2
Anche quando si rinviene, come nei Trattati CECA
2
 ed EURATOM
3
 e nella 
giurisprudenza della Corte di giustizia
4
, una definizione di impresa, si tratta di 
nozioni incomplete, finalizzate ad uno specifico settore e pertanto inidonee a 
rappresentare il modello di una categoria generale. 
 
L’unico elemento tenuto in considerazione è di natura economica piuttosto che 
giuridica e consiste nel compimento di un atto o di un insieme di atti che incidano sul 
settore del mercato comune di volta in volta preso in considerazione dalle singole 
disposizioni del trattato. 
A seconda dei casi, tali atti possono essere compiuti da un’entità, nazionale o 
sovranazionale, composta da uno o più soggetti quali ad esempio persone fisiche o 
organismi associativi, pubblici o privati, dotati di capacità di vario grado (una società 
civile o commerciale, di persone o di capitali, un gruppo di interesse economico, una 
                                          
2
 La Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, istituita con il Trattato di Parigi del 18 aprile 1951, in 
vigore dal 25 luglio 1952, ha l’obiettivo di instaurare un mercato comune del carbone e dell’acciaio, nonché 
di attuare una politica economica e sociale comune nei medesimi settori e di creare istituzioni comuni 
destinate a perseguire gli scopi del Trattato ed a garantire l’osservanza degli obblighi derivanti agli Stati 
membri. In base all’articolo 80 (Titolo IV. Disposizioni generali) per imprese si intendono gli enti che 
esercitano un’attività di produzione nel campo del carbone e dell’acciaio all’interno dei territori indicati 
nell’art. 79, primo capoverso, CECA.  
3
 Il Trattato EURATOM, firmato a Roma il 25 marzo 1957 ed entrato in vigore il giorno stesso, dispone che, 
ai fini dell’applicazione del Trattato e salvo contrarie disposizioni dello stesso, il termine impresa stia a 
designare ogni impresa o istituzione che svolga interamente o in parte le sue attività nel campo definito dal 
presente Trattato, quale che sia il suo statuto giuridico, pubblico o privato (articolo 196 CEEA, Titolo V. 
Disposizioni generali). Se ne desume che le attività rilevanti per il Trattato in questione possono essere svolte 
da singoli individui (persone) o da altre entità, per lo più di natura associativa, pubbliche o private (imprese). 
4
 Corte giust. CE 13 luglio 1962, cause riunite 17 e 20/1961, Klockner Werke AG v. Hoesch AG, in Racc. 
1962, p. 595 ss. Al riguardo la Corte di Giustizia ha affermato che l’impresa consiste in un complesso 
unitario di elementi personali, materiali ed immateriali, facente capo ad un unico soggetto giuridico 
autonomo e diretto in modo durevole al perseguimento di un determinato scopo economico. Dal momento 
che la creazione in campo economico di un nuovo soggetto giuridico implica il sorgere di un’impresa 
autonoma, il concetto di impresa del Trattato si identifica con quello di persona giuridica. 
 3
fondazione o un’associazione riconosciute o non)
5
. 
Nell’ordinamento comunitario, la nozione di impresa appare pertanto relativa, con 
una varietà di significati più ampi di quelli prevalenti nei diversi ordinamenti, spesso 
ancorate al tipo di attività svolto dall’impresa. 
Il Trattato istitutivo della CE fa espresso riferimento all’impresa in numerose 
disposizioni, ma in questa sede vale la pena di soffermarsi ad analizzare l’art. 48 CE 
(già art. 58.2 CE). 
Tale norma equipara le società costituite conformemente alla legislazione di uno 
Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di 
attività principale all’interno della Comunità alle persone fisiche aventi la 
cittadinanza negli Stati membri. 
Al secondo comma la medesima norma precisa poi che per società si intendono 
quelle di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative e 
le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione di 
quelle che non si prefiggono scopi di lucro, giungendo in tal modo a ricomprendere il 
concetto di società nel genus di impresa, un concetto più ampio che attiene anche a 
forme organizzative diverse. 
Passando ora all’analisi della tipologia societaria che più ci interessa, ovvero la 
società commerciale, notiamo che in tutti gli ordinamenti, e in quelli di common law 
                                          
