“Importante, nello sport, è aver qualcosa in cima ai muscoli ed 
alle ossa che fanno l’atleta, ma anche in cima alle ossa e ai 
muscoli che fanno il dirigente e lo spettatore
1
”. 
 
Questo diceva Brera
2
nel 1962, ma  come tante altre riflessioni 
sullo sport fatte da lui e da altri esperti, deve essere finita nel 
dimenticatoio, se mai è stata presa in considerazione. Già in 
quei favolosi anni ’60, età dell’oro dello sport italico, delle 
Coppe Internazionali di Milan e Inter e delle Olimpiadi di 
Roma, si guardava agli sportivi e ai calciatori in particolare 
come a individui che troppo facilmente mutavano classe 
sociale, venendo inoltre idolatrati dalla gente e dai mass media. 
Sandro Mazzola, stella dell’Internazionale e della Nazionale di 
quei tempi, proprio recentemente ha dichiarato in televisione 
che in effetti anche in quegli anni i giocatori percepivano 
ingenti somme di denaro, paragonabili in proporzione a quelle 
di adesso
3
, e negando perciò la tesi che oggi il mondo dello 
sport sia tanto lontano dal passato. Oggi ci troviamo ad avere 
società che hanno il profitto come fine e il soldo come idolo, e 
la passione non è più tutto: il tifo, come il tifoso, non basta più.    
   Le società sportive sono aziende, e come tali agiscono e 
operano nei mondi economico e sportivo: Uffici Marketing e  
Uffici Comunicazione, addetti stampa e tanti sponsor, fornitori, 
collaboratori e partner. Il mondo dello sport si è dunque 
intersecato col mondo economico, creando un sottoinsieme 
dove gli elementi, gli attori diciamo, sono quelli di sempre 
(dirigenti, atleti, tifosi), ma in cui le leggi dominanti sono 
quelle imprenditoriali. Internazionale e Juventus cambiano lo 
stemma per avere un maggior appeal, il Brescia utilizza un 
elemento grafico (la “V” bianca) nel logo e sulle divise 
assecondando il main-sponsor, e uomini di sport creano un 
proprio logo da utilizzare nel merchandising, come Valentino 
Rossi con “Doctor Rossi 46”, Ronaldo con il marchio“R9” o 
 7 
 
Vieri con la firma “Bobo32”. Questo lavoro si propone di 
analizzare l’utilizzo del logo da parte delle società sportive 
italiane, nella comunicazione in tutti i suoi aspetti e nel 
marketing sportivo quando presente.  
   Attraverso la consultazione di testi e siti internet, si è 
ricostruito storicamente lo sviluppo dello sport dalla sua nascita 
ai giorni nostri, passando per la Grecia antica dello sport 
idealizzato, l’Egitto dei Faraoni ed il lontano Oriente, culle 
delle competizioni e dei giochi sportivi, i bagordi 
caratterizzanti le feste etrusche ed i ludi dei Romani, 
soffermandosi anche sui Tailteann Games irlandesi e gli 
Highland Games scozzesi, contemporanei alle Olimpiadi 
classiche. In seguito si è analizzata la storia dei Giochi 
Olimpici moderni, sia cronologicamente che in base allo 
sviluppo della comunicazione nel mondo sportivo, rilevando in 
particolare come quest’ultima si sia sviluppata decisamente a 
partire dall’edizione nazista di Berlino 1936. Ci si è inoltre 
soffermati sull’analisi delle diverse concezioni comunicative 
che portarono alla creazione di logo e mascotte di Mosca ’80 e 
Los Angeles ’84, inquadrando anche socio-politicamente 
queste diversità. Questo è risultato utile per inquadrare ad un 
primo livello l’argomento della tesi, al fine di potersi poi 
addentrare più efficacemente nello studio delle singole società.   
   Successivamente si è visto ciò che ha significato in passato e 
quello che oggi rappresenta la pratica sportiva nel nostro Paese, 
rilevando come il calcio sia diventato lo sport dominante non 
solo per l’interesse che suscita ed il coinvolgimento degli 
appassionati, ma anche per l’attenzione che i mass media, la 
politica e le aziende rivolgono ad esso. Il passaggio del football 
da sport di nicchia a disciplina che adombra tutte le altre, è 
stato ricostruito osservando l’evoluzione dei club 
professionistici sia dal punto di vista storico che da quello 
economico, delineando una situazione attuale nella quale il 
 8 
 
