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Dante e la Musica 
  
 <<Ancora la Musica trae a sé li spiriti umani, che quasi sono principalmente vapori 
del cuore, sì che quasi cessano da ogni operazione: sì e l'anima intera, quando l'ode, 
e la virtù di tutti quasi corre allo spirito sensibile che riceve lo suono>>. [6]  
  
 
Il più antico ritratto di Dante, di pittore ignoto, affrescato a Firenze nel Palazzo dell'Arte dei Giudici e 
Notai. Il Poeta regge nella mano sinistra un libro spalancato al cui interno è ben visibile uno spartito 
musicale. 
  
  
 
                                                           
[6] D. Alighieri, Convivio, II – XIV
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L’eco della passione di Dante per la musica emerge con chiarezza da questo 
frammento di una delle sue maggiori opere, il Convivio. Del rapporto tra il Poeta 
fiorentino e la musica si è scritto molto, in tempi diversi, sia per quanto riguarda la 
presenza della materia all’interno delle sue opere, sia per la sua cultura musicale vera 
e propria.  
Se il già citato Convivio e l’altrettanto celeberrimo De Vulgari Eloquentia sono da 
considerarsi le due Opere in cui Dante mette in mostra in maniera particolare le sue 
conoscenze di Musico [7], basate non solo su semplici ripetizioni di concetti 
scolastici radicati, ma soprattutto sulla sua profonda erudizione, è il Poema Divino la 
somma manifestazione della considerazione dantesca della musica. Le Cantiche, i 
canti, i versi della Commedia sembrano dare vita ad un’armonia, substrato 
dell’animo del Poeta, che viene trasferito egregiamente ai suoi componimenti. I suoni 
e la musica diventano espedienti per impreziosire e sublimare i suoi versi e rivestono 
un ruolo primario nella Commedia perché compaiono sotto forma di combinazioni di 
sillabe e accenti, cambiamenti di intonazione, combinazione di fenomeni luminosi e 
fenomeni sonori ed effetti di armonia imitativa. Ogni elemento dell’Opera prende 
parte ad un disegno armonico ben preciso e curato nei minimi dettagli dalla mente 
del Poeta, in cui ciò è tutt’altro che prestabilito, quanto piuttosto spontaneo e 
connaturato. 
Esaminando il rapporto fra Dante e la materia musicale, e i motivi che fanno di 
quest’ultima uno dei punti cardine della sua formazione, non si può non partire dagli 
autori che nei loro scritti hanno affrontato questo tema: 
Il Boccaccio, insigne curatore di un’edizione manoscritta della Commedia, al cui 
titolo ha apposto l’aggettivo “Divina”, è stato il primo a fornirci notizie relative alla 
conoscenze musicali di Dante, esprimendosi in questi termini: <<Sommamente si 
dilettò in suoni e canti nella sua giovinezza e a ciascuno che a quei tempi era ottimo 
cantatore e sonatore fu amico ed ebbe sua usanza; ed assai cose da questo tirato 
compose le quali di piacevole e maestrevole nota a questi cotali facea rivestire>> 
                                                           
