delle organizzazioni criminali e delle persone che sono comunque implicate in fatti 
di rilevante spessore delinquenziale ha assunto, specie nell’ultimo quinquennio, la 
forma di una vera e propria strategia di attacco degli organi statali contro i capitali 
ed i beni di formazione illecita. 
Pertanto, le scelte di politica criminale del legislatore italiano hanno portato, 
innanzitutto, a sancire l’illiceità del riciclaggio, introducendo una serie di norme 
sanzionatorie dirette alla repressione di tale condotta e ad impostare, cioè, la 
strategia di “aggressione” in tre fasi successive: 
- l’individuazione dei patrimoni illegalmente costituiti; 
- la loro sottrazione alla disponibilità delle organizzazioni criminali 
attraverso il sequestro e la confisca; 
- la loro riutilizzazione, nell’interesse della comunità civile. 
La prima importante espressione legislativa della consapevolezza del potere 
economico delle organizzazioni criminali, è costituita dalla legge nr. 
 
646 del 13 
settembre 1982, la cd. Legge “Rognoni — La Torre”, che per la prima volta oltre a 
modificare la legge 575/1965, ha istituito un sistema organico di intervento sulle 
accumulazioni illegali, caratterizzato da indagini bancarie e patrimoniali 
“obbligatorie”, preordinate ad acquisire, nei confronti di soggetti indiziati di 
appartenenza ad associazioni di tipo mafioso, elementi di conoscenza e di 
valutazione per la individuazione e la concreta richiesta di misure patrimoniali 
(sequestro, confisca) e di misure amministrative connesse ad attività economiche 
(sospensioni e decadenze di provvedimenti autorizzativi ed abilitativi già emessi da 
autorità amministrative). 
Dal 1992 al 1996 le misure di prevenzione patrimoniali irrogate hanno fatto 
registrare risultati di sicuro rilievo, evidenziando, tuttavia, negli anni successivi un 
andamento discontinuo, ma comunque attestato su valori assolutamente residuali 
rispetto ai precedenti. Nel contempo, anche dall’analisi dei dati riferiti alle misure 
personali emergono segnali che fanno ritenere la possibilità e l’opportunità di una 
più incisiva applicazione di tali istituti, con particolare attenzione agli strumenti di 
aggressione ai patrimoni suscettibili di impieghi contra legem. E’ evidente la 
possibilità di incidere in settori in cui i processi di accumulazione della ricchezza 
hanno determinato patrimoni ingiustificati e, tuttavia, visibili, con la possibilità di 
svolgere, anche per il tramite della Guardia di Finanza, indagini patrimoniali mirate 
al fine di individuare e sottrarre tali ricchezze.    
 
Generalità sulle misure di prevenzione  
 
Le misure di prevenzione vengono introdotte nel nostro ordinamento come misure 
di carattere personale, trovando fondamento nel combinato disposto delle leggi 
n.1423 del 27 dicembre 1956 e n.575 del 31 maggio 1965, quest’ultima 
specificamente rivolta al contrasto del fenomeno mafioso. 
Nondimeno è ben noto il successivo travaglio politico e legislativo che ha portato il 
legislatore del 1982 ad individuare, quali strumenti innovativi nella lotta al crimine 
organizzato, le c.d. misure di prevenzione a carattere patrimoniale. Queste ultime 
consistono nel sequestro e nella confisca dei beni, il cui valore risulti 
sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica svolta, ovvero 
qualora sussistano sufficienti indizi che gli stessi siano il frutto di attività illecite o 
ne costituiscano il reimpiego.  
Attraverso tali misure le organizzazioni criminali, oltre ad essere aggredite sul 
fronte “operativo”, con l’individuazione e l’arresto dei loro affiliati, vengono 
depauperate con il sequestro dei patrimoni e delle disponibilità finanziarie.  
In tal senso può, pertanto, ben dirsi che la legge n. 646 del 13 settembre 1982 abbia 
segnato una svolta assolutamente radicale nella disciplina della materia, orientando 
la lotta alla “criminalità organizzata” verso la ricerca, individuazione, sequestro e 
confisca - a prescindere ed indipendentemente dal processo penale - dei patrimoni 
criminali.  
Tali patrimoni infatti non solo risultano utili al sostentamento dell’organizzazione, 
ma attraverso la loro reintroduzione nell’economia legale, la condizionano ed 
inquinano, creando distorsioni nei delicati equilibri di mercato.  
La nuova strategia di contrasto risulta ulteriormente rafforzata:  
- dall’ introduzione nel codice penale dell’art. 416 bis, che ha definito il concetto di 
associazione mafiosa;  
- dall’istituzione della figura dell’Alto Commissario, con funzioni di coordinamento 
nella lotta contro la delinquenza mafiosa e poteri di richiesta di informazioni ed 
accesso presso pubbliche amministrazioni, istituti di credito, intermediari 
finanziari etc..  
Con l’istituzione della DIA, organismo di innovativa concezione che per taluni 
aspetti è subentrato nelle funzioni del citato Ufficio dell’Alto Commissario, sono 
state istituzionalizzate forme di sinergia delle cosiddette investigazioni preventive 
con quelle giudiziarie, in modo da favorire un positivo processo osmotico tra i due 
versanti di intervento.  
In questa prospettiva, come è risultata valorizzata l’attività di investigazione 
preventiva, le cui risultanze - capaci di fornire una lettura globale dei fenomeni 
mafiosi e di prefigurare le loro linee evolutive - hanno potuto orientare l’azione di 
indagine giudiziaria, così le investigazioni preventive hanno potuto trarre benefici 
degli esiti delle attività giudiziarie.  
In tale contesto, è stata quindi esaltata anche l’azione informativa diretta a colpire, 
tramite le misure di prevenzione, i patrimoni mafiosi.  
 
