dalle indagini demoscopiche che 
sono state condotte parallelamente è emerso un generale 
apprezzamento da parte dei cittadini nei confronti del progetto di 
riforma. 
Tale consenso, in realtà, non ha del sorprendente: le disfunzioni e lo 
scarso rendimento delle pubbliche amministrazioni contrastano così 
palesemente con i “privilegi” di cui godono i dipendenti pubblici
5
rispetto ai lavoratori del settore privato, specialmente in tempi di crisi 
economica come gli attuali, che non v’è da stupirsi se i cittadini 
abbiano accolto con favore un progetto dal carattere a tratti punitivo 
nei confronti dei c.d. nullafacenti.
Il governo Berlusconi ha, infatti, cavalcato l’onda di una polemica 
innescata anni prima e mai assopitasi, dal Senatore di opposizione e 
Professore di diritto del lavoro, Pietro Ichino il quale più di chiunque 
altro ha incarnato nell’immaginario collettivo la figura dell’alfiere 
della lotta ai fannulloni
1
. Fu infatti il professor Ichino, dalle colonne 
del Corriere della Sera, in un’apposita rubrica denominata “Diario 
minimo del lavoro” nell’Agosto del 2006, a proporre l’effettiva 
applicazione della sanzione del licenziamento per i lavoratori del 
settore pubblico che difettassero di impegno personale e competenze 
professionali, al pari di quanto avviene normalmente nel settore 
privato. L’intervento di Ichino  si inseriva in un dibattito apertosi 
all’indomani dell’insediamento del governo Prodi sulla opportunità o 
meno di ridurre la spesa pubblica e sulle modalità più consone per 
raggiungere tale obiettivo.
Al fine di rimediare alle inefficienze della pubblica amministrazione, 
Ichino   sostenne la necessità di introdurre moduli di gestione del 
personale improntati alla cultura della misurazione, della valutazione e 
della rendicontazione dei risultati, sulla base dei quali premiare i 
meritevoli e sanzionare i nullafacenti.
La proposta del Senatore Ichino, pur non originale nel contenuto, ha 
avuto il merito di riportare al centro del dibattito un argomento 
spinoso (la valutazione della perfomance nelle P.A.) con il quale, 
1
 CINELLI-FERRARO. Lavoro, competitività, welfare : dal d.l. 112/2008 alla riforma del lavoro 
pubblico, in Il nuovo Diritto, Tomo Secondo  cit. pag. 229.
6
periodicamente e in maniera fallimentare (nonostante i buoni 
propositi), le diverse forze politiche succedutesi alla guida del paese, 
hanno dovuto confrontarsi.
La riforma Brunetta si situa lungo questo solco. Facendo propri 
principi di natura aziendalista, essa si propone, infatti, di introdurre 
all’interno della pubblica amministrazione principi e moduli 
organizzativi e gestionali, propri del settore privato al fine di pervenire 
come annunciato all’art.1 c.2 a una migliore organizzazione del lavoro 
e  ad elevati standard qualitativi ed economici delle funzioni e dei 
servizi. La riforma è infatti fortemente orientata alla customers’ 
satisfaction: il cittadino-utente viene pertanto posto al centro della 
programmazione degli obiettivi in quanto, contribuendo con il 
prelievo fiscale al finanziamento della pubblica amministrazione, 
vanta nei confronti di quest’ultima dei veri e propri diritti soggettivi. 
Nell’ottica del riformatore, la customers’ satisfaction implica inoltre il 
diritto dei cittadini alla trasparenza totale, ovvero, il diritto ad ottenere 
informazioni che riguardano l’organizzazione, i costi dei servizi, i 
trattamenti economici erogati, tout court il funzionamento generale 
dell’amministrazione. Assume, di conseguenza, un ruolo 
fondamentale il monitoraggio costante delle diverse fasi di gestione 
del ciclo della performance i cui momenti topici sono costituiti dalla 
misurazione, dalla valutazione e dalla rendicontazione dei risultati. La 
misurazione e la valutazione non sono, tuttavia, funzioni orientate 
esclusivamente alla rendicontazione esterna dei risultati: esse 
costituiscono strumenti di controllo interno ovvero fungono da leve 
per la valorizzazione dei meriti e per la sanzione delle condotte 
immeritevoli. Il decreto Brunetta si fa promotore, infatti, della 
diffusione all’interno delle pubbliche amministrazioni dell’ideologia
7
meritocratica, introducendo nella normativa un significativo apparato 
di strumenti premianti e sanzionatori che ha come scopo principale 
quello di contrastare la prassi ormai consolidata della distribuzione 
generalizzata, ovvero a pioggia, dei premi legati alla produttività. “La 
meritocrazia è considerata sostanzialmente una tecnica di gestione 
aziendale; è intesa, secondo i casi, nel senso di incentivo alla 
produttività individuale o di lotta al malcostume impiegatizio; i suoi 
strumenti sono la retribuzione di risultato e i procedimenti 
disciplinari”.
