L’avvento del terrorismo internazionale e la legislazione antiterrorismo: Stati Uniti e Regno Unito in chiave comparata 
 I 
INTRODUZIONE 
 
Il terrore è un fattore di influenza che si è sempre presentato alle porte degli Stati, 
indipendentemente dal loro regime politico. Esso viene usato per conseguire determinati 
obiettivi esaltando una sorta di carattere teatrale della violenza, destinata a produrre una 
paura profonda e diffusa all’interno di una società in modo tale da condizionarne le 
istituzioni. 
Il lavoro che segue nasce dall’attenzione nei confronti della pressione delle forze 
dissipatrici che il terrorismo esercita sul circuito democratico, che ha suscitato in me un 
vivo interesse verso la questione terroristica e le conseguenze che essa comporta per degli 
Stati di diritto. Il terrore usato come fine politico è un elemento che accomuna la storia di 
molti ordinamenti ed è noto che quello di più recente storia ha modificato rapidamente 
gli equilibri geopolitici mondiali all’indomani dell’11 settembre 2001, in un modo 
talmente intenso che vent’anni dopo ancora se ne risentono gli effetti. 
È per questo motivo che il terrorismo è oggetto del presente lavoro che mira a costituire 
uno studio sviluppato su tre diverse direttici: una storica relativa all’avvento del 
terrorismo moderno ed ai primi tentativi di armonizzazione delle legislazioni nazionali 
per mezzo di trattati internazionali, una giuridica incentrata sugli strumenti normativi 
antiterrorismo degli Stati Uniti ed una comparativa volta a confrontare le contromisure 
del Regno Unito, un altro ordinamento giuridico di common law. 
Dal primo tipo di analisi, l’argomento si sviluppa prendendo in considerazione 
innanzitutto la genesi del terrorismo per mezzo di una breve ricostruzione storica di quelle 
che sono state le cause e le motivazioni delle violenze e degli attentati a partire dal 1900. 
Successivamente si è messo in risalto il carattere globalizzato del fenomeno ricostruendo 
i contenuti e le innovazioni giuridiche principali delle Convenzioni internazionali adottate 
dalle Nazioni Unite in risposta al cambiamento somatico del terrorismo che rendeva 
necessario un intervento normativo, sia definitorio che organico, per alcune situazioni che 
non si erano mai prese in considerazione fino ad allora, come ad esempio il dirottamento 
aereo. 
L’apporto della Comunità internazionale è stato importante perché ha cercato di rendere 
omogenea una normativa che a seconda dei contesti di riferimento poteva essere
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profondamente differente, criminalizzando aspetti che in altre realtà venivano tollerati. In 
questo modo è stato proficuo analizzare gli strumenti giuridici che dai trattati sono stati 
riproposti ed adattati nelle leggi nazionali dei due casi di studio, mostrando come il 
contributo delle Convenzioni internazionali e regionali sia stato essenziale per alcune 
tematiche, in particolare per il controverso aspetto della definizione stessa di terrorismo. 
Cambiando approccio ed affrontando il tema dell’adattamento delle leggi degli Stati Uniti 
al terrorismo, sono state messe in luce le principali caratteristiche del fenomeno 
domestico e delle misure legali, prevalentemente di indagine e sorveglianza, disposte per 
fronteggiarne le violenze. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti 
iniziarono una guerra totale al terrore con l’invasione dell’Afghanistan che si è conclusa 
in modo quantomeno rocambolesco lo scorso agosto. Le leggi antiterrorismo approvate 
in tale contesto sono state a lungo oggetto di dibattito ed hanno posto in essere una serie 
di restrizioni particolarmente severe che hanno sollevato numerosi dubbi sulla 
compatibilità di tali previsioni con i diritti fondamentali costituzionalmente presidiati 
arrivando, in alcuni casi, a pronunce giurisprudenziali che hanno smentito le posizioni 
dell’Amministrazione. 
In ultima istanza, si è considerata la legislazione antiterrorismo del Regno Unito in chiave 
comparata, sottolineando come il terrorismo sia stato affrontato in modo diverso, in primo 
luogo a causa del contesto Nord-irlandese che per decenni ha caratterizzato l’esperienza 
britannica. Una volta conclusa quell’emergenza, l’avvento di un terrorismo inedito e 
globale ha modificato radicalmente l’approccio del Governo, che ha optato per il 
