uno specifico potere: il potere di chiedere alle Camere, con messaggio 
motivato, una nuova deliberazione della legge, al cui eventuale esercizio 
consegue però l’obbligo di promulgazione, se le Camere approvano 
nuovamente la legge medesima. Anche se parte della dottrina si è opposta (e si 
oppone ancora oggi) alla possibilità di fornire un singolo soggetto del potere di 
arrestare la volontà delle assemblee elettive, il potere di rinvio è stato da subito 
riconosciuto come prerogativa propria del Presidente della Repubblica.  
L’articolo 74 nel disciplinare l’istituto prevede che il messaggio presidenziale 
sia motivato; occorre cioè che esso esprima i motivi che lo giustificano e ciò 
per evitare un uso arbitrario dello strumento indicato. Vero è che dall’entrata in 
vigore della Costituzione repubblicana la norma ha avuto nell’insieme 
applicazioni modeste e di scarso rilievo nell’esperienza costituzionale. Se si 
eccettua la presidenza Cossiga (1985-1992), caratterizzata da ben ventidue 
rinvii, i vari Presidenti che si sono alternati alla guida del Paese hanno fatto un 
uso piuttosto scarso del potere di chiedere alle Camere il riesame di una legge, 
procedendo complessivamente ad effettuare soli cinquantanove rinvii. Basti 
pensare che il Presidente Saragat (1964-1971) non si avvalse mai di detto 
potere, mentre Leone (1971- 1978) solo in una occasione rinviò un testo di 
legge alle Camere (nello specifico rinviò la legge contenete «norme sulla 
composizione e sull’elezione del CSM»). In generale, inoltre, la maggioranza 
dei rinvii furono motivati dalla mancanza di un’adeguata copertura finanziaria 
mostrando così come per alcuni l’unico possibile oggetto del rinvio potesse 
essere la verifica del rispetto di alcune norme costituzionali, soprattutto sotto il 
profilo formale. Basti pensare che addirittura trentanove rinvii riguardavano la 
copertura finanziaria della legge. Solo con la Presidenza Ciampi (1999-2006) 
si assiste ad una inversione di tendenza. Prova ne sia che delle otto leggi 
rinviate dal decimo Presidente, solo per due provvedimenti si lamentava la 
mancata copertura finanziaria.  
È comunque da sottolineare come la scarsità dei casi di rinvio dimostra la 
difficoltà di individuare un ambito certo di applicazione dell’istituto del rinvio 
e, ancora prima, un disegno chiaro della figura presidenziale. Si può 
 5
certamente osservare come proprio l’istituto del rinvio assuma una tale 
importanza da mettere in gioco la posizione del Capo dello Stato rispetto al 
Governo e al Parlamento. Sennonché, è proprio detta ambiguità e 
indeterminatezza dell’istituto che impongono un’analisi più dettagliata che 
consenta di restituire al potere un’esatta o, quanto meno più precisa 
configurazione dell’istituto. Appare quindi opportuno procedere ad un esame 
dettagliato dell’iter storico che ha portato alla formulazione finale dell’articolo 
74 e ciò per comprendere le ragioni che hanno spinto l’Assemblea Costituente 
ad usare quella terminologia e quella collocazione dell’istituto. Detta 
ricostruzione sarà poi la base per affrontare il problema della natura giuridica 
del potere presidenziale di rinvio, cercando di identificare i caratteri più stabili 
e fermi che l’istituto è riuscito ad assumere. Sarà poi necessario operare una 
ricostruzione dell’istituto alla luce degli atti costituzionali che sono arrestabili 
attraverso l’esercizio del potere di richiesta di riesame, soffermando 
l’attenzione su quelle ipotesi particolarmente discusse in dottrina, come nel 
caso di rinvio esercitato in periodo di scioglimento delle Camere. In 
conclusione soffermeremo la nostra attenzione su alcuni rinvii collegabili 
all’appena conclusa presidenza Ciampi. Ipotesi, queste, rilevanti non solo 
perché sottolineano la volontà del Presidente di utilizzare un potere 
espressamente riconosciutogli dalla Costituzione, anche se ampiamente 
contestato, ma altresì e, soprattutto, per i rilievi mossi che permettono di 
recuperare non solo l’istituto del rinvio ma anche, e principalmente, la figura 
costituzionale di un Presidente dotato di effettivi poteri. Poteri che devono 
essere evidenti, oltre che nei momenti di crisi, anche nello svolgimento 
dell’attività statuale, attraverso l’esercizio di talune facoltà di controllo e 
indirizzo. Il compito essenziale del Presidente della Repubblica è di assicurare 
la difesa dei fondamentali interessi dello Stato che risultano dalla Costituzione 
e di favorire l’adeguamento dell’azione degli organi costituzionali politici alle 
istanze unitarie della società nazionale.  
 
