Il Rischio di Concentrazione nei portafogli creditizi: revisione critica e possibili integrazioni della Funzione Regolamentare in Basilea II 
PREFAZIONE 
  
Il presente lavoro nasce dalla volontà di realizzare un documento che non abbia una 
valenza limitata al momento dell’esposizione ma piuttosto che dia allo scrivente la 
possibilità di approfondire concetti di attuale interesse nell’universo finanziario i 
quali per una pluralità di ragioni sono stati trattati solo in parte durante il corso di 
studi. 
La recente crisi del sistema economico finanziario ha rivestito un ruolo 
determinante nella decisione di centrare il presente lavoro sulle problematiche 
connesse alla stima del capitale a copertura delle perdite nei portafogli detenuti 
dalle istituzioni creditizie in accordo alle disposizioni delle Autorità di Vigilanza. 
Una volta individuata la macro area di studio, ovvero portafogli creditizi e livello di 
capitale a rischio, lo step successivo è stato quello di identificare al suo interno degli 
elementi specifici connessi ad eventi attuali da trattare ed approfondire. 
Nel momento in cui ho intrapreso la stesura della tesi la crisi economica 
raggiungeva un intensità tale da provocare i fallimenti o quasi fallimenti di “illustri” 
società finanziarie ed istituti creditizi facendo emergere in primo piano quella 
componente del rischio di credito definita “rischio di concentrazione” che grava su 
portafogli non adeguatamente diversificati. 
Il rischio di concentrazione, trascurato nell’accordo di Basilea I, è invece trattato nel 
secondo Pilastro del nuovo accordo di Basilea che ha radicalmente modificato le 
disposizioni previste dal suo “predecessore” per la stima del requisito patrimoniale. 
Oltre a considerare rischi precedentemente ritenuti residuali, all’interno delle nuove 
norme di Basilea II, la novità principale può essere circoscritta nell’introduzione 
della sensibilità alla probabilità di default dell’esposizioni nelle stime del capitale di 
vigilanza; questo ha rappresentato un grande passo in avanti rispetto alle 
disposizioni precedenti le quali prevedevano la determinazione del capitale 
esclusivamente in funzione della tipologia di esposizioni non considerando in alcun 
modo la vera espressione del rischio di credito ovvero la probabilità di default. 
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Il nuovo accordo si sviluppa in tre parti definite Pilastri che non sono tra loro 
alternative ma bensì concorrenti per garantire una piena copertura dei rischi a cui 
una istituzione bancaria può essere esposta. 
Nell’approccio Internal Rating Based previsto dal Primo Pilastro il capitale viene 
quantificato attraverso una formula regolamentare risolvibile in forma chiusa la 
quale è sensibile ad una serie di parametri  direttamente connessi alle caratteristiche 
dell’esposizione e della controparte; tra questi parametri è inclusa la probabilità di 
default non condizionata che va stimata autonomamente dalla banca nelle due 
varianti previste dell’IRB. 
Nonostante siano evidenti i benefici apportati dalla Formula Regolamentare rispetto 
a quanto dettava l’accordo di Basilea I sono comunque importanti le limitazioni 
originate dalle assunzioni alla base del modello dal quale questa è ricavata; l’infinità 
granularità, la presenza di un unico fattore espressione del rischio sistematico e un 
coefficiente di correlazione distinto per macroblocchi la rendono insensibile alla 
concentrazione sui nomi e sui settori. 
Il secondo Pilastro dell’accordo di Basilea II ha tra le altre la finalità di “trattare” 
quella parte di rischi non adeguatamente tenuti in considerazione nel Primo Pilastro 
disponendo che le banche debbano prevedere un processo interno definito ICAAP 
con lo scopo di “testare” la consistenza del capitale in riferimento a quella quota di 
rischio a cui la formula regolamentare non è sensibile tra le quali vi rientra il rischio 
di concentrazione. 
La funzione regolamentare per la presenza di un unico fattore espressione del 
rischio sistematico è inquadrata tra quelli che sono definiti modelli unifattoriali 
contrapposti ai multifattoriali che, come intuibile, prevedono una pluralità di fattori 
di rischio sistematico e relativi coefficienti di correlazione degli asset return. 
La stima del capitale tramite il modello multifattoriale è in grado di cogliere la parte 
di rischio generata da una eccessiva concentrazione nei confronti di esposizioni di 
importo rilevante o nei confronti di controparti soggette alle medesime fonti di 
rischio, il modello multifattoriale per le sue caratteristiche può essere cosi visto 
come stima patrimoniale target alla quale si punta ad arrivare utilizzando 
metodologie alternative meno dispendiose da un punto di vista computazionale. 
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Il principale limite del modello ovvero l’elevato costo implementativo è dovuto alla 
necessità di adottare metodi di simulazione quali tra tutti il metodo Montecarlo non 
essendo risolvibile analiticamente. 
E’ possibile, al fine di evitare l’implementazione di un modello a più fattori, 
catturare una quota rilevante della rischiosità (in termini di concentrazione) non 
considerata dalla formula regolamentare attraverso la ricalibraratura delle asset 
correlation previste dal Comitato di Basilea con quelli adottabili per 
l’implementazione del modello multifattoriale; tale ricalibratura delle correlazioni 
garantisce una stima più accurata rispetto a quella ottenuta con i valori 
regolamentari ma, trattandosi comunque di un aggiustamento su di una sola 
componente della formula, non da la possibilità di catturare completamente i 
diversi livelli di perdita del portafoglio per le diverse configurazioni che i fattori di 
rischio possono assumere. 
Allo stato di ricerca attuale se si vuole ottenere una stima piuttosto accurata 
evitando l’applicazione del modello multifattoriale è possibile integrare la 
Regulatory Formula con quello che dall’autore Pykhtin viene definito Multi null Factor 
Adjustmant il quale garantisce una quantificazione della perdita del portafoglio che 
si avvicina al target rappresentato dal multi factor null  model. 
 