consolidamento della legislazione e l’introduzione di misure proporzionalmente coerenti 
con la gravità del terrorismo in atto. 
Per tutti gli argomenti trattati viene data, inoltre, particolare attenzione alla questione del 
rispetto dei diritti fondamentali, alle incoerenze che talvolta possono emergere da una 
legislazione speciale come quella in materia di antiterrorismo ed alle difformità di 
approccio che emergono da due Stati simili per tradizione ma che nella prassi hanno 
mostrato differenze sostanziali, soprattutto a causa della forma di governo e della diversa 
intensità del terrorismo domestico. 
Nel dettaglio, nel primo capitolo si è data importanza alla genealogia ed alla 
fenomenologia del terrorismo, evidenziando sia le caratteristiche che negli anni sono
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rimaste simili sia le esigenze nuove che gli attacchi più recenti hanno mostrato, 
racchiudendo le informazioni essenziali delle organizzazioni terroristiche ancora in 
attività. 
Di particolare rilevanza è stato l’apporto delle numerose Convenzioni internazionali in 
materia, che hanno contribuito a creare una legislazione abbastanza omogenea a livello 
globale, soprattutto per quanto riguardava le zone d’ombra che solamente lo sforzo della 
Comunità internazionale aveva saputo illuminare.  
Il contributo più prezioso derivante dai Trattati è stata la settorializzazione di alcune 
particolari forme di violenza che fino a quel momento non erano classificate come atti 
terroristici, in particolar modo per quanto riguardava gli attentati all’interno degli 
aeroporti, gli attacchi dinamitardi contro singoli rappresentati dello Stato ed i dirottamenti 
aerei o navali. 
In aggiunta, negli anni più recenti sono emersi altri ambiti ed esigenze che è stato ritenuto 
opportuno codificare come l’accesso e la protezione dei siti nucleari, l’uso di armi 
batteriologiche e l’aspetto smaterializzato ma ugualmente letale del cyberterrorism. 
Il secondo capitolo si concentra, come detto, sulla legislazione antiterrorismo degli Stati 
Uniti, prendendo come riferimento la data spartiacque dell’11 settembre 2001 e le 
conseguenze che sono derivate dagli attacchi. 
La legislazione posta in essere sotto la Presidenza Bush ha causato profondi malumori 
all’interno della Comunità internazionale e nella stessa società statunitense per via della 
profondità delle misure adottate. In nome della sicurezza collettiva sono state sacrificate 
essenziali libertà e diritti, diversificando l’azione penale per gli stranieri. 
Ampio spazio è stato concesso alla trattazione del campo di prigionia di Guantánamo a 
Cuba, mettendo in risalto le violazioni dei diritti umani e la perplessità della Corte 
Suprema sulla legalità delle detenzioni. Per questo motivo sono stati analizzati i casi 
giurisprudenziali più eclatanti della Corte Suprema che ha censurato più volte le misure 
speciali introdotte dall’Amministrazione Bush, considerando successivamente le 
ripercussioni che tali pronunce hanno avuto sui mandati dei Presidenti Obama e Trump, 
concludendo con qualche breve considerazione sul neoeletto Presidente Biden. 
Il terzo capitolo conclude il lavoro evidenziando le differenze maggiori tra la legislazione 
descritta in precedenza e quella del Regno Unito. La questione Nord-irlandese ha
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caratterizzato l’azione congiunta del Parlamento e del Governo, che hanno preferito 
approcciare il terrorismo in questione con il principio della temporaneità delle misure 
introdotte, che venivano rinnovate a cadenza biennale. 
Solamente la fine del conflitto irlandese ha delineato una legislazione nuova e 
permanente, con la quale si è preferito definire con più riguardo e criminalizzare gli 
attacchi di organizzazioni terroristiche che fino al nuovo millennio non erano conosciute 
dal contesto domestico britannico. 
Infine, il ruolo e l’efficacia della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della Corte 
che essa istituisce sono stati particolarmente presi in considerazione in un ambito che, 
come quello considerato, mostra diverse criticità sul piano della conformità delle 
restrizioni introdotte con le libertà fondamentali.
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 1 
CAPITOLO I 
 
