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CAPITOLO 2
CLASSIFICAZIONE DELLE DISABILITÀ INTELLETTIVE
2.1 Dal Ritardo mentale alla Disabilità Intellettiva
Nel campo del ritardo mentale (poi disabilità intellettiva), c’è stata una discussione
considerevole e intensa riguardo al costrutto di disabilità e alla terminologia
preferenziale da utilizzare per indicare le persone con questa specialità.
In questa sede si vuole infatti esplicitare proprio lo sviluppo terminologico del tema di
nostro interesse, soffermandosi soprattutto sulla definizione della transizione dal
termine "ritardo mentale" a "disabilità intellettiva”, ponendo come base comune il
concetto che la popolazione coperta da questa terminologia è la stessa che in passato è
stata diagnosticata come affetta da ritardo mentale in numero, tipologia, livello, tipo e
durata e riconosce la stessa necessità che i soggetti con questa disabilità hanno di servizi
e supporti individualizzati.
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Anzitutto è importante sottolineare che il costrutto della Disabilità Intellettiva rientra in
quello più generale di “Disabilità” e che alla base della sua transizione terminologica vi
è una sempre maggiore comprensione del costrutto della disabilità e del suo
miglioramento, fondato soprattutto sul riconoscimento della multidimensionalità del
funzionamento umano.
Fin dal XVII secolo, la disabilità intellettiva era conosciuta con diversi termini come
“amentia”, “stupiditas” e “fatuitas” e, in quel periodo, era inoltre considerata come una
forma di demenza che difficilmente si poteva recuperare.
Soprattutto in seguito alle ricerche di Pinel su Victor, il selvaggio dell’Aveyron, vi è
stato un processo di differenziazione che ha portato a definire l’idiozia come un
fenomeno medico specifico che non poteva essere trattato o recuperato.
Questa tesi è stata successivamente contraddetta dai due medici francesi Itard e Séguin,
che hanno invece dimostrato l’educabilità dello stesso Victor.
È proprio in seguito agli studi di questi due medici francesi che sono state gettate le basi
per l’osservazione sistematica delle difficoltà nelle diverse aree di sviluppo,
25
R. Cavagnola, R. A. Luckasson, K. A. Shogren, Nuova dicitura per il ritardo mentale: comprendere il
passaggio verso il termine disabilità intellettiva, Società Editrice Vannini, Brescia, n.1, 2008, p. 8.
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permettendo di comprendere che l’educazione integrale della persona con disabilità
intellettiva è possibile.
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Inizialmente, gli studi condotti dai due medici non hanno portato a risultati significativi,
tanto che ancora per un lungo periodo di tempo i ragazzi con “disabilità intellettiva”
sono stati etichettati con termini come “dementi”, “stupidi” o “idioti”.
Queste parole sono state poi adottate nel linguaggio comune in modo dispregiativo,
trasmettendo una rappresentazione della persona come incapace di apprendere e di
migliorare la propria situazione esistenziale.
Oltre a questi termini, per lungo tempo la disabilità intellettiva è stata indicata anche
come “oligofrenia”, in riferimento alle cause organiche della patologia considerata quasi
esclusivamente come “malattia d’intelligenza”; In seguito si è utilizzata, in più, la
terminologia “insufficienza mentale” che poneva l’accento sulla natura cognitiva del
deficit, partendo da una teoria olistica e interattiva dell’intelletto.
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È intorno al Novecento che, con l’evoluzione storico-culturale e il progresso scientifico
(che hanno inciso significativamente sulla vita delle persone con disabilità conducendo
allo sviluppo di differenti paradigmi interpretativi della condizione umana e al
miglioramento delle possibilità di partecipazione alla vita sociale), le ricerche in ambito
medico e pedagogico hanno portato a più matura conoscenza della Disabilità Intellettiva
unitamente alla definizione di aggiornati criteri diagnostici e alla descrizione dettagliata
delle difficoltà esperite dalla persona nei diversi domini di sviluppo.
Attraverso l’uso di test psicometrici e la rilevazione del quoziente intellettivo, infatti, le
categorie di «insufficiente mentale», «ritardato mentale», «handicappato psichico»,
«disabile mentale» spostando il focus sul ritardo, sulla situazione di svantaggio
evolutivo, sulle diversità innate, si introduce, comunque, la possibilità di intervenire dal
punto di vista educativo per il recupero di abilità e autonomie minime.