2
 
Oltre alla customers’ satisfaction e alla meritocrazia altro punto 
caratterizzante la riforma è il nuovo rapporto tra legge e 
contrattazione. La dottrina ha parlato in proposito, e non a torto, di 
ripubblicizzazione o de contrattualizzazione  del rapporto di pubblico 
impiego volendo indicare con tali espressioni il restringimento degli 
ambiti riservati alla contrattazione e il contemporaneo ampliamento 
degli ambiti e delle materie sottoposte al dominio della legge. Pur non 
arrivando al ribaltamento di uno dei principali cardini del processo di 
riforma avviato con il d. lgs. 29/93 ovvero la privatizzazione del 
rapporto di pubblico impiego, il decreto Brunetta riconduce entro 
ambiti e confini ben precisi gli spazi della contrattazione, evitando che 
essa assuma un ruolo preponderante e che si espanda al punto da 
dettare la disciplina su tutti gli aspetti e le principali scelte 
organizzative e ciò perché “la contrattazione collettiva e in particolar 
modo quella integrativa è stata in passato, eccessivamente  pervasiva, 
meramente distributiva di risorse, per lo più a pioggia, e 
2
 CIMINO BENEDETTO. Il merito e la responsabilità, in Giornale di diritto amministrativo n. 5/2009, 
cit. pag. 479.
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insoddisfacente nel realizzare i risultati ad essa delegati.”
3
 Le misure 
previste in materia di contrattazione mirano pertanto a un 
contenimento della spesa pubblica e contemporaneamente ad un uso 
più virtuoso delle risorse a disposizione.
La logica di fondo che, pertanto, ispira l’intero provvedimento non è 
molto dissimile da quella che ha animato i periodici progetti di 
riforma della pubblica amministrazione. Sin dal 1993, infatti, 
l’obiettivo perseguito dai vari governi che si sono succeduti alla guida 
del paese è stato sempre quello di ottimizzare la produttività del 
lavoro pubblico e l’efficienza e la trasparenza delle pubbliche 
amministrazioni.
Ciò che, invece, desta perplessità è “il metodo prescelto per 
l’agognato cambiamento delle logiche di gestione della pubblica 
amministrazione: non diversamente dalle altre volte, infatti, la riforma 
legislativa è stata propugnata come uno strumento indispensabile per 
perseguire le finalità di miglioramento della macchina 
amministrativa.”
4
La disciplina dell’impiego pubblico è stata, infatti, dopo la 
privatizzazione introdotta nel 1992-1993 sottoposta a una serie 
interminabile di modifiche e ritocchi. “Basti pensare che il primo testo 
legislativo -il d. lgs. 3 febbraio 1993, n. 29- è stato, nei suoi otto anni 
di vigenza, modificato da parte di almeno una decina di leggi e decreti 
legislativi. E che il successivo e, attuale, testo di riferimento- il d. lgs. 
30 marzo 2001, n.165- nonostante fosse stato emanato in sostituzione 
del precedente per la necessità di realizzare il riordino e la 
3
 CINELLI-FERRARO. Lavoro, competitività, welfare : dal d.l. 112/2008 alla riforma del lavoro 
pubblico, in Il nuovo Diritto, Tomo Secondo  cit. pag. 238.
4
TROJSI ANNA. Introduzione. Una nuova riforma del lavoro pubblico: le ripercussioni su regioni 
ed enti locali, in Le istituzioni del federalismo n. 5-6/2009 cit. pag. 649.
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razionalizzazione di una normativa diventata di difficile lettura, a 
causa dei numerosi interventi, e fosse stato pertanto concepito come 
una sorta di “testo unico” del pubblico impiego, è stato poi, a sua 
volta, già all’indomani della sua entrata in vigore e fino ad oggi 
(anch’esso in otto anni, dunque), rimaneggiato da parte di addirittura 
poco meno di trenta provvedimenti legislativi.”