 
 6
CAPITOLO I 
 
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NELL’ORDINAMENTO 
COSTITUZIONALE 
 
1. La figura del Presidente della Repubblica nei lavori della 
Costituente 
 
Nel secondo dopoguerra i paesi più duramente colpiti si trovarono a rivedere i 
propri ordinamenti costituzionali. In Italia il cammino iniziò il 2 giugno 1946 
quando gli elettori
1
 furono chiamati ad esprimersi sia sulla scelta monarchia-
repubblica
2
, sia sull’elezione dell’Assemblea Costituente, la cui creazione era 
prevista dal decreto luogotenenziale 25 giugno 1944, n 151
3
. Ad essa il decreto 
luogotenenziale 31 luglio 1945, n. 435 affidò il compito di redigere e 
approvare la nuova Costituzione. Con la liquidazione della monarchia e la 
creazione della nuova Assemblea si imprimeva una svolta essenziale nel 
processo di ricostruzione. La Costituente, formata da 556 membri, si aprì il 22 
giugno 1946 in un’atmosfera di cooperazione tra i grandi partiti di massa: da 
una parte i democristiani, dall’altra i socialisti e i comunisti. La presidenza 
della stessa fu affidata a Giuseppe Saragat
4
 mentre il liberale Enrico De Nicola 
fu eletto Capo provvisorio dello Stato
5
. Preso atto che un’assemblea così 
numerosa non poteva elaborare un testo costituzionale, si decise, sin dal 15 
luglio, di istituire una commissione ristretta di 75 deputati, con il compito di 
                                                 
1
 Per la prima volta si parlò di suffragio universale per l’estensione del diritto di voto anche alle 
donne.  
2
 Il decreto luogotenenziale del 16 marzo 1946, n. 98 non ritenne di affidare ad una istituenda 
Assemblea Costituente la scelta sulla «questione istituzionale», ma optò per un coinvolgimento 
diretto del popolo attraverso un referendum popolare. 
3
 Emanato da Vittorio Emanuele III con il quale si ritirò a vita privata, il decreto istituì una 
luogotenenza a favore del principe Umberto e affidò ad un’Assemblea Costituente, da eleggersi 
appena possibile, il compito di scegliere fra monarchia e repubblica.  
4
 Saragat, dimissionario il 6 febbraio 1947, fu sostituito da Terracini, nominato Presidente l’8 
febbraio 1947. 
5
 La scelta fu emblematica: l’avvento di un grande liberale al vertice dello Stato in un momento 
politico nel quale non si sapeva chi avrebbe stabilmente governato la neonata democrazia, fu la 
risposta alle istanze e modelli fascista che avevano preceduto l’avvento della Costituzione stessa. 
 7
elaborare e predisporre un progetto di Costituzione. Essa fu, inoltre, affiancata 
da un comitato di redazione, composto da 18 membri ma aperto alla 
partecipazione informale di altri componenti della Commissione.  
 Gli argomenti affrontati ed esaminati furono i più disparati: si va dal concetto 
stesso di Costituzione
6
, alla sua forma; e dalla necessità di introdurre diritti e 
doveri dei cittadini, fino alla forma di Stato.  
La Costituente affidò il progetto di Costituzione ad una commissione interna 
all’Assemblea stessa, la c.d. commissione dei 75 presieduta dall’onorevole 
Ruini
7
.  
La Costituzione italiana entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Essa fu una 
costituzione popolare, deliberata da un’assemblea rappresentativa eletta dal 
popolo con metodo democratico. Nonostante il carattere di compromesso 
politico di non poche disposizioni, la nuova Costituzione presentava elementi 
per uno sviluppo positivo in misura anche maggiore rispetto alle altre 
costituzioni di paesi a più lunga esperienza democratica.  
Passando ad esaminare i lavori della Commissione dei 75, notiamo che il 
ricordo della recente involuzione del sistema istituzionale a favore di un 
esecutivo dittatoriale vi esercitò un notevole influsso e, conseguentemente, da 
molti si sostenne la necessità di attribuire più limitati poteri al Capo dello Stato 
per evitare di cadere negli errori della Costituzione tedesca
8
 che, col 
rafforzamento dell’esecutivo, aveva preparato la strada all’avvento di Hitler. 
Dalle discussioni e dai voti dell’Assemblea risultò consolidata l’opinione 
prevalente secondo la quale la figura del Presidente della Repubblica avrebbe 
dovuto collocarsi al di fuori dei tre tradizionali poteri dello Stato, non facendo 
parte del legislativo, non disponendo del giudiziario (salvo la presidenza del 
Consiglio Superiore della Magistratura) e non essendo né «il detentore» né «il 
                                                 
