4
perciò necessaria una valutazione dei lavoratori secondo quelle che so-
no le loro effettive capacità e non solo in base alla posizione occupata 
all’interno della struttura organizzativa
4
. 
 
Le risorse umane devono essere capaci di coprire ruoli sempre più 
complessi, sviluppando le loro performance individuali. Il loro lavoro 
non consiste più in una serie di compiti da eseguire, ma si trasforma in 
una sorta di missione da compiere, dove le condizioni operative risulta-
no difficilmente descrivibili in procedure, e dove scelte e decisioni non 
dipendono più strettamente dalla gerarchia.  
 
In un tale contesto, la formazione del capitale umano non può ri-
dursi ad un semplice miglioramento dei metodi tradizionali di profes-
sionalizzazione. Non si tratta solo di ammodernare i metodi e le tecniche 
già noti ma di porre un’enfasi nuova e differente sull’importanza che, in 
una tale fase, hanno i processi mediante i quali la conoscenza può esse-
re creata, diffusa e condivisa. 
 
E' ormai convinzione ricorrente, tra gli studiosi del settore, che ciò 
che consentirà alle imprese di rendere le loro strutture sempre più snel-
le e flessibili sia proprio il fatto di dare centralità all’apprendimento, 
puntando su meccanismi che consentano l’accumulazione della cono-
scenza. 
 
Nel contesto che si viene così delineando, requisito fondamentale 
diviene la capacità di imparare: imparare ad apprendere ed imparare ad 
accettare il cambiamento. Capacità che devono essere possedute da tut-
te le persone, a partire da chi ricopre i ruoli di maggiore responsabilità 
fino a chi è impegnato in attività operative.  
 
L’apprendimento, infatti, diventa un fattore significativo di cam-
biamento se il management, prima di tutto, risulta fortemente impegna-
to e convinto della prospettiva economica che da tali mutamenti emerge. 
Solo in questo modo può verificarsi che la visione degli attori strategici 
si trasforma in strategia di azione e di conseguenza, l’organizzazione si 
prepara a svilupparsi e si struttura per innovare
5
. 
 
Le imprese dovranno imparare nel miglior modo possibile ad e-
splicitare le conoscenze tacite e ad interiorizzare le conoscenze esplicite 
affinché la conoscenza divenga un fattore che permea l’intera organizza-
zione e ne accresce la competitività. 
 
La crescente importanza assunta dalle competenze negli ultimi 
anni, ha generato un moltiplicarsi di contributi tale da determinare un 
quadro concettuale non del tutto chiaro. Analizzando gli apporti offerti 
dalla letteratura possiamo individuare due diversi approcci alle compe-
tenze che, pur essendosi sviluppati autonomamente non devono essere 
interpretati in modo contrapposto bensì complementare. 
____________________________ 
4
 Cfr.: F. Ratti, “Competenze” in Sviluppo & Organizzazione N.138, Luglio/Agosto 1993. 
5
 Cfr.:S. Sbrana, T. Torre, Conoscenza e gestione del capitale umano: la learning organization, op. cit., 
pag.18. 
 5
 
Un primo filone di studi adotta un approccio “relazionale–
strategico–sistemico”, ponendo l’accento sullo sviluppo delle “core com-
petences”. In tale approccio le competenze vengono analizzate secondo 
una prospettiva quasi esclusivamente strategica, che bada alle cono-
scenze e alle capacità detenute dall’organizzazione e funzionali alla 
competizione. Risulta quindi poco sensibile agli aspetti operativi di ge-
stione delle risorse umane. 
 
Al contrario, il secondo approccio, che è di tipo “psicologico–
culturale–individuale”, si focalizza sul contributo che i singoli individui 
possono dare allo sviluppo competitivo dell’organizzazione. Quindi una 
competenza, nell’approccio psicologico, individua gli insiemi di modelli 
di comportamento che gli individui devono esplicitare nel lavoro per 
raggiungere risultati efficaci
6
. 
 
Si rileva quindi una sorta di dicotomia tra dimensione individuale 
e dimensione organizzativa della conoscenza. Al riguardo, assumono no-
tevole importanza gli studi condotti da Nonaka. Egli afferma che seppu-
re l’organizzazione svolge una funzione di creatrice di conoscenza, essa 
non può farlo senza il fondamentale contributo dei singoli individui che 
la compongono e allo stesso tempo non potrà svilupparsi un processo di 
gestione delle risorse umane fondato sul metodo delle competenze senza 
un adeguato sviluppo delle stesse a livello organizzativo
7
. 
 
La conclusione a cui egli arriva è che il processo di sviluppo della 
conoscenza abbia un andamento a spirale: esso ha origine a livello di 
singolo individuo, si sposta a livello di gruppo, per arrivare, infine, a 
pervadere l’intera organizzazione. Risulta quindi di fondamentale impor-
tanza trovare un collegamento forte tra organizzazione e persone e tra 
competenze organizzative e competenze individuali. 
 