[7] Il Musico era colui che possedeva una profondo conoscenza della musica teorica, cioè l’arte 
inclusa nel Quadrivio, detta più semplicemente Musica. La Musica, come arte del Quadrivio, era l’arte 
che studiava i suoni nelle loro relazioni, cercandone le leggi razionalmente. Essa si distingueva dal 
Canto, che ne rappresentava il lato pratico. Il Musico era quindi il teorico, mentre il Cantore o 
Sonatore era colui che si dedicava alla musica pratica.
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[8]. Si evince dalle parole dell’autore del Decamerone come Dante sia stato non solo 
profondo conoscitore della musica in termini teorici, ma con molta probabilità anche 
devoto in giovinezza alla pratica, stringendo legami più o meno profondi con musici 
e sonatori del tempo.  
Lo studio più completo del rapporto tra Dante e la musica si deve forse a Nicola 
Zingarelli, che ha descritto quella che fu la Firenze musicale dell’epoca e gli studi 
che abitualmente ivi si impartivano, accettando perfino le più curiose supposizioni 
sulla figura del Sommo (purché logiche), anche se difficilmente provabili [9].  
Altri studiosi hanno trattato l’argomento: tra essi ricordiamo Cesare Balbo, la cui 
posizione è da considerarsi antitetica rispetto allo Zingarelli, soprattutto per quanto 
riguarda l’ordinamento degli studi nel Medioevo [10]; Luigi Papini, più vicino 
all’idea del Boccaccio e molto attento alla distinzione tra musica teorica e musica 
pratica [11]; J. Wolf, il quale non dubita affatto che le canzoni di Dante e Cavalcanti 
precedenti al 1301 fossero cantate e conosciute da tutti in quell’epoca, anzi, afferma 
che il Poeta stesso <<dette probabilmente modi musicali ad una serie di suoi 
componimenti poetici>> ma, anche nel suo caso, il quadro che ci viene descritto non 
è del tutto documentabile [12].  
Tutte posizioni, quelle sopra descritte che, pur non dando troppo risalto ad 
affermazioni non documentabili, poggiano comunque su basi fragili, anche perché 
nessuno tra questi ha cercato di risolvere in maniera esaustiva i dubbi riguardo alla 
musica che circolava e si ascoltava nella Firenze del XIV secolo. E’ per questo che, a 
causa di inesattezze e forzature, si è finito per sfalsare la figura di Dante, che è stato 
essenzialmente Poeta e musicista quanto la cultura del tempo richiedeva.  
Per meglio comprendere la questione, è, dunque, opportuno partire da studi 
autorevoli sulla musica al tempo dell’autore della Commedia. In particolare è degno 
                                                           
[8] G. BOCCACCIO, Della origine, vita, costumi e studii di D.A. di Firenze e delle opere composte 
da lui, in <<Le Vite di Dante>> con intr. E note di G.L. Passerini, Firenze, Sansoni 1917, pp. 9-71. 
[9] N. ZINGARELLI, La vita, i tempi e le opere di Dante, Milano, Vallardi, 1931. 
[10] C. BALBO, Vita di Dante, Firenze, 1853, pp. 61-62. 
[11] L. PAPINI, Dante e la Musica, in <<Giornale Dantesco>>, III, Venezia, 1896. 
[12] J. WOLF, Firenze musicale nel ‘300, riportato in: A. DELLA CORTE, Antologia della Storia 
della Musica, vol. I, Torino, Paravia 1929, pp. 101-102.
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di citazione il fenomeno dell’Ars Nova fiorentina [13], corrente artistica che si fonda 
su temi liberamente scelti, sul canto alternato ad una o più voci, e che, accostandosi 
alla musica popolare, assume andamenti liberi e sciolti, carattere mondano e forme 
snelle e vivaci. 
Va, tuttavia, considerato che l’Ars Nova, secondo periodo della scuola polifonica 
occidentale, trae origine e ispirazione da una tradizione musicale differente rispetto a 
quella del Dolce Stil Novo [14], la cui espressione musicale è la monodia, ovvero un 
canto ad una sola voce (eseguito da una o più persone) con o senza 
accompagnamento, con particolare riferimento al monologo lirico dell'antico 
dramma greco. I precursori della musica che riveste la poesia stilnovistica vanno 
ricercati nella lirica occitanica e tra i maestri provenzali: Folchetto di Marsiglia, Gace 
Brulè, Albertet de Sisteron, Bernard de Ventadorn, Arnaldo Daniello, Giraut de 
Borneil, Adam de la Halle. 
A quest’ultimi e al loro mondo artistico-musicale Dante si avvicina, così come 
emerge dalle recenti rielaborazioni di Federico Ghisi, grazie alle quali è stato 
possibile ricreare la musica al tempo del Sommo Poeta [15]. È una forma musicale 
monodica, con funzione di accompagnamento ancora limitata a pochi elementi, 
quella dell’epoca dantesca. I canti di Casella, così come probabilmente anche quelli 
di Lia, Matelda, Sirena e Daniello [16] dovrebbero tutti appartenere alla natura 
musicale poc’anzi citata. 
Musica e parola rivestono, dunque, il medesimo ruolo principale negli scritti dello 
Stil Novo e di Dante. Al di là di quello che è stato affermato da critici come il 
Battaglia <<il trovatore si sentiva piuttosto poeta che musicista>> [17] e che forse 
                                                           