5
 Anche la questione della titolarità dell’impresa e dei problemi connessi viene rimessa al diritto nazionale 
degli Stati membri, come si evince dall’analisi della direttiva del Consiglio n. 93/37/CEE del 14 giugno 1993 
che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici (in GUCE L 199 del 9 agosto 
1993).  
 4
in particolare, emerge una contrapposizione tra società organizzate su base personale 
e società organizzate su base capitalistica. 
Le prime sono generalmente caratterizzate dalla responsabilità illimitata e solidale dei 
soci per le obbligazioni sociali e dal fatto che il potere di amministrare sia insito nella 
qualità di socio, il che vuol dire che non è possibile trasferire tale qualità senza che 
gli altri soci vi acconsentano
6
. 
Le società organizzate su basi capitalistiche presentano caratteristiche opposte, in 
quanto per esse vige, anzitutto, il principio della responsabilità limitata, secondo il 
quale i soci rispondono delle obbligazioni sociali solamente nei limiti del loro 
conferimento; inoltre le funzioni amministrative non sono direttamente correlate allo 
status di socio. 
Quest’ultimo ha, infatti, unicamente il diritto di concorrere alla nomina degli 
amministratori e al controllo del loro operato attraverso il proprio voto in assemblea; 
lo status di socio può, inoltre, essere ceduto ad altri per mezzo della cessione delle 
quote di partecipazione al capitale, fatti salvi i limiti posti nello statuto. 
Nell’ambito delle società di capitali si assiste, nella quasi totalità dei casi, ad una 
duplicità di organizzazione, in considerazione del riemergere di elementi 
personalistici ovvero, più di recente, del fatto che la società faccia o meno appello al 
pubblico risparmio. 
                                          
6
 Rientrano nell’ambito delle società personali le società in nome collettivo e le società in accomandita. 
 5
Tra le società di capitali, accanto alla società per azioni
7
 trova posto  anche la società 
a responsabilità limitata, la quale si differenzia dalla precedente per le minori 
formalità nella costituzione, per i limiti di capitale inferiori, per il divieto di appello al 
pubblico risparmio, per le minori formalità pubblicitarie
8
. 
Da ciò è nata l’esigenza di disciplinare il tipo di organizzazione e di controllo delle 
società di capitali non tanto in base alla forma giuridica, quanto in relazione alla 
realtà economica dell’impresa, e cioè alle dimensioni e alla distribuzione delle 
azioni
9
. 
 
                                          
7
 La società per azioni è il prototipo delle società di capitali. Essa tuttavia rappresenta nei diversi paesi realtà 
notevolmente diverse: in alcuni paesi - Germania, Svezia, Irlanda, Regno Unito e Stati Uniti - essa è 
utilizzata dalle società quotate di grandi dimensioni che fanno appello al pubblico risparmio, in 
Lussemburgo, Danimarca, Italia, Francia, Spagna, anche a causa di motivi di carattere sociale, fiscale, 
culturale, la maggior parte delle società per azioni non è quotata e a volte è utilizzata per fini estranei alle 
regole del diritto societario. 
8
 L’ordinamento inglese e irlandese prevedono, analogamente, le public companies limited by shares (p.l.c.) 
e le private companies e tale classificazione è riscontrabile anche in Olanda, Svezia e Finlandia. 
9
 Ci si riferisce, cioè, alla distinzione tra società per azioni aperte, quotate o con un azionariato diffuso, 
generalmente di grandi dimensioni, società per azioni chiuse di grandi dimensioni e società per azioni chiuse 
di piccole dimensioni. 
 6
2. Le fonti del diritto societario 
 
Al fine di assicurare alle società la stessa libertà di circolazione garantita dal Trattato 
di Roma alle persone fisiche e ai capitali
10
 e al fine dell’applicazione delle 
disposizioni del capo 2 (libertà di stabilimento) e del capo 3 (libera prestazione di 
servizi), il legislatore comunitario ha equiparato le società alle persone fisiche, aventi 
la cittadinanza degli Stati membri
11
. 
Per quanto riguarda il fondamento giuridico della Società europea si è assistito ad una 
continua evoluzione nell’arco degli anni. 
I primi studi sull’argomento, datati 1960
12
, sottolineavano l’importanza degli articoli 
3
13
 e 37
14
 (già art. 43) del Trattato di Roma, e il richiamo ivi presente alla libertà di 
stabilimento delle persone e dei capitali. 
Lo stesso dicasi per l’art. 3, lett.h del Trattato, secondo cui l’azione della Comunità 
comporta il ravvicinamento delle legislazioni nella misura necessaria al 
funzionamento del mercato comune. 
La società è vista come una delle forme organizzative di tipo associativo disponibili 
per un’impresa
15
. 
                                          
