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INTRODUZIONE 
 
La ricerca realizzata si propone di analizzare l’evoluzione storica e politica della 
diaspora del Partito Comunista Italiano. Come sappiamo al termine della lunga 
vicenda storica di questo partito, del più grande partito comunista d’Occidente, - 
espressione frequentemente utilizzata per definirne non solo la “grandezza” in 
termini elettorali e di organizzazione, ma anche l’importanza relativa negli 
equilibri politici del nostro Paese - la sinistra italiana di matrice comunista si 
avviò in un percorso di profonda frammentazione politica e partitica. La “Svolta”, 
cominciata in una sezione qualunque dell’Emilia Romagna, quella della 
Bolognina, a soli tre giorni dalla caduta del muro di Berlino, ed ultimatasi, dopo 
un lungo e sofferto cammino fatto di accesi dibattiti e duri scontri al vertice e alla 
base del partito, nel febbraio del 1991, produsse una profonda spaccatura 
all’interno del Pci. Più esattamente essa divise il partito in due fronti e due 
opzioni politiche irriducibili: il “fronte del Sì” e il “fronte del No”, come vennero 
allora ribattezzati i rispettivi schieramenti di coloro che erano favorevoli o 
contrari alla svolta occhettiana. 
Nel panorama internazionale, intanto, in quegli stessi anni, giungeva al termine 
l’esperienza del socialismo reale. L’Unione Sovietica, nata dalla Rivoluzione 
d’Ottobre, ed i suoi paesi-satellite, nel complesso l’intero blocco sovietico, 
assistettero, già a partire dai primi anni Ottanta, a profondi rivolgimenti e 
trasformazioni interne. Questi avvenimenti, nella maggior parte dei casi 
pacificamente, in altri invece con dolorosi spargimenti di sangue tra le 
popolazioni civili, nel breve volgere di qualche anno mandarono in pezzi il 
sistema di potere sovietico. Quegli eventi vennero però anche interpretati nel 
mondo, da molti, come la fine di un sogno, o quantomeno di una speranza: la 
possibilità che il comunismo si riformasse. Certo vi fu chi vide nel crollo di quei 
regimi la fine del comunismo tout-court e chi invece solo la fine di una precisa 
forma di potere, quella sovietica appunto. Comunque la si interpreti, però, questa 
storia incredibilmente accelerata lasciò orfani di un importante punto di 
riferimento politico, milioni di uomini e donne, provocando un disorientamento 
generale che riguardò solo in forma più accentuata i comunisti sparsi per il 
mondo. 
In Italia, la classe dirigente del Pci - ancora più disorientata, se possibile, 
dall’iniziativa personale, almeno nelle sue prime fasi, del Segretario del partito, di 
cambiare nome e simbolo - si divise proprio sulla diversa valutazione di quegli 
eventi e, soprattutto, sulle diverse conseguenze politiche che da essi se ne 
traevano. Davanti a questa iniziativa di cambiamento del partito condotta 
dall’alto
1
                                                            
1
 Cfr. C. Baccetti, Il PDS : verso un nuovo modello di partito?, il Mulino, Bologna, 1997, p. 44 
, la vera discriminante tra i due “fronti” sopracitati era dunque 
essenzialmente rappresentata dalla differente risposta che essi offrivano alla 
seguente domanda: fine del comunismo o solo di una sua particolare forma?
2 
 
Emblematico, a tal riguardo, risultò il botta e risposta intervenuto a distanza, tra 
il Segretario Occhetto e il più autorevole esponente del “fronte del no”, Pietro 
Ingrao, durante i lavori del XIX congresso del Pci. Alle parole di Occhetto che 
citando l’Ulisse di Tennyson invitava ad «andare più in là dell'orizzonte»
2
, Ingrao 
replicava significativamente chiedendo di «tenere aperto questo punto di vista»
3
Il Pds incarnava in sé dunque la volontà di cambiamento della classe dirigente 
allora alla guida del Pci, in particolare della sua nuova leva di giovani quadri di 
partito, quella che in seguito Pietro Folena avrebbe definito con un pizzico di 
nostalgia nel titolo di un suo libro, la generazione dei “ragazzi di Berlinguer”
. 
L’irriducibilità di queste posizioni diede vita ad una storia altrettanto accelerata 
nella quale si consumò, assumendo per certi versi i contorni di un vero e proprio 
psico-dramma collettivo, la vicenda storica del Pci. 
Da qui prende le mosse la nostra ricerca. Il dibattito infatti che si inaugurò dal 
novembre 1989 e che percorse, scuotendone le fondamenta, l’intero corpo del 
partito condusse inesorabilmente allo sviluppo di due opzioni politiche le quali 
portavano con sé in grembo le proposte fondative di due nuove formazioni 
politiche: il Partito Democratico della Sinistra (Pds) e il Partito della Rifondazione 
Comunista (Prc).  
Sebbene non si sia mai sottolineato abbastanza, entrambi i partiti si contesero, 
con prospettive politiche naturalmente differenti, l’eredità storica, politica ma 
anche elettorale del vecchio Pci. Con ciò s’intende dire che, a prescindere dalla 
conservazione di simboli e nomi appartenuti alla tradizione comunista, entrambi i 
partiti nascevano non come un qualcosa d’altro dal Partito Comunista Italiano, 
delle entità politiche ad esso completamente estranee, ma come una prosecuzione 
a vario titolo di quell’esperienza politica. In altre parole, se nel Prc questa 
continuità appariva più evidente, non fosse altro che per la conservazione dei 
simboli e della parola “comunista” nell’insegne di partito, nel Pds, d’altro canto, 
confluiva la maggioranza della nomenclatura del Pci, seppur in larga parte 
convinta della svolta riformista e della necessità di dare un taglio al passato. Tra 
di essi, esempio di rilievo, vi fu proprio l’appena ricordato Pietro Ingrao, che 
contro quella svolta si oppose fermamente, ma che almeno in principio, più per 
spirito unitario che per reale convincimento politico, decise di aderirvi. 
4
. 
Questo cambio generazionale avvenuto al vertice del Pci negli anni Ottanta, fu 
d’altra parte un elemento fondamentale per l’attuazione del “nuovo corso” 
occhettiano e per la realizzazione della svolta
5
                                                            
