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Introduzione 
 
In generale viene definito “anziano” colui che ha un’età superiore ai 65 anni, un 
limite di età fissato arbitrariamente sulla base di politiche sociali. Secondo i 
gerontologi la popolazione al di sopra dei 65 anni può essere divisa in tre fasce: i 
“giovani anziani” che comprende i soggetti dai 65 ai 74 anni; gli “anziani anziani” 
che va dai 75 agli 84 anni; e gli “ultra anziani”, dagli 84 in poi (Kring, 2008). 
L’invecchiamento è un processo che interessa tutti gli organismi viventi che sono 
soggetti a uno sviluppo e a una maturazione fino all’inevitabile progressiva 
senescenza. Il destino biologico dell’essere umano è associato ad altre 
modificazioni di eguale importanza come l’aspetto psicologico e il contesto 
sociale. Invecchiare è un processo ineluttabile, anche se diverso per ogni 
individuo. 
L'aumento della popolazione anziana rappresenta un fenomeno importante e 
preoccupante della società contemporanea. La popolazione anziana nei paesi 
industrializzati è in continua crescita rispetto al resto della popolazione, mentre si 
assiste a una riduzione delle nascite che ha determinato in Italia un punto di 
crescita della popolazione uguale a zero (Tammaro, 2000). Stiamo assistendo ad 
una sorta di rivoluzione demografica: nel 2000, nel mondo c’erano circa 600 
milioni di persone con più di 60 anni, nel 2025 ce ne saranno 1,2 miliardi e 2 
miliardi nel 2050. In Europa, come in molti altre regioni ricche, una persona su 5 
ha più di 60 anni (http://www.epicentro.iss.it/problemi/anziani/anziani.asp).
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Figura 1. Popolazione italiana per gruppi di età. 
 
(Da 
http://www.nomadis.unimib.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/20) 
 
Il grafico in Fig.1 mostra il drammatico aumento del numero di anziani che si è 
verificato in Italia a partire dal 1950, il forte calo della popolazione nella fascia 
d’età 0-19 e l’aumento in quella 60-79 e negli over 80 previsti per il 2030. 
Alla Conferenza Mondiale sull'Invecchiamento tenutasi a Madrid nel 2002 è stato 
detto che in Italia vive la più alta percentuale  di persone di oltre 65 ani e la più 
bassa percentuale di popolazione al di sotto dei 15 anni (http://www.own-
europe.org/History/meri/pdf/summary-italy.pdf). 
La principale ragione dell’incremento mondiale della percentuale di soggetti 
anziani è costituita dall'effetto combinato del declino della mortalità infantile e 
della riduzione del tasso delle nascite.  
Con l’aumento del numero di anziani nella popolazione assistiamo anche a un 
aumento della prevalenza delle malattie neurodegenerative. Infatti, con il passare 
degli anni aumenta il rischio di sviluppare una forma di demenza, come mostra il 
grafico in figura 2:
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Figura 2. Percentuale di anziani in Europa affetti da demenza in base all'età. 
Ilsa 
 
(Da http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0924977x05000660.)  
 
Incidenza e prevalenza della demenza sono destinate a crescere nel corso dei 
prossimi anni. Entro il 2020 si prevede il raddoppio del numero di persone affette 
da demenza (Di Carlo et al., 2002). Poiché la terapia farmacologica attualmente 
disponibile permette solo un modesto miglioramento della sintomatologia l’unica 
possibile strategia per far fronte alla demenza è data dalla prevenzione.
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Capitolo 1 
INVECCHIAMENTO CEREBRALE FISIOLOGICO 
 