6
«la base dell’ordinamento giuridico dello Stato; l’intera struttura, onde si organizza e si esplica il 
potere sovrano dello Stato, indipendentemente tanto dalle modalità che la Costituzione può 
assumere, quanto dal riconoscimento di questo o quel governo»M. RUINI, La nostra e le cento 
costituzioni del mondo. Come si è formata la Costituzione, Milano, 1961, p. 7. 
7
 La stessa risultava a sua volta suddivisa in tre sottocommissioni: la prima competente per i diritti 
e doveri civili e politici del cittadino era presieduta dall’on. Tupini, la seconda competente per 
l’organizzazione costituzionale dello Stato, era presieduta dall’on. Terracini, la terza competente 
per i rapporti economici e sociali era presieduta dall’on. Ghidini. 
8
 Nota anche come Costituzione di Weimar, entrò in vigore l’11 agosto del 1919. 
 8
capo» del potere esecutivo alla maniera dello Statuto Albertino come ebbe a 
precisare l’onorevole Ruini a nome della Commissione dei 75
9
. Ciò che più 
conta, fu l’affermarsi della tesi secondo la quale il Presidente debba rimanere 
estraneo alla funzione di indirizzo politico tanto che Preti ripropose l’idea che 
convenisse sopprimere la denominazione di «capo dello Stato»
10
 riconoscendo 
con ciò la preminenza del Parlamento ovvero del raccordo di maggioranza 
Parlamento-Governo
11
.  
Chi voglia stabilire, in positivo, quale i costituenti intendevano che fosse il 
compito essenziale del Presidente della Repubblica, si trova dinanzi una serie 
estremamente ripetuta di espressioni retoriche o comunque sfumate. 
Nell’ambito dell’Assemblea Costituente, il punto fu sottolineato con 
particolare insistenza da parte di Tosato sia quando egli riconobbe al Capo 
dello Stato la «funzione fondamentale di tutore e di guardiano della 
Costituzione»
12
 sia quando lo affiancò alla Corte costituzionale quanto al 
compito «di salvaguardare e tutelare l’osservanza della Costituzione nello 
svolgimento dell’attività degli organi costituzionali»
13
, con particolare riguardo 
al rinvio delle leggi.  
In breve sotto molteplici aspetti relativi al ruolo del Presidente nella nuova 
Repubblica, la disciplina costituzionale rimase allo stadio quasi di un abbozzo. 
Al riguardo, però fu lo stesso Orlando che ne offrì la giustificazione quando 
osservò: «Le Costituzioni si creano con il costume, con la lenta evoluzione, 
con successivi adattamenti a bisogni nuovi, non per atto di una volontà…»
14
.  
Con queste premesse, è lecito affermare che la Presidenza della Repubblica si 
mostra la più difficile e la più sfuggente fra le cariche pubbliche previste dal 
nostro ordinamento costituzionale. Infatti, quei dati normativi che dovrebbero 
fissarne la fisionomia, se non altro nei tratti essenziali, non sempre sono 
                                                 