La struttura della trattazione è suddivisa in tre capitoli, il primo propone un breve 
rischiamo alle disposizioni di Basilea I per poi concentrarsi sulle nuove norme ed in 
particolare nella definizione dei parametri di rischio adottati nella formula 
regolamentare e delle relative metodologie di stima. 
L’ultima parte del primo capitolo è dedicata interamente alla formula 
regolamentare e ai modelli dai quali ne trae origine. 
Il secondo capitolo introduce il rischio di concentrazione in virtù di quanto 
disciplinato nel secondo pilastro di Basilea e le relative raccomandazione per 
l’implementazione del ICAAP. 
L’ultimo capitolo è la sezione ad impronta più quantitativa: la prima parte è 
dedicata ad una esposizione esaustiva per l’implementazione di un modello 
multifattoriale, la seconda parte si concentra sulle tecniche adottabili per ricalibrare 
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le asset correlation regolamentari al fine di catturare la parte di rischio del 
portafoglio generata dalla concentrazione sui nomi e sui settori. 
L’ultima parte è invece dedicata al “Multi Factor Adjustmant” implementato da 
Micheal Pykhtin con il quale, come vedremo con una applicazione pratica al 
mercato del crediti Tedesco, si riesce a “replicare” con un ridotto errore la stima 
della perdita di portafoglio ottenibile con il modello multifattoriale. 
 
 
 
 
 
 
 
          Carmelo Pagliarisi 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Il Rischio di Concentrazione nei portafogli creditizi: revisione critica e possibili integrazioni della Funzione Regolamentare in Basilea II 
Capitolo 1:  Una presentazione dettagliata del 
Primo Pilastro di Basilea II 
 