Le esperienze applicative di questi modelli emergenti nella gestio-
ne delle risorse umane sono ancora poco diffuse e hanno riguardato fi-
nora, quasi esclusivamente, settori cosiddetti “tech – based” o “science – 
based”. Anche per quanto riguarda i ruoli va rilevato che le poche appli-
cazioni riscontrate hanno interessato in prevalenza managers e alti li-
velli impiegatizi. Infine va detto che non tutte le politiche del personale 
sono state svolte secondo questi nuovi modelli nelle imprese interessa-
te
8
.  
 
Forse è ancora troppo presto per poter giudicare appieno le con-
seguenze di un tale fenomeno, ma non si può certamente negare che ci 
si trovi di fronte ad un tentativo decisivo di ripensare le politiche di ge-
stione delle risorse umane, allo scopo di raggiungere livelli di competiti-
vità adeguati ai contesti organizzativi emergenti. 
____________________________ 
6
 Cfr.: G. De Feo, “Le competenze delle risorse umane e quelle organizzative”, in Sviluppo & Organizzazione 
N.157, Settembre/Ottobre 1996. 
7
 Cfr.: I. Nonaka, “ Come un’organizzazione crea conoscenza” in Economia & Management N.3, 1994. 
8
 Cfr.: A. Camuffo, “Competenze: la gestione delle risorse umane tra conoscenza individuale e conoscenza 
organizzativa”, in Economia & Management N.2, 1996. 
 
 6
 
 Questo lavoro si concentra sulla conoscenza e sulla rilevanza del 
fattore umano quale primario detentore di tale risorsa. 
 
 Nel primo capitolo si mira a mettere in rilievo la centralità assunta 
dal capitale umano all’interno dell’impresa partendo dalla individuazio-
ne dei punti di rottura rispetto alla tradizione fordista. In tale sistema, 
infatti, il lavoratore aveva scarsa importanza e si riduceva a mero esecu-
tore di compiti routinari. Venivano inoltre trascurate le specificità insite 
nei contesti a favore della costruzione di un modello universale utilizza-
bile in qualunque situazione.  
 
L’inadeguatezza di un tale approccio è configurabile anche alla lu-
ce dei mutamenti avvenuti nella formulazione della strategia. Le impre-
se non possono più rivolgersi solo all’analisi delle loro relazioni con 
l’ambiente esterno, ma devono essere in grado di sviluppare, prima di 
tutto, le loro risorse interne accrescendo le competenze individuali e, 
conseguentemente, le loro core competences. 
 
 Essendo le competenze un fattore strettamente legato 
all’individuo, ci si dovrà concentrare sulle modalità che ne consentono 
l’esplicitazione e la codificazione. A tal proposito è stato riproposto lo 
studio condotto da Nonaka che descrive in quattro fasi il modo in cui la 
conoscenza tacita posseduta dai singoli può essere resa esplicita e con-
divisibile divenendo patrimonio dell’intera organizzazione e consentendo 
in tal modo il divenire di una knowledge based organization. 
 
 Nel secondo capitolo ci si è concentrati maggiormente sulla fun-
zione di gestione del personale, andando a vedere come può essere svi-
luppato un modello di gestione delle risorse umane secondo il metodo 
delle competenze. Tale metodo fa emergere una nuova figura nel merca-
to del lavoro: il knowledge worker, che va ad assumere la posizione oc-
cupata dall’operaio di massa agli inizi del Novecento. 
 
 Tale nuova figura richiede un ripensamento delle politiche di valu-
tazione e delle forme retributive, poiché risulterebbe controproducente 
applicare i tradizionali metodi, basati strettamente sulla posizione rico-
perta, nel momento in cui si vogliono incentivare i lavoratori a sviluppa-
re livelli crescenti di conoscenze e competenze. Il knowledge worker, in-
fatti, dovrà essere adeguatamente stimolato affinché ponga in essere 
comportamenti di successo ed i metodi di remunerazione dovranno ba-
sarsi proprio sullo sviluppo delle sue capacità.  
 
 Nel terzo capitolo il lavoro viene concluso con la ricerca di una 
forma organizzativa che consenta l’accrescimento continuo delle compe-
tenze. Tale attitudine è rinvenibile nella Learning Organization in quan-
to organizzazione capace di favorire l’apprendimento continuo. Appren-
dimento che dovrà essere attentamente studiato nei suoi aspetti indivi-
duali e organizzativi. 
 
 7
 Da ciò consegue che dovranno essere rivisti anche i tradizionali 
sistemi di formazione affinché il “saper fare” venga unito al “saper esse-
re” realizzando un adeguato contemperamento tra aspetti tecnici e a-
spetti culturali e relazionali. 
 8
CAPITOLO PRIMO 
 
LA CENTRALITA’ DEL CAPITALE UMANO 
NELL’IMPRESA POST-FORDISTA 
 
 
1.1) L’abbandono del fordismo 
 
Prima di affrontare l’argomento prescelto, mi è sembrato corretto 
aprire il lavoro riprendendo quelli che sono stati i tratti caratterizzanti 
del fordismo, in modo da mettere meglio in luce i cambiamenti che si 
sono verificati e i fattori che stanno assumendo sempre più importanza 
nei nuovi scenari competitivi che si vanno delineando. 
 