9
 Atti dell’Assemblea costituente, 23 ottobre 1947, in www.camera.it. 
10
 L’attuale intitolazione degli artt. 83-91 Cost., che fa riferimento al Presidente della Repubblica 
anziché al Capo dello Stato, si deve infatti ad un emendamento dell’ultima ora, presentato dall’on. 
Preti e subito accolto dall’on. Perassi, a nome della commissione dei 75 Atti, cit., 23 ottobre 1947. 
11
 Atti, cit., 22 ottobre 1947. 
12
 Atti, cit., 23 ottobre 1947. 
13
 Atti, cit., 22 ottobre 1947. 
14
 Atti, cit., 23 ottobre 1947. 
 9
adeguati allo scopo. Incerte e polivalenti risultano molte fra le indicazioni 
testuali che si traggono dalle norme dedicate dalla Costituzione alla figura del 
Presidente. A tal proposito basta ricordare che la Costituzione dedica al 
Presidente della Repubblica un ristrettissimo numero di articoli e non esistono 
altre leggi, costituzionali o ordinarie, che si occupano di tale organo. Tuttavia, 
per quanto sfumata si presenti la configurazione costituzionale del Capo dello 
Stato, un punto fermo di fondamentale importanza consiste pur sempre in ciò 
che tale ufficio si colloca entro un determinato sistema giuridico-politico di cui 
bisogna tenere in debito conto nell’affrontare e nel risolvere i problemi 
interessanti il ruolo complessivo come pure le singole funzioni dello stesso 
Presidente.  
La Costituente ha infatti deciso in modo univoco che si sarebbe trattato di un 
Capo dello Stato operante in un regime partitico-parlamente, con tutti i 
condizionamenti che necessariamente ne discesero; ed è precisamente di 
questo regime che il Presidente fu fatto custode e garante. Del resto, il 
Presidente Einaudi, fin dal messaggio di insediamento del 12 maggio 1948, 
precisò che la legge fondamentale della Repubblica lo aveva fatto «tutore della 
sua osservanza»
15
.  
Si può quindi affermare che «la figura del Presidente della Repubblica Italiana 
sia determinata in modo sufficientemente elastico da permetterle un efficace 
adattamento all’evoluzione storica propria della dialettica intercorrente tra le 
forze politiche, nonché di quella fra queste e la collettività nazionale nel suo 
complesso. Nello stesso tempo, però, la posizione del Presidente è altrettanto 
sufficientemente definita in modo tale da non poter permettere una ricaduta 
della stessa verso modelli storicamente superati ovvero una fuga verso modelli 
inadatti allo stadio attuale della evoluzione politica della società italiana»
16
.  
 
 
                                                 
15
 Cfr www. quirinale.it/ex_presidenti/Einaudi/dichiarazioni. 
16
 A. BALDASSARRE e C. MEZZANOTTE, Presidente della Repubblica e maggioranza di 
governo, in AA.VV. La figura e il ruolo del Presidente della Repubblica nel sistema 
costituzionale italiano, Atti di un Convegno, a cura di G. Silvestri, Messina, 1985, p. 84 ss. 
 10
2. Segue. Il potere neutro di garanzia  
 
