scambio (per i contratti) o della ricerca (per le invenzioni). Se infatti produrre informazione – bene 
non rivale e non escludibile – costa molto, e invece trasmetterla costa relativamente poco, il primo 
fruitore è costretto a rivenderla ad altri al solo costo di trasmissione (problema della c.d. non-
appropriabilità): i produttori forniranno un ammontare insufficiente di informazione, dal momento 
che non ne possono ricevere l’esatto controvalore (infatti un mercato privato fornirebbe un’offerta 
inefficientemente bassa); e l’investitore non sarà di conseguenza incentivato al suo rinvenimento. 
Per controbilanciare questa duplice inattività, tuttavia, i detentori dell’informazione potrebbero 
aver interesse a mantenere privato il vantaggio, ottenendo profitti da investimenti speculativi: la 
qual cosa, mettendo a repentaglio il corretto funzionamento del mercato, costituisce appunto il 
casus belli che innesca l’intervento normativo. 
 
Alla luce di quanto detto, il problema può dunque essere inquadrato in un’ottica di contrappesi: 
“trovare la misura critica socialmente accettabile tra repressione di speculazioni eccessive ed 
eccessiva repressione di quel tanto di speculazione che sola stimola il reperimento di informazioni 
da parte degli intermediari”
6
. 
 
 
1.2 Il problema del concorso con la tutela amministrativa. 
 
In termini introduttivi della questione sulla ratio puniendi, che verrà approfondita infra § 2.3, è 
opportuno qui segnalare il problema centrale del concorso della sanzione penale con la tutela 
amministrativa. Talune fattispecie di nostro interesse disciplinate dal d.lgs. 58/1998, “Testo unico 
delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria” (d’ora in avanti TUF), recano infatti 
l’inciso iniziale «salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato»: il che significa, interpretando 
letteralmente, che “la sanzione amministrativa non [può pregiudicare] il procedimento penale 
quando i fatti siano sussumibili anche in una fattispecie di reato”
7
. 
 
La vera novità della Legge Comunitaria 2004 (L. 62/2005, con cui il legislatore ha adempiuto alla 
direttiva comunitaria in tema di trasparenza e sicurezza nei mercati finanziari) consiste proprio in 
una limitazione dei confini dell’illecito amministrativo; tale previsione ha legittimamente posto la 
dottrina di fronte all’interrogativo “se ed in che misura i confini [dell’illecito amministrativo] siano 
propri anche della fattispecie penale”
8
. Il riferimento per noi rilevante è, in particolare, agli artt. 
187bis TUF (sanzioni amministrative per l’abuso di informazioni privilegiate), 187ter TUF (sanzioni 
                                                 
6
 G. ROSSI, L’informazione societaria, cit., p. 1091. 
7
 G. LUNGHINI, La manipolazione del mercato, in Dir. pen. e proc., 2005, fasc. 12, p. 1479. 
8
 G. LUNGHINI, op. ult. cit., p. 1474. 
2 
amministrative per la manipolazione del mercato), 187quater TUF (sanzioni amministrative 
accessorie). Il cuore dell’argomentazione dottrinale è costituito dall’art. 3 L. 689/1981, che 
inquadra la responsabilità per gli illeciti amministrativi in relazione a condotte sia colpose sia 
dolose; tale disposizione va poi coordinata con la prescrizione comunitaria di sanzionare l’i.t. 
anche nella forma colposa. Ci si è chiesti dunque se, essendo sufficiente la colpa per la perfezione 
dell’illecito, possano essere derogati i principi di cui alla legge sopracitata: l’interpretazione più 
accreditata è che la clausola fisserebbe un’eccezione alla regola posta dal principio di specialità, di 
cui all’art. 9 L. cit.; secondo altri
9
, invece, “l’incipit non esprimerebbe una deroga al citato principio 
di specialità, che quindi opererà privilegiando la sola sanzione amministrativa quando, per 
riscontrata specialità, la norma amministrativa escluda la norma penale, mentre la clausola iniziale 
determinerebbe invece l’operare del principio di consunzione, con applicabilità della sola sanzione 
penale nelle ipotesi di concorso formale”. 
 
Ulteriori considerazioni – di carattere più generale – possono essere svolte sul tema dell’effetto del 
diritto penale d’impresa, notoriamente rivolto alla tutela di beni giuridici ritenuti meritevoli di una 
salvaguardia estrema
10
. Ci si può domandare, cioè, se il “vecchio gendarme” sia – prima ancora 
che efficiente – efficace nel contrasto alla condotta lesiva di un interesse economico: nel campo 
(minato) in cui si muove questa regolamentazione il soggetto tutelando è un operatore di mercato 
(piccolo investitore), che non solo viene ingannato e dunque leso nelle sue ragioni di credito, ma 
pure utilizzato come una pedina di un disegno più vasto rivolto a smantellare il sistema, senza che 
vi sia reale preoccupazione di garantirgli un’equa soddisfazione dei suoi interessi lesi (solo così si 
spiega, per citare un esempio, la valanga di costituzioni di parte civile al processo per aggiotaggio 
nella vicenda Parmalat). Seguendo il filo d’Arianna della “unità del sapere giuridico”, STELLA 
ammonisce a non “passare il testimone al processo penale […] allorché i problemi si fanno difficili 
e complessi”, arrivando a paventare l’estensione di una “visione panpenalistica dei problemi della 
modernità: la responsabilità dell’attuale stato di cose va [invece] ascritta alla inveterata abitudine 
accademica di considerare le singole discipline giuridiche come isole autonome, che crescono su se 
stesse, e parlano di se stesse, senza alcun collegamento con le altre isole”
11
. A fronte di queste 
premesse, la condizione del legislatore penalistico non pare tuttavia lontana da quella dello 
spettatore che assiste inerte al naufragio
12
. 
                                                 