 
1.1.1) Il superamento dell’one best way fordista 
 
Dobbiamo prima di tutto considerare il superamento del fordismo 
con particolare riguardo ai suoi aspetti socio-tecnici e socio-economici. 
La “de-contestualizzazione” fordista era il metodo attraverso il quale ve-
niva superata la complessità dei contesti in cui operava l’impresa. Veni-
vano, in tal modo, annullate le particolarità dei modelli socio - culturali 
di riferimento in virtù della costruzione di un modello “universale” a cui 
l’impresa si adeguava per avere successo. Questa era la cosiddetta one 
best way.  
 
Praticamente, si cercava di ricondurre la realtà all’interno di 
schemi logici che riflettessero il modello che l’impresa aveva del mondo 
e che fossero da essa governabili tramite strumenti e concettualizzazioni 
stabiliti a priori, senza preoccuparsi di dover cogliere le specificità insite 
nei diversi contesti, sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta. 
 
Dal lato dell’offerta, la conseguenza inevitabile di un tale approc-
cio non poteva che essere quella della parcellizzazione del lavoro. Nel 
momento in cui la realtà operativa dell’impresa veniva ricondotta a mo-
delli predefiniti, anche le attività lavorative e, più in generale, i compor-
tamenti dei lavoratori, dovevano essere ricondotti a modelli predetermi-
nati
1
. 
 
Il funzionamento dell’impresa doveva svilupparsi all’interno di un 
percorso stabilito a priori e ciò non poteva avvenire se non “comprimen-
do” le soggettività sia interne che esterne all’impresa stessa. Le mansio-
ni lavorative, sia che si trattasse di semplici operai che di impiegati o 
manager, dovevano essere eseguite secondo le condizioni astrattamente 
stabilite dal modello. Facendo ciò, le occasioni di crescita competitiva 
dell’impresa stavano nella capacità di codificare sempre più le mansioni, 
per renderle coerenti con lo “stereotipo comportamentale” di riferimento. 
 
____________________________ 
1
 Cfr.: M. Sbrana, T. Torre, Conoscenza e gestione del capitale umano: la learning organization, op. cit., pag. 
30. 
 9
In un tale contesto, l’apprendimento individuale aveva scarsa, se 
non addirittura nessuna, importanza e all’uomo era richiesto, essen-
zialmente, di apprendere quella che era la sua mansione specialistica. 
Chiaramente, tanto più le mansioni potevano essere parcellizzate, tanto 
minore era l’impegno richiesto sul fronte dell’apprendimento. 
 
A tutto ciò va aggiunta un’ulteriore considerazione. Infatti, più i 
modelli comportamentali diventavano codificabili in maniera precisa e 
puntuale, più si accresceva il processo di meccanizzazione. E’ proprio 
per questo motivo che le conoscenze si accumularono più nelle macchi-
ne che negli uomini, portando ad una situazione in cui i beni strumen-
tali ed il capitale fisico diventavano quasi perfetti sostituti del capitale 
umano. Questo era reso possibile dal fatto che le imprese avessero biso-
gno di strumenti che incorporassero le conoscenze per riprodurre com-
portamenti e risultati predefiniti e non di discrezionalità e flessibilità 
nell’azione, che possono ottenersi solo tramite il contributo del capitale 
umano. Il vantaggio competitivo, infatti, si fondava essenzialmente sul 
conseguimento di economie di scala nella produzione. 
 
Quindi, la forza competitiva delle imprese derivava dalla loro ca-
pacità di raggiungere grandi dimensioni da cui derivassero dei benefici 
di costo. In un tale approccio, il concetto d’apprendimento era quello del 
“learning by doing” cioè, strettamente legato all’esperienza cumulata 
nell’utilizzo di determinati sistemi tecnici o nel perseguimento di deter-
minate attività. Si trattava di un concetto di apprendimento che era 
sempre strettamente legato e non distinguibile dai beni strumentali e 
dall’utilizzo sistematico del capitale fisico. 
 
Il cambiamento che si sta verificando, deriva dalla possibilità, of-
ferta dalle tecnologie attuali, di separare sempre più le conoscenze dal 
capitale fisico. Ciò ha portato le imprese a realizzare crescenti investi-
menti in attività e processi dedicati specificamente all’apprendimento 
dei lavoratori, a prescindere da quelli che sono gli investimenti effettuati 
in beni strumentali
2
. 
 
