La legge n. 112 del 2004, (c.d. legge Gasparri), è intervenuta in maniera rilevante 
sull’assetto della radiotelevisione pubblica, avviando un discusso processo di 
privatizzazione, e sull’attuazione del principio pluralistico, allargando in maniera enorme 
quei limiti antitrust che non avevano mai conosciuto prima una vera attuazione.  
Nonostante tutto, anche questa legge, bisogna rilevare che non è esente da vari rilievi 
critici, soprattutto in riferimento al diritto all’informazione, quindi una insufficiente tutela 
del pluralismo sostanziale. 
In realtà, il principio pluralistico, nella duplice accezione del pluralismo interno e del 
pluralismo esterno, dovrebbe rappresentare il risvolto positivo di quel diritto 
all’informazione o anche alla scelta dell’informazione che la nostra Costituzione 
garantisce.  
Le considerazioni svolte in questo lavoro tendono a mostrare come il nostro sistema 
radiotelevisivo si trovi ad attraversare una fase di continua transizione, destinata a 
conoscere ulteriori sviluppi. 
Spinto da queste riflessioni concettuali, nel corso del 2006, vi è stato quindi un 
avvicinamento ad un gruppo di lavoro su scala nazionale, il Comitato “Per un’altra Tv”, 
in cui si sono venute a coagulare le volontà e gli obiettivi, inizialmente di un gruppo 
ristretto di personaggi, guidati dal deputato parlamentare della Federazione dei Verdi On. 
Tana de Zulueta, che hanno portato a trovare un testo condiviso e a stilare nell’estate del 
2005 una Proposta di legge di iniziativa popolare per una vera riforma del sistema della 
comunicazione radiotelevisiva italiana. 
Il percorso seguito da questo gruppo di lavoro ha attinto anche dall’esperienza di altri 
Paesi europei, tra cui il sistema tedesco e spagnolo, nati anche loro da una crisi di 
democrazia e da una più generale crisi del sistema delle comunicazioni. 
La proposta di legge di iniziativa popolare presentata e sostenuta da personalità dello 
spettacolo, del giornalismo e della politica ha come obiettivo quello di garantire il 
pluralismo, la libertà, l’obiettività e la correttezza nelle trasmissioni delle reti 
radiotelevisive pubbliche e private, sottraendo il servizio pubblico all’ingerenza dei 
partiti politici, nonché l’abrogazione dell’attuale Commissione Parlamentare di Vigilanza 
e Indirizzo e la sua sostituzione con il Consiglio per le comunicazioni audiovisive. Creare 
quindi un organismo di gestione della comunicazione pubblica svincolato ed autonomo, 
in cui sono rappresentate in modo paritetico le principali istanze politiche, sociali e 
 ii
culturali del Paese; un organo costituito da “tecnici”, da rappresentanti della società 
civile, del Parlamento, delle Regioni, dei Comuni e delle Province.  
Tutte le proposte sono perfettibili, e questa sicuramente non fa eccezione; senza nessuna 
pretesa di completezza, la prospettiva di questo lavoro è tutta rivolta a sostenere e 
legittimare la necessità e l’importanza di avviare urgentemente un processo di deciso 
cambiamento e di adeguamento del sistema; un cambiamento individuato anche 
nell’evoluzione delle tecnologie applicate alle comunicazioni e che coinvolge non solo il 
nostro Paese, ma tutti i sistemi radiotelevisivi europei.  
L’immediato futuro, anche considerando il dibattito parlamentare avviato in questi ultimi 
giorni, potrà darci risposte definitive in merito. 
 
 
      15 Settembre 2006                                                                                  D.D.M. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 iii
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo 1 
                                                     Libertà e comunicazione 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 1
1    -    Libertà e comunicazione 
 