L’INQUADRAMENTO GIURIDICO DEL TERRORISMO: UNA DEFINIZIONE 
DI DIRITTO INTERNAZIONALE 
 
 
1.1 – Fenomenologia del terrorismo 
Garantire la sicurezza dei propri cittadini è uno dei compiti fondamentali di uno Stato. 
Dacché esiste tale necessità, si è formata in parallelo, con sfumature diverse, una forza 
dirompente che mira al disorientamento, alla paura e al terrore. Assumere il terrorismo 
come un fenomeno recente non è completamente corretto, perché forse l’uso di armi 
moderne e l’approccio a nuove sofisticate tecnologie digitali possono trarre in inganno. 
In realtà, sin dai primi embrioni di ciò che oggi è noto come Stato, si sono verificate 
tendenze violente con lo scopo di ottenere un qualcosa che modificasse una situazione 
precedente. Gli elementi comuni sono sicuramente la lotta armata e l’uso della forza. 
Successivamente, a partire dal XIX secolo, il terrorismo si è affermato come un elemento 
dotato di un certo grado di sistematicità nelle proprie azioni e rivendicazioni. Certamente, 
i gruppi di persone che compivano atti eversivi sono stati molto eterogenei, tanto che è 
possibile tentare di individuarne peculiarità e differenze, ponderate anche con l’epoca e 
lo scenario storico nei quali si misuravano.  
È necessario chiedersi preliminarmente cosa è terrorismo e cosa non lo è affatto. Per 
quanto un’azione sia eclatante, deve esserci sempre dietro non solo una premeditazione, 
ma anche un gruppo organizzato di individui coordinati tra loro per porre in essere un 
determinato evento violento, destinato a smuovere le coscienze comuni, in primis quelle 
di chi ricopre un ruolo istituzionale. Questo assunto allora esclude ogni azione 
individuale, sia dal punto di vista della realizzazione materiale che da quello della 
organizzazione preventiva. Per questo motivo non si è potuto parlare di terrorismo tout 
court nei casi di omicidio di alte cariche di uno Stato come, ad esempio, dei Presidenti 
Carnot, McKinley e Kennedy
1
.  
                                                
1
 W. LAQUEUR, A history of terrorism, Taylor & Francis Group, New York, 2001, p. 14.
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 2 
Effettivamente, per molto tempo i bersagli che i terroristi colpivano sono stati singoli 
individui, perché inizialmente il concetto di azione che si portava avanti era quello di 
eliminare i vertici nella speranza di determinare un cambiamento politico o talvolta, 
invece, arrestarlo completamente. È questo il caso di un’organizzazione terroristica russa 
che ha operato negli anni conclusivi dell’Ottocento, nota come Narodnaya Volya, che 
sicuramente ha caratterizzato la storia della Russia moderna, colpendo a morte non 
solamente ministri e funzionari di alto rilievo, ma anche lo stesso Zar Alessandro II nel 
1881.  
Il caso del Narodnaya Volya è un’importante fattore esplicativo di come il terrore sia 
un’arma “a due fattori”, nel senso che irrompe prepotentemente nella quotidianità e, più 
o meno consapevolmente, contribuisce a creare le condizioni per un cambiamento futuro. 
Difatti, dopo l’attentato allo Zar, l’organizzazione è stata quasi completamente 
smantellata, ma gli ideali vengono più volte riproposti dal Partito dei Socialisti 
Rivoluzionari, responsabile di attentati alla vita di diversi ministri
2
. 
Un secondo aspetto che merita di essere messo in risalto è che il Narodnaya Volya è stata 
un’organizzazione all’avanguardia, perché ha saputo sfruttare dei fattori esterni e 
completamente indipendenti a vantaggio del fine che perseguiva. In particolare, la 
modernizzazione che ha investito la Russia del tardo Ottocento ha prodotto le condizioni 
ottimali per gli attentati, da un lato aumentando le vulnerabilità strategiche – come la rete 
ferroviaria che era sovente teatro di attacchi – e, dall’altro, non garantendo la sicurezza 
nei confronti di una società che sviluppava forme di aggregazione più ramificate, vivaci 
e complesse
3
. 
I fini di una organizzazione possono essere un modo efficace per distinguere le une dalle 
altre. Se il cambiamento di un indirizzo politico e l’impossibilità di accesso alla vita 
politica erano le motivazioni che spingevano le azioni del Narodnaya Volya, lo stesso 
non si può dire di altri gruppi. Una prima divisione può essere quella tra organizzazioni 
che vogliono ottenere una libertà o l’indipendenza portate avanti da una precisa parte 
della popolazione; si può, invece, mirare ad un fine prevalentemente politico senza però 
individuare un collegamento con caratteristiche comuni degli appartenenti al gruppo
4
. 
                                                