risultato sportivo è importante quanto quello di bilancio. Non è 
stata fatta una disamina morale della questione, bensì  una 
semplice analisi del panorama nazionale, necessaria per capire 
l’importanza per le “aziende” sportive di un ottimale utilizzo di 
strategie comunicative e di marketing, ed in particolare di 
quelle legate al logo.  
   Si è poi deciso di ricostruire l’evoluzione grafica dei marchi, 
dai fabbricanti di mattoni dell’Egitto e della Mesopotamia, 
passando per i cartai medievali, le sigle giapponesi, il padre 
della pubblicità, Touluse-Lautrec, e giungendo allo studio delle 
diverse tipologie di marchio e del relativo linguaggio visivo. A 
riguardo, si è portato l’esempio della creazione del logo 
celebrativo per i 700 anni dell’Università “La Sapienza” di 
Roma. Sono stati poi esposti a grandi linee i fondamenti 
necessari per l’attuazione di adeguate azioni di comunicazione 
e marketing nel mondo dello sport, riportando anche le 
esperienze di Manchester United e Sportfive, ai massimi livelli 
in questi campi. Il Manchester United è la società che prima ha 
creduto nell’applicazione delle teorie comunicative e di 
marketing nel mondo del calcio, risultando vincente nella 
scommessa e ottenendo tuttora grandi benefici da tutti i 
progetti posti in essere dagli anni ’90. Lo studio fatto su 
Sportfive è invece decisivo per capire il mondo sportivo 
odierno e nel dettaglio quello calcistico, con la rilevanza 
assunta dai diritti televisivi, dagli stadi multifunzionali, e 
dall’immagine societaria strettamente legata allo stemma dei 
club.  
   Nel terzo capitolo sono prese in considerazione le società 
sportive italiane,  studiate approfonditamente sia nella globalità 
del loro operare che singolarmente nel dettaglio delle proprie 
azioni. Di una decina di esse si è ricostruita la storia dalla 
fondazione ai giorni nostri, per permettere al lettore di 
inquadrare specificamente il contesto ed il background socio-
 9 
 
culturale in cui il singolo club si trova inserito e da cui deve 
partire per le proprie operazioni comunicative. Si è spesso 
messo in evidenza il rapporto coi tifosi, nelle accezioni positive 
come per i tifosi del Genoa Cricket and Football Club, che 
collaborano fortemente con la società, ed in quelle negative 
come per gli Irriducibili della S.S. Lazio, che causano danni 
economici con il loro comportamento negli stadi ed il proprio 
merchandising, concorrente di quello ufficiale. Per ogni 
squadra sono stati analizzati graficamente e dal punto di vista 
comunicativo i loghi adottati negli anni e la loro evoluzione, 
giungendo allo stemma attualmente in uso ed ai loghi paralleli 
creati dalle società, in particolare per marketing e 
merchandising. Nei paragrafi 3.6, 3.7 e 3.9 ciò è stato fatto con 
dovizia di particolari, anche perché i club in essi trattati, F.C. 
Internazionale Milano, A.C. Milan, Juventus F.C. e S.S. Lazio 
sono gli esempi massimi presenti nel panorama nazionale. 
   Si noterà che sono state prese in considerazione quasi 
unicamente società di calcio: questo si deve al fatto che è 
questa la disciplina sportiva la cui diffusione permette 
investimenti (anche se spesso minimi) in questi settori. Si è 
comunque rilevato che club di diverse categorie o anche della 
medesima adottano strategie molto differenti, nella 
comunicazione come nel marketing, nel merchandising e nella 
filosofia societaria che muove le iniziative legate a logo e 
brand. Questa parte del lavoro è stata redatta grazie alle 
interviste personali, telefoniche e via e-mail rilasciate dal 
personale degli Uffici Marketing e Comunicazione di società 
sportive e Federazioni quali Internazionale Milano F.C., Torino 
Calcio, Rapallo Calcio Ruentes, Federazione Italiana Giuoco 
Calcio, Lega Calcio Serie A e B, U.S. Catanzaro, F.C. Parma, 
F.C. Juventus, F.C. Messina Peloro, Bologna F.C. 1909, 
Brescia Calcio, U.S. Lecce, Atalanta B.C., Pallacanestro 
Varese, Cagliari Calcio, Pro Patria Calcio, Canottieri Varese, 
 10 
 