2
 Tratto dalla relazione di Achille Occhetto al XIX Congresso Nazionale del Pci, in l’Unità, 8 marzo 1990, p. 
26 
3
 Tratto dalla relazione di Pietro Ingrao al XIX Congresso Nazionale del Pci, in l’Unità, 10 marzo 1990, p. 22 
4
 P. Folena, I ragazzi di Berlinguer. Viaggio nella cultura politica di una generazione, Baldini Castoldi 
Dalai, Milano, 2004 
5
 Cfr. C. Baccetti, Op. cit., pp. 37-44; Cfr. P. Ignazi, Dal Pci al Pds, il Mulino, Bologna, 1992, pp. 111-119 
. La chiusura dell’esperienza del Pci  
rispondeva inoltre all’idea di costruire una nuova e più ampia formazione della
3 
 
sinistra italiana capace di affrontare, attraverso un deciso “sganciamento” dal 
passato, la sfida del governo del paese
6
Il Prc invece veniva alla luce per iniziativa di un gruppo di dirigenti dello stesso 
Pci convinti che non si potesse “liquidare” così frettolosamente il passato. Per 
questi dirigenti, la prospettiva del governo non giustificava, pertanto, la rinuncia 
dell’identità comunista
.  
7
Da qui prosegue la nostra analisi in quello che è stato, indipendentemente dalle 
rimozioni e dalle mutazioni nominalistiche, il percorso storico-politico della 
sinistra italiana di filiazione comunista. Cominceremo dunque dall’analisi dei due 
partiti generatesi con lo scioglimento del Pci, che potremmo qui definire la 
discendenza diretta di quest’ultimo, fino ad arrivare alla recente rifioritura di 
nuove realtà partitiche più o meno risalenti allo stesso ceppo politico, ovvero la 
Federazione della Sinistra, Sinistra Ecologia Libertà e, in parte preponderante, il 
Partito Democratico, passando per l’operazione di boutade Pds/Ds con la caduta 
della “P” di partito, e per la più sofferta e traumatica scissione cossuttiana del ‘98 
che diede vita al Partito dei Comunisti Italiani (Pdci). Tutte insieme queste realtà 
rappresenteranno, per il nostro studio, un corpo unico, certo differente al suo 
interno, identificabile con la sinistra “neo”, “post”, “ex”, comunista, o comunque 
con quella sinistra italiana di più o meno diretta discendenza Pci protagonista con 
. Già allora, quelle che nel corso del dibattito politico degli 
anni Novanta diventeranno le “due sinistre”, portavano inscritte nel loro Dna le 
loro attitudini prevalenti. Una sinistra a vocazione maggioritaria e di governo, 
l’altra invece minoritaria e legata alla tradizionale vocazione d’opposizione della 
sinistra italiana. Due sinistre che pur passando la maggior parte del loro tempo a 
dividersi e scontrarsi su praticamente qualunque tema, dalle politiche 
economiche per il paese, all’identità della sinistra, passando per il diverso giudizio 
storico sul passato comunista, nel corso degli anni Novanta riusciranno grosso 
modo a salvaguardare, se se ne sommano i rispettivi consensi elettorali, il 
patrimonio di voti del vecchio Pci giungendo persino a governare insieme il Paese, 
seppur attraverso la formula dell’accordo di desistenza tra Ulivo e Rifondazione 
Comunista, con il primo governo Prodi. 
Proprio quest’esperienza di governo rappresentò il primo spartiacque, dopo 
quello certo più traumatico del ’91, dell’area politica che qui si analizza. La 
sinistra italiana uscì infatti politicamente e umanamente dilaniata da quella 
esperienza. Il governo Prodi dopo circa due anni e mezzo dal suo insediamento fu 
costretto alle dimissioni proprio per il venir meno della fiducia in Parlamento da 
parte del Prc, guidato allora da Fausto Bertinotti. Ciò causò, in questo partito, tra 
non poche polemiche e accuse incrociate, la fuoriuscita dell’ala cossuttiana, 
contraria alla decisione della maggioranza del partito di non confermare la fiducia 
al governo Prodi, e tra le due stesse sinistre, una caduta verticale dei rapporti che 
giunsero in quei mesi ai minimi storici. 
                                                            
6
 Cfr. G. Chiarante, La fine del Pci. Dall'alternativa democratica di Berlinguer all'ultimo Congresso (1979-
1991), Carrocci, Roma, 2009, p. 143 
7
 Cfr. A. Bosco, Comunisti. Trasformazioni di partito in Italia, Spagna e Portogallo, il Mulino, Bologna, 
2001, p. 190
4 
 
alterne vicende della vita politica e parlamentare del nostro Paese. Di esse, nel 
corso di questa ricerca, cercheremo di tracciare un profilo storico e identitario per 
mezzo del discorso politico dei leaders di partito. In particolare, la nostra 
indagine si servirà di una comparazione tra il discorso politico degli ultimi leaders 
del Pci e quello dei leaders della diaspora di questo stesso partito per cogliere le 
trasformazioni avvenute in quest’area politica nel ventennio successivo alla svolta 
della Bolognina. Ciò avverrà allo scopo di osservare gli elementi di rottura e di 
continuità manifestatisi nei partiti della diaspora comunista italiana rispetto alla 
loro tradizione politica di provenienza, consentendoci di conseguenza anche di 
apprezzarne, tra loro, le principali analogie o differenze sul piano del linguaggio e 
dell’identità politica.
5 
 