Libertà e comunicazione nella sfera pubblica rappresentano, a partire dal sec. XVIII, 
due momenti interconnessi dello sviluppo delle società umane. L’affermazione della 
libertà nei confronti del potere ha avuto come strumento principe, se non unico, proprio 
i mezzi di comunicazione e conseguentemente lo sforzo di conquistare e sancire 
positivamente, nel diritto, le relative libertà: la libertà di manifestazione del pensiero, la 
libertà di stampa, la libertà di informazione, ecc. In pari tempo lo sviluppo dei mezzi di 
comunicazione, dalla comunicazione orale alle odierne autostrade elettroniche, ha fatto 
intravedere, almeno in via di principio, la possibilità che la generalità dei cittadini 
partecipasse della comunicazione e contribuisse alla formazione e al controllo del 
potere, facendo della comunicazione stessa lo strumento che in qualche modo manifesta 
e garantisce tutte le libertà pubbliche.   
La libera comunicazione sembra oggi, più delle stesse forme istituzionali, il segno 
efficace della democrazia
1
. 
Il rapporto tra libertà e comunicazione si afferma dapprima come autonomia, si 
sviluppa come esigenza di partecipazione e finalmente come diritto – credito dei 
cittadini e delle comunità: senza che sia possibile una distinzione netta, né in senso 
storico, né in senso teorico, fra i tre momenti e i tre obiettivi cui tende la libera 
comunicazione. Nell’ambito più strettamente giuridico si afferma costantemente 
l’esigenza delle garanzie che rappresentano lo statuto effettivo della libertà. Alle 
garanzie appartengono, da un lato,  le condizioni sociali, culturali, economiche della 
società nel momento dato e, dall’altro, le leggi che supportano le libertà e ne 
consentono la difesa giudiziale, nonché le regole di autodisciplina rappresentate dai 
codici di comportamento, dai difensori civici, da organismi di garanti come 
l’ombudsman che in alcuni giornali dà voce ai lettori
2
.   
 
 
 
 
 
                                                 
1
 MC QUAIL D., I media in democrazia, il Mulino, Bologna 1995; (p. 68-69) 
2
 LYON D., La società dell’informazione, il Mulino, Bologna 1991;  
 2
1.1  La conquista delle costituzioni moderne 
 
La comunicazione non aveva libera cittadinanza nei regimi assoluti e, insieme alla 
crescita della coscienza pubblica, è stato lo sviluppo dei mezzi di comunicazione a 
porre ai governi il problema di stabilire delle regole. 
Possiamo dire che la Chiesa gerarchica è stata in questo ‘maestra’ e non sempre 
‘madre’, pur con tutte le concessioni dovute allo spirito dei tempi. Repressione, censura 
e licenza (imprimatur) sono stati gli strumenti per regolare la comunicazione. 
L’inquisizione, istituita dal Papa Lucio III nel 1184 ha esercitato un rigido controllo 
repressivo sulla comunicazione ogni qualvolta questa intaccava o sembrava intaccasse 
l’ortodossia. In particolare, l’Inquisizione spagnola creata da Sisto IV su istanza dei Re 
cattolici nel 1478, aveva fra le sue competenze, quella di “impedire la stampa di libri 
condannabili, perseguire le opere sospette, spurgarle e stabilire un catalogo delle stesse, 
per mettere in guardia i fedeli contro la loro lettura”. Su questa scia, Paolo IV nel 1557 
istituì il primo Indice ufficiale dei libri proibiti (giudicato eccessivamente ‘severo’, 
venne rivisto e promulgato da Pio IV nel 1564); nel 1571 Pio V diede vita alla Sacra 
Congregazione dell’Indice
3
. 
Ciò non impedì che nello stesso ambito cattolico si levassero voci che riconoscevano il 
valore stimolante della libertà di comunicare fatti, pensieri, opinioni: basti per tutti 
ricordare la figura di Erasmo da Rotterdam (1466-1536).  
Ma è soprattutto la cultura laica, con lo sviluppo dell’Illuminismo nella seconda metà 
del sec. XVIII, a porre con forza, nei confronti così della Chiesa come dello Stato 
assoluto (in questo allora strettamente alleati), l’esigenza della libertà di 
comunicazione. Fino a che le rivoluzioni moderne per eccellenza, quella americana e 
quella francese, formularono nelle rispettive Costituzioni il diritto alla comunicazione 
libera (allora circoscritto per ovvie ragioni alla parola e alla stampa), come pilastri della 
convivenza pubblica. La Dichiarazione dei diritti del popolo della Virginia, del 1776, 
proclamava “la libertà di stampa uno dei grandi baluardi della libertà” e il Primo 
emendamento alla Costituzione federale degli Stati Uniti stabilisce che “Il Congresso 
non delibererà alcuna legge … per la quale… si limiti la libertà di parola o di stampa”. 
Analogamente la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino premessa alla 
                                                 