Federazione Italiana Canottaggio, Reggina Calcio, A.C.F. 
Fiorentina, S.S. Lazio, Genoa C.F.C., U.C. Sampdoria, A.C. 
Milan, A.S. Livorno Calcio, A.C. Siena, U.S. Città di Palermo, 
Pallacanestro Olimpia Milano 1936, Federazione Italiana Sport 
Ghiaccio, e Hockey Club Junior Milano Vipers. 
   Oltre alle informazioni ottenute dai rappresentanti di tali 
società, tra i quali il Direttore Commerciale dell’Internazionale 
Marco Sabetta, ed i Responsabili della Comunicazione della 
maggioranza dei club sopra citati, il materiale informativo, 
esplicativo ed esemplificativo delle strategie comunicative 
delle suddette, su cui si è basato il lavoro è stato raccolto con 
diverse modalità. Libri, VHS, CD, CD-Rom e DVD di 
produzione ufficiale o meno, e riviste, brochures, depliants, 
volantini, manifesti, immagini
4
 e svariato altro materiale 
promozionale e pubblicitario prodotto dalle stesse o per conto 
di esse, oltre a quello già in possesso. Documenti e notizie di 
rilievo per la stesura di questa Tesi, la cui parte storica si basa 
anche su testimonianze di persone che hanno vissuto 
direttamente l’evoluzione dello sport italiano, sono stati 
ricercati sui maggiori quotidiani nazionali, sia on-line che in 
versione cartacea, e tramite dodici mesi di monitoraggio di 
molti siti internet ufficiali di club e Federazioni. Ci si è recati, 
per la redazione delle interviste, a Milano, Busto Arsizio, 
Varese, Bergamo, Bologna, Lecce e Formello, e attraverso lo 
studio degli elementi raccolti si è potuto verificare che le 
strategie comunicative delle società sportive, sono oggi poco 
più che ad uno stato embrionale. Questo nonostante i maggiori 
club calcistici italiani, Internazionale, Milan e Juventus, negli 
ultimi anni, siano cresciuti moltissimo rispetto agli altri e sia 
riscontrabile uno sviluppo in alcune società di minor caratura 
ed importanza, dove il personale di qualità può godere della 
fiducia, dell’apporto e degli investimenti della Proprietà e delle 
aziende partner. 
 11 
 
Da notare i positivi risultati ottenuti nell’utilizzo del logo 
ufficiale e di quelli paralleli da parte del Rapallo Calcio e della 
Pro Patria Calcio, nonostante la militanza in categorie non 
professionistiche, e da parte di U.S. Lecce e Atalanta B.C. per 
quanto riguarda i club di Serie A.  
   La situazione nel mondo sportivo italiano non è certo 
ottimale, ma come emergerà dalla lettura di queste pagine, vi 
sono comunque speranze per un miglioramento quantitativo e 
qualitativo dell’utilizzo del logo societario, nella 
comunicazione come nel marketing. 
    
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 12 
 
Note 
                                                 
1
 Gianni Brera, “I campioni vi insegnano il calcio”, 1962, Longanesi, 
Milano. 
2
Chi era Gianni Brera per il calcio, lo sport e il giornalismo in generale non 
sta a me raccontarlo in quanto non me ne sento sinceramente degno; riporto 
dunque il pensiero del giornalista Gianni Riotta, che così bene lo descrive: 
Scrittore truccato da cronista, utilizzó la giovanile frequentazione della 
letteratura quale tecnica per affrettare i tempi del giornalismo. Inventó così 
un linguaggio nuovo, colorato ed espressivo. Possedeva il gusto del ritratto 
proprio al narratore e la fantasia ludica del poeta ( chi è nato sul Po è 
"autorizzato a spendere fantasie"). Per raccontare le vicende "pedatorie" 
chiamava a soccorso la mitologia (famosa la sua musa Eupalla) e la 
memoria "biostorica" nel sangue delle squadre e degli allenatori. Chi non 
amava Brera lo accusava di scrivere sempre la stessa cosa. Ma "proprio 
quello era il trucco, il lettore si ritrovava come nell'Opera dei Pupi, la 
Commedia dell'Arte, l'epica classica". Fonte: sito www.brera.net 
3
 Mi riferisco qui alla polemica sul fallimento dell’Italia agli Europei di 
calcio 2004 nata tra Gigi Riva, ex calciatore ora nei quadri dirigenziali della 
Federcalcio, e Gianni Rivera, anch’egli ex giocatore, oggi politico; in 
particolare riassumo sopra il commento di Mazzola, opinionista ad Euro 
2004 per Rai Sport. 
4
 Le immagini riportate in questa Tesi sono perlopiù prese da alcuni dei siti 
internet citati nella Webgrafia, e da alcuni dei testi elencati nella 
Bibliografia. Altre sono scansioni di materiale di mia proprietà, mentre 
quelle in copertina e nella quarta di copertina, l’ultima nel paragrafo 3.6 e 
quelle introduttive dell’Indice, del Capitolo 3, della Bibliografia e della 
Webgrafia, riproducono foto scattate da me. Infine, nei sottoparagrafi 2.2.5 
e 3.6.3 le immagine riportate sono state  realizzate da me o con la mia 
collaborazione, come spiegato negli stessi.  
 13 
 