 
1.1.2) L’importanza assunta dal fattore umano 
 
Da tali mutamenti è discesa la necessità di trovare nuovi modelli 
organizzativi che sviluppassero l’efficienza dei processi di apprendimen-
to. Le soluzioni organizzative che le imprese potranno adottare a tal 
punto saranno dotate di maggiore individualità in quanto stabilite in 
seguito ad una attenta analisi delle loro competenze, delle risorse speci-
fiche e delle peculiarità del loro ambiente socio-culturale. La stessa os-
servazione può essere fatta con riguardo alla scelta della strategia da 
seguire. 
 
____________________________ 
2
 Cfr.: M. Sbrana, T. Torre (a cura di), Conoscenza e gestione del capitale umano: la learning organization, 
op. cit., pagg. 30 e segg.  
 
 10
In questa evoluzione, il capitale umano ha assunto una diversa 
importanza e la cosiddetta “economia delle risorse umane” è emersa 
come un aspetto chiave dello sviluppo aziendale. La vera e propria “rivo-
luzione” è quella che ha riguardato i livelli più bassi della gerarchia or-
ganizzativa. Infatti, nel fordismo, le competenze erano incorporate nelle 
macchine e non era perciò necessario che esse venissero accumulate 
dai lavoratori. Ad essi era richiesto essenzialmente un controllo routina-
rio e standardizzato delle stesse. 
 
Nel momento in cui le competenze si vanno progressivamente 
scorporando dalle macchine, è il fattore umano a dover accumulare 
sempre più competenze e capacità decisionali indipendenti dal capitale 
fisico. L’attività lavorativa acquisisce un contenuto altamente discrezio-
nale che si sviluppa attraverso la capacità degli individui di acquisire, 
governare e applicare il patrimonio di conoscenze. Il segreto per lo svi-
luppo competitivo risulta sempre più insito nel capitale umano. 
 
Per questo motivo si assiste ad una crescita notevole degli inve-
stimenti in processi di apprendimento ed in modelli organizzativi orien-
tati in tal senso, in modo da creare una dimensione strategica che per-
mei l’intera organizzazione, rivolgendosi soprattutto a quelle aree in cui 
l’apprendimento dei lavoratori non è così ovvio (come potrebbe invece 
essere per aree quali quella della Ricerca & Sviluppo, che, per definizio-
ne, sono costituite da persone dedite all’apprendimento) e dove risulta, 
di conseguenza, di più difficile realizzazione
3
. 
 
 
1.1.3) Il nuovo ruolo del top - management 
 
Fino ad oggi, l’apprendimento è stato considerato sotto aspetti di 
carattere socio-psicologico (considerando i modi attraverso i quali inco-
raggiare l’apprendimento delle persone) o strettamente organizzativo 
(stabilendo quali siano le strutture organizzative e le procedure che fa-
voriscono l’apprendimento). Ciò non è più possibile, perché 
l’apprendimento deve essere collocato all’interno di un processo di tra-
sformazione che riguarda la totalità dell’impresa. 
 
Queste modifiche vanno ad incidere notevolmente anche sul ruolo 
del management che vede modificarsi la sua tradizionale funzione di in-
dirizzo, coordinamento e controllo basato su criteri gerarchici e di cen-
tralizzazione a livello decisionale. La burocratizzazione, infatti, era det-
tata da un’organizzazione che si basava su procedure astratte e predefi-
nite dove il modo più efficace di operare derivava da una attenta pianifi-
cazione a priori che, come già detto, prescindeva dai contesti di radica-
mento. 
 
Dobbiamo comprendere bene come lo scenario di riferimento sia 
mutato e come la separazione delle conoscenze dalle macchine costitui-
____________________________ 
3
 Cfr.: M. Sbrana, T. Torre (a cura di), Conoscenza e gestione del capitale umano: la learning organization, 
op. cit., pagg. 32 e segg. 
 
 11
sca un potenziale che le imprese dovranno sfruttare nel miglior modo 
possibile, in quanto fattore generico utilizzabile in modo diverso in si-
tuazioni e contesti differenti. 
 
Il valore d’uso, maggiore o minore, che tali conoscenze acquisi-
ranno dipenderà dalle capacità del capitale umano nel progettarne 
l’applicazione. 
 
E’ a questo punto che si sviluppa il ruolo nuovo del top - mana-
gement, non necessario nell’impresa fordista, dove le conoscenze erano 
fortemente centralizzate e non vi era assolutamente il rischio di una loro 
dispersione nei contesti applicativi. Tale nuovo ruolo è quello di 
sviluppare un percorso strategico che, tramite lo sviluppo delle com-
petenze distintive dell’impresa, orienti tutte le attività della stessa se-
condo una prospettiva tale da consentirle il conseguimento di vantaggi 
competitivi durevoli
4
. 
 