[13] Nella storia della musica, l’Ars Nova è quel periodo convenzionale della musica medievale 
trecentesca caratterizzato da un sistema di notazione ritmico-musicale nuovo rispetto a quello dei 
secoli precedenti (detto Ars Antiqua). WIKIPEDIA 
[14] “Il Dolce Stil Novo è un insieme di esperienze diverse e tuttavia convergenti, che mettono capo 
ad una nuova poesia d’amore di grande coerenza linguistica e di fortissima ambizione intellettuale, 
che taglia i legami con il confuso sperimentalismo della lirica cortese municipale. Il borghese 
Guinizzelli è il <<padre>> di questa nuova poesia, che trova però la sua definizione più articolata a 
Firenze, soprattutto negli anni Ottanta del XIII secolo, per opera di Cavalcanti, Dante (che così la 
definisce nella Commedia) e pochi altri loro amici”. G. FERRONI, Storia e testi della letteratura 
italiana, Mondadori Università. 
[15] F. GHISI, Dante e la Musica del suo tempo, ciclo di trasmissioni curate dallo stesso Ghisi per il 
3°programma della RAI (16-17-18 Novembre 1965). 
[16] Divina Commedia, Purg. II; Par. III; Purg. XXVII, XXVIII, XXIX, XXXI, XXXII, XXXIII, XIX, 
XXVI. 
[17] S. BATTAGLIA, Canzoni di Joufre Rudel e Bernardo di Ventadorm, Napoli 1948.
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si evince da affermazioni di Dante stesso, si può senza dubbio affermare che non 
vige la superiorità della parola rispetto alla musica, ma le due componenti viaggino 
sulla stessa lunghezza d’onda e non possano prescindere l’una dall’altra: <<Et ideo 
cantio nil aliud esse videtur quam actio completa dictantis verbu mudulationi 
armonizzata>> [18]. 
Un altro aspetto che deve necessariamente essere considerato e approfondito, per il 
contesto storico a cui si sta facendo riferimento, è il campo religioso. Nel clima 
medievale in cui Dante è immerso ogni elemento possiede un forte legame con la 
religiosità. In quest’ottica si inserisce anche la musica. La Divina Commedia gode, 
senza alcun dubbio, di illustri manifestazioni della musica religiosa dell’epoca 
trecentesca. In particolare Dante la inserisce nelle ultime due Cantiche, in contesti 
rigorosamente adeguati. Quando si pensa alla musica religiosa medievale si fa 
prettamente riferimento al Canto Gregoriano [19], che occupa di diritto il primo 
posto nella Commedia. Questo è perfettamente comprensibile, infatti, i brani citati 
dovevano essere ben noti al Poeta come a tutti. Più significativo è, invece, come essi 
vengano messi in relazione e come contribuiscano allo svolgersi della vicenda, 
principalmente nel Purgatorio. A questo proposito, come fa notare ancora il Ghisi: 
<<è interessante osservare il modo in cui Dante rimanga fedele alla liturgia latina, 
mentre sembra ignorare altre forme di religiosità musicale del tempo, quali le 
laudi>> [20].  
La serie di canti in forma gregoriana è aperta dal salmo CXIII, In exitu Israel de 
Aegypto [21], con evidente allusione all’uscita dell’anima dal peccato, per poi 
continuare, poco dopo, con il Miserere nel Canto V e, procendendo, tutti i successivi 
versi sono impregnati di questo tipo di musica corale. Per quanto concerne i canti 
unisoni e monodici appare ricchissimo il patrimonio musicale nell’opera, mentre 
sembrano meno evidenti i riferimenti alla polifonia, la quale, però, già durante 
l’epoca di Dante, doveva essersi diffusa, stando a quanto ci testimoniano i riferimenti 
storici all’Ars Antiqua.  
                                                           
[18] De Vulgari Eloquentia, II (VIII, 6). 
[19] “Il Canto Gregoriano è un genere musicale vocale, monodico e liturgico. Venne elaborato in 
Occidente a partire dall’VIII secolo dall’incontro del canto romano antico con il canto gallicano nel 
contesto della Rinascita Carolingia. E’ cantato ancora oggi non solo in ambito liturgico, e viene 
riconosciuto dalla Chiesa cattolica come “canto proprio della liturgia romana”. WIKIPEDIA. 
[20] Cfr. F. GHISI, op. cit. 
[21] Purg, II, 46.