5
Tra l’altro la disciplina di rango legislativo deve essere coordinata con 
quella relativa all’impiego in alcune aree peculiari 
dell’amministrazione- sanità, scuola, nonché naturalmente Regioni e 
Enti locali- e con la disciplina del rapporto di lavoro e delle relazioni 
sindacali contenuta nei vari contratti collettivi.
Data questa molteplicità di fonti regolative, viene dunque da chiedersi 
se il decreto n. 150/2009 fosse proprio necessario ovvero se non 
sarebbe stato più opportuno semplificare e ridurre la normativa 
previgente e agire in modo che le disposizioni ivi contenute non 
rimanessero lettera morta ma fossero applicate senza distorsioni.
Ad ogni modo, il “virus riformatore”
6
 non ha risparmiato l’ultimo 
governo. Ciò che, dunque, occorre fare è stare a vedere se attraverso il 
mero cambiamento delle regole (alle quali stavolta viene attribuito 
carattere taumaturgico) possa finalmente realizzarsi quel cambiamento 
epocale di cultura dell’amministrazione da più parti auspicato. 
Purtroppo la recente manovra finanziaria varata dal governo con il d. 
l. n. 78/2010, ha procrastinato di alcuni anni, la piena entrata in vigore 
della riforma Brunetta. Infatti, tale provvedimento ha disposto il 
blocco della contrattazione collettiva nazionale e integrativa per il 
triennio 2010-2012 posticipando, di fatto, l’entrata in vigore 
5
 Ivi, cit. pag. 647.
6
 L’espressione è di ANNA TROJSI.
10
dell’intero titolo III del decreto n. 150/2009 le cui disposizioni sono 
tra le più significative tra quelle introdotte.
Non resta, dunque, che attendere il 2013.
                              
Obiettivo di questo lavoro è quello di presentare le principali novità 
introdotte  in materia di pubblico impiego dal decreto legislativo n. 
150/2009, c. d. decreto Brunetta, avendo riguardo, in particolar modo 
agli aspetti relativi alla valutazione della performance e al sistema di 
premi  ad essa connesso.
Nel primo capitolo ci occuperemo della presentazione del decreto 
focalizzando l’attenzione sulle sue caratteristiche e aspirazioni 
generali. Ne analizzeremo, dunque, la struttura, i principi ispiratori e 
gli ambiti di intervento.
Il secondo capitolo sarà dedicato al tema della valutazione. In 
particolar modo l’attenzione sarà focalizzata sul ciclo di gestione della 
performance, sul processo di valutazione, sui soggetti della 
valutazione.
Il terzo capitolo avrà invece come scopo quello di illustrare i criteri di 
differenziazione delle valutazioni e gli strumenti di premialità 
introdotti dal legislatore.
Il quarto capitolo avrà ad oggetto, invece, l’applicazione delle 
disposizioni del titolo II, relativo alla “Misurazione e alla Valutazione 
della performance”, nonché quelle del titolo III relativo a “Merito e 
Premi”, al sistema delle autonomie territoriali. In particolar modo, si
11
tratterà del riparto di competenze tra Stato, Regioni ed enti locali in 
materia di pubblico impiego, delle tecniche usate dal legislatore al fine 
dell’adeguamento della disciplina generale alla realtà delle autonomie 
locali e della prima giurisprudenza prodotta al riguardo.
L’ultimo capitolo di questo lavoro sarà dedicato, infine, alla recente 
manovra finanziaria varata dal governo con il d.l. n. 78/2010 la quale 
ha predisposto ingenti tagli alle spese per il personale della pubblica 
amministrazione nonché il blocco della contrattazione collettiva 
nazionale e integrativa per il triennio 2010-2012 procrastinando 
l’ingresso in vigore delle disposizioni del titolo III del decreto 
Brunetta, al 2013.
12
Capitolo I.
          
                                            “La société a le droit de demander compte 
à tout  Agent public de son administration.” 
Articolo XV , Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, 1789.
I. Il decreto Brunetta tra innovazione e continuità
Il decreto legislativo n. 150 del 27 Ottobre 2009 con il quale il 
governo ha dato attuazione alla legge delega n. 15 del 4 Marzo 2009 
in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e 
efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, è un 
provvedimento di ampio respiro che mira a riformare in maniera 
organica la disciplina pregressa in materia di pubblico impiego. Tale 
provvedimento interviene, infatti, su tutti i principali aspetti del 
rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni 
dettando una nuova disciplina in materia di rapporto tra fonte legale e 
fonte contrattuale, contrattazione integrativa, dirigenza, valutazione 
del personale e delle strutture, sistemi premianti, sanzioni disciplinari. 