Fonti di ricerca e metodo d’analisi 
 
L’oggetto di studio e le fonti di ricerca 
La nostra ricerca intende, dunque, tracciare l’evoluzione dei partiti della diaspora 
Pci, sotto un profilo non solo puramente storico ma anche identitario. Ciò 
avverrà, come anticipato, per mezzo di un’analisi del discorso politico dei leaders, 
in particolare attraverso un’analisi qualitativa e quantitativa delle loro relazioni 
congressuali. Più specificamente, per leaders s’intendono qui, i Segretari 
nazionali e i Presidenti di partito che si sono susseguiti nel corso degli ultimi 
vent’anni alla guida delle formazioni politiche di nostro interesse. Per relazioni 
congressuali s’intendono invece le seguenti tre relazioni tipiche dello schema 
congressuale della sinistra italiana: 
1) Relazione introduttiva del Segretario nazionale, di norma la principale e la 
più indicativa dell’orientamento politico che intende assumere il partito, esposta 
per questo quasi sempre nella giornata inaugurale del Congresso; 
2) Relazione del Presidente di partito, di regola esposta da un esponente 
stimato e dotato di grande autorevolezza all’interno del partito, il più delle volte 
anch’egli espressione della maggioranza congressuale, e per questa ragione 
generalmente indicativa degli indirizzi di partito; 
3) Relazione conclusiva del Segretario nazionale, spesso anche definita 
“replica del segretario”, avente nella prassi per il segretario la funzione di 
tracciare un bilancio conclusivo dell’evento congressuale, di approfondire 
ulteriormente alcune tematiche già trattate nella relazione introduttiva, o trattate 
negli interventi di altri delegati congressuali, o ancora occasione per affrontare 
altre questioni trascurate, intenzionalmente o meno, nel corso dei lavori 
congressuali. 
Attraverso lo studio e l’analisi di 60 relazioni congressuali, per un totale di oltre 
70 ore di discorsi si è inteso tracciare il profilo identitario dell’area politica di 
nostro interesse per mezzo della viva voce dei suoi leaders. Essi, in quanto 
leaders, assurgono appunto a voce ufficiale dei partiti consentendoci di seguirne 
l’evoluzione politica e di apprezzarne i tratti identitari più salienti.  
Il congresso è poi notoriamente il momento in cui i partiti politici, e con 
particolare enfasi quelli della sinistra di tradizione comunista, presentano la loro 
linea programmatica e i loro “connotati” ideologici non solo ai propri iscritti ma al 
mondo intero. Dunque, il congresso del partito oltre che teatro di memorabili 
dispute e scontri politici, ha da sempre rappresentato, e rappresenta tuttora, una 
delle occasioni principali che ha il partito stesso di raccontarsi. Ciò avviene 
principalmente come detto attraverso l’intervento del “capo”, o dei “capi”, se la 
leadership del partito è condivisa da più personalità di spicco. In questi 
interventi, nella maggior parte dei casi i più attesi e i più lunghi, in termini di
6 
 
durata, - tolte le inevitabili concessioni al dibattito strettamente interno, con 
accenni all’eventuale polemica tra le diverse anime del partito, o l’indugiare su 
questioni di stretta, quando non di strettissima attualità politica, - il leader, di 
norma in un clima di grande solennità pubblica, indica la linea ufficiale del 
partito. 
Le eccezioni a questo schema di ricerca appena descritto saranno, nella nostra 
indagine, limitate. In particolare, il modello composto dalla relazione introduttiva 
e conclusiva del segretario più l’intervento del presidente, verrà meno solo in tre 
casi: in assenza dai lavori congressuali di uno dei tre interventi appena 
menzionati, in assenza della stessa figura di un Presidente di partito in carica, 
oppure, infine, quando pur in presenza di tali interventi essi siano troppo brevi, 
ossia abbiano una durata, in termini di tempo, inferiore ai dieci minuti. In 
quest’ultimo caso si è pensato di procedere in tal modo perché si è constatata la 
ridottissima quantità, e molto spesso anche lo scarso interesse ai fini della 
presente ricerca, dei temi trattati dal relatore intervenuto solo per pochi minuti, 
magari, come è capitato molto spesso di verificare, esclusivamente per saluti o 
ringraziamenti di rito all’assemblea dei delegati.  
Un’ulteriore eccezione, anche se in questo caso si dovrebbe parlare di un’aggiunta 
allo schema d’analisi adottato, sono i discorsi pronunciati in occasioni diverse dai 
tradizionali appuntamenti congressuali di partito. Nella fattispecie, in questa 
ricerca, si tratta di tre casi: il Consiglio Nazionale del Pds, tenutosi nell’estate del 
1994, convocato con il precipuo compito di procedere all’elezione del nuovo 
Segretario nazionale, e le due Assemblee del Partito Democratico, l’Assemblea 
Costituente del 2007 e l’Assemblea Nazionale del 2009. Il primo si è scelto di 
includerlo non solo perché durante i suoi lavori si è giocata l’importante partita 
del dopo Occhetto, ma anche perché esso ha rappresentato il primo passaggio di 
una certa rilevanza, probabilmente anche più dello stesso congresso tematico 
dell’anno successivo del Pds, nel percorso di vita del più grande partito nato dallo 
scioglimento del Pci. Nel caso del Partito Democratico si è dovuto fare in qualche 
modo di necessità virtù, visto che questo partito, da statuto, non prevede più la 
celebrazione di veri e propri congressi nazionali. La nostra scelta è dunque caduta 
su due appuntamenti di fondamentale importanza nella vita di questo partito. 
L’Assemblea Costituente del 2007, con l’intervento pubblico del neoeletto 
Segretario nazionale, Walter Veltroni, rappresenta l’atto fondativo del nuovo 
partito, per cui in esso si è ritenuto di poter cogliere proficuamente, oltre che 
naturalmente i tratti saliente dell’identità del nuovo soggetto politico, anche la 
sua dimensione valoriale e la sua ispirazione ideale originaria. L’Assemblea 
Nazionale del 2009, invece, con la ratifica dell’elezione a Segretario nazionale di 
Pierluigi Bersani, ci è utile a comprendere, proprio attraverso l’analisi dei suoi 
interventi, il nuovo indirizzo politico impresso al partito dallo stesso Bersani.    
Per ognuno dei partiti della diaspora comunista si procederà poi con una breve 
illustrazione cronologica dei principali eventi che li hanno riguardati negli ultimi 
vent’anni. Allo stesso modo si presenteranno in sintesi i contesti congressuali da 
cui sono state estrapolate le nostre fonti di ricerca. Inoltre, non si è trascurato di
7 
 