1.1. Il nuovo accordo di Basilea II: elementi chiave     
             
1
Il “Basel Committee on Banking Supervisor” nel nuovo accordo di Basilea ha previsto tre pilastri che 
racchiudono le direttive e le indicazioni con le quali l’organismo supervisore (il quale ricordiamo 
non ha potere legislativo e/o normativo) va a  sostituire il precedente framework (Basel I  del 1988) 
divenuto ormai obsoleto e ritenuto dai più eccessivamente semplificato. 
I tre pilastri formano un sistema regolamentare il cui obiettivo principale è quello di rafforzare la 
“soundness and stability of the International banking system” senza che, allo stesso tempo, venga 
meno la competitività del sistema bancario nel suo complesso. 
Il Comitato ha voluto fortemente creare uno strumento di quantificazione del requisito patrimoniale, 
per la copertura dei principali rischi bancari (di credito, operativo e di mercato), che fosse 
maggiormente “risknullsensitive” rispetto alla estre m se amplificazione della normativa precedente che, 
come vedremo in seguito, prevedeva coefficienti di ponderazione per il rischio omogenei anche per 
classi di esposizioni tra loro molto eterogenee in termini di probabilità di default. 
Il nuovo accordo disciplina importanti strumenti utilizzabili nella attività di risk management 
all’interno della banca; una delle maggiori innovazione è sicuramente quella che dà agli istituti 
creditizi la possibilità di utilizzare, nella stima di una delle principali variabili che incide nella 
quantificazione del requisito patrimoniale, la default probability, lo strumento del rating che potrà 
essere sia quello elaborato da agenzia specializzate sia quello elaborato dalla stessa banca. 
L’accordo in esame delinea, come detto, una serie di metodologie e approcci al fine di quantificare un 
livello di capitale minimo che i singoli istituti devono mantenere a copertura delle “Expected and 
Unexpected losses”; rimane facoltà delle singole autorità di vigilanza nazionali o internazionali  
l’adozione di aggiustamenti alle disposizione di Basilea II grazie ai quali vengano imposti “Higher 
Levels of Capital Requirements”. 
Se sono evidenti e voluti i forti punti di discontinuità tra Basel I e Basel II non mancano però alcuni 
elementi che sono stati semplicemente “traslati” dal precedente al nuovo sistema in particolare 
                                                 
                  
                   
               
                   
       
 
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Il Rischio di Concentrazione nei portafogli creditizi: revisione critica e possibili integrazioni della Funzione Regolamentare in Basilea II 
parliamo del coefficiente minimo di patrimonializzazione ovvero quel coefficiente che moltiplicato 
per l’attivo ponderato per il rischio quantifica il capitale minimo a copertura delle perdite (come 
vedremo questo vale solo per l’approccio di stima del capitale non basato sui rating), della struttura 
di base delineata dal Market Risk Amendment del 1996 volto ad incorporare nell’accordo i rischi di 
mercato (le similarità riguardano soprattutto l’approccio standard del first pillar con quando dettato 
in Basel I). 
Presentiamo sinteticamente quanto previsto nei tre pilastri: 
  
I. MINMIM CAPITAL REQUIREMENTS: (PILLAR I) è concentrato nel calcolo dei    
       requisiti patrimoniali minimi e mira a riformare le regole previste nel primo accordo di Basilea; 
II. SUPERVISORY REVEIW PROCESS: (PILLAR II) affina la stima del capitale rispetto a  
       quanto quantificato con le regole del primo pilastro al fine di stanziare quote di capitale per la  
       copertura di rischi non idoneamente  trattati; 
III.  MARKET DISCIPLINE: (PILLAR III) impone maggiore trasparenza alle banche al fine di  
       garantire una disciplina del mercato che giudicherà in funzione delle informazioni disponibili. 
 
L’importanza e l’attenzione dedicata ai 3 diversi pilastri da parte del Comitato è piuttosto 
disomogenea e può essere espressa dalla rappresentazione grafica che segue: 
 
GRAFICO 1: UNA RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELLA RILEVANZA ATTRIBUITA AI TRE PILLARS 
 
 
E’ evidente come il comitato abbia dedicato maggiore attenzione al primo pilastro in quanto è quello 
cui fanno riferimento gli altri due per affinarne o rafforzarne la disciplina. 
Un altro punto su cui il Comitato di Basilea ha lavorato e sta lavorando riguarda la necessita di 
ridurre le incongruenze tra la regolamentazione bancaria e gli Accounting Standards che si traduce 
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in maggiori difficoltà e oneri operativi da parte delle banche nonché in una minore trasparenza e 
chiarezza del sistema nel complesso. 
 