Si tratta, pertanto, di un provvedimento che interviene a tutto campo 
proponendosi di sciogliere i nodi che si sono ingarbugliati nell’ormai 
ventennale processo di riforma della pubblica amministrazione 
avviato all’inizio degli anni ’90.
L’ i n t e n z i o n e p i ù v o l t e p r o c l a m a t a d a l M i n i s t r o d e l l a P u b b l i c a 
Amministrazione e dell’Innovazione, Renato Brunetta, “un professore 
d’economia prestato da tempo alla politica, una persona competente, 
decisa fino all’irruenza, determinata a lasciar traccia di sé, portata a 
fare le cose in grande, con l’innata voglia ancor più che di convincere,
13
di sbalordire per la rapidità e l’efficacia dell’azione intrapresa,”
7
 è, 
infatti, quella di portare a termine “il  percorso riformatore iniziato nei 
primi  anni ’90, con la progressiva contrattualizzazione del lavoro 
nelle pubbliche amministrazioni e la netta distinzione tra le funzioni 
politiche, di indirizzo e controllo, e l’autonoma responsabilità della 
dirigenza per la gestione amministrativa.”
8
Se, e con quali esiti, tale percorso sarà portato a termine è, ad oggi, 
ancora da vedere e molto dipenderà dal modo in cui le nuove regole 
verranno percepite e applicate, ovvero dall’atteggiamento che tutti gli 
attori del sistema coinvolti  -vertice politico, dirigenza, sindacati, 
personale pubblico-  avranno nei loro confronti. 
Tralasciando quest’aspetto, un primo elemento sul quale è possibile 
soffermarsi e riflettere è costituito dalla collocazione del decreto in 
esame nel quadro dell’ormai ventennale processo di riforma del 
pubblico impiego.
Come anticipato nel titolo, il decreto Brunetta presenta elementi di 
continuità ed elementi di innovazione o, per meglio dire di rottura, 
rispetto all’assetto emergente dalle precedenti fasi di riforma. 
In merito alle novità introdotte dal legislatore, parte della dottrina ha 
paventato il ritorno ad una regolazione pubblicistica del rapporto di 
pubblico impiego, tant’è che sempre più frequentemente nel dibattito 
hanno trovato spazio espressioni quali ripubblicizzazione,  
rilegificazione e de-contrattualizzazione. La riforma, tuttavia, non 
7
 CARINCI FRANCO. La privatizzazione del pubblico impiego alla prova del terzo governo 
Berlusconi: dalla l. n. 133/2008 alla l. d. n.15/2009 in  WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, IT 
-88/2009, cit. pag. 4.
8
BARRERA PIETRO. La rivincita della legge sul contratto: un’altra idea di amministrazione 
pubblica, relazione al seminario promosso dalla Fondazione Luoghi Comuni e dalla Cgil Fp su “Il 
ritorno della legge per dominare il lavoro pubblico: dove ci portano le (contro)riforme del 
governo?” tenutosi a Roma il 3 Dicembre 2008 cit. pag. 1-2.
14
rimette in discussione il principio cardine delle precedenti fasi di 
riforma: il rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche 
amministrazioni continua, infatti, ad essere disciplinato dalle 
disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle 
leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, con l’innesto, 
però, delle disposizioni dettate dal decreto lgs n. 150/2009 cui viene 
riconosciuto carattere imperativo. Pertanto, sembra inopportuno 
parlare di ripubblicizzazione del rapporto di pubblico impiego 
sebbene, invece, si possa convenire in merito all’utilizzo di termini 
quali de-contrattualizzazione e rilegificazione.
“La riforma si caratterizza, infatti, per il forte ridimensionamento della 
“capacità generale” in precedenza riconosciuta alla contrattazione 
collettiva e per l’ampio recupero di “potere unilaterale” in capo alle 
amministrazioni-datrici di lavoro pubblico, all’insegna di quello che è 
stato definito il “governo meritocratico” della pubblica 
amministrazione.”