Il management diventa il gestore e coordinatore delle informazioni 
e delle conoscenze provenienti dai contesti operativi, oltre che il creatore 
di conoscenze generiche, indispensabili per lo sviluppo delle stesse 
all’interno di tutta l’organizzazione. Quindi, sarebbe sbagliato pensare 
che il decentramento decisionale e il diverso ruolo che il capitale umano 
sta assumendo, portino a processi di auto-organizzazione in cui il ruolo 
dell’alta direzione diventa marginale e poco importante. Al contrario, va 
precisato che, l’auto–organizzazione non è assolutamente un processo 
spontaneo che si sviluppa come conseguenza della libertà data ai sog-
getti di esprimersi all’interno dell’organizzazione. Esso deve essere ade-
guatamente progettato e coordinato affinché si creino le giuste condi-
zioni per il dispiegarsi delle attività. Tale ruolo fondamentale deve essere 
svolto dal top–management “che deve progettare, coordinare e, se ne-
cessario, anche forzare l’auto–organizzazione”
5
.  
 
Sarebbe perciò sbagliato affermare che l’importanza del manage-
ment si sia ridotta nella nuova economia delle risorse umane, anzi, esso 
acquisisce un ruolo importante nella formulazione del sistema di incen-
tivi, che era assente nell’economia fordista. 
 
 
____________________________ 
4
 Cfr.: M. Sbrana, T. Torre (a cura di), Conoscenza e gestione del capitale umano: la learning organization, 
op. cit., pagg. 35 e segg..  
5
 Cfr.: M. Sbrana, T. Torre (a cura di), Conoscenza e gestione del capitale umano: la learning organization, 
op. cit., pag.37. 
 12
1.2) Le competenze come nuova leva strategica 
 
L’approccio basato sulle competenze presenta, tra gli altri, anche 
il vantaggio di legarsi positivamente con i mutamenti che si sono regi-
strati nelle impostazioni strategiche rispetto al passato. Sino a poco 
tempo fa la formulazione della strategia si riduceva alla ricerca della mi-
gliore combinazione possibile tra le risorse e le capacità interne 
all’azienda e quelle che erano le minacce/opportunità offerte dall’am-
biente. 
 
Se negli anni Ottanta l’analisi strategica si focalizzava essenzial-
mente sul legame tra strategia e ambiente esterno oggi ciò non è più ve-
ro perché è stata notevolmente rivalutata l’importanza delle risorse in-
terne all’azienda come fattore fondamentale della strategia
6
. Si assiste 
quindi al consolidamento di una nuova prospettiva strategica in cui as-
sumono sempre più importanza le competenze distintive dell’organiz-
zazione a discapito di quelle che erano le tradizionali leve della competi-
zione. 
 
 L’approccio basato sulle competenze risulta in grado di cogliere i 
cambiamenti avvenuti, in quanto individua nelle risorse e nelle capacità 
organizzative la fonte del vantaggio competitivo
7
. Infatti, in contesti in-
stabili e incerti, una strategia basata su quello che si è in grado di fare 
risulterà sicuramente più duratura di una strategia che sia rivolta e-
sclusivamente all’individuazione delle opportunità di mercato da sfrut-
tare
8
. 
 
Da quanto detto finora, deriva che il nuovo problema strategico 
per le imprese sarà quello di sviluppare una migliore e maggiore effi-
cienza nell’accumulazione, combinazione e utilizzo delle sue risorse. Si 
tratta di sviluppare capacità organizzative che risultino difficilmente i-
mitabili dai concorrenti e, nel momento in cui queste non fossero più 
identificabili come uniche, devono aversi altrettante forti capacità per 
svilupparne di nuove. 
 
Questa competizione può essere definita “knowledge based” poi-
ché ogni posizione di vantaggio nasce dallo sviluppo, da parte 
dell’impresa, di nuove conoscenze, utili per rispondere alle esigenze del 
mercato meglio dei concorrenti. Tale vantaggio potrà essere mantenuto 
solo se si eviterà di trascurare la vulnerabilità che queste conoscenze 
presentano rispetto alla creazione di nuove conoscenze da parte di altre 
imprese che dovessero risultare più efficaci rispetto alla medesima si-
tuazione.  
 
Se consideriamo il fatto che nella maggior parte dei mercati la 
globalizzazione e l’aumento costante del ritmo del progresso tecnologico 
____________________________ 
6
 Cfr.: R. M. Grant, (1991), contenuto nell’articolo “Competenze: la gestione delle risorse umane tra cono-
scenza individuale e conoscenza organizzativa”, di A. Camuffo, in Economia e Management N.2, 1996.   
7
 Cfr.: Lado e Wilson, (1994), contenuto nell’articolo “Competenze: la gestione delle risorse umane tra cono-
scenza individuale e conoscenza organizzativa”, di A. Camuffo, op. cit.  
8
 Cfr.: A. Camuffo, “Competenze: la gestione delle risorse umane tra conoscenza individuale e conoscenza 
organizzativa”, op. cit.  
 13
hanno creato situazioni competitive tanto dinamiche da rendere discu-
tibile in ogni momento qualunque posizione di vantaggio, capiamo subi-
to come risulti inconcepibile una strategia statica. Inoltre, essendo la 
conoscenza un fattore intrinsecamente dinamico il suo valore declina 
nel tempo e deve essere continuamente rigenerato ed accresciuto trami-
te l’apprendimento. 
 