9
 C.E. PALIERO, ‘Market abuse’ e legislazione penale: un connubio tormentato, in Corr. merito, 2005, n. 7, p. 811. 
10
 La fonte dell’inciso è A. ALESSANDRI, Attività d’impresa e responsabilità penali, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2005, pp. 535-572; si tratta 
del testo rielaborato della Relazione del Convegno per il XXX anniversario della rivista Giurisprudenza Commerciale, tenutosi a Bologna 
nell’ottobre 2004. 
11
 F. STELLA, Giustizia e modernità, Giuffrè (3a ed.), 2003, pp. 14-15 cit. da K. LÜDERSSEN, Übernahme der Aufgaben des Strafrechts 
durch andere Rechtsgebiete, in Abschaffen des Strafens?, ed. it. L. EUSEBI, Il declino del diritto penale, Giuffrè, 2005. 
12
 Libero e ardito parallelismo da TITO LUCREZIO CARO, De Rerum Natura, Lode della Filosofia (II, 1-61): la sporadicità dell’intervento 
normativo e la (apparente) scarsa volontà di inquadrare il problema dell’i.t. in termini sistematici può infatti legittimare l’adattamento al 
legislatore italiano degli intermundia lucreziani. 
3 
 Spostiamo ora il discorso sul piano pratico del “prototipo” di una disposizione punitiva prevista 
dal TUF,  ossia la pena pecuniaria: da questa riflessione intendiamo dimostrare come la sanzione 
penale nel campo dell’i.t. rischia di essere un’arma spuntata, se non adeguatamente parametrata 
alle esigenze di tutela del caso concreto. Le fattispecie di i.t., nelle sue diverse conformazioni, 
prevedono elevate pene pecuniarie: la ratio della disciplina è quella di compensare la natura profit 
oriented della criminalità d’impresa, intervenendo proprio nel tentativo di controbilanciare la 
perdita subita dall’investitore infliggendo al reo una (analoga? proporzionale?) diminuzione 
patrimoniale. Tuttavia, non è peregrino ravvisare in questa scelta normativa un “desiderio di 
punizione esemplare, [perché] collegare la pena pecuniaria all’entità del profitto significa 
dimensionare la risposta punitiva su un carattere nient’affatto necessario, ma soprattutto 
accidentale: l’operazione può [infatti] arrecare profitti o perdite, modesti o ingenti, per dinamiche 
del tutto estranee al reo. Non solo per fortuna o sfortuna, o per effetto delle reazioni del mercato: 
soprattutto per il gioco di entità che appartengono all’impresa, non al dominio del reo”
13
.  
 
Anche per questa ragione teorica, unita alla considerazione pratica della scarsa esecuzione della 
pena pecuniaria, quella amministrativa sembrerebbe la sanzione ideale, visto che (come si è 
brevemente dimostrato) l’intervento del legislatore penale costituirebbe insomma un atto 
eccedente lo scopo; senza voler qui operare un confronto analitico fra le due sanzioni
14
, basti 
evidenziare come quella in oggetto sia dotata di una struttura che le consente di presidiare “la 
correttezza di attività già regolamentate” (anche grazie alle autorità di settore; sul ruolo della 
CONSOB, v. infra § 2.4). Questo pregio ha però una rilevanza pratica soltanto nella misura in cui 
venga correttamente seguita l’indicazione dell’art. 15 c.p.: in caso di concorso fra sanzioni, si deve 
applicare il principio di specialità; come invece accennato poco supra, nella direttiva Market Abuse “la 
sanzione amministrativa è consapevolmente e chiaramente affiancata alla sanzione penale”, 
configurando una “responsabilità amministrativa dell’ente, concorrente con quella da reato, che ha 
la stessa base commisurativa per la persona fisica”. L’esito dell’opzione normativa è illogico, dal 
momento che essa si fonda sull’idea – quanto meno naïf – per cui solo un consapevole bis in idem di 
sanzioni afflittive possa realizzare, con più probabilità di riuscita, l’obiettivo di contenimento della 
condotta illecita. 
 
“L’irrazionalità sanzionatoria genera fatalmente grovigli interpretativi e applicativi. La sanzione 
amministrativa o diventa padrona del campo […] o resta in una posizione gradualisticamente 
                                                 
13
 A. ALESSANDRI, Attività d’impresa, cit., p. 543. 
14
 Su tutti, cfr. E. DOLCINI, Sanzione penale o sanzione amministrativa: problemi di scienza della legislazione, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 
1984, p. 589. 
4 
subordinata a quella penale, nel senso di essere chiamata ad intervenire non a tutela degli stessi 
beni, ma semmai, nel caso di identità del bene finale, di stadi diversi dell’offesa. L’affiancamento, 
oltre ad essere assai discutibile sul piano razionale e costituzionale, risulta evidentemente 
portatore di duplicazione degli sforzi investigativi e di impegno processuale”
15
. 
 
Individuato in astratto il bene tutelando (“economia pubblica”), occorre poi chiedersi  in modo più 
definito quale forma di tutela sia più efficace per il raggiungimento dello scopo, anche alla luce 
delle riflessioni svolte rispetto al concorso con la tutela amministrativa;  addentrarsi in questo 
campo presuppone però una riflessione preliminare intorno alla natura degli interessi offesi 
dall’i.t. A questo fine, verranno accennate le principali fattispecie, previste nell’ordinamento 
italiano, vicine all’abuso di informazioni privilegiate. 
 