9
 
Il decreto Brunetta, infatti, ridefinisce il rapporto tra legge e 
contrattazione collettiva; lo spazio riservato a quest’ultima viene 
fortemente eroso a vantaggio della fonte legislativa cui viene 
riconosciuta la competenza esclusiva nel disciplinare numerosi aspetti 
che prima erano lasciati all’autonoma capacità negoziale delle parti. In 
particolar modo, secondo quanto disposto dall’art.54 del decreto n.
150, sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti 
all'organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione 
sindacale ai sensi dell'articolo 9, quelle afferenti alle prerogative 
dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la materia del 
conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali, nonché quelle 
9
D’AURIA GAETANO. Il nuovo sistema delle fonti: legge e contratto collettivo, Stato e autonomie 
territoriali, in Giornale di diritto amministrativo n.1/2010, cit. pag. 1.
15
di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, 
n. 421. Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla 
valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del 
trattamento accessorio, della mobilità e delle progressioni 
economiche, la contrattazione collettiva e' consentita negli esclusivi 
limiti previsti dalle norme di legge. 
La rilegificazione di numerosi ambiti materiali e di istituti fin qui 
normati dai contratti nazionali di lavoro- dai percorsi di carriera ai 
sistemi premianti-  costituisce un implicito giudizio negativo nei 
confronti delle precedenti fasi di riforma ma, rappresenta nel 
frattempo un elemento distonico laddove si tenga in considerazione 
che il primo tra gli obiettivi elencati nella legge delega era appunto 
quello di realizzare la convergenza degli assetti regolativi del lavoro 
pubblico con quelli del lavoro privato, con particolare riferimento al 
sistema di relazioni sindacali.
Inoltre, essa tradisce un certo scetticismo circa la “capacità auto-
riformatrice della pubblica amministrazione,che la privatizzazione 
aveva creduto di poter ritrovare in una dirigenza rilegittimata e 
riqualificata ed in una controparte disposta a condividere la 
scommessa di una maggiore efficienza.”
10
  
Pertanto, a dispetto di un altro degli obiettivi che figurava nella legge 
delega n.15/2009 ovvero quello di dotare la dirigenza di maggiore 
autonomia nella gestione delle risorse umane e finanziarie, il decreto 
finisce per comprimerne lo spazio d’azione a causa di una disciplina 
eccessivamente dettagliata. 
10
 CARINCI FRANCO. La privatizzazione del pubblico impiego alla prova del terzo governo 
Berlusconi: dalla l. n. 133/2008 alla l. d. n.15/2009 in  WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, IT 
-88/2009, cit. pag. 7.
16
Per quanto riguarda, invece, gli elementi di continuità, il fil rouge che 
mette in connessione la riforma in esame con le precedenti è 
rappresentato dalle finalità perseguite.
Alla base del decreto Brunetta c’è infatti ancora una volta la volontà di 
realizzare riduzioni del costo del lavoro, incrementi della produttività 
del lavoro e miglioramenti dell’efficienza organizzativa delle strutture 
pubbliche. Per utilizzare una terminologia cara alle precedenti fasi di 
riforma: efficacia, efficienza ed economicità dell’azione 
amministrativa. Tali finalità, pertanto, “non sono in contraddizione 
con quelle generali identificate nel corso delle varie fasi della riforma 
e ormai codificate nel d. lgs n. 165/2001, il che denota come il 
legislatore, pur intervenendo in modo penetrante su numerosi aspetti 
della regolamentazione  giuridica del lavoro pubblico, si sia mosso 
comunque in continuità d’obiettivi con quelli perseguiti nelle 
precedenti fasi.”
11
Ne consegue, dunque, che all’interno del decreto convivono due 
diversi orientamenti, uno volto alla conservazione e l’altro 
all’innovazione, il che determina un quadro caratterizzato da non 
poche incoerenze e contraddizioni. 
Ciò che sembra emergere è, ad ogni modo, un modello di gestione 
della pubblica amministrazione di tipo neo-autoritario e formalistico-
burocratico in cui è la legge a definire in maniera puntuale tutti gli 
aspetti relativi alla gestione delle risorse umane -dalla valutazione ai 
sistemi premianti-comprimendo fortemente lo spazio riservato alla 
dirigenza (costretta al ruolo di mero esecutore di scelte operate 
altrove) e all’autonomia contrattuale delle parti.
11
CARABELLI UMBERTO. La riforma Brunetta: un breve quadro sistematico delle novità legislative 
e alcune considerazioni critiche, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”. IT – 101/2010, cit. pag. 
6-7.