3
 KASPER W., Chiesa e processi di libertà, in “Il Regno”, (1995) 1, p. 39-45;  
 3
Costituzione repubblicana della Francia rivoluzionaria nel 1789, affermava che “la 
libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi 
dell’uomo”. 
Sotto questo aspetto, la storia dei due secoli che ci separano dagli avvenimenti 
rivoluzionari è caratterizzata dalle controversie e dalle battaglie fra le concezioni 
liberali e le riserve dei regimi assoluti sopravvissuti dopo la restaurazione post-
napoleonica. La scintilla che condannò definitivamente la monarchia borbonica nel 
luglio del 1830, furono le “ordinanze” di Carlo X contro la libertà di stampa. E questa 
libertà fu uno dei cardini delle rivendicazioni delle rivoluzioni che infiammarono 
l’Europa nel 1848. Via via, la libertà si veniva affermando ammettendo solamente i 
limiti riferiti all’ordine pubblico e alla morale, limiti di cui i governi usavano o 
abusavano, a seconda delle condizioni di forza nel momento dato, interpretandoli più o 
meno estensivamente.  
In Italia, lo Statuto Albertino recitava: “La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime 
gli abusi”. E ancora sanciva che i libri di pertinenza ecclesiastica (Bibbie, catechismi, 
libri liturgici e di devozione) dovevano recare il permesso del Vescovo. Il regime 
fascista non ha formalmente abolito lo Statuto, ma ne ha di fatto radicalmente alterato 
la sostanza, abusando della repressione e della censura, istituendo forme di intervento 
diretto con le ‘veline’ del Ministero della Cultura popolare, cui i giornali dovevano 
attenersi nella cronaca politica
4
. La libertà è stata ripristinata solo con la Costituzione 
repubblicana del 1946. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
4
 ARENDT H., La responsabilità personale sotto la dittatura, in Esposito R. (ed.), Oltre la politica, 
Mondatori, Milano 1966; (p. 75-76)  
 
 4
1.2  Dalla non-ingerenza dello Stato alla tutela del pluralismo 
 
Sino a un certo momento, la libertà di comunicazione si è configurata prevalentemente 
come una pretesa del cittadino o di gruppi di cittadini nei confronti del potere politico, 
al quale si domandava soprattutto un’astensione, una non-ingerenza. Ma il procedere 
delle idee e del sentire democratico, con l’avvento dello Stato sociale interventista, ha 
determinato un significativo mutamento di atteggiamenti.  
L’Opinione Pubblica, come espressione del corpo sociale distinto dai poteri istituiti, è 
venuta acquisendo una importanza sempre maggiore nella definizione e nell’assetto 
della democrazia. Si conviene che alla formazione dell’opinione pubblica 
contribuiscano una serie molto complessa di fattori: dalla scuola alle manifestazioni 
dell’arte, dall’editoria allo spettacolo, dalla religione alle culture regionali; non 
solamente dunque essa è modellata dagli strumenti di comunicazione, che tuttavia ne 
rappresentano in certo senso il veicolo e il collante
5
.   
La progressiva consapevolezza del ruolo di tutte queste forme di comunicazione e il 
peso crescente dei nuovi strumenti ha modificato – come si diceva – il rapporto fra 
libertà di comunicazione e potere pubblico. Allo Stato non si domanda più solamente di 
astenersi dall’interferire sulle libertà di chi vuole comunicare, ma si chiede un 
intervento attivo per rendere effettiva ed efficace tale libertà. Dunque interventi volti 
soprattutto a garantire il pluralismo, ad agevolare le manifestazioni artistiche e di 
pensiero, a impedire che il peso crescente dell’economia determini concentrazioni di 
potere, a preservare le espressioni culturali deboli, e così via. Lo Stato non è più il 
possibile ostacolo alla libertà di comunicazione dal quale guardarsi e al quale 
domandare al più il libero accesso alle fonti; ma gli si chiede di essere il tutore e 
l’equilibratore delle diverse libertà che confluiscono nelle libertà di comunicazione, 
fino a favorire una comunicazione interattiva e la circolazione pluridirezionale dei 
messaggi che contribuiscono alla formulazione di una effettiva opinione pubblica
6
.  
E’ ovvio che in questo nuovo atteggiarsi della libertà comunicativa (una fase che stiamo 
vivendo non senza contraddizioni e resistenze) insorgono problemi delicati nella 
definizione dei confini tra pubblico e privato, tra esigenze economiche ed esigenze 
culturali in senso lato: basti pensare al crescente peso della pubblicità nella 
                                                 