La figura presidenziale era stata congegnata come fonte di armonizzazione e di 
stabilità del sistema di governo parlamentare al fine di assicurare l’equilibrio 
costituzionale tra i diversi poteri costituzionali nei primi fragili anni della 
Repubblica. 
La stessa procedura elettiva, adottata dai padri costituenti, voleva allontanare il 
Presidente dalle tentazioni di un ruolo attivo nel gioco politico, nonché 
dall’eccessiva personalizzazione del potere. In realtà, l’eterogenea natura e la 
grande complessità delle funzioni presidenziali non ha mancato di 
differenziare le une dalle altre presidenze del periodo repubblicano: nel senso 
che ogni Presidente si è ritagliato il suo ruolo – entro le generiche previsioni 
costituzionali – secondo le caratteristiche umane e politiche della propria 
personalità, oltre che in vista delle concrete occasioni che la situazione del 
momento gli veniva offrendo.  
L’aula, esaminando le diverse proposte elettive per la Presidenza della 
Repubblica, approvò il modello del Parlamento riunito in seduta comune, 
integrato da 58 rappresentanti delle Regioni, scartando l’elezione diretta 
popolare
17
. Inoltre, apparve eccessivo il potere che avrebbe potuto ottenere un 
Presidente eletto tramite questo sistema, con il rischio di una potenziale svolta 
autoritaria come era avvenuto nella Repubblica di Weimar dal 1925 in poi. 
L’ampliamento del numero dei grandi elettori presidenziali rispondeva, invece, 
all’esigenza di non relegare il Presidente in una netta posizione di subalternità 
verso il Parlamento. Gli oppositori di tale sistema lessero questa soluzione 
come una grave alterazione dell’equilibrio delle forze parlamentari, essendo 
nominati dai Consigli regionali 58 persone sostanzialmente estranei al 
Parlamento, mentre i favorevoli accolsero entusiasticamente questa proposta 
                                                 
17
 Rispetto all’elezione parlamentare, quella popolare sarebbe stata fatalmente dominata dai partiti 
e dalle relative lotte per la prevalenza. Il problema fu svolto specialmente da Nobili e da Fuschini 
che dichiarò: «La nomina da parte del popolo del Presidente della Repubblica non ci preoccupa, 
ma ci preoccupano gli inconvenienti che possono derivare da una campagna elettorale relativa ad 
una carica di così alto rilievo. Anche quel candidato che riuscirà vittorioso non sarà stato 
risparmiato dagli attacchi della passione politica e il suo prestigio personale riuscirà in qualche 
modo ferito» Atti, cit., 21 ottobre 1947. 
 11
poiché allargava l’elezione della massima carica istituzionale alle parti sociali 
e soprattutto potevano scorgere una base elettorale più ampia della 
maggioranza governativa, anche se ritenevano il numero proposto 
assolutamente insufficiente per influire effettivamente sull’elezione 
presidenziale. 
Il sistema previsto dall’art. 83 Cost.
18
 dovrebbe garantire l’elezione di un 
uomo, indipendentemente dalla scelta di un programma o di una formula 
politica. Ciò non toglie, ovviamente, che si tratti di una vicenda fortemente 
politicizzata, come è dimostrato dalla grande importanza che le forze 
rappresentate in Parlamento attribuiscono all’occupazione del Quirinale, ma le 
modalità previste dall’ultimo comma dell’art. 83 Cost. contribuiscono in un 
duplice senso al conseguimento dello scopo che la Costituzione si prefigge. 
Una prima garanzia di non dipendenza del Presidente della Repubblica, nei 
confronti dei vari settori politici determinati, sta nella prescrizione dello 
«scrutinio segreto», con la conseguenza che all’atto della scelta ciascun 
parlamentare non subisce nessun vincolo esterno alla propria coscienza. 
Dall’altra parte, è sempre dal diritto-dovere di segretezza che discende 
l’impossibilità di avanzare candidature ufficiali, nonché di valutare i meriti di 
quanti assumono in fatto la veste di candidati, discutendone entro lo stesso 
Parlamento in seduta comune
19
. La circostanza che, in tutte le elezioni 
presidenziali svoltesi dal 1948 in poi, le candidature siano rimaste ufficiose e 
spesso non abbiano nemmeno ricevuto la preventiva adesione degli interessati, 
non è pertanto dovuta a una lacuna dei regolamenti parlamentari o delle 
convenzioni costituzionali. A ciò si aggiunge l’ulteriore garanzia delle 
maggioranze qualificate, che devono essere raggiunte per eleggere il capo 
dello Stato. Infatti, la frammentazione delle forze politiche che ha 
contraddistinto i Parlamenti dell’Italia repubblicana, ha fatto sì che la stessa 
                                                 