tracciare anche un profilo biografico, seppur breve, degli undici leaders che hanno 
pronunciato i discorsi di nostro interesse e dalle cui parole ha preso corpo il 
nucleo centrale della presente ricerca. 
Come anticipato il lavoro di ricerca si è composto di due differenti fasi: l’analisi 
quantitativa e quella qualitativa dei discorsi. La ricerca infatti non si è limitata 
alla sola lettura e conseguente analisi delle fonti primarie, rappresentate dai 
discorsi congressuali, compito peraltro già di per sé alquanto impegnativo, vista 
l’inattesa difficoltà nel loro reperimento, ma è consistita anche di un’analisi 
empirica del corpus testuale dei discorsi stessi. In altre parole, si è proceduto alla 
rilevazione delle occorrenze, secondo due differenti metodi che si avrà modo di 
spiegare più avanti, di alcune parole-tema e parole-chiave all’interno dei discorsi 
congressuali. Ciò ci ha consentito di scoprire, con il conforto dei numeri, la 
frequenza e di conseguenza l’importanza attribuita ad alcune tematiche dai vari 
leaders, e quindi per noi, dai vari partiti oggetto della nostra ricerca. Inoltre, con 
questa analisi si è potuto apprezzare, di riflesso, anche se soltanto 
approssimativamente, l’evoluzione del linguaggio politico di questo importante 
“pezzo” della sinistra italiana. Con l’elaborazione di questi dati, dunque, scaturiti 
in parte da uno schema interpretativo preordinato ed in parte dalla pura e 
semplice constatazione oggettiva dei termini più utilizzati dai nostri protagonisti, 
si è tentato di descrivere, e possibilmente comprendere, la nuova identità politica 
della sinistra italiana di discendenza Pci e di rilevare per questa strada gli 
elementi di discontinuità o di continuità con il recente passato comunista. 
Per fare questo si è ritenuto opportuno però prima compiere un passo indietro 
concentrandosi, senza pretese di esaustività, sulle “parole del Pci”, da cui 
possiamo dire, nel nostro caso, tutto ha origine. L’obiettivo di questo excursus nel 
discorso politico dei leaders dell’ultimo Pci è duplice: da un lato ci consentirà di 
illustrare le radici storiche di alcune delle principali parole d’ordine dei comunisti 
italiani, dall’altro esso assolverà ad una funzione più specificamente descrittiva 
della nostra ricerca. In altre parole, attraverso un’analisi delle espressioni più 
comuni del discorso politico del Pci otterremo una definizione più precisa dello 
schema d’analisi di partenza con cui andremo ad analizzare in seguito le relazioni 
congressuali dei leaders dei partiti della diaspora comunista italiana. 
 
Il nostro schema di partenza: l’approccio deduttivo 
Come già anticipato, questa ricerca intende analizzare l’evoluzione della diaspora 
comunista italiana attraverso la definizione degli elementi di continuità e di 
discontinuità di questa rispetto alla cultura politica e al discorso politico del 
Partito Comunista Italiano. Con ciò s’intende, quel particolare bagaglio di valori, 
ideali, ma anche di soggettività o riferimenti politici e culturali, che hanno 
percorso negli anni l’ideologia o, sarebbe meglio dire nel nostro caso, la cultura 
politica, dei comunisti italiani. Essa come sappiamo è stata tutt’altro che un’entità 
monolitica, impermeabile, cioè, agli impulsi e alle domande provenienti dalla 
società, o alle sollecitazione determinate dal quadro politico internazionale.
8 
 