 
1.3 Figure assimilabili all’insider trading: aggiotaggio e truffa. 
 
In termini generali, e astraendo il discorso dal contesto delle negoziazioni, la condotta di i.t. “si 
caratterizza per lo sfruttamento, attraverso una o più operazioni di borsa, di conoscenze 
riservate”
16
: assumendo questa premessa, risulta chiaro come il fenomeno criminoso offenda – 
innanzi tutto – gli interessi della società in cui lavora l’insider; il che giustificherebbe il 
riconoscimento, soltanto in capo ad essa, di un diritto (non parimenti garantito ai privati 
investitori) all’ottenimento della restituzione dei profitti. La rilevanza prevalentemente civilistica 
della fattispecie così inquadrata sposterebbe il cuore dell’attenzione giuridica sulla quantificazione 
del danno risarcibile, senza riguardo ad un intervento ex officio del giudice nel perseguire la 
condotta. Posto in questi termini, l’i.t. si configurerebbe dunque come un mero illecito 
contrattuale
17
. 
 
Eppure, riteniamo di poter condividere un diverso, e assai autorevole, approccio al problema; esso 
considera, infatti, di poter elevare il livello della tutela individuando un superiore interesse a 
garantire il corretto funzionamento dell’economia pubblica: si suggerisce che, almeno sotto il 
profilo penalistico, la ratio dell’intervento legislativo possa ravvisarsi “nella necessità di tutelare gli 
interessi pubblici economici connessi ad un ordinato sviluppo della vita economica, nel momento 
della circolazione delle merci e dei valori”
18
. In particolare, questa impostazione sembra essere 
                                                 
15
 A. ALESSANDRI, Attività d’impresa, cit., p. 555. 
16
 S. SEMINARA, Insider trading, cit., p. 2. 
17
 Il leading case in materia è Percival v. Wright, su cui v. più ampiamente infra § 3.4. 
18
 Tra gli altri, G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale – parte speciale, introduzione, Zanichelli, 2004, passim. 
5 
stata fatta propria dal legislatore italiano, che ha previsto numerose fattispecie di reato connesse a 
tale essenza lesiva. Da una breve rassegna delle più rilevanti, intendiamo evidenziare l’elemento 
della sostanziale autonomia e – si licet – “originalità criminosa” dell’i.t. rispetto ai reati già 
contemplati dai codici e dalle leggi speciali; questo aspetto viene spesso ignorato dalla 
giurisprudenza, che tende piuttosto a inquadrare il problema nei termini più agevoli delle 
fattispecie delittuose ad essa più congegnali (recte: su cui si è formata).  
 
Ne consegue una non indifferente incertezza circa l’outcome delle decisioni delle corti che, come si 
vedrà meglio infra § 2.2, non hanno raggiunto una visione comune, producendo sentenze 
contraddittorie quanto al merito delle motivazioni. 
 
Nel reato di false comunicazioni sociali (art. 2621 c.c.) – non a caso posto nel Titolo XI a chiusura del 
Libro Quinto dedicato alle società – la fattispecie incriminatrice tutela il patrimonio sociale contro 
gli atti di infedeltà dei titolari del potere di amministrazione e controllo
19
: amministratori, direttori 
generali, dirigenti «preposti alla redazione dei documenti contabili societari», sindaci e liquidatori. Nella 
nuova formulazione della disposizione, rinnovata sostanzialmente dal d.lgs. 61/2002
20
, si specifica 
che tali soggetti vengono puniti quando,  «con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di 
conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto», mediante una pluralità di atti
21
 caratterizzati 
complessivamente da un uso improprio dell’informazione “sensibile” (in quanto idonea ad 
alterare fattori patrimoniali) e “riservata” (in quanto ottenuta in virtù del loro incarico all’interno 
della società), «espongono fatti materiali non rispondenti al vero […] ovvero omettono informazioni la cui 
informazione è imposta dalla legge».  Senza addentrarci in un’analisi comparata di questa figura di 
reato rispetto alla condotta di i.t., basti notare come in questo caso siamo più vicini ad un’ipotesi di 
truffa, disciplinata dall’art. 640 c.p.; e in cui sono dunque (anche implicitamente) richiesti – per la 
consumazione del reato – degli «artifizi o raggiri» da parte del reo, sconosciuti invece alla fattispecie 
di i.t., tanto più che per esso le notizie oggetto del reato non sono solo quelle per loro natura 
destinate a rimanere riservate, ma tutte quelle la cui divulgazione può arrecare pregiudizio alla 
società
22
.  
                                                 