10
 Art. 39 CE (già art. 48) sulla libera circolazione dei lavoratori, art. 49 CE (già art. 59) sulla libera 
circolazione dei servizi, art. 56 CE (già art. 73B) sulla libera circolazione dei capitali e dei pagamenti. Gli 
articoli in questione verranno analizzati più approfonditamente nel prosieguo del paragrafo.    
11
 Il Trattato di Roma intitola al diritto di stabilimento gli articoli 43- 48 CE (già art. 52-58), dai quali emerge 
che la società viene equiparata ai cittadini dei Paesi membri ai fini dell’esercizio della libertà di stabilimento 
e di una libertà di prestazione e di servizi. 
12
 BENEDUCE A., Per una disciplina europea delle Società per azioni, in Riv.  diritto commerciale, 1962, p. 
186 ss. 
13
 Ai sensi dell’art. 3, lett. c, ai fini enunciati dall’art. 2, l’azione della Comunità importa, alle condizioni e 
secondo il ritmo previsto dal presente trattato, l’eliminazione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera 
circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. 
14
 L’art. 37 CE concerne la politica agricola comune. 
15
 MARZIALE G., in AA.VV. Verso un diritto europeo delle società, Milano, 1991, p. 328. 
 7
Essa viene contemplata anche dal Trattato CE, laddove si afferma che le imprese 
possono assumere la forma di società
16
. 
L’articolo 43 CE, già art. 52, stabilisce espressamente lo stretto legame tra impresa e 
società, affermando che la libertà di stabilimento importa la costituzione e la gestione 
di imprese e in particolare di società ai sensi dell’art. 48, comma secondo, (già art. 
58) alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti 
dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali. 
La fonte principale del diritto comunitario delle società è quindi rappresentata dal 
Trattato CE e da numerose disposizioni che, più o meno direttamente, hanno 
promosso l’emanazione di direttive, regolamenti e convenzioni in materia, fornito la 
definizione di società
17
 e riconosciuto il diritto di stabilimento per le stesse. 
In tale direzione si collocano le iniziative volte ad armonizzare la normativa interna 
dei singoli Stati membri nel settore delle società, dei mercati mobiliari, delle 
assicurazioni e delle banche, fondate sull’articolo 44, comma secondo, lett. g, CE (già 
art. 54, comma terzo, lett. g), in base al quale la Commissione ed il Consiglio operano 
anche coordinando, nella misura necessaria ed al fine di renderle equivalenti, le 
garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società per proteggere gli 
interessi tanto dei soci, come dei terzi, a mente dell’articolo 48 CE, secondo comma 
(già art. 58). 
                                          
16
 L’art. 43 CE (già art. 52) fa riferimento alle società definite dall’art. 48, comma secondo, del Trattato CE 
(già art. 58). 
17
 Il già citato art. 48 CE e l’art. 2 della Convenzione di Bruxelles del 23 febbraio 1968 sul reciproco 
riconoscimento delle società e persone giuridiche (vd.infra). 
 8
Secondo tale articolo per società si intendono le società di diritto civile o di diritto 
commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre persone giuridiche 
contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società che non si 
prefiggono scopi di lucro. 
Momento primario e qualificante è dunque il costituirsi della società secondo le leggi 
di uno Stato, momento complementare è l’avere la sede sociale in uno qualsiasi degli 
Stati della Comunità. 
L’articolo 48 del Trattato fissa, quindi, le condizioni al verificarsi delle quali le 
società sono equiparate alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri 
e, in quanto tali, sono beneficiarie delle disposizioni relative al diritto di stabilimento 
e alla libera prestazione di servizi, ovvero la costituzione delle stesse in conformità 
alla legislazione di uno Stato membro e la presenza della sede sociale, 
dell’amministrazione centrale o del centro di attività all’interno della Comunità
18
. 
L’equiparazione tra società e persone fisiche-cittadini non può tuttavia essere 
completa, come è stato affermato nella sentenza Daily Mail
19
. 
La definizione di società contenuta nell’art. 48 CE è stata chiarita ed integrata alla 
luce dell’articolo 2 della Convenzione di Bruxelles del 29 febbraio 1968
20
 sul 
                                          