Capitolo 1 
 
La nascita dello sport 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 17
La parola “sport” è di derivazione inglese, risale al tardo 
‘800 e significa “divertimento”; la sua origine però viene 
fatta derivare dal francese arcaico “desport”, disporto, 
ovvero svago.  
   La nascita dello sport si può ricostruire attraverso le 
testimonianze che gli antichi ci hanno lasciato, 
volontariamente o meno: vasi, dipinti, incisioni, corredi 
funerari, tombe, documenti, cronache, miti…letteratura e 
poesia. Grandi antichi nelle loro opere narrano di Giochi, 
gare e competizioni: Filostrato ne “Sull’arte della 
ginnastica”, Teocrito negli “Idilli”, Pausania in 
“Descrizione della Grecia”, Sofocle in “Elettra”, ma 
soprattutto Omero
1
 sia nell’Iliade che nell’Odissea. Dagli 
agoni greci ai tornei medievali, passando per i ludi 
romani, si giunge diritti fino allo sport odierno, che 
ancora come alla sua nascita soffre della congiuntura con 
la politica e gli affari, i cui esempi più grandi sono dati 
rispettivamente dalle Olimpiadi del ’36 di Berlino e da 
quelle molto “Coca-Cola” di Atlanta ’96. 
   I primi sport sono ovviamente quelli legati alla forza 
fisica, ovvero la lotta, il nuoto, il sollevamento pesi: 
proprio quest’ultimo è probabilmente l’attività più antica, 
in quanto se ne hanno tracce in Cina nel 3000 a.C., 
ancora prima dell’antica disciplina del Kung-Fu arrivata 
da noi solo nel ‘700 tramite i racconti di un gesuita 
francese. Il sollevamento pesi era praticato anche dai 
greci, ma bisogna aspettare il ‘900 perché sia considerato 
universalmente disciplina sportiva; stesso discorso per la 
lotta, in uso da sempre nelle guerre, nelle celebrazioni di 
riti religiosi e nelle semplici dimostrazioni di forza. 
   Come disciplina, la lotta “greco-romana” ebbe molta 
importanza tanto che ancora oggi viene praticata: essa 
consiste nel cercare di atterrare l’avversario utilizzando 
solo le braccia e le mani aperte, senza l’uso delle gambe, 
 18
che non si possono nemmeno usare come appigli
2
; in 
antichità inoltre non esistevano né un tempo limite per il 
termine della contesa, né differenti categorie di peso per 
gli atleti. Le prime testimonianze del nuoto invece 
risalgono all’Egitto dei Faraoni, in cui si disputavano 
vere e proprie gare fluviali, presenti anche nelle 
tradizioni greca e romana seppur con delle diversità 
importanti. I greci praticavano il nuoto come attività 
sportiva o di allenamento fisico anche se non veniva 
considerata una disciplina olimpionica, mentre i romani 
erano soliti praticarlo anche vestiti con l’armatura; ci 
sono poi testimonianze del I° sec. d.C. di allenamenti ed 
esibizioni di nuoto artistico femminile a Roma. 
   La scherma già nel 1000 a.C. veniva praticata come 
esercizio d’abilità in Egitto, come testimoniato da alcuni 
bassorilievi dell’epoca; in quella terra inoltre nel 2000 
a.C. le donne si divertivano con giochi di palla e di 
acrobazie, oltre che cacciando. Donne che solo in quel 
Paese, oltre che in Grecia e Irlanda (rispettivamente con i 
Giochi Erei ed i Tailteann Games di cui scriverò in 
seguito), furono ammesse alle pratiche  sportive prima 
del 1400 (corse femminili in Germania). Considerando 
invece la Grecia, patria dell’attività sportiva e della 
nostra stessa civiltà, si può notare che ancora prima del 
776 esistevano delle competizioni territoriali. Esse erano 
spesso precedute da veri e propri ritiri, durante i quali per 
un mese gli atleti ed il loro staff (allenatore, 
massaggiatore…) si ritrovavano per uniformare le 
tecniche di esecuzione dei loro esercizi e delle proprie 
attività.  
   Passando alla nostra Penisola troviamo gli etruschi, 
popolo dalla civiltà molto particolare per il periodo 
storico in cui ebbe vita: gente non guerriera ma più che 
altro dedita ai gozzovigli
3
, con l’eguaglianza tra donne e 
 19
uomini e l’elezione del re in base al miglior spettacolo 
offerto. Ma con una devianza, e cioè la cruenza e l’amore 
per lo spargimento di sangue di schiavi e prigionieri, 
protagonisti dei giochi.  
   Difatti alle gare in onore delle divinità o di qualche 
defunto, in cui si svolgevano sport nobili
4
 quali il salto 
con l’asta, il lancio del peso, del giavellotto e del disco
5
, 
si univano anche i giochi gladiatori, in cui le vittime 
prescelte combattevano singolarmente o a squadre tra se 
stesse o contro animali. La passione per questi giochi fu 
si tramandò ai romani, che li inglobarono nei ludi 
circensi insieme alla caccia e alle esecuzioni delle bestie, 
facendoli diventare l’attrazione principale e celebrando in 
qualche caso i gladiatori
6
 come eroi. Poi vennero le 
numachie, le battaglie navali combattute in città (a piazza 
Navona a Roma, per esempio), in cui i soldati 
affrontavano gli schiavi (destinati alla sconfitta) in 
ripetizioni celebrative di battaglie del passato; 
successivamente furono creati veri e propri campi 
d’addestramento sportivo-militare per i giovani, i 
Collegia Juvenum, il più importante dei quali fu Campo 
Marzio.  
   Questi “collegi” erano lontanissimi per concezione 
dalle palestre greche: perseguivano obiettivi militari, e le 
attività principali consistevano nella formazione del culto 
del guerriero e nella pratica del combattimento “a mano 
armata”. 
 