1.2. Un passo indietro: Basilea I 
 
IL primo accordo sul capitale minimo delle banche risale al 1988 quando the Committee pubblicò il 
Framwork contenente “The minimum capital requirements” le cui disposizioni divennero 
effettivamente operative a partire dal 1992 nel momento in cui gli stati costituenti il Comitato le 
1
applicarono nei rispettivi territori di giurisdizione . 
L’accorda si fonda su due semplici principi: 
 
null  ogni attività posta in essere dalla banca comporta l’assunzione di un certo grado di rischio; 
null  il rischio deve essere quantificato e supportato dal capitale. 
 
Basel I inizialmente prevedeva una serie di disposizione o per meglio dire indicazioni per la 
quantificazione del requisito patrimoniale minimo a copertura esclusivamente del Rischio di Credito 
che per caratteristiche proprie dell’attività creditizia riveste un ruolo predominante; l’evoluzione 
dell’attività bancaria ha generato però l’esposizione crescente ad altre tipologie di rischi primo tra 
tutti il “Market Risk”, il rischio derivanti dall’attività di compravendita degli strumenti finanziari; si 
rese quindi opportune una integrazione al fine di tenere in considerazione anche di questo 
componente. 
Analizziamo brevemente gli elementi costituenti l’accordo che poi saranno utili ad una migliore 
comprensione del nuovo Basilea. 
La quantificazione del requisito patrimoniale secondo le vecchie disposizioni è molto semplice infatti 
richiede di considerare: 
 
1. ATTIVO PONDERATO PER IL RISCHIO; 
2. COEFFICIENTE DI PATRIMONIALIZZAZIONE; 
 
Le attività rischiose detenute dalla banca vanno moltiplicate per degli appositi coefficienti di 
ponderazione definiti dalle autorità di Vigilanza che variano (0% null 200%)  in funzione della tipolo gia
di controparte debitrice, del rischio paese e della presenza di eventuali garanzie, si ottiene cosi quello 
che tecnicamente è definito “Risk Weighted Asset”. 
                                                 
1
 Inizialmente gli  stati che ratificarono l’accordo erano 10, al momento attuale sono piu’ di 100 considerando che a livello di 
banche operanti in uno dei Paesi membri dell’Unione europea, l’obbligatorietà delle indicazioni del Comitato di Basilea sul 
capitale minimo discende anche dal loro recepimento da parte del legislatore comunitario nelle direttive sulle imprese 
bancarie, assicurative e finanziarie. 
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Il Rischio di Concentrazione nei portafogli creditizi: revisione critica e possibili integrazioni della Funzione Regolamentare in Basilea II 
Il passo successivo per la determinazione del capitale minimo da stanziare a copertura delle perdite è 
1
semplicemente la moltiplicazione dell’importo sopra calcolato per il coefficiente dell’ 8% che 
appunto rappresenta il coefficiente di patrimonializzazione. 
Per le attività fuori bilancio, tipicamente le garanzie, prima del coefficiente di ponderazione va 
applicato un fattore di conversione (0% null 100%) c  h ha e il fine di quantificare l’equivalente creditizio 
delle stesse che, date le loro caratteristiche, non hanno un valore “certo” come per i crediti. 
 
La semplicità delle disposizioni è evidente e questo ne ha sicuramente facilitato la diffusione, è 
proprio però nella  eccessiva semplicità che emerge uno dei loro limiti principali in quanto la 
“rudimentalità” del sistema di ponderazioni non consente di istituire una stretta correlazione tra il 
rischio di insolvenza specifico di una determinata controparte e la relativa copertura patrimoniale, 
quanto detto, oltre a generare una non corretta misura di capitale è causa quelli che vengono definiti 
arbitraggi patrimoniali ovvero l’allocazione del capitale nei confronti di controparti più rischiose che 
offrono un maggiore rendimento senza la necessità di una maggiore copertura in termini di capitale 
a causa della eccessiva standardizzazione dei coefficienti di ponderazione. 
L’accordo non riconosce il ruolo svolto dalla diversificazione di portafoglio quale fattore correttivo 
del rischio anche se è evidente l’effetto positivo che questa genera in favore di istituti che hanno 
esposizione ben diversificati territorialmente dal punto di vista delle caratteristiche dello strumento 
utilizzato e della controparte. 
Viene inoltre completamente trascurata la struttura per scadenze e di conseguenza risulta ininfluente 
sul rischio il fatto che l’esposizione abbia una scadenza prossima o lontana nel tempo  cosa che 
invece è determinante in termini di rischio tra esposizioni a lungo, medio e breve termine. 
Infine, come già accennato, l’accordo è fondato sulla stima del patrimonio minimo a copertura del 
rischio di credito attribuendo rilevanza minima se non nulla alle altre tipologie di rischio. 
 