18
 Per evitare qualsiasi discriminazione il Trattato CE ha quindi adottato il principio dell’incorporazione, 
derivato dall’ordinamento inglese ed olandese, integrato dall’altro requisito, quello della sede sociale 
all’interno della Comunità, adottato come criterio di collegamento di una società ad un ordinamento dalla 
maggior parte dei Paesi europei. 
19
 Corte giust. CE, 27 settembre 1988, causa 81/87, The Queen v. HM Trasury and Commissioners of Inland 
Revenue ex parte Daily Mail and General Trust plc, in Racc., 1988, p. 5483. In tale circostanza la Corte ha 
infatti escluso l’applicazione alle società della direttiva n. 73/148 sulla soppressione delle restrizioni al 
trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della CE. 
20
 Convenzione che l’Italia ha ratificato e reso esecutiva, unitamente al relativo Protocollo, con l. 28 gennaio 
1971, n. 220, Ratifica ed esecuzione della Convenzione sul reciproco riconoscimento delle società e persone 
giuridiche, con Protocollo, firmata a Bruxelles il 29 febbraio 1968, in G.U. 113 del 6 maggio 1971. 
 9
reciproco riconoscimento delle società e persone giuridiche, in forza del quale per 
società devono intendersi le persone giuridiche di diritto pubblico e privato che, a 
titolo principale o accessorio, hanno per oggetto l’esercizio di un’attività economica 
che normalmente si esplica dietro remunerazione o che, senza violare la legge in 
conformità della quale sono costituite, esercitano di fatto ed in modo continuo una 
tale attività. 
La faticosa elaborazione della Convenzione di Bruxelles, soprattutto alla luce della 
riserva di cui all’art. 4, che consente agli Stati contraenti di applicare le proprie 
norme alle società costituite in altri Stati contraenti, ma aventi la sede sul proprio 
territorio, spiega il rifiuto olandese di ratificare la convenzione
21
. 
Nonostante tale convenzione non sia stata appunto ratificata dai Paesi Bassi, ciò non 
impedisce che essa possa rivestire una qualche utilità in quanto oggetto e strumento 
di interpretazione del Trattato di Roma. 
La Corte di Giustizia ha ritenuto infatti che, anche se la Convenzione non è uno 
strumento tipicamente comunitario, la stessa deve essere interpretata con riguardo 
agli obiettivi e al sistema della Comunità, oltre che ai principi desumibili dal 
complesso degli ordinamenti giuridici nazionali
22
, dal momento che tutti gli atti 
preparatori della convenzione di Bruxelles richiamata si sono svolti sotto il controllo 
della Commissione.  
                                          
21
 E’ evidente che la riserva di cui all’art. 4 mette in gioco lo stesso principio del riconoscimento, facendolo 
dipendere dalla conformità della società costituita all’estero alle esigenze normative del Paese dove la società 
ha la sede sociale, capovolgendo in altri termini il contenuto dell’art. 48 CE. 
22
 Corte giust. CE, 14 ottobre 1976, causa 29/76, LTU Luftansportunternehmen GmbH & Co.KG. c. 
Eurocontrol, in Racc., p. 1541. 
 10
Per altra via, attraverso lo strumento tradizionale della convenzione tra Stati, 
l’articolo 293 CE (già art. 220)
23
, si propone di realizzare una disciplina uniforme dei 
riflessi internazionali della vita economica. Infine, l’ampia clausola contenuta 
nell’articolo 308 CE (già art. 235)
24
 ha consentito, in un primo tempo, ad elaborare un 
vero e proprio diritto commerciale europeo e ad introdurre istituti e normative nuove 
capaci di trascendere a quelle di ogni singolo Paese comunitario. 
L’incisività sulla materia in esame delle norme sul diritto di stabilimento e sulla 
libera prestazione di servizi risulta accresciuta da quando è stata abbandonata la 
precedente impostazione, relativa alla natura dell’art. 43 CE e ss. 
In base a tale interpretazione, le disposizioni di cui all’art. 43 CE e ss., erano ritenute 
norme meramente programmatiche
25
, e cioè norme prive di un carattere precettivo, 
incapaci di imporre obblighi se non attraverso specifiche direttive del Consiglio. 
Quanto al contenuto del diritto di stabilimento, esso consiste nella libertà, per una 
società, non solo di costituirsi ed operare secondo il diritto di uno degli Stati membri, 
ma anche di trasferirvi la sede legale o amministrativa e di aprire agenzie, succursali, 
filiali in uno Stato membro diverso da quello della società principale.  
Con un’innovativa sentenza la Corte ha giudicato contrario alla libertà di stabilimento 
di succursali di società il rifiuto della Direzione generale del commercio e delle 
                                          