2
 W. LAQUEUR, A history of terrorism, Taylor & Francis Group, New York, 2001, pp. 11 ss. 
3
 M. CRENSHAW, The causes of terrorism, in Comparative Politics, 13 (4), 1981, p. 381. 
4
 C. WALKER, Defining terrorism in national and international law, in In Terrorism as a Challenge for 
National and International Law - Security versus Liberty?, Berlino, 2004, p. 4.
L’avvento del terrorismo internazionale e la legislazione antiterrorismo: Stati Uniti e Regno Unito in chiave comparata 
 3 
Della prima tipologia fanno parte l’ETA in Spagna, i gruppi palestinesi in Israele, il PKK 
in Turchia, l’IRA in Irlanda del Nord, mentre nella seconda categoria si possono 
ricondurre le BR italiane e la RAF in Germania degli anni Settanta.  
Oltre alle motivazioni politiche o ideologiche alla base della formazione terroristica e che 
quindi sono strettamente legate alla genesi di un gruppo, possono essere individuate anche 
delle variabili indipendenti che contribuiscono alla nascita del terrorismo. Bisogna 
sempre tenere a mente che esso nasce come risposta violenta al malcontento generale, ad 
una violazione particolare del Governo oppure ancora all’instabilità politica. In tali 
contesti può fare la differenza la modernizzazione dello Stato, come nel già citato caso 
del Narodnaya Volya. Lo sviluppo di moderne tecnologie, come il trasporto aereo, ha 
permesso nuove tipologie di estremismi. Il dirottamento degli aeromobili, che crea 
problematiche anche a livello internazionale, come si dirà, è uno dei metodi più utilizzati 
e che maggiormente scuote l’immaginario collettivo. Recentemente, lo sviluppo dei droni 
a controllo remoto ha messo in crisi la macchina di sicurezza statale, tanto è vero che 
molti Paesi hanno creato all’interno delle forze armate gruppi ad hoc per questa esigenza 
specifica. Nondimeno, una preoccupazione che ancora oggi merita particolari attenzioni 
è l’accesso dei gruppi terroristici ad armi nucleari, che renderebbe catastrofico qualsiasi 
attacco
5
. Recentemente, invece, il terrore si è smaterializzato ponendosi su un nuovo 
campo di battaglia che non è più fisico ma appunto virtuale: il cosiddetto cyber-
terrorismo presenta specificità nuove e pericolosamente letali quanto improvvise, in 
quanto un solo attacco hacker andato a buon fine può colpire aspetti importanti dei servizi 
pubblici essenziali e per tale motivo richiede una competenza tecnologica avanzata per 
un’efficace azione antiterroristica
6
. 
Nel momento in cui si è spostato il bersaglio da singolo a collettivo, l’urbanizzazione 
delle città ha sicuramente dato una spinta alla progettazione degli attentati, che non più 
miravano alla figura di vertice, ma al contrario colpivano casualmente quante più persone 
possibile. Questo è particolarmente vero in America Latina degli anni Sessanta, tanto che 
secondo alcuni il concetto di guerriglia urbana è stato parte di un fenomeno terroristico
7
. 
Tuttavia, bisogna ponderare tale assunto innanzitutto con il contesto sudamericano di 
                                                