28
26
Cfr. A. Mura, I. Tatulli, F. Agrillo, Disabilità intellettiva e orientamento formativo. Un’indagine
esplorativa sui dati dell’integrazione in L’integrazione scolastica e sociale, Edizioni Centro Studi
Erickson, 2021.
27
D. Viola, La disabilità intellettiva: Aspetti clinici, riabilitativi, sociali, Edizioni Ferrari Sinibaldi,
Milano, 2015, p.17.
28
A. Mura, Disabilità intellettiva: tra integrazione dei saperi e riunificazione della persona, n. 2, in
L’integrazione Scolastica e Sociale, Edizioni Centro Studi Erikson, 2004, pp.138-157.
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Tale prospettiva scientifica non ha però avuto, ancora una volta, una ricaduta
emancipatoria nella crescita socioculturale, poiché i nuovi lemmi si sono sostituiti ai
precedenti mantenendo una connotazione prevalentemente dispregiativa e riduttiva.
È solo nella seconda metà del Novecento che i mutamenti sociali e politici hanno
consentito la rielaborazione del costrutto di disabilità intellettiva interpretata come il
risultato di una complessa relazione tra condizioni di salute, fattori personali e
ambientali, abbattendo le logiche dell’esclusione in favore di processi inclusivi.
Prima del DSM-V la definizione ricorrente della disabilità intellettiva era ancora quella
di “Ritardo mentale” la cui diagnosi avveniva prevalentemente sulla base di punteggi
ottenuti in seguito a test per il Quoziente Intellettivo, unitamente a limitazioni
significative nel funzionamento intellettivo e nel comportamento adattivo con
manifestazione nelle abilità sociali, concettuali e pratiche e con insorgenza prima dei 18
anni di età.
29
Con il DSM-V si va oltre e, ponendo il Q.I. in secondo piano e dando maggiore peso
all’ambiente, i livelli di gravità vengono definiti in base al livello di supporto richiesto
all’ambiente, in funzione della quantità di supporto necessario al soggetto in base alla
compromissione delle sue capacità di adattamento.
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La dicitura “Ritardo Mentale”, utilizzata in senso dispregiativo, è stata infatti sostituita
nel DSM-V da “disabilità Intellettiva” o disturbo dello sviluppo intellettivo, con la
principale variazione, appunto, che per definire la diagnosi di Disabilità Intellettiva è
necessario fare riferimento alla Classificazione Internazionale del Funzionamento, della
Disabilità e della Salute (ICF) del 2001,
31
che descrive la disabilità come caratterizzata
da genesi in una condizione di salute (disturbo o malattia) che dà luogo a deficit nelle
funzioni e nelle strutture corporee, limiti nelle attività e restrizioni nella partecipazione
all’interno del contesto personale e ambientale.
L’importanza di questa maggiore comprensione e miglior definizione è che la disabilità
intellettiva non è più interamente considerata un tratto assoluto e invariato della
persona, ma la stessa è considerata in relazione all’ambiente, focalizzandosi sul ruolo
29
(http://www.crea-sansebastiano.org/IT/articolo.php?id=186&t=il-ritardo-mentale-nel-dsm-5-disabilita-
intellettiva-disturbo-dello-sviluppo-intellettivo-criteri-diagnostici-e-posizione
30
Cfr. S. Fontani, Il ruolo dei compagni nell’educazione speciale per allievi con Disabilità Intellettiva in
Italian Journal of Special Education for Inclusion, Pensa Multimedia Editore, 2018, p.194.
31
A. Mura, Disabilità intellettiva: tra integrazione dei saperi e riunificazione della persona, n. 2, in
L’integrazione Scolastica e Sociale, Edizioni Centro Studi Erikson, 2004, pp.138-157.
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che i supporti individualizzati possono giocare nel migliorare il funzionamento
individuale.