Sono ormai in tanti a riconoscere che “il lavoratore della cono-
scenza” costituisca il bene più prezioso per affrontare gli scenari eco-
nomici attuali e degli anni a venire. 
 
 
 
1.3) Filone razionalistico e filone psicologico nell’ap-
proccio alle competenze 
 
Agli inizi del decennio appena trascorso si sono sviluppati, in con-
temporanea ma lungo percorsi differenti, due diversi filoni nello studio 
delle competenze. Il primo filone, di tipo razionale/strategico/sistemico, 
si è focalizzato sulle competenze organizzative o “core competences” a-
ziendali, mentre il secondo, di tipo psicologico/culturale/individuale, ha 
posto l’accento sullo sviluppo delle competenze individuali
9
. 
 
L’approccio razionalistico risulta strettamente legato all’evoluzione 
che il contesto concorrenziale ha avuto tra gli anni Ottanta e gli anni 
Novanta e che ha portato al consolidamento di una nuova prospettiva 
strategica. Dei mutamenti che si sono verificati nell’analisi strategica 
abbiamo già parlato nel paragrafo precedente, ma dobbiamo tornare 
sull’argomento perché è proprio lungo l’asse dell’evoluzione del rapporto 
tra risorse e strategia che si sviluppa l’approccio razionalistico all’analisi 
delle competenze. 
 
Gli autori appartenenti a tale filone ritengono che il management, 
allo scopo di accrescere la competitività dell’azienda, debba garantire lo 
sviluppo di competenze e capacità distintive dell’organizzazione azienda-
le. 
 
Tale approccio risulta criticabile poiché si limita ad individuare le 
conoscenze tramite l’analisi dei fattori critici di successo aziendali e, 
conseguentemente, il modo in cui queste si traducono in competenze 
distintive dell’azienda. Manca del tutto uno sviluppo dei processi e delle 
metodologie che consentano di applicare un tale approccio nella gestio-
ne delle risorse umane. 
 
Gli autori appartenenti al filone psicologico, invece, cercano di 
spiegare lo sviluppo di un approccio basato sulle competenze, all’interno 
dei modelli di gestione aziendale, fondandolo su ragioni essenzialmente 
“umanistiche”. Infatti, mentre negli anni Sessanta, un ambiente relati-
vamente stabile, consentiva la gestione della forza lavoro secondo un 
____________________________ 
9
Cfr.: G. De Feo, L. Lama (1994), contenuto in “Competenze: la gestione delle risorse umane tra conoscenza 
individuale e conoscenza organizzativa” di A. Camuffo,op. cit.   
 14
rapporto formale tra l’impresa e i lavoratori, il complicarsi del contesto 
ambientale che si è verificato nei decenni successivi, ha imposto una 
considerazione sempre maggiore nei confronti delle differenze riscontra-
bili tra i singoli individui.  
 
Si è reso necessario un arricchimento delle posizioni di lavoro in-
dividuali ed un accrescimento dell’autonomia concessa ai singoli, grazie 
alla riduzione dei livelli di supervisione. I fautori dell’approccio psicolo-
gico ritengono che sia indispensabile sviluppare nelle persone cono-
scenze e competenze che le rendano capaci di affrontare le situazioni in 
un contesto caratterizzato da una crescente ambiguità
10
. 
E’ evidente come i due approcci adottino dei punti di vista com-
pletamente differenti. Il primo, adottando una prospettiva strategica, si 
orienta verso la ricerca di schemi competitivi di successo che riguardino 
l’azienda nella sua totalità e trascura lo sviluppo e la gestione delle 
competenze dei singoli che stanno alla base delle competenze organizza-
tive. Il secondo, adottando una prospettiva psicologica, si concentra sul-
le competenze dei singoli individui e sulle modalità operative di gestione 
delle risorse umane considerando la strategia come un dato. 
 
Da tutto ciò emerge una dicotomia abbastanza forte tra dimensio-
ne individuale e organizzativa della conoscenza, che richiede un proces-
so di integrazione fra i due diversi momenti
11
. I contributi teorici in tal 
senso non mancano, ma ciò che finora è venuto meno è il passaggio da 
un approccio strumentale ad uno costitutivo nella concezione del rap-
porto tra strategia d’impresa e gestione delle risorse umane. 
 
 
 
1.4) Conoscenze generali e contestuali: rapporto e 
integrazione 
 
Diversi autori si sono espressi riguardo all’interdipendenza che 
sembrerebbe sussistere tra conoscenze codificate e conoscenze tacite. 
Cioè tra un insieme di conoscenze che risulterebbero generali e de-
contestualizzate e quelle che invece risulterebbero più specifiche e stret-
tamente legate ai contesti di applicazione. 
 
Già nel 1962 Simon si pose il problema di stabilire se la cono-
scenza possa essere codificata e in quale misura ciò sia possibile. Svi-
luppando le intuizioni di Smith, Taylor e Babbage, egli sosteneva che 
tutti i sistemi possono essere scomposti in sottosistemi sempre più pic-
coli fino ad arrivare ad un livello di sottosistemi che lui definiva “ele-
mentari”. 
 