5
 F. CASINI, La comunità internazionale nell’era del terrorismo globale, in Il Politico, 72 (3), 2007, pp. 
29 ss. 
6
 Cfr. R. GARNETT & P. CLARKE, Cyberterrorism: a new challenge for international law, in A. 
BIANCHI (cur.), Enforcing international law norms against terrorism, Hart Publishing, Oxford, 2004. 
7
 M. CRENSHAW, The causes of terrorism, in Comparative Politics, 13 (4), 1981, p. 382.
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 4 
quegli anni, che non è improntato tanto al terrorismo in sé per sé come finora considerato, 
ma più collocato all’interno di una lotta di destabilizzazione politica interna di ampio 
respiro, dettata soprattutto dalla guerra tra Stato e organizzazioni criminali dedite alla 
produzione e vendita di droga, come è avvenuto ad esempio in Colombia. Certamente si 
può parlare di atti terroristici in quel periodo, ma solamente come una delle tante scelte a 
disposizione di chi compiva tali gesti, infatti non erano rari anche sequestri, intimidazioni 
di vario genere ed estorsioni. È per questo motivo che il concetto di guerriglia urbana e 
terrorismo sono senza dubbio connessi ma non concausali
8
.  
Un ulteriore elemento oggettivo collegato al terrorismo è l’instabilità dei governi ed una 
inadeguata struttura di intelligence. È evidente che, in questi contesti, una organizzazione 
piccola e clandestina può repentinamente affermarsi. Da questo punto di vista, si nota una 
difformità nell’efficacia delle azioni poste dallo Stato a seconda della forma di 
quest’ultimo. Paradossalmente, uno Stato democratico-sociale è più esposto al fenomeno 
terroristico di quanto non lo sia uno totalitario. Secondo Paolo Bonetti: 
 
ogni forma di Stato democratico-sociale è più vulnerabile delle altre perché in essa 
l’esercizio dei pubblici poteri ha dei limiti politicamente e legalmente insuperabili. [...] 
La forma di Stato democratico-sociale è più vulnerabile di altre anche circa i contenuti 
di eventuali misure di prevenzione o repressione della violenza politica, alcuni dei quali 
potrebbero vanificare i fondamenti stessi di quella forma di Stato
9
. 
 
Infine, è stata determinante anche la globalizzazione, perché con un mondo sempre più 
interconnesso è risultato più semplice lo sviluppo di un terrorismo non precisamente 
localizzato come nei casi citati, in quanto agente in diverse parti del mondo. Inoltre, l’suo 
di Internet e dei social network ha ampliato esponenzialmente i modi di comunicare tra i 
membri delle organizzazioni, rendendo necessari anche nuovi mezzi di monitoraggio da 
parte degli Stati. Questo elemento è stato determinante soprattutto dal punto di vista 
economico: in particolare, il mercato dei capitali ricopre un ruolo chiave nel 
sostentamento delle organizzazioni, sfruttando intermediari finanziari per reperire fondi 
                                                
8
 Cfr. W. LAQUEUR, Guerrilla: historical and critical study, Weidenfeld & Nicolson, Londra, 1977.  
9
 P. BONETTI, Terrorismo, emergenza e costituzioni democratiche, Il Mulino, Bologna, 2006, pp. 16-18.
L’avvento del terrorismo internazionale e la legislazione antiterrorismo: Stati Uniti e Regno Unito in chiave comparata 
 5 
e successivamente distribuirli ai membri operativi
10
. Risulta, infine, particolarmente 
prolifico l’uso di Internet per reperire non solo materiali ma specialmente nuove persone 
disposte ad essere affiliate nell’organizzazione, nelle modalità di cui si parlerà nel 
paragrafo seguente.  
Da questo punto di vista, gli Stati sono decisamente messi nelle condizioni peggiori in 
cui operare, sia per i motivi di disparità tra una organizzazione che mira a preservare i 
diritti fondamentali, l’ordine, la pace e la sicurezza ed un’altra che conosce nella violenza 
l’unico modo di confronto, sia per la differenza qualitativa delle forze che si confrontano: 
se lo Stato segue procedure chiaramente individuate – talvolta anche di ordine 
costituzionale – un gruppo terrorista contemporaneo, invece, si presenta come un’entità 
senza base territoriale (quasi ubiquitaria) e, proprio per questo, svincolata dagli impegni 
che pesano sugli Stati costituiti e dunque più spregiudicata e imprevedibile nell’azione
11
. 
È, pertanto, un conflitto di civiltà asimmetrico. 
I primi anni del XXI secolo sono segnati da una serie di attentati che, pochi anni prima, 
non sarebbero stati possibili e che hanno caratterizzato anche gli avvicendamenti 
geopolitici successivi, sempre secondo la concezione del terrorismo “a due fattori”. Il 
terrorismo che, come noto, ha avuto la sua più efficace e triste espressione nel 2001 è il 
connubio tra modernità e tradizione, perché la globalizzazione viene sfruttata all’interno 
di un contesto fortemente ideologico religioso che risulta esattamente l’opposto del primo 
elemento. In effetti, il terrorismo di matrice religiosa è una realtà relativamente nuova: il 
segno marcato della religione non era presente in Russia durante gli anni del Narodnaya 
Volya, tanto meno caratterizzava il terrorismo armeno che era in risposta all’oppressione 
dell’esercito turco nel 1890
12
. Differentemente, l’Irlanda del Nord ha conosciuto scontri 
marcatamente religiosi tra cattolici e protestanti, tuttavia questa caratteristica si è legata 
alla lotta per l’indipendenza dal Regno Unito: è per questo che la matrice islamica è così 
caratterizzante il terrorismo di Al-Qa’ida prima ed ISIL poi, perché le azioni di questi 
gruppi erano in grandissima parte inspirate ai dettami mistificati dell’Islam. 
 