18
 «Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. 
All’elezione partecipano tre delegati per ogni regione eletti dal consiglio comunale in modo che 
sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato. L’elezione 
del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi 
dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta». Art. 83 Cost.  
19
 L. PALADIN, Il Presidente della Repubblica, in Enc. Dir., XXXV,1986, p. 174 ss. 
 12
maggioranza assoluta sia valsa ad escludere l’elezione di un candidato voluto 
ed imposto da un singolo gruppo parlamentare.  
Tuttavia se la scelta del sistema elettorale riconduceva la figura presidenziale a 
«potere neutro» entro il modello classico parlamentare, riassumibile nelle 
funzioni di controllo e di garanzia, di rappresentanza dell’unità nazionale e di 
arbitro imparziale di fronte al continuo divenire politico delle estemporanee 
maggioranze politiche
20
, lo stesso concetto di potere neutro rischia di rimanere 
una formula priva di significato se non si chiariscono i contenuti e la natura 
dell’autonomo potere presidenziale.  
Innanzi tutto va precisato se l’accento deve cadere su quello che è il concetto 
di «potere» che il Presidente verrebbe comunque chiamato ad esplicare o sulla 
necessaria «neutralità» della sua posizione.  
Il primo tentativo di definizione di «potere» neutro si ebbe ad opera del Barile 
il quale attribuiva al Presidente della Repubblica il compito di svolgere un 
«indirizzo politico generale (o costituzionale)»
21
. In questo caso il termine 
neutralità consisterebbe nel rifarsi ai fini che la Costituzione prescrive alla 
Repubblica, diversamente dal puntuale indirizzo politico governativo che il 
Capo dello Stato non potrebbe codeterminare se non per conformarlo alla 
Costituzione stessa. Ma il tentativo non ha raccolto un sufficiente seguito. 
Nella seconda direzione, d’altra parte, un diffuso sforzo è stato rivolto ad 
affermare l’«imparzialità» del Presidente della Repubblica, cui 
corrisponderebbe la neutralità del suo potere: ma, anche in tal senso gli esiti 
non sono stati soddisfacenti. Per meglio dire, non vi è dubbio che il Presidente 
debba essere imparziale in quanto indipendente dalle parti politiche in lotta 
senza identificarsi con alcuna fra di esse e senza mantenere in particolar modo 
alcun legame con il partito di originaria appartenenza.  
Il potere neutro è stato, infine, concepito come intermediario e risolutore di 
conflitti sia sul piano istituzionale che su quello strettamente politico. Ma nella 
realtà dello stato contemporaneo i conflitti istituzionali sono stati sempre 
                                                 