19
 Si veda E. FORTUNA, Manuale di diritto penale dell’economia, CEDAM, 1994; per una trattazione più sintetica, ma aggiornata alle 
recenti modifiche legislative, cfr. R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell’economia, Giuffrè, 2006, pp. 105 ss. Per una visione sinottica 
delle discipline previgenti rispetto a quella attuale, cfr. Diritto penale commerciale: dispensa per gli studenti del corso di laurea in 
Giurisprudenza, Egea, 2006, pp. 177 ss. 
20
 Il Decreto, recante la “Disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali, a norma dell'articolo 11 della 
legge 3 ottobre 2001, n. 366", è stato oggetto di modifica e integrazione da parte della L. 262/2005 recante “Disposizioni per la tutela 
del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari”. 
21
 Nello specifico: «nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, 
espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è 
imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo 
idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione». 
22
 In E. FORTUNA, Manuale, cit., l’A. suggerisce di “far rientrare nel mandato dell’organo sociale investito di poteri di amministrazione o 
controllo il compito di tenere riservate notizie che, se diffuse, potrebbero essere di danno al patrimonio sociale o all’immagine 
dell’impresa”. 
6 
 Non dissimile dalla truffa è poi il delitto di aggiotaggio; tuttavia si tratterebbe, in questo caso, pure 
“di frode collettiva, una trappola tesa al gran pubblico”
23
. Mentre la figura comune di reato 
(l’aggiotaggio comune di cui all’art. 501 c.p.), caratterizzata da dolo specifico, può essere commessa 
da chiunque, il legislatore ha predisposto due ulteriori forme di reato proprio. Relativamente alle 
società di capitali e cooperative, l’art. 2628 c.c. contempla l’aggiotaggio societario, cioè le manovre 
fraudolente compiute da membri interni (amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori) al 
fine di influenzare il valore dei titoli della società; rispetto al reato comune, viene garantita una 
tutela all’andamento del mercato borsistico: de facto, dunque, una protezione per l’investitore (che 
è infatti – nell’ottica paternalistica ma pragmatica del legislatore – parte debole del contratto). 
L’incriminazione tutela infatti “l’interesse generale alla regolare formazione del prezzo dei titoli 
sul mercato, che può essere fuorviato dalla diffusione di voci interessate al rialzo o alla 
diminuzione”
24
. Poiché questa considerazione può essere svolta anche in relazione all’i.t., è più che 
lecito accogliere il dissenso di quanti
25
 ravvisano l’illogicità di una duplicazione normativa, che in 
particolare discriminerebbe fra una tutela penale “completa” in quanto perseguibile d’ufficio 
(appunto l’aggiotaggio societario), ed una invece “incompleta” (quale sarebbe l’i.t.) in cui la 
persecuzione del reato viene rimessa alla discrezionalità della società
26
. Questo contrasto pone, 
ovviamente, “intricati problemi di concorso di norme con le preesistenti disposizioni penali in 
materia”. 
 
A titolo puramente esaustivo, si ricorda la fattispecie dell’aggiotaggio bancario (art. 98 L. Bancaria e 
art. 138 d.lgs. 385/1993), in cui “l’interesse tutelato consiste nella fiducia nella stabilità 
dell’ordinamento economico soprattutto nella prospettiva della solidità del sistema creditizio, che 
può essere compromessa gravemente dalla circolazione di notizie false o comunque esagerate 
concernenti le aziende, e quindi atte a turbare il mercato dei titoli e dei valori”
27
. La disciplina (da 
cui risulta per altro il requisito del dolo generico) fa chiaro riferimento all’obiettivo di stabilità del 
sistema bancario, ed è dunque speciale rispetto al più generale divieto di i.t.: per questo motivo 
valgono considerazioni analoghe a quelle svolte in tema di aggiotaggio societario. 
 
La peculiare figura dell’aggiotaggio su strumenti finanziari (art. 2637 c.c.) verrà approfondita infra § 
1.5, in riferimento all’intervento della direttiva Market Abuse (dir. 2003/6/CE) sul fenomeno della 
                                                 
23
 F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale: parte speciale, Giuffrè, 1997, p. 656. 
24
 E. FORTUNA, Manuale, cit. 
25
 Sul punto L. FOFFANI, La nuova disciplina penale dell’insider trading e delle frodi del mercato mobiliare, in Dir. pen. econ., 1991, pp. 
928 ss. nonché S. SEMINARA, Insider trading, cit., p. 13. 
26
 Alla società è rimessa infatti la decisione in termini di presentazione di un’ulteriore domanda giudiziale per la restituzione di quanto 
indebitamente percepito grazie all’abuso dell’informazione riservata, nds. 
27
 E. FORTUNA, op. loc. ult. cit. 
7 
manipolazione del mercato di cui all’art. 185 TUF. Più oltre (infra § 4.1) si tratterà poi della punibilità 
dei giornalisti rispetto alla diffusione, nell’esercizio della loro funzione di cronisti, di notizie false 
idonee ad influenzare il mercato. 
 
Più complesso è il coordinamento dell’i.t. con il delitto di cui all’art. 622 c.p. (rivelazione di segreto 
professionale), la cui disposizione recita: «chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, 
o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o 
altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento […]». Scopo della disciplina sembrerebbe 
qui la volontà di escludere dal mercato coloro che possono speculare nel mercato finanziario in 
una posizione di privilegio informativo rispetto agli altri investitori
28
. Questa dottrina viene 
criticata da altra più autorevole; il problema principale si fonda proprio sull’individuazione del 
bene giuridico da tutelare, poiché  interessi come la trasparenza, la fiducia nel mercato e la 
regolamentazione del funzionamento del mercato si presentano come difficilmente utilizzabili. Per 
rendere chiaro il concetto ricorreremo ad un parallelismo: quando la disposizione introduce il 
“segreto” come bene tutelando, sembrerebbe tuttavia adottare un approccio ben diverso rispetto a 
quello con cui il legislatore ha voluto prevenire la diffusione o il procacciamento di quelle «notizie 
che, nell’interesse della sicurezza dello Stato o, comunque, nell’interesse politico, interno o internazionale, 
dello Stato, debbono rimanere segrete» (il riferimento è al delitto di rivelazione di segreti di Stato di cui 
all’art. 261 c.p.).  Risulta infatti evidente che il “fuoco” della rivelazione di segreto professionale 
consisterebbe nella punibilità di un abuso di stato, e non invece di una lesione della segretezza di 
per sé stessa considerata: il disvalore soggettivo sta qui appunto nella consapevolezza dolosa di 
pregiudicare il legittimo titolare del segreto (nel caso di specie, la società)
29
. Seguendo 
l’argomentare di SEMINARA
30
, la configurabilità dell’art. 622 c.p. rispetto all’i.t. dev’essere esclusa 
per almeno due ragioni: in primis, il delitto in esame si riferisce a un comportamento che 
implicitamente lede il diritto di proprietà sull’informazione vantato dal titolare del segreto 
(consistente nella “esclusiva sui possibili modi d’uso della notizia”, formulazione questa non 
lontana dal concetto di godimento e disposizione delle cose «in modo pieno ed esclusivo» richiamato 
dall’art. 832 c.c. nel definire la proprietà, sulla scorta del Code Napoléon
31
); in secondo luogo, si 
sottolinea come il condizionare la perfezione di un i.t. al mantenimento del segreto sarebbe 
paradossale, perché senza divulgazione dell’informazione non potrebbero materialmente 
verificarsi le variazioni del titolo favorevoli all’insider, e verrebbe dunque meno l’interesse stesso al 
crimine (perché il reo non potrebbe speculare sulle oscillazioni, vendendo o comprando). 
                                                 