                                                
10
 N. POLLARI, Un nuovo approccio all’analisi del fenomeno ‘terrorismo internazionale’, in Il Politico, 
72 (3), 2007, p. 201. 
11
 F. CASINI, La comunità internazionale nell’era del terrorismo globale, in Il Politico, 72 (3), 2007, p. 
25. 
12
 Sul punto si veda W. LAQUEUR, A history of terrorism, Taylor & Francis Group, New York, 2001.
L’avvento del terrorismo internazionale e la legislazione antiterrorismo: Stati Uniti e Regno Unito in chiave comparata 
 6 
1.1.2 – Le organizzazioni terroristiche oggi 
Sicuramente, non conoscere l’avversario che si sta fronteggiando è l’elemento più 
pericoloso di tutti. Inizialmente la mancanza di informazioni sulla vita interna di queste 
organizzazioni ha comportato uno svantaggio da parte della comunità internazionale, che 
solo successivamente è riuscita a ricostruire tutti i movimenti di questi gruppi.  
Un team di studiosi
13
, ha cercato di analizzare la struttura delle organizzazioni 
terroristiche da un punto di vista aziendale-finanziario, basandosi sulle informazioni rese 
disponibili dagli Stati. Certamente, non rileva tanto in questa sede l’analisi della materia 
economica come, invece, è stato autorevolmente fatto dagli Autori citati, ma è proficuo 
estrapolarne alcuni aspetti cercando di evidenziare le caratteristiche strutturali 
dell’argomento in esame. 
Dal punto di vista organizzativo, la formazione dei gruppi è spesso non formalizzata, nel 
senso che la necessità di mimetismo e di duttilità per sfuggire agli Stati impone strutture 
flessibili e capaci di adattarsi repentinamente ai cambiamenti. Certo è che la figura di 
vertice esercita la sua leadership con carisma, la quale gli garantisce obbedienza assoluta 
anche per la totale dedizione dei membri nella causa che abbracciano. Non esiste perciò 
una chiara formazione gerarchica piramidale, però si può individuare una costellazione 
poliforme di membri che gravitano attorno alla base decisionale dell’organizzazione 
terroristica. È noto che la parola Al-Qa’ida significa proprio “la base”, che è appunto il 
nucleo duro decisionale dal quale dipendono piccoli gruppetti isolati di affiliati operativi 
disseminati in tutto il mondo e pronti in qualsiasi momento ad agire. A collegare la base 
con le cellule operative sono degli intermediari che hanno il compito di coordinare le 
azioni terroristiche, fornendo ad esempio materiali, informazioni e denaro. Queste figure 
sono a capo di più cellule ed hanno uno strettissimo legame fiduciario con la leadership. 
In questo contesto, appare ancora più evidente quanto la globalizzazione e l’accesso ad 
Internet abbiano aumentato esponenzialmente la minaccia di tali gruppi. Infatti, una delle 
fasi più importanti, vale a dire il reclutamento di personale, l’indottrinamento e 
                                                
13
 Cfr. W. ENDERS & T. SANDLER, The political economy of terrorism, Cambridge University Press, 
Cambridge, 2012; W. ANDERS & X. SU, Rational terrorists and optimal network structure, in Journal of 
Conflict Resolution, 51 (1), 2007; W. ENDERS & P. JINDAPON, Network externalities and the structure 
of terror networks, in Journal of Conflict Resolution, 54 (2), 2010.