Il Procedimento 
 
Il procedimento di prevenzione consiste in una sequenza di atti finalizzati 
all’applicazione dei provvedimenti. Il carattere giurisdizionale emerge da una serie 
di garanzie tipiche del processo penale:  
- i tre gradi di giudizio;  
- la posizione di terzietà del Giudice competente; 
- l’attuazione del contraddittorio e l’esercizio del diritto alla difesa durante il 
procedimento.  
Tale procedimento va comunque tenuto distinto da quello penale: 
L’autonomia dei due procedimenti, consente di individuare anche delle differenze 
rilevanti sotto il profilo probatorio. Difatti: 
— il procedimento penate richiede che la responsabilità penale per un reato sia 
fondata su prove “piene”, o al limite su indizi “gravi, precisi e concordanti”; 
— il procedimento di prevenzione, invece, prescinde dall’accertamento di tale 
responsabilità avendo come presupposto la “pericolosità del soggetto” 
rapportata a determinati parametri (quali la pericolosità che prescinde dalla 
esistenza di un reato come invece deve essere per le misure di sicurezza, 
l’attualità della pericolosità, la personalità del soggetto, l’essere indiziati di 
appartenere ad organizzazioni di tipo “mafioso” che si avvalgono della forza  
dell’intimidazione, rientrare in una delle categorie sancite dalla legge, essere 
abitualmente dediti a traffici illeciti, vivere abitualmente anche in parte di 
proventi di attività delittuose, precedenti per reati contro il patrimonio, 
contravvenzioni di polizia, ecc.). Pertanto, in tale procedimento sono richiesti 
elementi di minore efficacia probatoria che devono tuttavia raggiungere la 
consistenza dell’elemento di fatto, pur sempre fondato su un fatto certo, con 
esclusione di sospetti, congetture ed illazioni. 
— Il procedimento di prevenzione è del tutto autonomo da quello penale in 
considerazione delle diverse finalità cui entrambi tendono: la responsabilità 
penale inerisce, infatti, all’accertamento di un fatto di reato cristallizzato nel 
tempo; gli elementi di fatto che sottendono il giudizio di pericolosità sociale 
vengono invece enucleati dall’esame di una serie di comportamenti in un arco 
temporale piuttosto ampio che giustificano, in via presuntiva, il convincimento 
in capo ad un soggetto che questi è dedito al compimento di un’attività illecita 
o vive, anche in parte, con i proventi di questa. 
 
Le Misure patrimoniali nel procedimento di prevenzione.  
 