5
 LIPPMANN W., L’opinione pubblica, Donzelli, Roma 1995 (ed. orig. 1922);  
6
 CAVALLARI A., La fabbrica del presente. Lezioni di informazione pubblica, Feltrinelli, Milano 1990;   
 5
comunicazione o alle controversie inesauste che suscita la ricerca di uno statuto 
ottimale per le strutture pubbliche della comunicazione, come in Italia il servizio 
pubblico radiotelevisivo della Rai. 
Lo sviluppo rapidissimo dei mezzi di comunicazione, il fatto che essi siano diventati 
oggetto di imprese economiche e, soprattutto nei regimi totalitari, strumento di poteri 
politici, ha messo in luce, in tempi recenti, un aspetto relativamente imprevisto della 
relazione che intercorre fra comunicazione e libertà. Dopo l’affermazione della libertà 
di comunicazione con tutte le sue implicazioni, si profila con una certa insistenza un 
problema in certo senso rovesciato: la domanda di una “libertà dalla comunicazione”. 
L’affermazione suona paradossale. E tuttavia, sempre più spesso, soprattutto con 
riferimento agli strumenti elettronici e telematici, si vengono imputando a questi mezzi 
inconvenienti e malanni che derivano non solo dai contenuti trasmessi, ma anche dalla 
loro pervasività, se non dalla loro stessa esistenza. Si imputa loro l’inaridirsi della 
comunicazione interpersonale; la passività che inducono nei ricettori rispetto ai 
contenuti; l’eccesso di informazioni che sovrasta il discernimento di un supposto 
ricettore di media formazione; la diffusione di comportamenti moralmente discutibili; 
la riduzione della politica a spettacolo…e l’elenco potrebbe continuare. 
Maestri e intellettuali sollevano problemi. Il Card. Martini, arcivescovo di Milano, che 
pure è stato l’uomo di Chiesa che ha esplorato con più insistenza e profondità le 
opportunità offerte dal mondo della comunicazione, propone che di tanto in tanto ci si 
astenga dal video
7
 (Martini, 1990 e 1991). Il filosofo Karl Popper (1994) ha scritto un 
saggio severo su Cattiva maestra televisione, preoccupato soprattutto dell’effetto sui 
minori; si solleva il problema della diffusa dipendenza dei mezzi dal mercato 
pubblicitario e conseguentemente dalla ‘qualità’ dell’ascolto, che comporta fatalmente 
un abbassamento del livello qualitativo e un diffuso appiattimento della 
programmazione
8
. La pervasività dalla comunicazione moderna minaccerebbe la 
libertà, quanto meno nel senso di alterare il personale e autonomo processo formativo 
dei soggetti, singoli o comunità, come la famiglia già insidiata da tanti altri fattori. 
 
 
                                                 
7
 MARTINI C. M., Il lembo del mantello. Per un incontro tra Chiesa e mass media, Centro Ambrosiano, 
Milano, 1991;  
8
 POPPER K. - CONDRY J., Cattiva maestra televisione, Donzelli, Milano, 1994; (p. 48-49)  
 