 
 
 
 
 
 
 20
1.1 Le Olimpiadi antiche  
 
 
Il mito più famoso sulla nascita delle Olimpiadi antiche 
riguarda il re dell’Elide Enomao, che gareggiava nella 
corsa dei carri con i pretendenti della figlia Ippotamia, 
mettendo in palio la mano di lei contro la morte dello 
sfidante. Egli risultava sempre vincente perché 
gareggiava con carri divini ma Pelope, giovane eroe 
deciso a sposare Ippotamia, si presentò alla gara con carri 
identici a quelli di Enomao e lo sconfisse (anche perché 
aveva fatto allentare le giunture delle ruote del carro 
regale). Alla prima curva il carro di Enomao sbandò 
causandone la morte, e consegnandone dunque figlia e 
regno nelle mani di Pelope; questi fu ricordato come re 
tanto giusto da chiamare col suo nome  la regione del 
Peloponneso. 
   Tornando alla storia, i Giochi furono indetti per la 
prima volta dal re dell’Elide, Ifito, che per celebrare la 
sconfitta dei Piasti e la conquista dell’Elide fece 
disputare una corsa
7
 a Olimpia; era infatti usanza antica 
indire una competizione per celebrare un evento o una 
persona. Tale fu il successo che da allora, a distanza di 
quattro anni, le Olimpiadi furono un avvenimento 
costante nel quale venivano incluse progressivamente 
sempre più discipline. 
  Diventarono talmente importanti da fungere da 
riferimento per la conta degli anni: il 776 a.C. divenne “il 
primo anno dei primi Giochi”, il 772 a.C. il “primo anno 
dei secondi Giochi” e così via
8
. Fino al 452 a.C. furono 
organizzati in una sola giornata mentre in seguito le 
competizioni ebbero durata di cinque giorni, alternando 
 21
le gare a momenti di festa e celebrazioni tra cui il 
giuramento di lealtà degli atleti. 
Esistevano  quattro tipologie dei giochi “grandi”: in 
onore di Zeus si celebravano i Giochi Olimpici e quelli 
Nemei, in favore di Apollo quelli Pitici o Delfici, e gli  
Istmici erano per Poseidone (Nettuno); vi erano poi 
anche i giochi Erei
9
, esclusivamente per giovani donne 
poiché dedicati alla moglie di Zeus. 
   I Giochi Olimpici venivano annunciati per tutta la 
Grecia da araldi mandati dai principi, re o governanti 
della regione organizzatrice; e quando questi stessi capi 
di stato iniziarono a prendere parte in prima persona alle 
competizioni, allora interi stati, nazioni e popolazioni 
iniziarono a coinvolgersi totalmente. Addirittura, se nel 
periodo stabilito per le gare era in corso una guerra, vi 
era la “tregua sacra” che permetteva a tutti di 
parteciparvi
10
. Questo perché non si trattava solo di 
eventi sportivi, di gare fini a se stesse, ma vi era anche il 
coinvolgimento di poeti (ad esempio Erodoto), letterati e 