23
 Ai sensi dell’art. 293 CE, già art. 220, gli Stati membri avvieranno fra loro, per quanto occorra, negoziati 
intesi a garantire, a favore dei loro cittadini; il reciproco riconoscimento delle società a mente dell’art.48, 
comma secondo, il mantenimento della personalità giuridica in caso di trasferimento della sede da un paese a 
un altro e la possibilità di fusione di società soggette a legislazioni nazionali diverse. 
24
 In forza dell’art.308 CE, quando un’azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel 
funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il Trattato abbia previsto i 
poteri di azione a tal uopo richiesti, il Consiglio deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e 
dopo aver consultato l’assemblea prende i provvedimenti del caso 
25
 Ad eccezione delle norme dell’art. 53 CE (ora abrogato), sul divieto di norme nazionali restrittive dello 
stabilimento. 
 11
società danese di registrare in Danimarca una succursale di una private limited 
company inglese (Centros)
26
. 
                                          
26
 L’autorità danese riteneva che la Centros, che dalla sua costituzione non aveva svolto alcuna attività e che 
aveva un capitale sociale minimo non versato neanche in minima parte, intendeva in realtà costituire in 
Danimarca una sede principale, eludendo le norme danesi sul capitale minimo delle società a responsabilità 
limitata. Al riguardo la Corte ha ritenuto che il fatto che un cittadino di uno Stato membro che desideri creare 
una società scelga di costituirla nello Stato membro le cui norme gli sembrino meno severe e crei succursali 
in altri Stati membri non può costituire di per sé un abuso del diritto di stabilimento. L’impressione iniziale 
circa il valore e la portata della decisione non solo è confermata da una più approfondita analisi, ma ne 
risulta addirittura rafforzata. La prima affermazione della Corte Europea concerne il riconoscimento 
dell’esistenza, direttamente al livello dell’ordinamento comunitario, di un diritto delle società comunitarie 
all’esercizio della libertà di stabilimento; le implicazioni che ne derivano sono molteplici. Innanzi tutto, il 
riferimento diretto alle società come soggetti beneficiari della libertà comunitaria chiarisce il significato della 
equiparazione con le persone fisiche disposta dall’art 48 CE ai fini dell’esercizio della libertà di stabilimento. 
Non sono rari, invero, i casi in cui interpretazioni restrittive della libertà di stabilimento delle società 
comunitarie siano state giustificate con l’osservazione che, anche a fronte di un divieto di trasferimento di 
sede, rimaneva comunque sempre possibile sciogliere la società esistente in uno Stato e ricostituirla in un 
altro. L’argomento, però, non è corretto proprio in quanto non tiene in considerazione che l’attribuzione della 
libertà di stabilimento è disposta dal diritto comunitario anche direttamente nei confronti delle società. La 
possibilità di sciogliere e ricostituire altrove una società è invece espressione della libertà dei suoi soci, non 
certamente di quella riconosciuta alla preesistente società, che venendo invece in tal modo sciolta, cessa di 
esistere e trova tutela comunitaria solo nella misura in cui i soci siano persone fisiche cittadini comunitari 
residenti nello Stato di destinazione. Una ulteriore fondamentale conseguenza deriva dalla struttura del 
diritto comunitario; l’attribuzione diretta di un diritto da parte di una norma comunitaria, infatti, implica, 
secondo uno schema che è usuale nel funzionamento dell’ordinamento comunitario, la disapplicazione di 
qualsiasi disposizione contrastante di diritto nazionale. Orbene, va osservato che la norma comunitaria che 
attribuisce il diritto in questione non identifica i soggetti beneficiari dell’attribuzione attraverso un rinvio alle 
norme dell’ordinamento nazionale nel cui ambito il diritto di libertà comunitario dovrà essere esercitato, ma 
procede altrimenti dettando suoi propri criteri. Pertanto, giacché la giuridica esistenza in un determinato 
ordinamento di società costituite secondo le norme di un differente ordinamento viene generalmente 
giudicata, nella prospettiva di un ordinamento nazionale, in base alle sue norme di diritto internazionale 
privato, dalla indicata struttura della norma comunitaria deriva necessariamente proprio la disapplicazione 
delle norme nazionali di diritto internazionale privato sul riconoscimento delle persone giuridiche. Con la 
conseguenza ulteriore, quindi, che la norma comunitaria, dal punto di vista dei singoli ordinamenti, viene 
anche indirettamente a svolgere, in via suppletiva, la funzione tipicamente di diritto internazionale privato di 
determinare la legge applicabile, pur senza essere a ciò espressamente mirata. La modalità di espletamento di 
tale funzione, vale a dire la valenza di diritto internazionale privato della disposizione dal punto di vista degli 
Stati membri, è evidentemente da tracciarsi sulla base delle modalità con le quali la norma in parola 
identifica la disciplina di quei soggetti cui poi attribuisce la libertà di stabilimento. La norma individua tali 
soggetti come le società costituite secondo le norme dell’ordinamento di uno Stato membro ed aventi la sede 
legale, quella effettiva o il centro di attività principale all’interno della Comunità, ovverosia, considerato che 
tutti gli ordinamenti richiedono la fissazione della sede legale nel territorio dello Stato cui si riferiscono, 
semplicemente come le società costituite secondo le norme di uno Stato membro. E’ evidente, pertanto, che 
la disciplina comunitaria del soggetto societario viene individuata e coincide con quella dello Stato secondo 
le norme del quale la società è venuta in essere. Tale risultato implica una completa rivoluzione 
nell’impostazione del problema di diritto internazionale privato di molti Stati membri. Questi, infatti, non 
dovranno più preoccuparsi di risolvere la questione del riconoscimento, vigendo di fatto un principio di 
generale riconoscimento delle società comunitarie. Principio affermato ed imposto da una norma comunitaria 
(quella implicitamente, ma inequivocabilmente, contenuta nell’individuazione del soggetto beneficiario 
dell’attribuzione della libertà di stabilimento ex art. 48 Tratt. CE) che può essere ricostruita in termini di 
norma comunitaria di coordinamento tra gli ordinamenti nazionali. Grazie alla sua funzione di 
coordinamento degli ordinamenti, infatti, i valori giuridici concernenti l’organizzazione corporativa di enti 
 12
Tale sentenza, che lega la nazionalità di una società al requisito formale del luogo di 
incorporazione, può aprire la strada al riconoscimento della mobilità delle società 
nella Comunità
27
. 
Quanto alle società costituite in un Paese esterno alla CE, esse potranno costituire 
agenzie, filiali o succursali nella Comunità solo in quanto si tratti di una società già 
stabilita sul territorio di uno Stato membro. 
La società straniera dovrà pertanto costituire in Europa una società con la sede sociale 
o l’amministrazione centrale o il centro di attività principale nella Comunità che sarà 
equiparata ai fini del diritto di stabilimento alle persone fisiche aventi la cittadinanza 
degli Stati membri, solo se la sua attività presenta un legame effettivo e continuo con 
l’economia di uno Stato membro
28
. 
                                                                                                                                            
