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INTRODUZIONE 
 
L’elaborato di tesi intende trattare del regime delle acque 
internazionali ed, in particolar modo, analizzare il passaggio dall’antica 
concezione di “mare liberum”, fruibile da chiunque per gli scopi più diversi, 
alla moderna idea di mare inteso come territorio sul quale si estende la 
sovranità degli Stati costieri concentrati a sfruttarne le risorse a proprio 
vantaggio, secondo l’evoluzione storico-giuridica del diritto del mare. 
Il lavoro è sviluppato su quattro capitoli, partendo da una disamina 
degli sviluppi circa l’utilizzo del mare nella storia, ripercorrendo il passaggio 
da una visione liberale delle acque e delle proprie risorse, all’affermazione 
della codificazione in materia. 
Il primo capitolo analizza storicamente il passaggio dal “mare libero” e 
dalle consuetudini che regolavano la navigazione e lo sfruttamento delle acque 
e delle sue risorse, alla codificazione internazionale che ha avuto la sua 
massima espressione nella Convenzione di Montego Bay del 1982, realizzata 
al sommo scopo di garantirne l’uso alla generalità dei popoli ed a riservare, 
comunque, ai singoli Stati, il diritto di sfruttamento delle aree prospicenti le 
proprie coste. 
Proseguendo si focalizza l’attenzione sulla individuazione e la 
puntualizzazione dei concetti di alto mare e fondi marini, andando quindi ad 
approfondire le tecniche e gli interventi tesi a garantirne, comunque, la tutela 
dell’ambiente e del patrimonio culturale che si cela e si mantiene nelle 
profondità delle acque. Infine si è incentrata l’attenzione sull’importante 
funzione che le acque “libere” hanno per la ricerca scientifica. 
La terza parte verte sulla trattazione delle norme che regolano la 
navigazione nelle acque internazionali, partendo dall’introduzione del 
principio dello “Stato bandiera” per poi approfondire fenomeni come le
4 
 
collisioni, la pesca e le attività criminose. Al termine si accenna al particolare 
regime giuridico in cui versa la regione artica del nostro globo. 
Nel quarto ed ultimo capitolo, il lavoro si concentra sul “mare 
territoriale” analizzandolo dal punto di vista della individuazione e soprattutto 
da quello giuridico. Il capitolo sviluppa, inoltre, i concetti di piattaforma 
continentale, zona contigua e zona economica esclusiva, puntualizzando quali 
siano le prerogative dei singoli Stati ed i confini che il loro potere sovrano 
trova nel diritto internazionale.
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CAPITOLO 1 
Il regime giuridico dei mari 
 
1.1 La libertà dei mari. 
«The sea has always been lashed by two major contrary winds: the 
wind from the high seas towards the land is the wind of freedom; the wind 
from the land toward the high seas is the bearer of sovereignties. The law of 
the sea has always been in the middle between these conflicting forces»
1
. 
Il principio della “libertà del mare”, in base al quale si afferma che il 
singolo Stato non possa ostacolare o precludere l’uso degli spazi marini ad 
imbarcazioni di altri Stati, è stato elaborato dalla dottrina razionalistica del 
settecento. 
Tuttavia la concezione del mare come cosa comune a tutti gli uomini 
risale ad un’età precedente e, probabilmente, alla media età repubblicana della 
Roma antica. In tutto il bacino del Mediterraneo antico – tanto in Oriente che 
in Grecia, sia a Roma che in Egitto – la concezione di mare era quella di “cosa 
comune a tutti gli uomini”. Il mare e le spiagge erano considerati “res publicae 
in usu gentium”, ossia beni comuni offerti alla fruizione degli uomini. Il 
riconoscimento del “libero mare” era normalmente ammesso anche nel diritto 
greco (almeno dal III sec. a.c.). 
Ai primi esploratori arcaici che solcavano le lontane rotte verso 
Occidente il mare ignoto appariva come un mondo aperto e libero che si 
offriva alle scoperte ed all’occupazione. La concorrenza nelle medesime 
navigazioni dei gruppi nemici e la diffusione della pratica delle rappresaglie 
                                                 
1
 R. J. DUPUY and D. VIGNES, A Handbook on the New Law of the Sea, Vol. I, The Sea under 
National Competence, 1991. «Il mare è sempre stato sferzato da due grandi venti contrari: il vento 
proveniente dall’alto mare verso terra è il vento della libertà; il vento proveniente dalla terra verso 
l’alto mare è portatore della sovranità. La legge del mare è sempre stata al centro di queste forze in 
conflitto».
6 
 