L’attenzione del Pci verso la società italiana del dopoguerra oltre che finalizzata 
ad intercettare le domande di cambiamento in essa presenti, con lo scopo 
dichiarato di inquadrarle, secondo il principio dell’ “intellettuale collettivo”, 
dentro una prospettiva di trasformazione socialista della società, determinò 
contemporaneamente anche una “contaminazione” della sua cultura politica 
originaria. In altre parole, essere comunista negli anni di Berlinguer o di Occhetto 
significava altra cosa che esserlo stati negli anni di Togliatti o più indietro ancora 
di Gramsci
1
. Si potrebbe quindi persino distinguere tra un’identità comunista 
tradizionale ed una moderna. Ragion per cui ne deriva che l’identità politica del 
Pci non si è definita una volta e per tutte in quella sorta di “Big Bang” della storia 
del Novecento che è stata la Rivoluzione d’Ottobre, ma piuttosto essa si è 
costruita ed è andata definendosi, senza mai peraltro superare definitivamente la 
sua matrice ideologica originaria, attraverso un complesso processo di 
sedimentazione storica sia in termini politici che culturali. Da questo processo ne 
è discesa una continua rimodulazione dell’identità dei comunisti italiani che negli 
anni Ottanta, sebbene si sia sostenuto che essi abbiano rappresentato anni 
«residuali»
2
 della storia del Pci,  ha condotto, almeno all’interno dei nostri confini 
nazionali, ad una progressiva dilatazione semantica del significato stesso del 
termine comunismo
3
. Con la Svolta della Bolognina, poi, Occhetto «prefigura un 
polimorfismo ideologico-culturale alimentato dagli apporti più diversi»
4
Chiarito ciò è possibile ora illustrare l’approccio metodologico qui adottato. Si è 
detto che si è proceduto con l’analisi delle fonti primarie di ricerca, rappresentate 
dalle relazioni congressuali dei leaders della diaspora comunista, e che, oltre il 
loro semplice studio, si è approntata anche un’analisi empirica delle stesse
. 
5
Seguendo questo procedimento di ricerca, le parole inserite nel suddetto set 
preordinato oltre che rappresentare dei specifici concetti, indicano - anche se in 
questa sede non si è ricorso all’utilizzo di sofisticate tecniche di analisi del testo - i 
caratteri principali del linguaggio politico di ciascun leader preso in esame. 
Sembra comunque opportuno precisare che questo set di parole predefinito 
rappresenta dal nostro punto di vista un compromesso tra il principale intento di 
questa ricerca di individuare le tematiche politiche preponderanti dei partiti presi 
. 
Questa analisi empirica è consistita, in una prima fase, nella rilevazione delle 
occorrenze di 30 parole, costituenti per noi un set predeterminato di termini e 
concetti, di cui ora si parlerà, in ciascuna delle relazioni congressuali considerate. 
                                                            
1
 Cfr. A. Guerra, Comunismi e comunisti: dalle svolte di Togliatti e Stalin del 1944 al crollo del comunismo 
democratico, Dedalo, 2005 
2
 M. Flores e N. Gallerano, Sul Pci. Un’interpretazione storica, il Mulino, Bologna, 1992, p. 255 
3
 Cfr. A. Possieri, Memoria, Identità, Rimozione dal Pci al Pds, il Mulino, 2007, pp. 279-285 
4
 P. Ignazi, Attori e valori nella trasformazione del Pci, in Rivista italiana di scienza politica, vol. XXI, n. 3, 
1991, p. 536 
5
 A tal proposito, si ritiene opportuno precisare però che prima di poter procedere con questa analisi dei 
documenti, in via preliminare si è reso necessario un’importante lavoro di recupero delle fonti primarie. 
Larga parte di questo lavoro è stato realizzato con l’ausilio della documentazione presente sul web e in taluni 
casi con un’opera di trascrizione delle stesse relazioni congressuali da fonti multimediali. Maggiori dettagli 
sulle fonti da cui provengono le relazioni congressuali qui utilizzate sono presenti nella sezione finale di 
questa ricerca intitolata Le fonti primarie utilizzate
9 
 
in esame e l’interesse, tutto sommato secondario in questa sede, di capire quali 
sono le espressioni caratterizzanti il lessico politico dei loro leaders. Pertanto, se 
lo scopo principale di questa ricerca è quello di comprendere quali siano i 
caratteri preponderanti del discorso e dell’identità politica dei partiti neo e 
postcomunisti e come essi si siano evoluti nel corso del tempo, le evidenze relative 
il lessico politico in senso stretto, sono soltanto l’inevitabile ricaduto, in ogni caso, 
quanto mai interessante, del nostro intento primario. 
Detto questo, entriamo ora nel dettaglio del nostro schema di ricerca che abbiamo 
qui definito deduttivo. Per cominciare, va subito precisato che il set di parole e 
temi predeterminato non è frutto di una scelta casuale. Per quanto esso possa 
essere predisposto secondo le preferenze o i gusti personali di chi si cimenta 
nell’analisi di un testo o di un discorso è possibile assegnare a questo schema di 
ricerca un minimo di rigore scientifico adottando un principio di scelta. In questo 
lavoro, il principio di scelta adottato è stato sostanzialmente quello di individuare 
le parole e i concetti che hanno caratterizzato la storia e il discorso politico del 
Partito Comunista Italiano, ed in particolare quelli che hanno contraddistinto la 
fase finale della sua vicenda storica. In altri termini, ci si è concentrati in principio 
sulle “parole del Pci” per poi passare ad approfondire gli elementi di continuità o 
di rottura con quella tradizione, antica o moderna che fosse, emersi nei discorsi 
dei leaders della sua diaspora. La logica a cui ci siamo affidati è stata dunque 
quella di analizzare il cambiamento partendo dalla rilevazione dei fattori di 
continuità e di discontinuità. Ciò è avvenuto seguendo il principio secondo il 
quale per capire i mutamenti di un organizzazione politica, in questo caso 
l’insieme dei partiti della sinistra italiana neo e postcomunista, occorre prima 
comprendere il suo passato e la sua tradizione politica di provenienza. Nella 
fattispecie si è trattato di capire cos’era il Pci, o più esattamente cos’era diventato 
il Pci nel corso degli anni Ottanta, rivolgendo particolare attenzione allo scorcio 
finale della sua esperienza storica e politica. Dal punto di vista pratico, per la 
determinazione dell’impianto di ricerca appena accennato, da cui dedurre le 
trasformazioni avvenute nei partiti della diaspora comunista italiana, si è fatto 
ricorso ad alcune delle relazioni congressuali del XIX e del XX congresso del Pci. 
Anche in questa fase preliminare, dunque, ci siamo serviti dell’analisi delle fonti 
primarie rappresentate da 10 discorsi congressuali pronunciati negli ultimi due 
congressi del Pci. I 10 discorsi di cui parliamo sono i seguenti: 
- le 4 relazioni (2 introduttive e 2 conclusive) del segretario del partito, Achille 
Occhetto; 
- le 2 relazioni di Aldo Tortorella, all’epoca presidente del partito; 
- le 2 relazioni di Pietro Ingrao, leader della minoranza del partito contraria alla 
“svolta occhettiana”; 
- le 2 relazioni di Armando Cossutta, altro esponente del partito contrario alla 
svolta, nonché, in seguito, principale promotore della nascita del Prc.  
Anche qui, le scelte compiute hanno un fondamento logico. In primis, tutti e 
quattro i personaggi considerati erano esponenti di spicco del partito nonché
10 
 