32
2.2 Criteri diagnostici nella Disabilità Intellettiva
Dal 2001 l'Organizzazione Mondiale della Sanità, sulla base dell’International
Classification of Functioning Disability and Health (ICF), definisce la disabilità
intellettiva come il risultato di una complessa relazione tra lo stato di salute di un
individuo e i fattori personali e sociali che rappresentano le circostanze di vita del
soggetto.
33
È doveroso sottolineare quanto definire le differenti sfumature della disabilità
intellettiva non sia cosa semplice, in quanto le persone con tale disabilità possono essere
molto diverse tra loro e, solo quando la disabilità è espressione di una particolare
condizione genetica, ad es. sindrome di Down o sindrome dell’X fragile, ci può essere
un aspetto fisico tipico.
Inoltre, vi sono centinaia di cause di Disabilità Intellettiva, tra le quali rientrano le
alterazioni precoci dello sviluppo embrionale, problemi durante la gravidanza o nel
periodo perinatale, condizioni mediche generali acquisite nell’infanzia o nella
fanciullezza, influenze ambientali, cause ereditarie, ed è in altresì necessario affermare
che questa forma di disabilità è spesso in comorbilità con altri disturbi.
A titolo esemplificativo si può considerare come alcune delle sindromi causa della
disabilità intellettiva siano, appunto, quella di Down, causata dalla presenza di un
cromosoma 21 in più, che si associa a disabilità intellettiva lieve o moderata; la
sindrome dell'X fragile o di Martin-Bell, causata da una mutazione del gene FMR1 sul
cromosoma X, che si associa a disabilità intellettiva da lieve a grave; La sindrome di
Cornelia de Lounge, caratterizzata da tratti somatici particolari, malformazioni maggiori
32
P. Gaspari, Formazione e inclusione: il dibattito sull'evoluzione del docente specializzato in Teorie e
pratiche dell’inclusione, n. 1, Centro Studi Erikson, Urbino, 2017.
33
WHO, International Classification of Functioning Disability and Health, World Health Organization,
Geneva, 2001.
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e ritardo nello sviluppo psicomotorio e cognitivo, associata alla disabilità intellettiva da
moderata a grave.
34
In generale, la disabilità intellettiva è una condizione clinica eterogenea, con esordio in
età evolutiva, caratterizzata da un deficit del funzionamento intellettivo (Q.I. di circa 70
o inferiore), da una ridotta capacità a far fronte alle richieste adattive del contesto
ambientale e sociale, nelle abilità di:
- Concettualizzazione, area del funzionamento adattivo che comprende diverse
abilità cognitive e pratiche come la capacità di utilizzare il linguaggio per
comunicare efficacemente, la capacità di leggere e scrivere, la comprensione del
concetto di denaro e la gestione dello stesso, e l’acquisizione di autonomie
personali come la cura di sé;
- Socializzazione – nella quale rientra la capacità di interagire efficacemente con
gli altri, di assumersi responsabilità, di sviluppare un’adeguata autostima e di
rispettare le leggi e le norme sociali.
- Capacità pratiche, ovvero le attività che si svolgono quotidianamente nella vita,
relative dunque all’igiene personale, uso dei farmaci, capacità di vestirsi, ecc.
Questi appena esposti sono i criteri diagnostici che, secondo il DSM-V devono essere
soddisfatti per poter parlare di Disabilità Intellettiva e, in considerazione di questi
criteri, si può affermare che tale disabilità non è una sindrome in sé, ma piuttosto un
“effetto” causato da una combinazione di processi patologici che interessano il Sistema
Nervoso Centrale.
Questi processi possono portare le persone affette da Disabilità Intellettiva ad avere
processi di apprendimento e socializzazione più lenti e, in alcuni casi, alla perdita delle
abilità acquisite.
35
La Disabilità Intellettiva, come definito dal DSM-V, può presentarsi in diversi livelli di
gravità.
A tal proposito è necessario specificare che una persona a cui viene diagnosticata una
Disabilità Intellettiva di grado – ad esempio – lieve potrebbe nel tempo evolvere verso
34
(http://www.anffas.net/it/disabilita-intellettive-e-disturbi-dello-spettro-autistico/le-principali-cause/
disabilita-intellettive/
35
D. Viola, La disabilità intellettiva: Aspetti clinici, riabilitativi, sociali, Edizioni Ferrari Sinibaldi,
Milano, 2015.