28
 S. SEMINARA, Insider trading, cit., p. 8. 
29
 A. CRESPI, La tutela penale del segreto, in Commentario breve al codice penale, ed. G. ZUCCALÀ – F. STELLA, 2002, pp. 98 ss. 
30
 S. SEMINARA, op. ult. cit., p. 5. 
31
 Cfr. l’art. 544 del Code (Libro Secondo, Titolo II): «diritto di godere e disporre della cosa nella maniera più assoluta»): il nuovo 
concetto di dominium propugnato dal razionalismo soggettivo incarna un ordine sociale la cui cellula base è il diritto individuale. 
8 
  
1.4 Origine della disciplina
32
. La cronologia degli interventi normativi in Italia. 
 
La necessità di disciplinare l’abuso di informazioni privilegiate diventa attuale con la crisi della 
borsa americana del 1929; ad essa segue infatti la promulgazione del Securities Act (1933, d’ora in 
poi SA) e del Securities Exchange Act (1934, d’ora in poi SEA), quest’ultimo istitutivo della SEC 
(Securities and Exchange Commission), l’autorità garante del controllo del mercato borsistico 
antesignana della nostra CONSOB (sul cui ruolo v. infra § 2.4). Nonostante l’assenza di una regola 
federale generale che proibisca direttamente la pratica di i.t., la punibilità di tale condottta viene 
nondimeno garantita dal disposto interpretativo di due norme: 
 
- la Section 10(b) del SEA, sostitutiva della Section 17(a) del SA (regolamentativa delle 
condotte fraudolente connesse a fatti di vendita ma non di acquisto di titoli): introduce 
per la prima volta il concetto di i.t. (su cui si dilunga, specificandone i caratteri 
identificativi, anche la Section 16) 
- la rule 10b-5 della SEC (Employment of Manipulative and Deceptive Practices), recante 
norme in materia di frodi relative alla compravendita di valori mobiliari; anche alla luce 
dell’interpretazione della Corte Suprema, essa esprime una general antifraud provision – 
emanata dalla SEC nell’esercizio del suo potere di regolamentazione – che recita
33
: 
 
«E’ illecito per chiunque impiegare, direttamente o indirettamente, ogni mezzo o strumento 
del commercio interstatale o della posta o messo a disposizione da qualsiasi borsa valori 
nazionale 
a) per realizzare qualsiasi espediente, schema o artificio con intento fraudolento, 
b) per rilasciare false dichiarazioni su circostanze di fatto rilevanti od omettere di riferire 
fatti essenziali in grado di evitare, alla luce della situazione in cui vengono resi, 
dichiarazioni ingannevoli, 
                                                 
32
 Per approfondimenti, si rimanda a K.F. BRICKEY, Corporate and White Collar Crime: Cases and Materials, Aspen Publishers (4
th
 
edition), 2006. 
33
 Riportiamo qui di seguito il testo in inglese:  
 
«It shall be unlawful for any person, directly or indirectly, by the use of any means or instrumentality of interstate commerce, or of the 
mails or of any facility of any national securities exchange,  
 
a) To employ any device, scheme, or artifice to defraud, 
b) To make any untrue statement of a material fact or to omit to state a material fact necessary in order to make the 
statements made, in the light of the circumstances under which they were made, not misleading, or 
c) To engage in any act, practice, or course of business which operates or would operate as a fraud or deceit upon any person, 
in connection with the purchase or sale of any security». 
9 
c) per compiere qualsiasi atto, pratica od operazione che determini o possa determinare una 
frode o un’induzione in errore, in riferimento all’acquisto o alla vendita di qualsiasi 
titolo». 
 
In particolare, la rule 10b-5 è onnicomprensiva (c.d. catch-all provision), in questo dunque 
superando l’impostazione giurisprudenziale americana di inizio secolo, che tendeva a riconoscere 
un dovere fiduciario dei dirigenti societari soltanto in relazione alla società (majority rule). 
L’originalità delle disposizioni normative degli anni ’30 sta proprio nella loro ratio tanto 
dirompente quanto atipica: limitare il ricorso al judge-mad law, proprio della tradizione giuridica 
anglosassone, nella materia delle frodi economiche. Con la regolamentazione vengono cioè 
radicalmente limitate forme di interpretazione creativa, come il principio del quasi-trustee 
relationship (che legava le operazioni di i.t. alla violazione del rapporto fiduciario con gli azionisti, 
in apparente contrasto con la regola di common law per cui la semplice omissione non può 
costituire fonte di responsabilità dolosa) e delle special circumstances (o special facts, che rendevano 
giustificabile la sussistenza dell’obbligo fiduciario solo in virtù delle qualità professionali del 
trader); principi appunto dalla cui applicazione sostanzialmente discrezionale da parte dei giudici 
derivava un’insostenibile incertezza del diritto. 
 