Questo principio venne applicato da Simon anche allo studio delle 
conoscenze nelle organizzazioni, che quindi potrebbero essere scompo-
ste fino ad arrivare ad informazioni elementari, per poi venire ricompo-
____________________________ 
10
 Cfr.: G. De Feo, “ Le competenze delle risorse umane e quelle organizzative”, op. cit. 
11
 Cfr.: A. Camuffo, “Competenze: la gestione delle risorse umane tra conoscenza individuale e conoscenza 
organizzativa”, op. cit. 
 15
ste ed essere applicate alla risoluzione di problemi più complessi. Quin-
di, secondo Simon, informazioni e conoscenze possono essere codificate 
dando origine a dei moduli cognitivi ricongiungibili tra loro in modi e 
forme differenti. 
 
Lo studio di Simon si concentrò prevalentemente sulla questione 
della codificabilità delle conoscenze senza tenere conto di due limiti: il 
primo è che la gran parte delle conoscenze prodotte da 
un’organizzazione restano tacite e ciò impedirebbe la formazione di una 
struttura completa di sistemi elementari di cui egli parla; la seconda è 
legata al valore d’uso che le conoscenze hanno nel contesto in cui si svi-
luppano e che risulterebbe quasi sicuramente ridotto se queste venisse-
ro codificate. Il valore economico deriva quindi dall’accumulazione di 
conoscenze contestuali e dalla giusta combinazione di queste con cono-
scenze più generali (codificate)
12
. 
 
In tempi più recenti, lo sforzo degli studiosi si è concentrato sulla 
possibilità di trovare il giusto connubio tra contestualizzazione e de-
contestualizzazione.  
 
Von Hippel, in un articolo del 1994, cerca di risolvere la questione 
suddividendo le conoscenze in base al grado di “vischiosità” che esse 
presentano
13
. Alcune essendo molto “vischiose” risulterebbero difficil-
mente trasferibili ad un soggetto diverso da quello che le ha prodotte. 
Egli ne risulterà quindi l’esclusivo utilizzatore. Al contrario, ci saranno 
delle conoscenze assolutamente “non vischiose”, che circoleranno molto 
facilmente fra i diversi soggetti. 
 
Tra questi estremi si svilupperà una serie ininterrotta di cono-
scenze più o meno legate al soggetto “produttore” delle stesse. Lo sforzo 
per la loro codificazione sarà tanto maggiore quanto più ci troveremo ad 
avere a che fare con le conoscenze caratterizzate da “vischiosità”, affin-
ché le stesse possano essere trasformate in conoscenze e informazioni 
utilizzabili indistintamente da qualunque soggetto nei diversi contesti di 
riferimento. 
 
Anche Beccatini e Rullani si inseriscono nel dibattito e propongo-
no un approccio che non si discosta di molto da quello di Von Hippel. 
Questi autori suddividono le conoscenze in: 
• codificate: per loro natura sono conoscenze generali e astratte, 
scambiabili attraverso linguaggi codificati, in quanto colgono es-
senzialmente gli elementi “costanti” o perlomeno simili dei diversi 
contesti; 
• contestuali: specifiche dei contesti, vengono prodotte e utilizzate 
solo all’interno degli stessi. Per tale motivo non risultano scam-
biabili attraverso linguaggi codificati ma solo attraverso la condi-
visione delle medesime esperienze. 
____________________________ 
12
 M. Sbrana, T. Torre, Conoscenza e gestione del capitale umano: la learning organization, op. cit., pag. 52. 
13
 Cfr.: Von Hippel (1994), contenuto in M. Sbrana, T. Torre, Conoscenza e gestione del capitale umano: la 
learning organization, op. cit., pag. 52. 
 16
• de-contestualizzate: conoscenze contestuali che, almeno in parte, 
sono state rese scambiabili, secondo dei linguaggi generali, trami-
te la codificazione. 
 
La de-contestualizzazione proposta da Rullani e Beccatine è un 
processo molto simile a quello proposto da Von Hippel, anche se poi loro 
compiono un ulteriore passo avanti sostenendo che le conoscenze de-
contestualizzate vadano poi ricontestualizzate affinché si rendano visibi-
li i frutti ritraibili da un tale processo. Infatti, le conoscenze che sono 
state estratte da contesti specifici, non potranno essere applicate a nuo-
ve e differenti situazioni senza la creazione di un’adeguata combinazio-
ne con le specificità del nuovo contesto di riferimento
14
. 
 
Molto interessanti in proposito appaiono gli studi condotti da No-
naka, il quale, riprendendo la distinzione di Polanyi tra conoscenze taci-
te e codificate, suggerisce un possibile modello di knowledge creation 
che, rispetto ai contributi precedenti, amplia i canali di trasferimento 
della conoscenza. Possiamo considerare il lavoro di Nonaka come un 
possibile approccio costitutivo alla concezione del rapporto tra strategia 
e gestione delle risorse umane per il raggiungimento dell’integrazione 
tra conoscenze individuali e conoscenze organizzative
15
. 
 