aventi scopo di lucro sono riconosciuti in qualsiasi ordinamento nazionale comunitario, perché sempre 
valutati attraverso un riferimento a quell’ordinamento comunitario reputato competente, proprio in quanto 
creatore di quel valore. (Corte giust. CE, 9 marzo 1999, causa C 212/97, Centros Ltd v. Erhvervs-og 
Selskabsstyrelsen, in Racc. 99, p. 639). 
27
 EDWARDS V., EC Company Law, Oxford, 1999, p. 237 ss. 
28
 A riguardo vale la pena richiamare l’importante sentenza della Corte di giustizia CE, X AB e Y AB c. 
Riksskatteverket, causa C 200/98 del 18 novembre 1999, in Racc. 00, p. 476. La sentenza in commento ha 
per oggetto l’interpretazione degli articoli del Trattato CE relativi al diritto di stabilimento. La Corte è 
chiamata ad accertare se tali disposizioni consentano a uno Stato membro di concedere delle agevolazioni 
fiscali per i trasferimenti finanziari effettuati all’interno di uno stesso gruppo con le limitazioni collegate alla 
localizzazione delle società interessate che sono previste nella vigente legislazione fiscale svedese. Secondo 
questa legislazione vengono concesse agevolazioni fiscali per i conferimenti di una società per azioni 
svedese ad un’altra società per azioni, parimenti svedese e completamente controllata dalla prima, oppure ad 
una società anche completamente controllata dalla prima ma non in modo esclusivo bensì unitamente ad una 
o più consociate svedesi a loro volta controllate dalla prima società. Lo stesso trattamento fiscale di favore 
trova applicazione anche quando una o più delle società integralmente controllate siano straniere ma abbiano 
sede in un unico Stato membro e la Svezia abbia concluso con tale Stato una convenzione contro la doppia 
imposizione nella quale figuri una clausola di non discriminazione. Le stesse agevolazioni non vengono 
invece concesse per i conferimenti intragruppo quando la capogruppo svedese abbia la proprietà della società 
destinataria dei conferimenti unitamente ad una o più consociate straniere integralmente controllate, aventi 
sede in Stati membri diversi con i quali la Svezia abbia concluso convenzioni contro la doppia imposizione 
con clausola di non discriminazione. A questa terza ipotesi fa riferimento il quesito pregiudiziale. Il giudice 
nazionale vuol sapere infatti se le disposizioni del Trattato relative al diritto di stabilimento siano di ostacolo 
a norme nazionali le quali, per i soli trasferimenti finanziari intragruppo presi in considerazione in questa ter-
za ipotesi, escludano la concessione delle agevolazioni fiscali. La Corte ha risposto in senso affermativo al 
quesito. Essa è giunta a questa conclusione osservando che le disposizioni del Trattato in materia di diritto di 
stabilimento hanno non solo lo scopo di assicurare il beneficio della disciplina nazionale dello Stato membro 
 13
Anche la scelta di utilizzare gli articoli 44 CE (già art. 54) e 95 CE (già art. 100 A) è 
stata in seguito sottoposta a critiche
29
, fondate su molteplici ragioni, tra le quali è 
opportuno ricordare quelle riguardanti l’articolo 44, lett. g (ex art. 54.g) CE che 
compare sotto l’intestazione “libertà di trasferimento” e non presenta, perciò, alcun 
legame con la creazione della Società europea. 
Nel capo III, relativo al ravvicinamento delle legislazioni (artt. 94-97 CE, già artt. 
100-102) il trattato prevede che il Consiglio stabilisca direttive volte al 
ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli 
Stati membri che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento 
del mercato comune, promuova accordi o stabilisca direttive per eliminare le 
distorsioni della concorrenza dovute a disparità esistenti nelle disposizioni legislative, 
regolamentari ed amministrative degli Stati membri, direttive già emanate o in 
procinto di essere emanate o modificate. 
                                                                                                                                            
