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Chi soffre ha bisogno della comprensione del suo stato prima
ancora che della soppressione del dolore.
Imparare a valutare e monitorare il dolore come un
parametro con la stessa attenzione che si presta alla frequenza
cardiaca, alla temperatura corporea, alla frequenza respiratoria e
alla pressione arteriosa di una persona, rappresenta un passo
importantissimo nella presa in carico globale del paziente. Una
considerazione di questo tipo esprime la cura nell’assistenza alla
persona del professionista che guarda ad essa in tutte le sue
dimensioni.
Strumenti ampiamente utilizzati per la facilità di applicazione
e la semplicità di comprensione, sono le scale di valutazione tra
cui la scala analogica visiva e le scale descrittive.
Il dolore è un fenomeno con significati personali e culturali
profondi. Altamente soggettiva è la risposta al dolore e la sua
espressione verbale e non verbale. Persino la scelta riguardo alla
cura è una variabile da considerare attentamente.
L’orientamento del personale sanitario nei confronti del
dolore può influire sulla sua gestione. Infatti il ruolo di
individuazione, valutazione e monitoraggio tanto deve essere
accurato quanto tempestivo, puntuale e privo di preconcetti.
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Accertare il dolore della persona significa raccogliere
informazioni sia sulle cause fisiche, sia sugli stimoli emotivi e
mentali che ne influenzano la percezione individuale.
All’interno del processo di gestione la rilevazione della
sensazione dolorifica rappresenta la fase nodale che segna l’inizio
della presa in carico della persona, in cui l’infermiere in
collaborazione con altri professionisti somministra i trattamenti per
il sollievo dal dolore, valuta l’efficacia degli interventi e opera a
difesa della persona quando questi non sono efficaci.
Un sintomo è parte della persona e l’infermiere è il professionista
privilegiato per rilevare il dolore e per valutare l’efficacia delle
misure antalgiche intraprese.
Con tali prerogative l’infermiere influenza in modo
determinante l’esito della terapia antalgica rilevando i sintomi di
dolore della persona e attuando azioni volte al controllo ottimale. Il
ruolo dell’infermiere nella terapia del dolore è tanto importante
quanto nel contesto clinico l’alleviamento dei sintomi.
L’infermiere, per la propria formazione, ha la possibilità di
cogliere anche altri aspetti del dolore, considerando esso una
sensazione che ha un determinato significato per la persona. Le
caratteristiche personali psicologiche, sociali e culturali sono
altrettanto importanti di quelle fisiche per determinarne la risposta.
L’infermiere osserva, ascolta e valuta il dolore nel contesto della
persona nella sua globalità, superando l’approccio di causa-effetto
distintiva della professione medica. Senza sottovalutare il ruolo
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clinico del medico, si può tuttavia affermare che solo attraverso
l’approccio che adotta l’infermiere il dolore mostra tutto il suo
spessore umano.
La relazione assume un rilievo enorme per cui in nessun
altro ambito della relazione di cura è così appropriato, come per il
dolore, che il rapporto con la persona assistita inizi con l’ascolto.
“L’infermiere ascolta, informa, coinvolge la persona e valuta con la
stessa i bisogni assistenziali.”
Codice Deontologico (art. 4.2)
L’ambito dell’Emergenza Territoriale mostra un problema
comune ad altri contesti sanitari quale quello della scarsa
realizzazione dell’analgesia. La questione dolore rappresenta,
purtroppo, un problema insoluto o parzialmente considerato nella
quotidianità e anche in letteratura in cui pochissimi studi lo
trattano. In ricerca gran parte degli studi prodotti sono stati
realizzati in U.S.A, mentre in Europa sono presenti scarsi
riferimenti, in particolare in Italia. Tra i pochi studi individuati si
nota una forte variabilità organizzativa e costitutiva dei sistemi di
soccorso extraospedaliero a livello mondiale, nazionale, regionale
e talvolta addirittura provinciale. L'Italia rimane sempre all'ultimo
posto in Europa, insieme alla Grecia, per numero di confezioni
vendute di morfina, e i dati Oms collocano il nostro Paese agli
ultimi posti per consumo di oppiacei anche rispetto ai cosiddetti
paesi del Terzo Mondo.
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Le ipotesi che hanno guidato il presente lavoro di ricerca,
collocano la questione del dolore e della relativa applicazione del
protocollo di somministrazione della morfina, all’interno di un
quadro più ampio di considerazioni relative alla professione
infermieristica e alla sua crescita.
Quindi s’intende non scindere la dimensione tecnico-
assistenziale, quale la valutazione e gestione del dolore da parte
dell’infermiere nel paziente traumatizzato, dalla complessità del
contesto nella quale essa si manifesta: il Servizio di Emergenza
Territoriale - 118. Qui l’infermiere assume un ruolo nuovo, in
autonomia, che rivela dimensioni importanti, quale quella
dell’identità professionale.