L’invecchiamento cerebrale è da considerarsi nell’ambito del processo 
d’invecchiamento più globale che è oggetto di continui studi, ricerche e 
definizioni; Tognoni e Spinnler (1987) per esempio lo definiscono come una 
progressiva diminuzione di adattabilità da parte dell’anziano che comporta 
un’esposizione sempre più frequente a eventi morbosi. Cesa Bianchi (1987) 
descrive l’invecchiamento come una trasformazione regolare ordinata o 
discontinua legata al tempo e in relazione all’ambiente in cui si vive; si tratta di un 
processo diacronico che prevede eventi compensativi o vicarianti legati a 
un’autoregolazione adattativa dell’organismo che invecchia. Altri autori lo 
definiscono come un progressivo deterioramento delle capacità omeostatiche e di 
adattamento (Steni, 2008). 
Per quanto riguarda le funzioni dell’organismo, nel processo di senescenza 
tendono a decadere quelle scarsamente esercitate, a persistere e anche a 
perfezionarsi quelle maggiormente utilizzate. Ne deriva che l’invecchiamento non 
deve necessariamente essere connotato negativamente (Moderato, 2007). 
L’invecchiamento umano si svolge secondo modalità, ritmi e conseguenze molto 
variabili da individuo a individuo in base a tendenze genetiche, a fatti preesistenti 
e a condizioni contingenti. 
L'essere umano raggiunge il massimo delle sue potenzialità intorno ai 30 anni di 
vita per poi iniziare un progressivo e lento decadimento. Gli scadimenti 
funzionali, che appaiono indipendentemente dalla presenza di patologie, possono 
essere etichettati come cambiamenti dovuti all'età o semplicemente come 
"invecchiamento fisiologico" 
(http://www.italianhospitalgroup.it/pubblicazioni/invecchiamento_cerebrale_fisiol
ogico_-_brochure_2003_ihg-pro.pdf). 
I segni dell'invecchiamento per alcuni tessuti compaiono abbastanza 
precocemente (ad esempio le rughe della cute) per altri invece sono tardivi (come 
ad esempio nel caso del cristallino che, opacizzandosi, causa la comparsa della
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cataratta). Anche il cervello, così come gli altri organi, è interessato da un 
fisiologico processo d’invecchiamento geneticamente programmato e quindi non 
modificabile in modo incisivo, ma che può essere accelerato a causa di patologie 
mediche (come ad esempio ipertensione arteriosa, diabete, cardiopatie, ecc.), per 
l'intervento di fattori ambientali (sostanze tossiche) o di fattori di usura fisiologici 
(ad es. radicali liberi).   
Invecchiando la corteccia si assottiglia, senza che ciò causi necessariamente una 
contemporanea compromissione delle funzioni cerebrali (memoria, ragionamento, 
capacità di pensare, attenzione, ecc.) che possono infatti rimanere valide anche in 
età molto avanzata.  
Anche se l’invecchiamento correla con l’aumentare dell’età cronologica, esistono 
delle differenze individuali e una variabilità delle modificazioni che entrano in 
gioco per sopperire ai processi involutivi. Sicuramente secondo Spinnler (1985) 
poiché la senescenza e la morbilità sono condizioni biologiche strettamente 
correlate, risulta difficile separare quanto di un soggetto senile sia dipendente 
dall’invecchiamento “naturale” e quanto conseguenza di malattie. 
Numerosi sono anche i fattori che influenzano il cambiamento quali-quantitativo 
della cognitività dell’anziano. Si tratta di un processo che interessa più dimensioni 
in cui entrano in azione fattori biologici, ambientali, culturali, fino alla variabilità 
individuale della quale è necessario tenere conto. Con l’avanzare dell’età si rileva 
una più o meno marcata atrofia cerebrale e un decremento del metabolismo, 
soprattutto a carico delle aree frontali, prefrontali, parietali, temporomediali, 
sistema limbico ed ippocampo, ovvero quelle strutture nervose che controllano la 
memoria, i processi di apprendimento, le capacità strategiche e l’attenzione (Steni, 
2008). Tuttavia secondo Cesa Bianchi (1987) , a una riduzione dell’ampiezza dei 
processi disponibili, a volte corrisponde un’accentuazione dei processi rimasti 
integri. 
Si tratta pertanto di cambiamenti biologici relativamente benigni, purchè le 
strategie di compensazione adottate individualmente risultino efficaci e 
sufficientemente adattive (Steni 2008). 
 Le prime manifestazioni dell’invecchiamento cerebrale fisiologico sono 
rappresentate dai disturbi di memoria spesso scatenati da episodi particolarmente
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stressanti come un lutto, il pensionamento, una malattia propria o di un familiare 
ecc. Tale declino delle capacità mnesiche può configurarsi come una "normale 
perdita" causata dall'età o rappresentare il primo segno di un decadimento 
intellettivo che condurrà allo sviluppo di patologie dementigene.  