ospitante agli operatori provenienti da altri Stati membri che in detto Stato svolgano la loro attività, ma anche 
quello di impedire che lo Stato d’origine ostacoli lo stabilimento in un altro Stato membro di un proprio cit-
tadino o di una società costituita secondo la propria legislazione, e che una legislazione come quella svedese, 
che nega alle società svedesi, le quali esercitando la libertà di stabilimento abbiano costituito delle consociate 
in altri Stati membri, il diritto di beneficiare di talune agevolazioni fiscali che viceversa sono concesse per 
analoghe operazioni intragruppo con consociate localizzate all’estero ma in un unico Stato membro, dà luogo 
ad una non giustificata disparità di trattamento tra i diversi tipi di trasferimenti finanziari all’interno di un 
medesimo gruppo basandosi sul criterio della sede delle consociate. Questa interpretazione del campo 
d’applicazione delle regole dei Trattato sul diritto di stabilimento può essere condivisa, ma occorre invero 
tener conto, come fa notare l’avvocato generale nelle sue conclusioni, che una normativa fiscale come quella 
svedese per cui la controversia si risolve in una restrizione dei diritto di stabilimento delle società svedesi in 
uscita, scoraggia queste ultime dal creare consociate con sedi in piú Stati membri diversi da quello ove ha 
sede la capogruppo. Questa pronuncia si colloca nella linea della precedente giurisprudenza; la Corte infatti 
aveva già avuto occasione di affermare che le norme sulla libertà di stabilimento impongono, tra l’altro, allo 
Stato di origine di non ostacolare lo stabilimento in un altro Stato membro di una società costituita secondo 
la propria legislazione: v., in tal senso, la già citata sentenza del 27 settembre 1988, causa n. 81/87, Daily 
Mail and General Trust PLC (in Racc., 1988, p. 5483, punto 16). 
29
 WEHLAU A., The Societas europaea: a critique of the Commission’s 1991 amended proposal, in 
Common market law review 29, 1992, p. 498 ss.  
 14
Con l’articolo 95 CE (già art. 100 A)
30
, introdotto dall’Atto Unico Europeo del 1986, 
sul piano formale la denominazione dell’istituto cambiava da società per azioni 
europea a società europea. 
Quella appena esposta è la vera ratio della scelta, dal momento che l’articolo 95 CE 
(già art. 100 A), se da un lato consente al Consiglio di adottare le misure relative al 
ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli 
Stati membri che hanno per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del mercato, 
dall’altro lato non trova applicazione in relazione alle disposizioni fiscali, a quelle 
inerenti la libera circolazione delle persone e soprattutto a quelle relative ai diritti e 
agli interessi dei lavoratori dipendenti. 
Si spiega, così, il fatto che la Commissione abbia considerato le norme sulla 
partecipazione dei lavoratori come oggetto di una separata proposta di direttiva, la 
quale facesse parte integrante dello statuto della Società europea. 
Per quanto riguarda l’articolo 95 CE (già art. 100 A), le critiche sottolineano che esso 
autorizzerebbe il ravvicinamento delle legislazioni nazionali ma non la creazione di 
nuove regole sopranazionali e inoltre che l’inclusione di una norma in materia 
                                          