musicisti per la composizione degli inni e delle odi ai 
vincitori, e dei sacerdoti per le cerimonie di apertura e 
chiusura dei Giochi con riti e sacrifici per la divinità o il 
morto
11
 cui era dedicata la manifestazione. 
   Fino alla centesima Olimpiade del 376 a.C. però, le 
donne non potevano partecipare nemmeno come 
spettatrici ai Giochi, perché gli atleti gareggiavano nudi 
per sfuggire alle trattenute degli avversari, e da quella 
data sono tanti gli episodi che narrano del rapporto tra le 
donne e le Olimpiadi
12
. Un’ulteriore limitazione 
riguardava invece i bambini, che solo dal 632 a.C. 
poterono partecipare, e soltanto nelle competizioni 
atletiche o in quelle non cruente e che non richiedessero 
l’armatura. Ma assieme ai bambini e alle donne, con gli 
anni entrarono alle Olimpiadi anche altre cose meno 
 22
salutari; se la politica vi era dentro da sempre in quanto la 
vittoria di un atleta era la vittoria anche del suo 
“sponsor”, del suo mecenate e della sua nazione, ciò che 
entrò e rovinò i Giochi furono la corruzione e la 
mercificazione degli sportivi. 
   I vincitori di quel tempo infatti, non sono molto diversi 
dagli atleti di oggi: è vero che come premi essi non 
avevano nemmeno medaglie, bensì corone di ulivo (e non 
di alloro, erroneamente usate ad Atene 2004, destinate 
invece alle competizioni letterarie) e una benda “della 
vittoria”, simbolo di supremazia. Ma come avviene per i 
“nazionali” di oggi, i veri premi essi li ricevevano una 
volta tornati in patria dove venivano accolti come eroi; 
avere l’amicizia o l’appoggio di un atleta vincente, 
faceva comodo a molti politici del tempo: gli atleti 
finivano per ricoprire cariche prestigiose, quando non 
diventavano addirittura regnanti, come accadde al pugile 
armeno Varazdat
13
. Sotto i Romani, i Giochi persero 
molto della loro importanza anche perché quella 
sacralità, quella passione per la gara propria della civiltà 
ellenica, non era presente nei romani che preferivano il 
divertimento e la cruenza dei giochi gladiatori. 
Nonostante ciò, essi restaurarono Olimpia, costruendo 
nuove statue, nuovi campi e le terme. Pur divenuti man 
mano solamente occasioni per il gozzoviglio, le 
Olimpiadi furono celebrate sempre meno costantemente 
(mentre fino al 200 a.C. erano state rigorosamente ogni 
quattro anni), finchè dopo 1172 anni e 294 edizioni, nel 
396 d.C. l’imperatore Teodosio, anche per richiesta del 
vescovo di Milano Ambrogio, li cancellò dalle ricorrenze 
poiché considerati alla stregua di riti e feste pagane. Ci 
sarebbero voluti secoli per rivedere una Olimpiade; 
ovviamente accadde in Grecia.