Nell’ambito della psicologia cognitiva è possibile individuare varie ipotesi/teorie 
circa l’invecchiamento. Le ricerche psicologiche sull’invecchiamento sono 
iniziate con lo studio dei rapporti tra età e intelligenza e sono state favorite 
dall’applicazione, a oltre un milione e mezzo di uomini tra i 18 e i 60 anni, dei 
primi reattivi di gruppo per la misura delle capacità intellettuali, in occasione della 
selezione delle reclute negli Stati Uniti durante la prima guerra mondiale. Yerkes 
(1921) confrontando i risultati ottenuti in gruppi di diversa età, scoprì l’esistenza 
di un declino delle capacità intellettive già a partire dai 30 anni. L’idea di un 
declino intellettivo generalizzato che inizia già nella giovinezza prese piede dando 
vita alla teoria del declino intellettuale globale. La conferma più autorevole di tale 
modello è da attribuirsi alle ricerche di Wechsler in occasione della formulazione 
della scala di intelligenza Wechsler- Bellevue e in seguito della WAIS. 
(Moderato, 2006). 
Una rettifica alla teoria del declino intellettuale globale giunse dalle ricerche di 
Horn e Cattel (1966) che introdussero i concetti di intelligenza fluida e 
cristallizzata: le abilità cristallizzate si basano su informazioni ben apprese molto 
resistenti al deterioramento. Le abilità fluide sono capacità che utilizzano in modo 
adattativo le informazioni disponibili per la concettualizzazione/soluzione di 
problemi. L’intelligenza fluida si deteriora con l’età, quella cristallizzata resta 
invece, sostanzialmente invariata nel corso dell’invecchiamento. Soltanto 
l’esercizio e lo sviluppo dell’intelligenza fluida possono dar luogo alla crescita 
dell’intelligenza cristallizzata: la senescenza è caratterizzata da un deterioramento 
delle abilità fluide e da una sostanziale stabilità di quelle cristallizzate.  
Il modello del declino intellettuale fu ulteriormente messo in dubbio dalla ricerca 
longitudinale condotta da Arenberg nel 1974. Furono esaminati soggetti tra i 24 e 
gli 87 anni tramite test di “problem solving” somministrati ad intervalli di sei 
anni. Quando i risultati del test furono valutati dal punto di vista longitudinale si 
osservò un declino cognitivo solamente dopo i 70 anni d’età.
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 Salthouse (1991) propone un’ipotesi che ha trovato molti consensi; si tratta 
dell’ipotesi del deficit delle risorse di elaborazione, secondo la quale alla base 
dell’invecchiamento vi sarebbe una riduzione delle risorse di elaborazione 
necessarie per completare operazioni cognitive. Ciò porterebbe ad un 
rallentamento nell’esecuzione di funzioni cognitive correlabile ad una riduzione 
dello spazio di lavoro per elaborare le rappresentazioni mentali, con vulnerabilità 
maggiore del materiale cognitivamente più complesso e nuovo che richieda 
un’analisi più profonda e volontaria. 
Un recente lavoro di review sull’invecchiamento fisiologico è stato condotto da 
Park & Reuter-Lorenz (2009). Con l’avanzare dell’età accanto a un decremento 
del volume cerebrale e dell’atrofia della materia grigia, sorprendentemente si ha 
un incremento nell’attivazione dell’area prefrontale. A fronte di tale scoperta gli 
autori hanno proposto una teoria, la “Scaffolding theory of aging” (STAC) in cui 
viene utilizzata la metafora dell’impalcatura per spiegare la potenzialità del 
cervello di riorganizzarsi. Secondo tale teoria, l’incremento dell’attivazione 
prefrontale sembra essere un segno della capacità di adattamento del cervello che 
si impegna in un processo di “scaffolding” (questo termine fa riferimento a un 
normale processo presente lungo tutto l’arco di vita dell’individuo che consiste 
nell’uso di alternativi circuiti neurali compensatori finalizzati al raggiungimento 
di particolari obiettivi cognitivi) in risposta ai cambiamenti dovuti al declino delle 
strutture neurali. Il processo di “scaffolding” risulta essere protettivo delle 
funzioni cognitive nel cervello dell’anziano e la capacità di usare questo 
meccanismo è strettamente associata ad impegno cognitivo, esercizio fisico e 
bassi livelli di coinvolgimento nelle reti sociali (Park & Reuter-Lorenz 2009). 
Infine l’ipotesi della riserva cognitiva (spiegata nel dettaglio nel secondo capitolo) 
fa riferimento alle abilità acquisite prima dell’esordio della malattia e alla 
disponibilità di meccanismi trofici e di ridondanza neuronale correlati 
fondamentalmente con il livello di cultura. Queste ultime ipotesi evidenziano 
quindi il superamento di una visione dell’invecchiamento basata solo sul declino e 
ci suggeriscono che  il cervello senile o deteriorato cognitivamente è in grado di 
contrastare il depauperamento neuronale. (Steni, 2008).