membri del suo più importante organo dirigente, il Comitato Centrale. Inoltre, 
alla base della nostra scelta ci sono altre importanti motivazioni. L’esame delle 
relazioni di Occhetto e di Tortorella, infatti, risponde all’idea-guida di questa 
ricerca di considerare gli interventi del segretario e del presidente del partito 
come l’espressione più importante e fedele degli orientamenti politici del partito. 
Nel caso di Tortorella, poi, si sono venute a combinare due qualità, molto utili alla 
predisposizione del nostro schema interpretativo: oltre quella già ricordata di 
Presidente del Pci anche quella di autorevole esponente del “fronte del No”. 
Sostanzialmente per questa stessa ultima ragione sono stati considerati gli 
interventi di Pietro Ingrao. Egli infatti è stato il leader della corrente 
d’opposizione alla svolta, che all’ultimo congresso ottenne circa il 30% dei 
consensi, ed ha finito per impersonare durante i due congressi considerati e nel 
periodo di tempo intercorso tra di essi il ruolo politico di principale antagonista 
del segretario Achille Occhetto. Non si può trascurare poi che lo stesso Ingrao ha 
goduto sempre di una grande stima ed autorevolezza all’interno del partito 
essendo stato praticamente da sempre il massimo esponente della sinistra Pci 
nella cui tradizione si collocava appunto la cosiddetta corrente ingraiana. E, per 
finire, le relazioni di Armando Cossutta. Esse oltre che rappresentare la posizione 
politica di un altro autorevole esponente della nomenclatura comunista italiana, 
ci sono state utili per meglio comprendere le ragioni e le ispirazioni di fondo di 
quella componente del Pci, che nelle stesse ore in cui si decideva di dar vita ad un 
nuovo soggetto politico, non più comunista, scelse la strada della scissione 
abbracciando l’idea di una “rifondazione comunista”. A tal proposito si ricorda 
che mentre al XIX congresso, ingraiani e cossuttiani diedero vita a due documenti 
distinti, accomunati però entrambi dalla loro opposizione alla svolta promossa da 
Occhetto, nel XX congresso essi confluirono in un'unica mozione congressuale. 
Qualcuno però a questo punto potrebbe chiedersi per quale ragione siano stati 
presi in esame proprio gli interventi del XIX e del XX congresso del Pci. Anche 
questa legittima perplessità merita una risposta, per quanto essa debba 
comunque essere considerata, almeno parzialmente, come il risultato di una 
interpretazione soggettiva. Per cominciare, essendo il XIX ed il XX congresso del 
Pci gli ultimi due congressi di questo partito, si ritiene che essi ben rappresentino 
quel caleidoscopio di culture e subculture politiche che si erano progressivamente 
accumulate nel corso di settant’anni di storia nella sua cultura politica. È 
importante ricordare infatti che se il Pci ha avuto sempre fama di essere un’ 
“entità monolitica” dal punto di vista ideologico, per via della sua adesione al 
principio del centralismo democratico, nel corso della sua storia, anche in 
coincidenza dell’affievolirsi della rigidità di questo principio, esso ha 
continuamente rimodulato la sua identità politica finendo col tempo per 
inglobare temi, valori e simboli, provenienti da culture o subculture politiche 
differenti dalla sua
6
, o, in alcuni casi, specie nella fase finale della sua esperienza 
storica, addirittura in contrasto con la sua tradizionale cultura politica
7
                                                            