Unitamente alla risposta sul territorio al crimine organizzato, le misure di 
prevenzione patrimoniali costituiscono lo strumento più importante dell’azione di 
contrasto delle Forze di Polizia in quanto incidono sulle ricchezze dei boss, ne 
debilitano la capacità di gestire affari e depauperano la disponibilità dei clan, ne 
ledono l’immagine ed il carisma criminali, aspetti sui quali si fonda la forza 
d’intimidazione. 
Se risulta che, attraverso lo svolgimento di un’attività illecita tra quelle indicate 
dalla normativa, il soggetto ha tratto dalla stessa considerevoli guadagni, la misura 
personale, per quanto affittiva, diventa comunque sopportabile non investendo il 
patrimonio del soggetto, il quale può continuare, direttamente o per interposta 
persona, ad amministrarlo. 
Tali misure si possono così sintetizzare: 
- sospensione provvisoria dell’amministrazione dei beni; 
- sequestro e successiva confisca dei beni per i quali non è possibile dimostrare 
la legittima provenienza; 
- cauzione o prestazioni di idonee garanzie sostitutive. 
La legge 13 settembre 1982, n
0 
646 “Disposizioni in materia di misure di 
prevenzione di carattere patrimoniale ....., ha introdotto l’art. 2 ter nella legge 31 
maggio 1965, n
0 
575. Detta normativa, integrata e modificata da successivi testi 
legislativi, prevede che durante il procedimento per l’applicazione della misura di 
prevenzione della Sorveglianza speciale (con o senza divieto od obbligo di 
soggiorno ex art 3 della legge 27 dicembre 1956, n
0 
1423), il Tribunale, per le 
persone indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o equiparate, può: 
- svolgere, direttamente o indirettamente, ulteriori indagini al fine di 
verificare che vi siano sufficienti indizi che facciano ritenere i beni frutto 
di attività illecite o ne costituiscono il reimpiego, quando il loro valore 
risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta; 
- disporre, qualora tali sufficienti indizi emergano, il sequestro dei beni 
stessi e, nel caso di mancata dimostrazione di legittima provenienza, la 
successiva confisca. 
Giova sottolineare che con decreto n
0 
2773 dell’11 novembre 1985, la Corte di 
Cassazione ha esteso l’applicabilità delle misure patrimoniali anche alle persone 
socialmente pericolose di cui all’art. 1 della legge n
0 
1423/1956 sulla base di 
semplici sospetti ed elementi di fatto (e cioè qualcosa in meno degli indizi) di 
appartenenza ad associazioni di stampo mafioso o comunque localmente 
denominate. Detto orientamento giurisprudenziale ha consentito di ampliare la 
gamma dei soggetti nei cui confronti il Procuratore della Repubblica o il Questore 
possono chiedere informazioni ed accertamenti patrimoniali ai sensi della legge n. 
646/1982 (qui non viene menzionato il Procuratore Nazionale Antimafia poiché ha 
competenza specifica e di diverso spessore nell’ambito dell’applicabilità deIl’art 
416 bis C.P.). 
Per applicare una misura di prevenzione ai “mafiosi” non è necessaria una 
particolare dimostrazione dell’appartenenza del soggetto ad associazioni di tipo 
mafioso, ma è sufficiente la sussistenza di indizi di tale appartenenza, ossia di 
elementi di fatto certi nella loro esistenza,  
aventi valore sintomatico, idonei a suffragare il giudizio circa la possibile 
appartenenza del soggetto ad un’associazione criminosa avente le caratteristiche 
richieste dalla legge 646/82.   
 
