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Il terzo capitolo approfondirà le dinamiche psicologiche della maternità negata.
Ho analizzato prima il significato della maternità, della gravidanza e della
contraccezione, e ho focalizzato la mia attenzione sui fattori personali e sociali che
incidono sulla scelta di interrompere una gravidanza indesiderata e su quali possono
essere le conseguenze psicologiche del ricorso a una i.v.g.
Il quarto capitolo, infine, si concentra inizialmente sull’andamento statistico
dell’i.v.g. dagli anni 80 a oggi, e prosegue analizzando le funzioni del consultorio
familiare, servizio che svolge su tutto il territorio nazionale un lavoro di assistenza e
di prevenzione, attraverso la diffusione di informazioni riguardanti i metodi
contraccettivi. Mi sono soffermata, infine, sul ruolo che svolge l’assistente sociale
all’interno del consultorio con le donne che intendono interrompere una gravidanza
indesiderata.
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CAPITOLO I
L’INTERRUZIONE VOLONTARIA DI GRAVIDANZA:
L’EVOLUZIONE STORICA E SOCIALE DELLA
NORMATIVA IN MATERIA.
I.1 Dalla remota antichità al mondo Greco e Romano:
aborto come questione di donne.
L’interruzione volontaria di gravidanza è un fenomeno che esiste da secoli. Tuttavia,
lungo il corso del tempo si sono avuti tanti cambiamenti: sono cambiati i ruoli assunti
dalle donne, le visioni che hanno del feto le diverse società, e, con queste sono mutate le
percezioni dell’aborto nel tessuto sociale; ciò anche a causa del contributo, sempre più
imponente, delle scoperte scientifiche in materia di fecondità e di gravidanza.
Nonostante questi mutamenti, come afferma G. Galeotti (2003) , è possibile tracciare un
elemento di continuità che va dalla remota antichità fino alla metà del Settecento.
Questo elemento è, secondo G. Galeotti, che l’aborto è stato in questi periodi storici,
una questione di donne.
1
Era incontestabilmente materia femminile l’accorgersi di
essere incinta e tutte le scelte e decisioni che dà ciò scaturivano. Inoltre, per molti
secoli la donna ha avuto difficoltà a percepire il suo stato tempestivamente, per cui le
1
Giulia Galeotti, Storia dell’aborto, il Mulino, Bologna, 2003.
6
era possibile diagnosticare una gravidanza solo quando il feto si muoveva, cioè in uno
stato avanzato di gestazione. A conferma del fatto che l’interruzione volontaria di
gravidanza fosse una questione femminile vi era anche una precisa visione della
gravidanza e del feto che dominò fino alla metà del Settecento. Questa teoria affermava
che tutto quanto fosse racchiuso nell’utero materno, e quindi il feto, era un’appendice
del corpo della madre. Altro indice di come l’argomento “interruzione di gravidanza”
fosse ritenuto di fatto e culturalmente di esclusivo interesse femminile, sostiene l’autrice
citata, è proprio il silenzio delle fonti storiche in materia. Tuttavia, nonostante ciò è
possibile tracciare una storia dell’aborto.
La notizia più antica che possediamo, come affermano gli studi fatti da E. Gius
(1988) è scritta nel codice Egiziano Hammumrabi (2000 a.C.), essa narra di
un’ammenda comminata ad un uomo che ”ha colpito la figlia di un libero e ne ha fatto
cadere quel che portava dentro”.
2
Secondo E. Gius il colpo sarebbe stato dato proprio
per indurre l’aborto. D’altronde, prima delle scoperte scientifiche, le interruzioni di
gravidanza si praticavano proprio ricorrendo a violenti esercizi fisici. Infatti, nelle
testimonianze greche (V Secolo a.C.) le levatrici e le gestanti, entrambe principali
artefici dell’aborto, per interrompere una gravidanza indesiderata ricorrevano ad erbe e
droghe accompagnate da cantilene magiche,violenti esercizi fisici e strumenti
meccanici. Naturalmente queste modalità presentavano rischi notevoli per la salute e per
la vita della donna, tanto che Ippocrate asseriva che “quelle che abortiscono corrono
2
E. Gius, D. Cavanna, Maternità negata,Ricerca su vissuti ed atteggiamenti nell’interruzione di
gravidanza, Giuffrè editore, Milano, 1988.
7
maggior pericolo; gli aborti, invero sono più penosi dei parti,c’è infatti pericolo(…)e
questo pericolo è grande.”
3
.
Dalle citate tracce storiche non risultano che nell’antica Grecia esistessero leggi
punitive nei confronti di chi procurava l’aborto, infatti, al pari dell’infanticidio e
dell’abbandono di minore, l’aborto volontario per i Greci non era considerato reato.