E’ evidente come Basilea I sia stato uno strumento di grande valenza, dati statistici alla mano si e’ 
osservato un notevole incremento di patrimonializzazione delle banche che sicuramente ha rivestito 
un ruolo positivo in termini di stabilità del sistema finanziario anche se i limiti menzionati lo hanno 
reso inadeguato alle evoluzioni del mercato e dell’attività bancaria che, seppur rimanendo incentrata 
sull’attività creditizia, ha via via assunto esposizioni verso strumenti complessi la cui valutazione in 
termini di rischio non è accurata con modelli semplicistici del tipo esaminati. 
Non trascurabile il fatto che l’eccessiva semplificazione ha palesemente generato dei vantaggi 
competitivi nei confronti di quegli istituti meno efficienti ma che sono maggiormente propensi al 
rischio. 
 
                                                 
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 7% per le banche appartenenti a gruppi bancari. 
 
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Il Rischio di Concentrazione nei portafogli creditizi: revisione critica e possibili integrazioni della Funzione Regolamentare in Basilea II 
1.3. Basilea II: le disposizioni del Primo Pilastro 
 
Il primo pilastro del nuovo accordo di Basilea prevede due metodologie “alternative” destinate alla 
quantificazione del Capitale Minimo di Vigilanza a copertura di quello che è definito “Credit Risk”: 
 
1. STANDARIZED APPROACH; 
2. INTERNAL RATING APPROACH; 
 
1.3.A STANDARIZED APPROACH 
 
L’utilizzo dell’approccio standard per il calcolo dei requisiti patrimoniali a copertura del rischio di 
credito richiede una suddivisione delle esposizioni in diverse classi (portafogli)  a seconda della 
natura della controparte e delle caratteristiche tipiche del rapporto; conseguentemente  si applicano a 
ciascun portafoglio coefficienti di ponderazione diversificati in funzione del merito creditizio. 
I coefficienti sopra richiamati utilizzati al fine di ottenere il risk weighted assets possono essere oltre 
a quelli definiti dal Comitato anche determinati in funzione di valutazioni del merito creditizio 
effettuate da un soggetto terzo (ECAI) riconosciuto da un’autorità di vigilanza ovvero da agenzie di 
credito all’esportazione (ECA) anch’esse riconosciute da una autorità di vigilanza. 
Come già disciplinato nell’accordo del 1988 l’attivo ponderato per il rischio va, al fine di quantificare 
il requisito patrimoniale, moltiplicato per il coefficiente di ponderazione che è rimasto invariato pari 
1
all’8% . 
Riportiamo nella pagina che segue la TABELLA 1 che sulla base della scala di rating adottata da 
Standard and Poor’s presenta i coefficienti di ponderazione in funzione della classe di rating di 
appartenenza e della tipologia di controparte: 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
1
 Come già detto relativamente all’accordo del 1988 per le esposizioni fuori bilancio (tipicamente garanzie) è necessario 
quantificare l’equivalente creditizio che viene calcolato moltiplicando il valore della garanzia per un cosidetto “fattore di 
conversione” che tiene conto della maggiore o minore probabilità che le garanzie rilasciate o l’impegno concesso possano 
effettivamente tramutarsi in una esposizione per cassa. 
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TABELLA 1: COEFFICENTI DI PONDERAZIONE IN FUNZIONE DELLA CLASSE DI RATING DI APPARTENENZA E 
DELLA NATURA DELLA CONTROPARTE (SCALA DI RATING ADOTTATA DA STANDARD AND POOR’S) 
 