Le indagini patrimoniali 
 
Occorre preliminarmente illustrare e soffermarsi brevemente sulle modalità e 
conseguenze socio-economiche dell’immissione di capitali criminali nell’economia 
legale.  
Le organizzazioni criminali hanno unito alle note forme di reinvestimento dei 
capitali illeciti - acquisizione di beni immobili o di attività imprenditoriali - più 
sofisticate metodologie, ricorrendo a prestanome estranei alla cerchia familiare ed 
occultando i movimenti di denaro con i più sottili accorgimenti finanziari-
commerciali-tributari, ed inserendosi nei processi di ristrutturazione capitalistica 
che hanno trasformato il ruolo della finanza e della grande impresa negli ultimi 
decenni.  
Dalle investigazioni si è potuto accertare, ad esempio, che la criminalità organizzata 
ha posto in essere operazioni quali:  
- acquisto di titoli di stato tramite operatori esteri coperti dalla non nominatività dei 
titoli stessi;  
- inserimento in società in temporanea difficoltà economica attraverso prestiti 
usurari;  
- acquisto frazionato di titoli al di sotto dei limiti di obbligatorietà per le 
comunicazioni agli organi di vigilanza;  
- creazione di società di leasing che emettono ed utilizzano fatture relative a canoni 
di locazione finanziaria fittizi;  
- creazione di società finanziarie dedite ai prestiti al consumo, alle  
transazioni finanziarie effettuate tramite sistemi telematici (c.d. bonifici 
elettronici).  
E’ noto, inoltre, che l’associazione criminale tende ad inserirsi nei settori a più 
ampia redditività prediligendo la costituzione di società:  
- di import-export, che consentono ulteriori possibilità di attività illecite, quale 
contrabbando di merci ad alta incidenza fiscale, e di intervenire agevolmente nelle 
dinamiche del commercio internazionale;  
- operanti nel campo degli appalti di opere pubbliche, facilmente acquisiti con 
l’impiego di forme di intimidazione nei confronti della concorrenza, ovvero 
ricorrendo ad attività di corruttela occasionale o sistematica, oppure con il sistema 
dei subappalti ottenuti grazie a metodologie operative mafiose;  
- di commercio all’ingrosso o costituite ad hoc, per acquisire indebitamente 
contributi erogati dallo Stato o dalla Comunità Europea per lo sviluppo di settori in 
crisi ovvero per l’incentivazione di attività industriali in zone economicamente 
depresse;  
- di intermediazione finanziaria in modo da penetrare più agevolmente nei circuiti 
economici internazionali sia attraverso la costituzione diretta delle aziende 
fiduciarie sia condizionando l’attività di banche di rilievo provinciale e/o regionale, 
mediante il coinvolgimento di grandi masse di denaro liquido ovvero infiltrandovi 
elementi di fiducia.  
Tali condotte possono incidere nel mercato con possibili conseguenti alterazioni 
della libera concorrenza.  
L’attività preventiva delle Forze di Polizia si è decisamente orientata 
all’aggressione dei patrimoni criminali illecitamente acquisiti, dando notevole 
impulso alle indagini patrimoniali, in linea con quanto previsto dall’art. 23 bis della 
legge 646/82, che dispone “quando si procede nei confronti di persone imputate del 
delitto 416 bis codice penale … il Pubblico Ministero ne da senza ritardo 
comunicazione al Procuratore della Repubblica territorialmente competente, per il 
promuovimento, qualora non sia già in corso, del procedimento per l’applicazione 
di una misura di prevenzione …”.  
Tale disposizione, quindi, prevede un sistematico e contestuale impiego di entrambi 
gli strumenti (c.d. doppio binario).  
A tal fine sono state standardizzate apposite procedure operative che si sostanziano 
in:  
- mappatura per area di influenza delle famiglie caratterizzanti localmente la 
criminalità organizzata, con particolare riferimento a quelle di tipo mafioso;  
- indagini anagrafiche e sui precedenti di polizia e giudiziari intese ad 
individuare affiliati e fiancheggiatori dei sodalizi;  
- controllo delle attività svolte dai soggetti così individuati, per verificarne la 
presenza nell’ambito delle attività economiche considerate localmente “a 
rischio”, per il rilevamento di segnali di infiltrazione della criminalità di tipo 
mafioso;  
- accertamenti economici, di primo momento, per raccogliere dati ed elementi 
relativi alle attività economiche facenti capo alle persone o ai gruppi individuati;  
- avvio di mirate indagini patrimoniali sulla scorta degli elementi raccolti e della 
analisi eseguita.  
La metodologia operativa delle FF.PP. nelle indagini patrimoniali, finalizzata come 
già detto all’individuazione e successiva neutralizzazione dei patrimoni mafiosi, 
prevede:  
- accertamenti patrimoniali finalizzati ad acquisire informazioni sulla titolarità 
dei cespiti immobiliari e mobiliari, presso i seguenti uffici:  
• Agenzie del Territorio;  
• Comuni ;  
• A.C.I.,  
• Capitanerie di porto;  
• Pubblico Registro Automobilistico;  
• Conservatorie dei Registri Immobiliari;  
• Agenzie delle Entrate ;  
• Enel;  
• Telecom Italia ed altri gestori di telefonia ;  
• Motorizzazione Civile; 
• U.N.I.R.E.; 
- Camere di Commercio; 
• Ministero dei Trasporti;  
• INPS o INPDAP;  
• Comandi Arma Carabinieri competenti per località sedi di case da gioco;  
- accertamenti finanziari, finalizzati ad acquisire informazioni circa la titolarità di 
rapporti intrattenuti nell’alveo del circuito creditizio/finanziario :  
• Istituti di credito;  
• Agenzie Banco Posta;  
• Finanziarie;  
• Fiduciarie;  
• S.I.M. ed altri intermediari;  
• Schedario Generale dei titoli azionari;  
• Accertamento di eventuali contributi e/o finanziamenti concessi da Enti Pubblici, 
Regioni, Stato, Unione Europea. 
 
