1. Demografia ed economia della Lombardia negli anni ’50 e ’60 e
finanza locale Lombardia/Italia negli anni ‘50
La Lombardia occupa una superficie di 23.803 kmq, ovvero all’incirca l’8% del totale del territorio
nazionale ed è stata divisa in circoscrizioni amministrative di 9 province e 1.536 comuni.
Le particolari caratteristiche del territorio, ovvero un’elevata percentuale di superficie destinata a
risorse forestali e agrarie, hanno portato una considerevole concentrazione di popolazione sul suolo
regionale, soprattutto nella parte centro-meridionale. Questa differenza tra centro-sud e nord dovuta
all’estensione verso nord di zone collinari e della fascia montana. I fattori che hanno portato una
forte concentrazione di popolazione sussistono ancora e questo ci viene suggerito da un livello dei
movimenti sociali molto più elevato di quello nazionale.
La popolazione della Lombardia a partire dal 1951 fino ad arrivare al 1961 ha avuto un aumento del
12.55% mentre la popolazione nazionale si è incrementata solo del 6.2%.
L’incremento demografico però, non si è distribuito uniformemente sul territorio regionale, ma si è
focalizzato principalmente nei centri di più antica urbanizzazione, con la creazione di nuovi centri
residenziali, perlopiù considerabili come satelliti delle grandi città ma con maggiore possibilità di
ampliamento e sviluppo. Al contrario alcune zone presentano una popolazione stazionaria e per
altre ancora si può addirittura parlare di spopolamento.
Il tasso di incremento demografico dei capoluoghi e dei comuni con più di 15.000 abitanti è stato
superiore al tasso medio regionale. Particolare attenzione per il tasso di incremento dei comuni
contermini ai Milano, Bergamo, Como e Varese. Queste province, fatta eccezione per Bergamo,
hanno assorbito il 97% dell’incremento demografico regionale e in esse abbiamo la stabilizzazione
dell’80% circa degli immigrati in Lombardia dalle altre regioni.
I maggiori tassi di incremento totale e sociale (25.7% e 21%) della popolazione, registrai nel
periodo sopra citato, si hanno nella provincia di Milano, considerata la meta principale degli
immigrati da altre regioni e dei movimenti migratori interni.
Varese ha avuto un incremento di popolazione elevato e diffuso tra il 1951 e il 1961, visto che solo
in due comuni su 122 la popolazione risulta diminuita.
Como ha avuto un incremento percentuale del 16.5% mentre nei restanti comuni il valor medio si
aggira attorno al 10%.
Una provincia che presenta un saldo negativo dei movimenti migratori è Bergamo; questa tendenza
subisce una riduzione entro limiti più ristretti dall’anno 1960. Tuttavia la popolazione della
provincia ha registrato un aumento del 7% dovuto all’alto tasso di natalità.
In aumento demografico per cause naturali, nonostante un saldo negativo dei movimenti migratori,
è anche in complesso la provincia di Sondrio, mentre i comuni del fondovalle e il comune
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capoluogo sono stati interessati da immigrazione grazie allo sviluppo di una forte
industrializzazione.
Anche la provincia di Brescia è zona di emigrazione giacché il saldo dei movimenti migratori indica
una perdita annuale netta di popolazione, dal 1951 al ’59, di 8 abitanti per 1000 residenti, con un
tasso di decremento sociale sensibilmente superiore a quello registrato nella provincia di Bergamo.
Discorso a parte va fatto per la provincia di Pavia, che può essere considerata demograficamente
stazionaria, avendo solo l’1.7% di incremento demografico nel decennio 1951-1961, con un leggero
saldo attivo dei movimenti migratori, pari al 3% per l’intero decennio. I movimenti emigratori
hanno ridotto sensibilmente la popolazione dei comuni agricoli e montani per favorire uno
spostamento verso comuni ad industrializzazione in rapido sviluppo. In particolare di questo
movimento ha beneficiato il centro industriale di Vigevano, la cui popolazione ha avuto un
incremento del 24.2% tra il 1951 e il 1960, superiore perfino allo stesso incremento del comune
capoluogo che è stato del 17.4% nello stesso periodo.
Le due province di Cremona e Mantova hanno avuto, tra il 1951 e il 1961, rispettivamente l’82% e
il 14.4% di incremento di popolazione.
Descritta la Lombardia demograficamente, ora si può passare ad una panoramica sulla situazione
finanziaria della regione e sulla partecipazione della stessa alla formazione del reddito nazionale.