 
La penultima colonna rappresenta tutte quelle categoria per le quali non esiste un rating, in questo 
caso il comitato ha previsto un coefficiente di ponderazione pari al 100% (eccetto che per prestiti nei 
confronti di banche, Retail e Mutui con ipoteca). 
L’ultima colonna rappresenta i prestiti per i quali ci sia stato un ritardo superiore a 90 giorni nel 
rimborso del capitale o degli interessi, come possiamo osservare il coefficiente di ponderazione è del 
150 % escluso che per i mutui ipotecari su immobili residenziali. 
Il Comitato in relazione alle esposizioni nei confronti di istituti bancari ha previsto la possibilità di 
scelta da parte dell’autorità di vigilanza del singolo stato in merito alle modalità di attribuzione del 
rating che alternativamente può essere assegnato da un agenzia specializzata o in funzione del rating 
dello stato in cui la banca ha la sede legale; una volta scelta uno dei due criteri alternativi questo 
deve essere applicato a tutte le banche con sede legale nel territorio dello stato. 
1
Per la categoria Retail alla quale con molta probabilità non è assegnato alcun rating ma che beneficia 
in virtù delle sue caratteristiche di un elevato livello di diversificazione è previsto un coefficiente di 
ponderazione del 75%. 
Come accadeva nel primo accordo di Basilea i crediti assisiti da ipoteca su un immobile di prima 
abitazione riceveranno un coefficiente ridotto (che scende dal 50% al 35%) mentre nel caso di ipoteca 
su altre tipologie di immobile spetta all’autorità di vigilanza nazionale fissare un coefficiente che può 
arrivare fino ad un minimo del 50% a patto che i relativi cespiti siano caratterizzati da una limitata 
oscillazione dei prezzi. 
                                                 
1
 Esposizioni verso persone fisiche o piccole imprese non superiori ad un milione di Euro rappresentate da specifiche tipologie 
di prodotti (crediti rotativi, prestiti personali e leasing, facilitazioni e aperture di credito nei confronti di piccole imprese ad 
esclusione dei titoli) e sufficientemente frazionati (ad esempio le Autorità potrebbero imporre che nessuan esposizione nei 
confronti di una stessa controparte possa superare lo 0,2% del portafoglio retail complessivo). 
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I coefficienti patrimoniali esposti nella TABELLA 1, ad esclusione delle ultime due righe, si riferiscono 
ad esposizioni non garantite, nel caso il credito sia assistito da garanzie reali o personali il Comitato 
ha previsto delle riduzioni dei coefficienti di ponderazione che sono funzione della tipologia di 
garanzia e del metodo adottato. 
GARANZIE REALI: sono previsti due approcci il metodo semplificato applicabile a specifiche tipologie 
di garanzie (contante, oro, titoli di debito, alcuni titoli quotati, e le quote di fondi comuni che 
investono negli strumenti sopra elencati) ed il metodo integrale che vale anche per tutte le azioni 
quotate. 
Nel metodo semplificato la porzione di esposizione coperta da garanzia viene ponderata per il 
coefficiente di ponderazione attribuibile alla garanzia (ad esempio il coefficiente applicabile agli Stati 
Sovrani se in garanzia sono stati concessi Titoli di Stato con un coefficiente che non può comunque 
scendere al di sotto del 20%); nel metodo integrale è necessario calcolare la porzione di esposizione 
assistiti da una garanzia valida sulla quale non si applicate nessun requisito di capitale. 
In quest’ultimo caso è quindi necessario calcolare il valore della garanzia prevedendo uno specifico 
HAIR CUT che riflette il rischio connesso alla riduzione del valore dello strumento concesso in 
garanzia durante la vita residua del prestito.  
Nella TABELLA 2 presentata sono riportati i livelli di HAIR CUT applicati dal Comitato di Basilea, come 
possiamo notare la riduzione del valore della garanzia aumenta al diminuire della classe di rating, 
all’aumentare della vita residua del prestito nonché all’aumentare della volatilità del prezzo dello 
strumento concesso in garanzia. 
Gli Hair Cut vengono altresì incrementati in funzione del numero di giorni che la banca necessità per 
la stima del valore della garanzia o del numero di giorni necessario per ottenere un integrazione 
della stessa. 
 
TABELLA 2: LIVELLI DI HAIRCUT APPLICABILI CON IL METODO INTEGRALE 
 
 
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