Tuttavia, nei casi in cui, la donna decideva di interrompere una gravidanza, come
affermano G. Galeotti ed E. Gius, le era necessario il consenso del marito. La decisione
spettava all’uomo, in quanto, secondo gli studi ai quali facciamo riferimento, era
proprietario della donna che aveva sposato, e, dunque, del suo corpo. Dato, quindi, che
la teoria dominante, affermava che il feto era parte aggiunta del corpo della donna,
anche ciò che ella portava nel grembo era di proprietà del marito. Questa concezione
sarà presente anche nella cultura e nel diritto Romano.
La pratica dell’aborto dunque, afferma G. Galeotti, sia nell’antica Grecia che
nell’antica Roma non era condannata nemmeno dalle morale dominante. Le poche
condanne esistenti provenivano da uomini di scienza. Vi era, ad esempio, la posizione di
Ippocrate che è resa nota nel suo giuramento, che, proprio in sintonia con la concezione
della medicina, che è quella di portare la vita e allontanare la morte, recita: ” mai ad
alcuna donna suggerirò prescrizioni che possano farla abortire”
4
Anche nella “Politica” di Aristotele è presente un importante riferimento all’aborto.
Questo suo pensiero, secondo G. Galeotti, influenzerà tutta la discussione nel mondo
occidentale in tema di interruzione volontaria di gravidanza fino la Settecento inoltrato.
3
G. Galeotti, op. cit. , pag. 20.
4
Ibidem
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Aristotele introduce una distinzione molto importante. Egli afferma, infatti, che il
ricorso all’aborto deve avvenire ”prima che nel feto si siano sviluppate la sensibilità e
la vita, perché sono la sensibilità e la vita che determinano la consapevolezza e la non
consapevolezza dell’atto.”
5
Con il filosofo, dunque, si va a distinguere tra aborto lecito
ed illecito, e ciò si determina in relazione al momento in cui l’interruzione della
gravidanza viene praticata e in base al sesso del nascituro, poiché si ipotizzava che il
feto maschile si sviluppasse in quaranta giorni e il feto femminile in ottanta giorni.
Questa distinzione temporale, come scrive Galeotti, sarà l’unico riferimento teorico fino
al Settecento.
Nel mondo Romano l’aborto non era considerato reato, e tale concezione è perdurata
fino a tutto il periodo classico. Anche nell’antica Roma il feto rientrava nella proprietà
dell’uomo in quanto disponeva della proprietà del corpo della donna. Il primo cenno
indiretto all’aborto (Galeotti, 2003), lo si trova nelle legge delle XII Tavole (V Secolo
a.C. ), il suo contenuto fa riferimento alla donna che, interrompendo la gravidanza senza
il consenso del coniuge, è accusata di sottrazione di prole e deve essere ripudiata dal
marito. Da ciò si evince l’importanza della volontà del marito. Inoltre se esistevano nel
mondo romano posizioni contrarie all’aborto procurato erano, secondo G. Galeotti,
riconducibili al fatto che ricorrendo ad esso non si era data prevalenza agli interessi
maschili. Per chiarire questa affermazione basta ricorrere ad uno scritto di Cicerone del
66 a.C. che dice che la colpa più grande della donna che ha abortito è quella di aver
5
G. Galeotti, Op. cit. , pag. 21.
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”tolto di mezzo la speranza del padre, il ricordo di un nome, il sostegno di una razza,
l’erede di una famiglia, il futuro cittadino dello Stato.”
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Anche negli scritti di Ovidio l’aborto assume, come in Cicerone, una valenza morale,
le sue posizioni di contrarietà fanno riferimento al fatto che non mettere al mondo un
figlio priva l’umanità di una sua creatura. Ovidio, inoltre, condanna le donne che per
semplici preoccupazioni estetiche attentano alla loro vita uccidendo con ferri o potenti
veleni le creature che portano in grembo, pur essendo consce dei rischi che corrono e
della riprovazione sociale che l’aborto comporta. Ovidio condanna, secondo G. Galeotti,
questo egoistico comportamento, ritenendo che esso poteva condurre alla scomparsa del
genere umano. Egli infatti afferma: “Se alla antiche madri fosse piaciuto il medesimo
sistema,la razza umana sarebbe colposamente perita (…) Se Venere incinta avesse
maltrattato Enea nell’utero, la terra sarebbe rimasta priva di Cesari.”
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A parte le condanne morali dell’atto, afferma Galeotti, non c’è mai stata nel mondo
Romano una sanzione esplicita a ciò fino al regno di Settimio Severo e Antonio
Caracolla (193-217) Solo nel II secolo A.C., afferma la Galeotti, si giunge alla prima
legge di Roma, che si schiera contro l’aborto. Esso viene classificato tra i crimini
straordinari e vengono introdotte due sanzioni penali contro la sua pratica. Sono
previsti: l’esilio temporaneo a carico delle donne che si sono procurate l’aborto contro
il volere del coniuge; i lavori forzati in miniera e la relegazione in un‘isola con parziale
confisca dei beni per chi ha somministrato infusi o veleni, e, infine, è prevista la pena
capitale se all’interruzione di gravidanza fa seguito la morte della donna.
6
Ivi, pag. 24-25.
7
Ibidem