non erano certo in grado di modificare un’istintiva e naturale concezione di 
libertà del mare come anche sostenuto da Platone in un brano delle Leggi
2
. 
Per i greci la violazione della libertà di navigazione in tempo di pace, 
senza valide motivazioni, doveva essere ripresa per il grave impedimento 
arrecato alla navigazione nel “mare comune” perché provocatrice non solo di 
disapprovazione morale, ma soprattutto di reazioni nei rapporti internazionali 
per le illegittime attività nel “mare di tutti”. 
È evidente che in un diritto concreto e fattuale come quello antico si 
cercasse invano la proclamazione del principio della “libertà dei mari”, nella 
prassi costantemente rispettato, pur in presenza di meccanismi contrastanti 
operanti nell’ambito marino arcaico, come ad esempio i sequestri. Non veniva 
mai proclamato il principio della sovranità sul mare in nome di una sola 
comunità, ma un controllo di fatto poteva essere esercitato nominalmente 
nell’interesse di tutti, anche se poi per ragioni politiche ed economiche, in certe 
zone ed in determinati momenti, esso era espletato per il vantaggio di 
specifiche comunità greche ed orientali
3
. 
La libertà del mare, insieme al regime del dominio, costituisce per 
secoli una costante del diritto internazionale del mare, a seconda delle diverse 
epoche e tendenze evolutive che in esse si manifestano
4
. 
È all’inizio del XVII secolo che si stabiliscono solide basi teoriche a 
favore del principio della libertà del mare, grazie ad un breve scritto, apparso 
                                                 
2
 PLATONE, Leggi VII, 824b. 
3
 G. PURPURA, “Liberum mare”, acque territoriali e riserve di pesca nel mondo antico, in: Colloque 
internazionale “Ressources et activites maritimes des peuples de l’Antiquite”, Université du Littoral 
Côte d’Opale, Boulogne, 2005. 
4
 T. SCOVAZZI, Elementi di diritto internazionale del mare, III Edizione, Giuffré Editore, Milano, 
2002, pag. 19.
7 
 
inizialmente anonimo nel 1609, prodotto dall’olandese Ugo Grozio
5
 ed 
intitolato Mare liberum.  
Le origini del testo sono da attribuire ad un’estesa trattazione nella 
quale Grozio affrontava gli aspetti più spinosi del caso che, nel 1603, vede 
coinvolti la Compagnia Olandese delle Indie Orientali ed il Portogallo. 
L’ammiraglio Van Heemskerck catturava nello stretto di Singapore la caracca 
portoghese “Catarina”, confiscandone il carico costituito, tra le altre cose, da 
porcellane cinesi e spezie. Il procedimento sulla legalità della cattura e della 
confisca
6
 che ne scaturisce vedeva Grozio protagonista della stesura  di un 
trattato denominato De jure praedae commentarius
7
 dove affrontava i temi più 
spinosi del caso: in particolare per quale ragione la Compagnia potesse 
legittimamente catturare una nave portoghese, nonostante il fatto che non vi 
fosse uno stato di guerra tra i Paesi Bassi e la Spagna; e per quale ragione, a 
parte il caso specifico della “Catarina”, il mare dovesse venire considerato 
                                                 
5
 Huig De Groot, nato a Delft il 10 aprile 1583 e morto a Rostock il 28 agosto 1645, considerato il 
fondatore della «scuola del diritto naturale», con il suo De iure belli ac pacis (1625) contribuì alla 
formulazione del diritto internazionale moderno. 
6
 G. BALLADORE PARIELLI, Preda Marittima, Enciclopedia Treccani, 1935: «Con il giudizio delle 
prede, che segue dinnanzi ad apposite corti istituite da ciascun belligerante, si esamina se la cattura sia 
stata legittima e regolarmente eseguita, e si procede quindi, ove sussistano i necessari requisiti, a 
dichiarare la confisca da parte dello stato cattore della nave e della sua merce confiscabile». 
7
 Va qui ricordato che il De jure praedae commentarius non è mai stato pubblicato nella sua interezza 
durante la vita di Grozio. Com’è noto, unicamente il capitolo XII dell’opera vide la luce con il nome di 
Mare liberum, prima in forma anonima nel 1608, poi con il nome dell’autore nel 1612. Sebbene la 
corrispondenza groziana consenta di far risalire il testo originale del trattato al 1604-1605, studi recenti 
confermano che esso sia stato sottoposto dall’autore ad una sostanziale revisione dal gennaio del 1607 
fino ai mesi di novembre o dicembre del 1608, presumibilmente in previsione della successiva 
pubblicazione del Mare liberum. In proposito, si veda M.J. VAN ITTERSUM, Preparing Mare 
Liberum for the Press: Hugo Grotius’ Rewriting of Chapter 12 of De Iure Praedae in November-
December 1608, in “Grotiana”, n. 26-28, 2005-2007, pp. 246-280. L’unica copia esistente del trattato – 
conosciuta come Manoscritto BPL 917 – fu acquistata ad un’asta dall’Università di Leida nel 1864, in 
seguito alla morte dell’ultimo erede maschio del giurista olandese, e venne data alle stampe quattro 
anni dopo da un umanista della stessa Università, Hendrik Gerard Hamaker. Sul punto si rimanda a 
M.J. VAN ITTERSUM, The wiseman is never merely a private citizen: The Roman Stoa in Hugo 
Grotius’ De Jure praedae (1604-1608), in “History of European Ideas”, n. 36, 2010, p. 4.