30
 Ai sensi dell’art. 95 CE (già art. 100 A), il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta 
della Commissione, in cooperazione con il Parlamento europeo e previa consultazione del Comitato 
economico e sociale, adotta le misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari 
ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del mercato 
interno. La norma, ampiamente modificata dal Trattato di Amsterdam del 1997, soprattutto con riferimento 
alla disciplina derogatoria, era stata introdotta dall’Atto Unico Europeo, aperto alla firma, a Lussemburgo, il 
17 febbraio 1987 ed entrato in vigore il 10 luglio dello stesso anno. Essa ha fornito un decisivo impulso 
all’armonizzazione delle discipline nazionali nel quadro dell’instaurazione del mercato interno prefigurata 
dal Libro bianco della Commissione del 1985. Sempre ai sensi dell’art. 95 il Consiglio delibera con il 
quorum della maggioranza qualificata e secondo la procedura di codecisione, di cui all’art. 251 CE. Tale 
procedimento comporta due rilevanti conseguenze; per un verso, gli Stati perdono la garanzia del voto 
all’unanimità per bloccare iniziative di armonizzazione; per altro verso, il ruolo del Parlamento europeo 
diviene ben più significativo nell’elaborazione del contenuto della misura armonizzatrice.  
 15
tributaria (l’articolo 133) nello statuto costituirebbe di per se una violazione a quanto 
disposto all’articolo in questione. 
L’articolo 293 CE (già art. 220) prevede inoltre il ricorso a convenzioni dirette a 
garantire a favore dei cittadini degli Stati membri il reciproco riconoscimento delle 
società a mente dell’art. 48 CE, secondo comma, il mantenimento della personalità 
giuridica in caso di trasferimento della sede da un paese a un altro e la possibilità di 
fusione di società soggette a legislazioni nazionali diverse
31
. 
La proposta di regolamento del 1970, modificata successivamente nel 1975, era 
fondata sull’art. 308 CE (già art. 235), una “norma di chiusura” che consente 
l’estensione della competenza delle istituzioni comunitarie quando occorre adottare 
determinati provvedimenti che risultino necessari ai fini del raggiungimento di uno 
degli scopi della Comunità
32
. 
La Commissione riteneva, infatti, che la creazione di una Società europea fosse 
necessaria all’attuazione di un mercato comune che potesse finalmente assicurare 
condizioni analoghe a quelle esistenti in un mercato nazionale. 
Mediante lo strumento del regolamento, funzionale più di altri all’obiettivo di una 
totale unificazione delle legislazioni dei Paesi membri, le istituzioni comunitarie 
intendono dar vita ad un vero e proprio diritto commerciale europeo che affianchi 
quello dei singoli Stati e non si ponga in contrasto con esso. 
                                          
31
 L’obbligo per gli Stati membri di ricorrere a tale strumento opera solo nel caso in cui gli scopi indicati 
dall’art. 293 CE non siano altrimenti raggiunti sulla base di altre disposizioni del Trattato, attraverso 
l’adozione di atti derivati come direttive e regolamenti, altre convenzioni e normative spontanee nazionali. 
32
 Sulla base di tale norma di chiusura delle competenze comunitarie, da cui si è sviluppata la teoria dei 
poteri impliciti, ridimensionata dal principio della sussidiarietà, sono state adottate iniziative dirette alla 
istituzione, oltre che di un brevetto europeo e comunitario, anche del Gruppo Europeo di Interesse 
Economico, della Società europea, dell’Associazione, della Società cooperativa e della Mutua europee.