 6
1.3  Il potere dei media e la responsabilità dei comunicatori 
 
Preoccupazioni di questo genere, innegabili anche se ancora non esplorate nelle loro 
complesse implicazioni, sollevano ovviamente obiezioni dal versante di quanti operano 
nel campo della comunicazione. Soprattutto la preoccupazione che si ripropongano 
tentazioni censorie, senza sapere oltretutto chi, quale autorità, avrebbe i titoli e sarebbe 
comunque in grado di porre rimedio ai mali temuti. Si deve ammettere che si tratta di 
un problema tuttora aperto, a proposito del quale è possibile solamente formulare 
qualche osservazione. 
E’ diffusa la propensione ad attribuire alle dimensioni mastodontiche della 
comunicazione moderna molti dei mali che lamentiamo nella società. Ma quanto più il 
fattore economico interviene nella comunicazione e induce a fare riferimento alla 
quantità degli utenti, è probabile che gli strumenti della comunicazione siano non già la 
causa, la radice fontale dei malanni che sentiamo genericamente incombere su una 
società frantumata e culturalmente dispersa, bensì il riflesso, lo specchio di culture e di 
modi di vita che hanno la loro radice nella crisi sociale, nelle ‘leggi’ economiche, nelle 
inquietudini politiche, al limite, nella preponderante visione antropologica che informa 
la modernità. 
Con questo non si vuol negare la responsabilità di quanti, padroni, produttori, operatori 
dei media, vi sono immediatamente coinvolti come detentori di un vero e proprio 
potere. Anche se non si deve dimenticare che essi non rappresentano una entità che 
manipola la società dall’esterno, bensì rappresentano essi stessi un aspetto della società 
che influenzano e dalla quale sono influenzati. E’ opportuno opporsi alla tendenza, 
invalsa sempre più nella coscienza pubblica, a ottundere la responsabilità personale, 
considerando il singolo come la rotella di un ingranaggio che lo sovrasta e che 
oltretutto è intercambiabile. Sicché il rifiuto o la resistenza all’ingranaggio, che può 
costare in termini di lavoro o di successo, viene considerata inutile, e, in qualche caso, 
persino dannosa all’insieme, qualora al posto di un soggetto considerato “per bene” 
venga collocato un altro soggetto considerato indifferente o magari cinico
9
. Lo scarico 
della responsabilità personale per addossarla al sistema è uno dei modi più proficui in 
cui i sistemi perversi si consolidano e si riproducono (concetto di Videodipendenza). 
                                                 
9
 CHOMSKY N., Il potere dei media, Vallecchi, Firenze 1994;  
 7
Per fare un riferimento tremendo, ma purtroppo già noto, è stato questo un meccanismo 
non secondario del consenso alle dittature. 
Quel che qui si vuole dire è che, volendo correggere i malanni di cui ci lamentiamo e 
che vediamo riflessi nei mezzi di comunicazione, vale fino ad un certo punto 
prendersela con questi ultimi. Se lo specchio ci rinvia una faccia che non ci piace, 
rompere lo specchio non giova. Se non altro, i mezzi di comunicazione ci avvertono 
dello stato in cui verte la nostra convivenza e l’inappagamento che suscitano è una 
ragione che stimola a ripensare i cardini, i dati fondativi della modernità. 
 
 
 
1.4  Diritto, informazione e comunicazione oggi 
 
Lo sviluppo dei mezzi e dei sistemi di comunicazione, la loro diffusione sociale e 
l’importanza che hanno assunto per la vita dei gruppi e degli individui rendono oggi più 
che mai inevitabile l’intervento dei poteri istituzionali nella disciplina di questa materia. 
Gli aspetti della comunicazione di cui si occupa il diritto sono numerosi: dal 
riconoscimento del diritto alla libera manifestazione del pensiero, alla disciplina 
relativa all’esercizio dei singoli mezzi (autorizzazioni, assegnazione delle frequenze, 
ecc.), alla tutela dei diritti individuali, fino alla regolamentazione di particolari attività 
di comunicazione. 
 
L’attività di informazione rappresenta un fenomeno unitario, indipendentemente dai 
mezzi di diffusione, e si riferisce alla caratterizzazione democratica del sistema, in 
quanto afferente ai profili di partecipazione dei singoli alla organizzazione statale
10
.  
Da un punto di vista strettamente normativo, la considerazione giuridica del fenomeno 
informazione, e in particolare la sua tutela quale contenuto di un diritto fondamentale, è 
riconducibile all’art. 21 della Costituzione, il quale, pur non menzionando il fenomeno 
informazione, include la libertà di manifestazione del pensiero, con qualsiasi mezzo, fra 
i diritti individuali di libertà. 
Proprio la generalità dei destinatari della tutela (“tutti hanno diritto di manifestare 
liberamente il proprio pensiero”) e degli strumenti (“con la parola, lo scritto e ogni 
                                                 
10
 MONNI P., L’informazione. Un diritto, un dovere, EDI, Cagliari 1989; (p.51) 
 8