Se da una parte ciò offre una significativa occasione di
crescita professionale nella direzione dell’assunzione di
responsabilità, dall’altra implica reazioni che i cambiamenti
professionali attivano inevitabilmente, quali paure, incertezze,
senso di disorientamento.
Gli obiettivi ai quali sono state finalizzate le ricerche sono
stati:
comprendere il motivo dello scarso utilizzo di un farmaco
analgesico per le persone traumatizzate, quale è la
morfina, autorizzata da un protocollo definito, legittimato e
in uso da 2 anni;
valutare la percezione del dolore da parte degli infermieri;
riflettere sul ruolo dell’infermiere in un ambito di alta
autonomia professionale come quello dell’emergenza
territoriale.
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Congruentemente con le ipotesi e gli obiettivi, la
metodologia di ricerca è di tipo qualitativo.
L’analisi di dati qualitativi può essere definita:
logica in quanto si esprime articolandosi attorno ad un
punto che si assume come nucleo centrale dell’opera,
individuando le linee fondamentali del documento, cui ricollegare
gli aspetti ritenuti secondari;
contestuale perché tende all’inserimento del documento in
esame nel contesto spazio, tempo, disciplina cui appartiene;
soggettiva perché sia che il ricercatore fondi la sua
ispezione su un’impressione d’insieme, sia che proceda
attraverso un iter analitico più rigorosamente logico, la
caratteristica del metodo qualitativo, rimane la soggettività nel
senso di essere un procedimento intimamente legato alla
personalità del soggetto autore della ricerca.
Nell’ambito della ricerca presentata, si è voluto focalizzare
l’attenzione sul dolore acuto della persona traumatizzata.
Alla luce della storia della professione infermieristica, del
contesto culturale da cui emerge l’infermiere e dei recenti
cambiamenti nel profilo e nella formazione di questa figura, gli end
point della ricerca illustrano un quadro incoraggiante.
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Gli infermieri:
¾ rilevano il dolore seppur ancora non abbiano adottato uno
strumento che renda questa metodica omogenea;
¾ riconoscono al dolore, in una scala da 0 a 10, una priorità
superiore ad 8, nonostante il ricorso al protocollo di analgesia sia
scarso;
¾ associano al dolore un inutile patimento ma hanno timore,
paura di trattarlo con la morfina secondo il protocollo a loro
disposizione;
¾ vivono l’analgesia più che per trattare il dolore della
persona, in funzione al trasporto in sicurezza della persona in
ospedale;
¾ gli effetti collaterali, e tra questi la depressione respiratoria,
rappresentano i principali ostacoli alla gestione del dolore,
nonostante la possibilità di somministrare l’antagonista degli
oppioidi in caso di comparsa di uno di questi;
¾ sentono molto la responsabilità della somministrazione di
un farmaco che in autonomia e discrezionalità, scelgono di
utilizzare, pur avendo un protocollo e pur, in alcuni casi,
utilizzando tale farmaco al di fuori delle precise e (talvolta) limitate
indicazioni;
¾ hanno un bel pensiero ad utilizzare il protocollo di
somministrazione della morfina, ma sono sensibili al dolore, tanto
che propongono per dolori di intensità moderata l’adozione di
protocolli di somministrazione di farmaci antidolorifici.
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Il contesto culturale attuale non contribuisce a fornire né
indicazioni né raccomandazioni che possono supportare e
rassicurare l’infermiere nell’approccio alla persona con dolore
acuto. Infatti, la letteratura presente è relativa al dolore
oncologico, e per quel che riguarda l’assistenza vi sono quasi
esclusivamente riferimenti alla persona con dolore cronico, per lo
più in fase terminale.
Considerando che il contesto dà un significato diverso al
dolore, rimane imprescindibile da qualsiasi realtà che l’approccio
alla persona con dolore è competenza infermieristica.
In emergenza territoriale più di ogni altro ambito di lavoro,
l’infermiere affronta se stesso, con le proprie capacità e
conoscenze, rivelando una identità professionale ancora in
costruzione.
Sono necessarie occasioni di formazione continua per
adattarsi ai cambiamenti, ma anche stimoli per modificare e
critiche per riflettere; soprattutto quando mutamento significa
crescita, autonomia e responsabilità. Un passo importante in
questa direzione, è fornito dal confronto, dall’analisi critica e
costruttiva, dalla discussione.
Se riveste un’importanza così grande per la professione,
tanto più ne ha per i gruppi come gli infermieri del 118. Infatti, il
Soccorso Sanitario extraospedaliero rappresenta l’unica realtà in
Italia che sì è spinta così oltre nell’adozione dei protocolli come
strumento di lavoro.