6
 Cfr. A. Possieri, Op. cit., p. 251 
7
 Cfr. P. Ignazi, Dal Pci al Pds, cit., p. 110 
. Non si
11 
 
può trascurare poi che questi congressi, si celebrarono in seguito a due importanti 
eventi: la caduta del muro di Berlino, che come detto, sconvolse i milioni di 
comunisti sparsi per il mondo, e la svolta della Bolognina operata da Occhetto, 
che aggiunse ulteriore smarrimento nei comunisti italiani. Se si aggiunge che essi 
furono i primi due veri congressi con mozioni contrapposte nella storia del Pci, 
dando in questo senso seguito alla decisione adottata dal gruppo dirigente al 
XVIII congresso del partito di abbandonare il principio del centralismo 
democratico
8
, si possono comprendere le ragioni di questa ulteriore scelta 
metodologica. Insomma, è indubbio che a cavallo degli anni Ottanta e Novanta 
dello scorso secolo, in seguito ad una serie di sconvolgimenti politici di livello 
mondiale e ad un processo di revisione, quando non di revisionismo, della propria 
storia operata dall’élite comunista italiana, in Italia si diede vita ad un ampio 
dibattito sulla cruciale questione dell’identità comunista
9
Ritornando alla descrizione pratica del nostro schema di ricerca, ci siamo serviti 
delle suddette relazioni per la determinazione del nostro set di parole e temi 
predefinito: vale a dire che si è proceduto con l’individuazione delle parole-tema 
all’interno di ciascuna delle dieci relazioni. Per la realizzazione di questo lavoro, ci 
si è avvalsi dell’aiuto di uno dei tanti programmi di analisi del testo reperibile sul 
web: il Tagcrowd. Questo programma, utilizzabile da chiunque sulla rete internet 
in versione flash
. 
10
A questo punto sembra opportuno, prima di spingerci oltre nella spiegazione del 
metodo adottato, precisare il significato dell’espressione “parola-tema”. Essa non 
è altro che un termine che ricorre con maggiore frequenza all’interno del corpus 
di un testo o di un discorso e che, proprio per tale motivo, indica l’importanza 
attribuita ad un particolare tema da parte dell’autore del testo o del discorso 
stesso
, calcola le occorrenze di tutte le parole presenti nel corpus di 
un testo elettronico generando poi delle “nuvole di parole”, i cosiddetti tagclouds, 
nelle quali i vari termini sono rappresentati, in base alla loro frequenza, con 
caratteri di dimensione differente. In altri termini, questo programma crea una 
“lista pesata” delle parole-tema presenti nel corpus di un testo. 
11
Il fatto che delle 10 relazioni qui considerate, quattro siano del principale artefice 
della svolta, cioè il segretario Occhetto, e le altre 6 di tre leaders contrari alla 
stessa, non deve però trarre in inganno sulla coerenza del metodo adottato. Le 4 
relazioni di Occhetto prese in considerazione infatti ammontano a circa sette ore 
. Le parole-tema permettono dunque di cogliere immediatamente, senza 
particolari strumenti di indagine statistica, gli argomenti principali trattati in un 
testo. Assumendo, pertanto, un set di parole-tema predefinito e procedendo poi 
ad uno sforzo di semplificazione e categorizzazione dei termini è possibile 
arricchire di significato i dati rilevati e, di conseguenza, i testi analizzati. 
                                                            
8
 Cfr. A. Bosco, Op. cit., pp. 231-232; Cfr. P. Ignazi, Dal Pci al Pds, cit., p. 155 
9
 Cfr. A. Possieri, Op. cit., p. 251-263; Cfr. P. Ignazi, Dal Pci al Pds, cit., pp. 29-83 
10
 Alla pagina web: http://tagcrowd.com/ 
11
 Cfr. F. De Nardis, Sinistra e destra nella campagna elettorale di Roma.                                                      
Cultura politica e analisi del linguaggio, consultabile all’indirizzo internet: 
http://www.sociologia.unical.it/convegno2002/abstract%20workshop/denardis.htm, ultima consultazione 
05/09/2011
12 
 
di interventi. Le altre 6 invece a poco più di tre ore. Considerando che la 
determinazione delle parole-tema risente delle dimensioni del corpus appare 
evidente che il nostro schema abbia risentito del maggior “peso specifico” delle 
relazioni occhettiane. Peraltro, con questi “tempi” si è riusciti anche, quasi del 
tutto involontariamente, a rispettare i rapporti di forza presenti nel partito in 
quella determinata fase storica: su di un totale infatti di circa dieci ore di 
interventi, pressappoco il 70% riguardano le relazioni del segretario Occhetto 
mentre il restante 30%, quelle di Tortorella, Ingrao e Cossutta. Affidandosi 
dunque alle evidenze così rilevate e al contributo supplementare della saggistica 
esaminata si è potuto delineare uno schema interpretativo che rispecchia 
piuttosto fedelmente sia il discorso politico che l’identità dell’ultimo Pci. 
 
Le parole-tema dei leaders della diaspora Pci: l’indagine induttiva 
Introdotto lo schema di ricerca deduttivo basato sul set preordinato di                
parole-tema, passiamo ora alla descrizione della seconda parte del nostro metodo 
di ricerca. Se le 30 parole-tema dello schema interpretativo preordinato, come 
abbiamo spiegato, sono il risultato di un’analisi quantitativa e qualitativa delle 
dieci relazioni congressuali estrapolate dagli ultimi due congressi del Pci, quindi 
sono in qualche modo il portato di una elaborazione anche soggettiva di quei dati, 
con il secondo metodo di ricerca ci si è limitati ad una pura osservazione oggettiva 
delle occorrenze rilevate nelle fonti primarie esaminate. In pratica, questo 
ulteriore “passaggio al setaccio” delle relazioni dei leaders della diaspora del Pci ci 
ha consentito di completare le informazioni già ricavate con il primo metodo 
d’analisi, e di giungere, almeno nelle intenzioni, a delle conclusioni di ricerca più 
solide e convincenti. Si è così potuto comprendere, al di là della comune 
esperienza politica passata nel Pci, quali siano realmente le issues e le parole 
d’ordine dei leaders, e quindi per noi anche dei partiti che rappresentano, della 
diaspora comunista italiana. In particolare, abbiamo focalizzato la nostra 
attenzione sulle prime dieci parole-tema pronunciate dai leaders in questione, in 
ciascuna delle relazioni congressuali esaminate. Tale scelta è stata dettata dalla 
esigenza di evitare che spostando la nostra attenzione oltre le prime 10                
parole-tema ci si imbattesse in numerosi casi di ridondanza degli stessi termini. 
Per la realizzazione di questo lavoro, ci siamo nuovamente avvalsi dell’aiuto del 
programma web Tagcrowd. Con l’ausilio di questo strumento di lavoro si è 
potuto così comprendere su quali tematiche abbiano incentrato il loro discorso 
politico i leaders dei vari partiti della diaspora Pci negli ultimi vent’anni e in parte 
anche quali espressioni abbiano utilizzato per trasmettere il loro messaggio 
politico. In sostanza, mentre con il primo metodo l’esito della ricerca è 
predeterminato dal nostro set di parole-tema predefinito, con questa seconda 
chiave di lettura si è data, potremmo dire, la parola direttamente ai leaders. Con 
questo sistema si è cercato, in altre parole, di arricchire la nostra analisi e di 
capire cosa hanno detto, e cosa dicono tuttora, i nuovi leaders della sinistra 
italiana. In molti casi, come è facile intuire, le parole-tema rilevate con questo
13 
 