L’aggancio all’origine statunitense della disciplina è funzionale alla comprensione della sua 
trasposizione in ambito prima europeo, e poi italiano. La predisposizione di una legislazione ad hoc 
si spiega, nel nostro Paese, con la volontà di colpire comportamenti effettivamente distorsivi del 
mercato, ed è finalizzata alla prevenzione degli scarti asimmetrici informativi: la correttezza delle 
informazioni è, infatti, fondamentale per un regolare ed efficiente funzionamento del mercato al 
fine di garantire una più equa collocazione delle risorse economiche. 
 
Un’ampia discussione ha riguardato, in particolare, l’opportunità di sanzionare penalmente il 
fenomeno dell’i.t., che non a caso è stato fatto oggetto di una disciplina speciale soltanto di recente. 
Il codice Rocco, infatti, non contempla tale fattispecie, e si occupa invece (nel Titolo VIII del Libro 
Secondo) “Dei delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio”, con tale formula 
evidenziandosi l’influenza esercitata sul legislatore dai condizionamenti politici dominanti nel 
momento della redazione del codice medesimo.  Storicamente è infatti assodato come il regime 
fascista sia sempre stato caratterizzato da una subordinazione della libera iniziativa economica 
(non casualmente citata ex art. 41 c. 1 Cost.) all’interesse della nazione, e – come in tutti i sistemi 
totalitari – da una regolazione delle dinamiche imprenditoriali di natura dirigistica. 
 
10 
Prima del Testo Unico, l’abuso di informazioni privilegiate costituiva un reato regolato dalla L. 
157/1991 (“Norme relative all’uso di informazioni riservate nelle operazioni in valori mobiliari e 
alla Commissione nazionale per le società e la borsa”), considerata da molti come “norma 
manifesto”, emanata sulla spinta della direttiva “Sul coordinamento delle normative concernenti le 
operazioni effettuate da persone in possesso di informazioni privilegiate (insider trading)”, dir. 
89/529/CE. Se, da un lato, la repressione di tale condotta era volta a tutelare la trasparenza 
informativa, applicando la sanzione penale alle condotte lesive, dall’altro si incentivavano gli 
investitori e i risparmiatori a riporre fiducia nel mercato, cercando di garantire la sicurezza nelle 
operazioni. Ad ulteriore ampliamento della tutela dei risparmiatori, veniva rafforzato il ruolo della 
Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB, sul cui ruolo v. infra § 2.4), concepita 
nell’ottica di funzionare come uno strumento di vigilanza e controllo sul mercato finanziario. 
 
Tuttavia, l’apparato sanzionatorio penale doveva tenere in considerazione le problematiche tipiche 
del settore finanziario, poiché risultava uno squilibrio tra la velocità di movimento delle attività 
finanziarie e la codificazione. A questo aspetto, si legava inoltre la necessità di limitare lo 
strumento penale alla repressione delle sole condotte lesive più gravi; in caso contrario, si sarebbe 
compromessa la fluidità del mercato, e in particolare si sarebbe corso il rischio di sanzionare anche 
comportamenti dal dubbio disvalore sociale
34
. In questo duplice senso si spiega l’emanazione del 
TUF
35
, con cui il legislatore “ha cercato di ordinare e raffinare il sistema dei reati in subiecta materia, 
tenendo conto di alcune esigenze coessenziali ad un moderno diritto penale dell’economia”
36
. 
 
I successivi interventi in ambito comunitario (su cui v. infra § 1.5) hanno poi caricato i fatti di i.t. di 
un ulteriore e più incisivo significato globale; la direttiva Market Abuse (dir. 2003/6/CE) assicura 
infatti una “tendenzialmente unitaria risposta al fenomeno dell’i.t. (proprio a partire dalla scelta di 
imporne la sanzionabilità penale) […] trovando l’abusata formula della globalizzazione dei 
mercati proprio nel settore del mercato finanziario una sua effettiva e quasi tangibile realtà”
37
. 
 
Il Titolo I-bis (“Abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato”) della Parte V del 
TUF (dedicata alle sanzioni) ha sostituito l’originario Capo IV (“Abuso di informazioni privilegiate 
e aggiotaggio su strumenti finanziari”) per effetto dell’art. 9 c. 2 lett. a) della L. 62/2005 (Legge 
Comunitaria 2004). L’art. 9 c. 6
 