La partecipazione sopraccitata alla formazione del reddito può essere sinteticamente espressa dalla
percentuale del reddito prodotto dalla regione rispetto al totale del paese, che per il decennio preso
in analisi è del 21%. Nel corso del periodo considerato il reddito ha gradualmente cambiato la
propria composizione fino ad arrivare nel 1961 ad essere composto per l’80% da reddito prodotto
dal settore secondario e terziario, mentre nell’intero paese si trattava del 60%. L’agricoltura
concorreva alla formazione del reddito complessivo per l’8% in Lombardia, e per più del 17% nel
complesso del paese.
La rilevanza nella produzione del reddito dei vari settori varia da provincia a provincia, cosa che
implica un diverso apporto alla produzione del reddito regionale dei diversi comuni. Il reddito
prodotto nella provincia di Milano costituisce ad esempio annualmente più della metà del reddito
regionale, con tasso di incremento annuo superiore a quello medio, accrescendo costantemente il
divario di reddito prodotto in ognuna delle altre 8 province.
Per un’analisi più approfondita dei settori, partendo dall’agricoltura, si può dire che il grado di
“vocazione agricola” del suolo della Lombardia, misurato attraverso una serie di fattori climatici,
fisici, morfologici, ecc., risulta elevatissimo per le zone altimetriche di pianura irrigua caratterizzate
da un’agricoltura altamente meccanizzata e fiorente, fino a decrescere gradualmente passando dalla
zona di pianura asciutta, di collina e di montagna.
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Particolare interesse per la zona di nord ovest e per l’oltrepò per il basso livello tecnico, l’estremo
frazionamento fondiario, e una natura meno felice del suolo che rendono spesso antieconomiche la
maggior parte delle aziende agrarie. Questi fattori possono essere considerati tra le maggiori cause
dei flussi migratori che si riversano nei centri più ricchi di fondovalle o sulla cintura industriale di
Milano-Como-Varese.Altra causa dello spopolamento delle zone collinari e montane è la diffusa
meccanizzazione dell’agricoltura e lo sviluppo intensivo dell’industria e delle attività del settore
terziario che hanno agito sull’occupazione agricola riducendola e ridimensionandola.
La portata della diminuzione dell’occupazione agricola nel decennio considerato si manifesta sia
come diminuzione delle forze impiegate, che è stata all’incirca del 27%, sia come riduzione delle
giornate lavorative effettuate da ogni occupato, che sono passate da 201 giornate lavorative a 185.
Questa diminuzione ha interessato quasi tutti i comuni, fatta eccezione per le province di Como,
Sondrio e Varese. Nella provincia di Bergamo invece si è avuto un aumento medio delle giornate
lavorative effettuate all’anno dagli occupati del settore.
Due sono le caratteristiche che la serie storica dei dati del reddito prodotto dall’agricoltura lombarda
nel decennio considerato sono una lieve tendenza all’aumento dei valori assoluti in lire correnti e
una marcata riduzione della partecipazione del settore agricoltura e foreste alla formazione del
reddito regionale complessivo (dal 15.1% nel 1951 all’8.6%).
Si passa ora alla descrizione più particolareggiata dell’industria e del settore terziario. L’apporto
della regione Lombardia alla formazione del reddito nazionale prodotto dall’industria e dal settore
terziario è rappresentato da una percentuale variabile dal 23% nel 1956 al 27-28% rispettivamente
negli anni precedenti e successivi a tale data.
Nel 1951 il 29.6% degli addetti all’industria e il 17.6% degli addetti al terziario di tutto il paese
erano occupati in unità lavorative lombarde, mentre nel 1961, tali valori percentuali salgono
rispettivamente al 30.3% e al 18.3%.
Grazie all’analisi fin qui effettuata, risulta in modo evidente che il grado di concentrazione
dell’occupazione sul territorio lombardo raggiunge valori nettamente più elevati nelle attività
secondarie. Il rapporto tra occupazione e industria in Lombardia è sensibilmente superiore allo
stesso rapporto su scala nazionale. Mentre in Italia questo rapporto risulta essere una percentuale
del 60.5%, in Lombardia coincide con il 71.8%. I rami in cui il grado di concentrazione
dell’occupazione raggiunge valori maggiori sono quelli dell’industria manifatturiera, della gomma
elastica, tessile, metallurgico, meccanico e chimico. Tra queste l’attività industriale tipica è quella
manifatturiera che assorbe ben l’84% degli addetti soprattutto nelle province più industrializzate.
Nelle province tipicamente agricole, come Cremona e Mantova, rivestono una particolare
importanza le attività industriali connesse con l’agricoltura.
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