 
 
1.5) Gli studi di Nonaka e la spirale della conoscenza 
 
Nonaka nei suoi studi riguardanti la creazione di conoscenza 
all’interno delle organizzazioni, parte dall’idea che la teoria economica 
non abbia mai considerato la conoscenza come una risorsa che può es-
sere anche creata oltre che distribuita. Inoltre, secondo tale autore, è 
stato trascurato il ruolo relazionale della conoscenza, che si genera oltre 
che dall’apprendimento individuale, dall’interazione sociale delle orga-
nizzazioni
16
. 
 
 
 
1.5.1) I limiti delle teorie economiche nello studio della 
conoscenza 
 
  Tramite un breve excursus storico è possibile rilevare come dalle 
principali teorie economiche siano risultate assenti delle valide teorizza-
zioni relative a come la conoscenza viene creata. 
 
Già Marshall, a suo tempo, riconobbe l’importanza della produ-
zione di conoscenza all’interno dell’organizzazione, ma sebbene il suo 
interesse fosse rivolto alla dinamica economica e non alla statica, si li-
mitò, così come tutti gli economisti neoclassici, all’utilizzo della cono-
____________________________ 
14
 Cfr.: G. Beccatini, E. Rullani (1993), contenuto in M. Sbrana, T. Torre, Conoscenza e gestione del capitale 
umano: la learning organization, op. cit., pag. 53.  
15
 Cfr.: E. Rullani, “Il valore della conoscenza”, in Economia e politica industriale N.82, 1994. 
16
 Cfr.: E. Rullani, “Il valore della conoscenza”, op. cit. 
 
 17
scenza esistente, che era rappresentata essenzialmente dalle informa-
zioni di prezzo. 
 
In parole povere, l’economia neoclassica ignorava l’enorme am-
montare di conoscenze implicite ed esplicite che esulassero dalle infor-
mazioni di prezzo e lo stesso Marshall, pur partendo da buoni presup-
posti, finiva per disinteressarsi totalmente del processo mediante il qua-
le le conoscenze potevano essere create. Si dava praticamente per scon-
tato che la conoscenza necessaria all’impresa per lo svolgimento dei 
processi produttivi provenisse dall’esterno, creando quindi una netta 
separazione tra il momento della creazione e quello dell’utilizzo. 
 
Parzialmente diversi furono i frutti degli studi condotti da Hayek e 
Schumpeter, i quali riconobbero alla conoscenza una dimensione sog-
gettiva oltre che oggettiva e smisero, rispetto ai neoclassici, di conside-
rarla come un ammontare fisso, riconoscendone la sua variabilità in ba-
se al contesto e alle particolarità derivanti dalle circostanze spazio-
temporali. 
 
Fu Hayek che, pionieristicamente, fece rilevare l’importanza della 
conoscenza tacita ma non fu in grado di andare oltre in quanto non riu-
scì mai ad esplicitare il processo tramite il quale la stessa può essere 
convertita in conoscenza esplicita e non si rese neppure conto 
dell’importanza che un tale processo aveva. 
 
Tuttavia anche nelle loro concettualizzazioni viene a mancare la 
capacità di sviluppare una teoria dinamica della conoscenza che esplici-
ti il modo attraverso il quale quest’ultima può essere estrapolata da uno 
specifico contesto per diventare conoscenza esplicita. 
 
Questo limite è riscontrabile anche negli studi condotti da Penro-
se che concentra le sue ricerche sui processi interni di crescita delle a-
ziende. Secondo tale autrice, la forza dell’impresa non risiederebbe solo 
nelle risorse fisiche e umane in loro considerate, bensì nell’interazione 
tra le stesse, derivante dall’esperienza e dalle conoscenze che l’impresa 
e i soggetti sono in grado di creare e di accumulare. Nonostante avesse 
colto l’importanza dell’esperienza nell’accumulo della conoscenza, non 
si preoccupò di comprendere a fondo i meccanismi ed i processi attra-
verso i quali la risorsa umana può contribuire allo sviluppo della stessa. 
 
Questo aspetto venne approfondito, qualche decennio dopo, da 
Nelson e Winter i quali vedono l’impresa come un deposito di conoscen-
ze, immagazzinate sotto forma di schemi di comportamento regolari e 
prevedibili, definiti dagli autori come “routine”. La loro teoria valuta pe-
rò con scetticismo la possibilità di una radicale auto-evoluzione delle 
conoscenze dell’impresa e bada soprattutto al miglioramento quantitati-
vo di quella già esistente
17
. 
 
____________________________ 
17
 Cfr.: I. Nonaka, H. Takeuchi, The knowledge creating company: creare le dinamiche dell’innovazione, op. 
cit., pagg. 67-70.