della medesima, inoltre, prevede che «le disposizioni previste dalla 
                                                 
34
 S. SEMINARA, Le responsabilità penali connesse alla intermediazione finanziaria on line, in Banca, borsa e titoli di credito, 2000, vol. I, 
p. 449. 
35
 Il T.U. ha abrogato la precedente L. 157/1991 (salvo l’articolo 10, ex art. 214 c. 1 lett. bb) TUF) e ha disposto che, pur abrogati, 
«continuano a essere applicati fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti emanati ai sensi del presente decreto» – il 1° 
gennaio 1998 – i provvedimenti emanati dall’articolo 6 (ex art. 214 c. 2 lett. f) TUF). 
36
 G. PAVAN, Abuso di informazioni privilegiate, in Ind. Pen., 2002, fasc. 2, p. 589 citando da F. MUCCIARELLI, La tutela 
dell’intermediazione finanziaria e della trasparenza dei mercati nel d.lgs. n. 58 del 1998 (prima parte), in Studium juris, 1998, p. 1176. 
37
 F. MUCCIARELLI, L’insider trading nella nuova disciplina del d.lgs. 58/98, in Riv. Trim. Dir. Pen. Econ., 2000, fasc. 4, p. 927. 
11 
Parte V, Titolo I-bis, del [TUF] si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di 
entrata in vigore della presente legge che le ha depenalizzate, quando il relativo procedimento penale non sia 
stato definito. Per ogni altro effetto si applica l’art. 2 c.p. L’autorità giudiziaria, in relazione ai procedimenti 
penali per le violazioni non costituenti più reato, pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, 
se non deve pronunciare decreto di archiviazione o sentenza di assoluzione o di proscioglimento con formula 
che esclude la rilevanza penale del fatto, dispone la trasmissione degli atti alla CONSOB. Da tale momento 
decorre il termine di 180 giorni per la notifica dell’atto di contestazione delle violazioni». 
 
In definitiva, la novella del T.U. si concentra sul “riordino della borsa secondo il modello mercato-
impresa”
38
. Superando dunque l’impostazione, civilisticamente corretta ma un po’ provinciale, 
dell’art. 2082 c.c. (“mercato” come sinonimo di «attività organizzata al fine della produzione o dello 
scambio di beni o servizi»), il legislatore ha voluto proiettare la disciplina borsistica – e, più in 
generale, quella degli intermediari finanziari – in un contesto le cui regole costituiscano finalmente 
un sistema coerente con l’abbattimento delle frontiere nazionali, e condiviso (in quanto stabilito) a 
livello comunitario. 
 
 
1.5 Obiettivi della direttiva comunitaria e suo recepimento nel contesto italiano. 
 
Con l’adempimento della direttiva comunitaria in tema di trasparenza e sicurezza nei mercati 
finanziari, l’Italia si è dotata di una specifica normativa contro il market abuse
39
. Guardando al testo 
normativo, pare scorgere un costante retropensiero, di origine smithiana, connotato da 
un’ottimistica fiducia nelle facoltà del mercato di risolvere i conflitti fra le singole utilità degli 
operatori,  nel perseguimento di un benessere generale
40
. 
 
A livello europeo, uno degli obiettivi del piano d’azione per i servizi finanziari fu quello di 
promuovere il corretto funzionamento dei mercati riducendo la possibilità per gli investitori e gli 
intermediari di manipolarli
41
, attraverso la previsione di un quadro giuridico comune in termini di 
prevenzione, accertamenti, indagini e regime sanzionatorio degli abusi di mercato, per assicurare 
agli operatori e agli investitori certezza sui principi, e – in particolare – sull’applicazione delle 
norme, a parità di condizioni, nell’ambito di tutti gli Stati Membri. Inoltre, si sottolinea come “il 
                                                 
38
 G. PAVAN, Abuso, cit., p. 590. 
39
 Per approfondimenti, si rimanda ad A. GARGANI, Commento agli artt. da 187bis a 187septies del TUF, inseriti dall'art. 9 c. 2 lett. a) 
della L. 62/2005 (Legge comunirtaria 2004), in Legislazione penale, num. I, vol. I, 2006,  pp. 98-118. 
40
 Il riferimento è all’abusata, ma sempre attuale, teoria dell’invisible hand, cardine della dottrina liberale del laissez faire (A. SMITH, An 
Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, IV.ii. 6-9, p. 456 citaz. in vol. IV, cap. 2, p. 477, University of Chicago 
Edition, 1976); cfr. anche la citazione di F.A. VON HAYEK, Premio Nobel per l'economia nel 1974: “dopo tutto, qualsiasi cosa il mercato 
faccia, non possiamo fare di meglio sul piano intellettuale”. 
41
 Cfr. in particolare la rel. 11-v-99 della Commissione al Consiglio Europeo. 
12 
regolare funzionamento del mercato dei servizi finanziari integrato ed efficiente [sia] un altro 
obiettivo fondamentale per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro nell’Unione: gli 
abusi di mercato, danneggiando il corretto funzionamento del mercato, ledono [infatti] anche la 
fiducia degli investitori esistenti e scoraggiano nuovi possibili investitori”
42
. 
 
La direttiva Market Abuse è la prima formulata ed approvata secondo i criteri previsti dal rapporto 
Lamfalussy
43
, ossia attraverso un’implementazione del procedimento di adozione degli atti 
comunitari (artt. 251 ss. TCE) che prende il nome di comitologia: il Consiglio delega il potere di 
emanare regolamentazione secondaria (art. 202 TCE) di dettaglio alla Commissione, in relazione 
ad atti che esso stesso approva; per controllarne l’attività, il Consiglio costituisce comitati formati 
da rappresentanti degli Stati Membri, che cooperano con la Commissione nel formulare i testi. La 
ratio della procedura è proprio di evitare l’ingessamento dell’attività normativa della Comunità in 
settori, caratterizzati da grande tecnicismo, nei quali si richiede una certa speditezza
44
. 
 
La direttiva, in realtà, non contiene una definizione di market abuse, ma prevede due tipologie di 
comportamenti riconducibili alla fattispecie di abuso di mercato: 
 
1) abuso di informazioni privilegiate (condotta di quei soggetti che hanno fatto uso a loro 
vantaggio, o a vantaggio di altri, di informazioni non accessibili al pubblico) 
2) manipolazione di mercato (condotta di quei soggetti che hanno falsato il meccanismo di 
fissazione del prezzo degli strumenti finanziari oppure che hanno divulgato informazioni false e 
ingannevoli). 
 