secondo metodo, sono coincise con quelle selezionate per il nostro set preordinato 
di parole-tema. Ciò, lungi dall’essere un limite metodologico, ci ha permesso al 
contrario di assegnare a quei termini così frequenti nel linguaggio di un 
determinato leader, un valore distintivo, se non addirittura un attributo di vera e 
propria parola d’ordine del suo discorso politico. Quest’ultima considerazione ci 
offre l’occasione per introdurre un altro importante concetto relativo all’analisi di 
un testo o di un discorso. Finora abbiamo trattato soltanto una categoria di 
parole, le parole-tema, di cui se ne è illustrato il significato nel precedente 
paragrafo. Oltre queste però all’interno del corpus di un testo o di un discorso è 
possibile rintracciare anche un altro tipo di parole: le cosiddette parole-chiave. 
Esse non sono altro che parole sovrautilizzate rispetto ad un lessico di 
riferimento. Se si assume dunque un certo vocabolario o lessico come modello 
operativo di riferimento si ha la possibilità di capire se una parola rilevata in un 
testo o in un discorso abbia rispetto ad esso i caratteri della “tipicità” linguistica
12
                                                            
12
 Ivi 
. 
Nel nostro caso specifico, se si considera che il set preordinato di parole-tema che 
qui si è predisposto, è in parte cospicua il risultato dell’elaborazione di oltre 
10.000 tipi differenti di parole, si può plausibilmente concludere che dal 
confronto delle evidenze empiriche scaturite dai due diversi metodi di ricerca 
adottati, emergeranno le nostre parole-chiave. Ragion per cui, il leader che si 
caratterizzerà, ad esempio, per un largo utilizzo della parola-tema lavoro anche in 
questo secondo livello d’analisi, rappresenterà in conclusione per noi un duplice 
indice: ci indicherà cioè il peso effettivo di questa issue nel suo discorso politico e 
al contempo ci segnalerà se la parola lavoro, presentando un sovrautilizzo 
rispetto a quanto si è rilevato nelle relazioni congressuali del Pci, è una                
parola-chiave del suo linguaggio. Quindi, comparando le parole-tema ottenute 
con questo secondo metodo di ricerca con le 30 del nostro modello operativo di 
riferimento, potremo stabilire se una determinata parola presenta i caratteri tipici 
della parola-chiave. In altri termini, rimanendo all’esempio della parola lavoro, se 
con l’analisi deduttiva sarà possibile individuare come essa si collochi in termini 
di occorrenze rispetto alle altre 29 parole-tema del nostro set preordinato, con 
l’analisi induttiva si potrà verificare se essa è una delle 10 parole più utilizzate in 
assoluto dal leader in questione. Ciò di conseguenza vorrà dire che se la parola 
lavoro, come scopriremo nel prossimo capitolo, non è una delle prime 10             
parole-tema rilevate nelle relazioni congressuali dell’ultimo Pci, allorquando essa 
si presenterà tra le prime 10 parole-tema dei discorsi dei leaders della diaspora si 
configurerà sempre come una parola-chiave del loro discorso politico. Questo 
criterio naturalmente varrà per tutte le parole-tema che non coincideranno con le 
prime 10 parole-tema dei leaders del Pci o che comunque pur all’interno di esse 
segnaleranno un più accentuato sovrautilizzo. Nel nostro caso però, non essendo 
il modello operativo di riferimento adottato un vero e proprio vocabolario 
completo, bensì un piccolo campione di 30 parole rappresentativo del linguaggio 
dei leaders dell’ultimo Pci, si è opportunamente pensato di limitare la nostra 
osservazione e definizione delle parole-chiave ai soli termini che
14 
 
contemporaneamente rientreranno nel suddetto campione di parole e 
presenteranno un sovrautilizzo rispetto alla “gerarchia” di parole-tema che 
scaturirà dall’analisi quantitativa delle relazioni congressuali del Pci. Con il 
Tagcrowd, dunque, potremo incontrare parole-tema che presenteranno un 
carattere di continuità rispetto al discorso politico del Pci, parole-tema che 
essendo sovrautilizzate rispetto alla “gerarchia” del nostro modello operativo 
rappresenteranno delle parole-chiave del leader in esame e infine parole-tema 
escluse dal nostro modello operativo di riferimento che potrebbero però far 
registrare nel periodo di osservazione preso in considerazione un frequente 
utilizzo nel linguaggio di un determinato leader tanto da configurarsi come parole 
specifiche sia del suo discorso politico sia di quello del partito che rappresenta.  
Detto questo, possiamo ora dedicarci ad un’illustrazione più approfondita del 
nostro schema d’analisi deduttiva ed in particolare alla definizione del set 
preordinato di parole-tema con cui andremo ad analizzare successivamente le 
relazioni congressuali dei leaders della diaspora Pci.