20
 L. MARESCA, La procedura di risoluzione delle crisi di Governo: dalle regole formali alla 
prassi presidenziale, in www. Tramontana.it/La rivista, n. 6 1999/2000. 
21
 P. BARILE, I poteri del Presidente della Repubblica, in Riv. Trim. dir. Pubbl.1958, p. 307 ss. 
 13
conflitti politici o di rilevanza politica per cui il «potere neutro» in tanto può 
trovare una giustificazione in quanto si colloca come un potere coinvolto meno 
degli altri nello scontro politico e quindi più idoneo a fornire soluzioni 
«obiettive» dei conflitti
22
. In particolare il nostro ordinamento costituzionale 
riserva al Presidente della Repubblica la soluzione dei conflitti eminentemente 
politici, assegnando allo stesso strumenti non puramente formali.  
La nomina del Presidente del Consiglio e dei ministri e lo scioglimento delle 
Camere si qualificano in concreto come strumento di superamento di conflitti 
politici e strumento di risoluzione delle crisi nei rapporti tra Parlamento e 
Governo, nel senso che pone le premesse di un rinnovato rapporto fiduciario e 
nello stesso tempo realizza una mediazione tra le forze politiche che erano 
venute in disaccordo. Il potere neutro è quindi considerato tale in quanto 
separato dalle parti in contrasto. Infatti, la funzione riconducibile alla figura 
del Presidente della Repubblica non è sicuramente quella legislativa, a ciò 
ostando in modo insuperabile il principio, sancito espressamente dall’art. 70 
Cost., secondo il quale la funzione legislativa è esercitata dalle due Camere 
restandone conseguentemente escluso il Capo dello Stato, né può farsi 
consistere la funzione propria del Presidente della Repubblica nella funzione 
governativa-esecutiva ormai attribuita sia per la sua titolarità che per il suo 
esercizio, ad un solo organo, o meglio «complesso organico»
23
, data la sua 
formazione composita, e cioè al Governo. Tuttavia, se il potere del Presidente 
consiste nello svolgimento di un ruolo attivo che non è indifferenza o assenza 
di opinioni rispetto alla contesa il problema è di stabilire come questo potere 
possa essere «neutro».  
Alla struttura di un Presidente della Repubblica così come veniva disegnata 
dall’Assemblea costituente, quale organo neutrale, garante imparziale del 
funzionamento del sistema deve ricollegarsi la posizione di un Presidente che 
titolare di un potere specifico, cioè che non partecipa (anche se attentamente lo 
                                                 
22
 G. SILVESTRI, Il Presidente della Repubblica: dalla neutralità – garanzia al governo della 
crisi, in AA. VV. La figura e il ruolo del Presidente della Repubblica,  cit., p 458 ss. 
23
 RUGGERI, Il consiglio dei ministri, L. VENTURA, Il governo a multipolarità diseguale, 
Milano, 1988. 
 14
osserva) al gioco politico e che, essendo collocato al di fuori delle parti, non 
svolge alcuna funzione attiva nella determinazione e nell’attuazione 
dell’indirizzo politico
24
. Potere neutro, però, non vuol significare potere 
passivo; ed infatti le attribuzioni costituzionali proprie dell’organo gli 
conferiscono una notevole «forza politica» che il Presidente può esercitare nei 
confronti e delle Camere e del Governo.  
A questo punto, il constatare che, nel riassetto della forma di governo, il 
Costituente avesse ritenuto di mantenere una struttura come il Capo dello 
Stato, rinnovato nella figura di un Presidente della Repubblica, e l’avesse 
voluto quale rappresentante dell’unità nazionale, porta all’ovvia conclusione 
che tutto ciò esclude la possibilità di ridurre la figura del Presidente ad una 
presenza simbolica formalmente rappresentativa. Il Presidente della 
Repubblica di una Costituzione fortemente improntata al principio della 
razionalizzazione del potere non poteva tradursi in un’entità svuotata di ogni 
effettiva funzione giuridica. È quindi un dato acquisito in dottrina essere il 
Presidente della Repubblica un potere autonomo dello Stato, con una precisa 
funzione di garanzia. La forma di governo parlamentare – almeno nel modo in 
cui è configurata nella nostra Costituzione – attribuisce al Presidente della 
Repubblica «poteri propri» (ivi compreso il potere di esternazione) 
riconducibili alla sua posizione di «garante politico» della Costituzione.  
 
3. Il Presidente della Repubblica garante della Costituzione e simbolo 
dell’unità nazionale 
 
La ricostruzione della figura e del ruolo del Presidente della Repubblica come 
struttura di garanzia costituzionale è pressoché coeva, nella sua prima 
formulazione, all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Affermare 
che nel nostro ordinamento il Presidente della Repubblica è «guardiano o 
tutore della Costituzione» equivale a delineare la funzione giuridica 
dell’organo in esame alla luce delle prime affermazioni emerse in sede di 
                                                 
24
 T. MARTINES, il potere di esternazione, in La figura e il ruolo del Presidente,  cit., p. 137. 
 15