Entrambe le fattispecie sono state recepite nel nostro ordinamento, come accennato supra, 
attraverso la Legge Comunitaria 2004 (L. 62/2005, che dà attuazione anche ad altre direttive, 
integrative di quella Market Abuse). Vedremo ora brevemente quali sono le principali novità 
apportate rispetto alla previgente disciplina. 
 
                                                 
42
 S. VINCENZI, Mercato finanziario e direttive europee, Bancaria Ed., 2005, passim. 
43
 Report of the Committee of Wise Men on the Regulation of European Securities Market, 2001; nel luglio 2000, il Comitato dei “saggi” 
presieduto dal Barone Alexander Lamfalussy fu nominato dalla Commissione per studiare misure di accelerazione del processo 
normativo nel settore dei servizi finanziari. Il rapporto del Comitato fu approvato al Consiglio Europeo di Stoccolma (2001) e dal 
Parlamento Europeo (2002); prevede quattro livelli: 1) procedura di codecisione per l’adozione di direttive quadro; 2) procedura di 
comitologia per l’adozione di regolamenti attuativi dei principi della direttiva; 3) procedura di cooperazione tra autorità di vigilanza 
nazionali per garantire un’attuazione uniforme dei regolamenti; 4) attività di controllo della Commissione sull’effettiva attuazione della 
regolamentazione. 
44
 Cfr. in generale M. ONADO, Economia e regolamentazione del sistema finanziario, il Mulino, 2004, passim e in particolare AA.VV., 
Diritto ed economia dei mercati e degli intermediari finanziari (Dispensa di Parte Giuridica), Università Commerciale L. Bocconi, 2006, 
cap. I, p. 8. 
13 
Quanto all’abuso di informazioni privilegiate, il novellato art. 184 TUF – la cui struttura, risalente 
all’art. 2 L. 157/1991, è stata poi trasposta nell’art. 180 TUF ante riforma
45
 – affianca alla 
precedentemente unica incriminazione di i.t. (corrispondente al divieto di effettuare operazioni di 
qualunque genere sfruttando un indebito vantaggio informativo) i fenomeni, ben noti alla 
tradizione giuridica anglosassone, di tipping (comunicazione a terzi dell’informazione privilegiata) 
e di tuyautage (raccomandazione o induzione a compiere operazioni sulla base dell’informazione 
privilegiata). Sulla peculiarità di tali incriminazioni ci si soffermerà ampiamente infra § 3.1 e § 3.2. 
Basti qui ulteriormente rilevare come, “segno di una doverosa sottolineatura della gravità del 
fatto”, la direttiva preveda un innalzamento del livello sanzionatorio (triplicato nel massimo e con 
un minimo fissato ora in un anno di reclusione).  
 
Sul punto, la dottrina evidenzia peraltro lo squilibrio che deriva dalla fissazione di una cornice 
edittale, per il reato di abuso di informazioni privilegiate, così spostata verso l’alto, se non altro in 
relazione a delitti “che contempla[no] condotte più profondamente lesive del bene tutelato”, quali 
la manipolazione del mercato e soprattutto le false comunicazioni sociali
46
. Si sottolinea inoltre che, sul 
versante processual-penalistico, per evitare che lo squilibrio edittale in parola finisse per limitare, 
se non impedire, lo strumento di indagine delle intercettazioni telefoniche (essenziali in relazione a 
questa tipologia di illeciti), il legislatore del 2005 ha “per altro verso, e indipendentemente dal tetto 
sanzionatorio di nuova introduzione, modificato l’art. 266 c.p.p., nominativamente inserendo fra i 
reati per i quali sono possibili attività di intercettazione anche i delitti di cui agli artt. 184 e 185 
TUF”. 
 
Sull’altro versante, il recepimento della direttiva comunitaria ha prodotto una modifica del reato di 
aggiotaggio su strumenti finanziari, previsto ex art. 2637 c.c. (disposizione contenuta nell’ultimo Capo 
del Titolo relativo alle sanzioni penali del Libro Quinto). Tale intervento ha comportato una 
restrizione dell’ambito di operatività della fattispecie incriminatrice, oggi infatti limitata (per 
effetto dell’art. 9 c. 4 L. cit.) agli «strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una 
richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato». Quanto agli strumenti quotati 
invece, è avvenuta una “modifica topografica”
47
 (dal codice civile all’art. 185 TUF) del delitto, 
rubricato come manipolazione del mercato: la fattispecie è identica, essendo variato solo l’aspetto 
sanzionatorio
48
. 
                                                 
45
 F. MUCCIARELLI, L’abuso di informazioni privilegiate: delitto e illecito amministrativo, in Dir. pen. e proc., 2005, fasc. 12, p. 1466. 
46
 Segnatamente, il d.lgs. 61/2002 ha ridotto la pena per questo reato a quella prevista per una contravvenzione bagatellare («arresto 
fino ad un anno e sei mesi»: art. 1 del Decreto); anche nell’ipotesi più grave, peraltro, la sanzione è fissata nel massimo a meno di un 
terzo rispetto a quanto previsto per l’i.t. 
47
 G. LUNGHINI, La manipolazione, cit., p. 1474 e pp. 1479-1480. 
48
 Per approfondimenti, si rimanda a R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale, cit., pp. 406 ss. e, per una visione di sistema cfr. AA.VV., 
Diritto ed economia dei mercati e degli intermediari finanziari (Dispensa di Parte Giuridica), cit., cap. VI, pp. 32 ss. 
14