Riutilizzazione dei beni confiscati. 
 
La disciplina della gestione e della utilizzazione dei beni confiscati è stata integrata 
e riordinata con la legge 7 marzo 1996, nr. 109, di iniziativa popolare, che 
rappresenta una delle più moderne forme di contrasto alla criminalità organizzata. 
Si tratta di una normativa che non prevede come suo elemento principale la 
punizione, bensì la restituzione alla collettività di ricchezze accumulate 
illecitamente. 
I beni oggetto di confisca possono essere le proprietà mobili (denaro in contante o 
in assegni, cambiali o altre obbligazioni di pagamento, titoli e libretti al portatore, 
automobili, ecc.), le proprietà immobiliari (case, terreni, ecc.) ed i beni costituiti in 
azienda. 
Per i beni aziendali confiscati è previsto il mantenimento al patrimonio dello Stato, 
che può disporne la vendita, la liquidazione, oppure l’affitto, a titolo oneroso, a 
società e ad imprese pubbliche o private, o a titolo gratuito, a cooperative di 
lavoratori dipendenti dell’impresa confiscata. 
Non si può fare a meno di soffermarsi sul forte valore simbolico che il legislatore 
ha imposto all’uso dei beni confiscati, in quanto tutti i beni sottratti alla criminalità 
organizzata devono essere utilizzati per scopi collettivi, legati al recupero sociale ed 
alla diffusione della legge. Essi contrassegnano le ex-proprietà criminali come 
territorio riconquistato per farne un mezzo di trasmissione, sia diretto che indiretto, 
di cultura democratica e di convivenza civile. 
In tal modo, ad esempio, dimostrando che quelle “ville” simbolo dell’opulenza 
criminale possono diventare asili, scuole, centri per anziani e che il denaro del 
narcotraffico può trasformarsi in strade, acquedotti ed illuminazione, può essere 
conquistata la fiducia dei cittadini. Per tale motivo, il fatto che a Corleone (PA) i 
bambini vadano a scuola nella villa che fu di Riina e Bagarella, e i Carabinieri della 
Stazione di Cannavo’ (RC) si siano sistemati nella villa sottratta alla cosca “Libri” 
rappresentano eventi simbolici di grande portata ed impatto sociale. 
Ma se da un lato esiste uno strumento giuridico da utilizzare, dall’altro lo spazio 
d’azione presta il fianco ad una burocrazia lenta e macchinosa, che rischia di 
rendere inefficace una provvedimento legislativo di notevole portata. A denunciarlo 
è stata l’associazione contro le mafie “Libera”: tra sequestro, confisca e stima del 
bene da parte dell’agenzia del demanio (che poi stabilisce l’assegnazione) 
trascorrono in media 4 – 5 anni; un dato sconcertante che finisce per attutire il 
colpo che lo Stato voleva infliggere alla mafia. In alcuni casi i beni immobili 
sequestrati vengono occupati abusivamente e le ordinanza di sfratto “pendono”, 
ritardi nella destinazione dei beni dovuti al sovraccarico di lavoro ereditato dalle 
precedenti amministrazioni, imprecisioni documentali e la colpevole negligenza di 
vari uffici che impedisce di assestare il “colpo” che la criminalità merita. Ma le 
difficoltà non mancano: le amministrazioni comunali infatti spesso sono esposte a 
contenziosi per entrare in possesso del bene per non parlare della pressione operata 
dalla criminalità, attraverso atti intimidatori e minacce varie. L’obiettivo resta 
quello di rendere più dinamico questo strumento normativo, snellendone le 
procedure, senza trascurare un tavolo di concertazione tra tutte le Istituzioni 
interessate dalla problematica, in modo rafforzare quella sinergia per superare 
quelle incomunicabilità che producono ritardi. 
C’è anche chi propone di mettere all’asta i beni confiscati alla mafia, come ad 
esempio l’associazione dei “Parenti delle vittime di via dei Georgofili” di Firenze; 
l’intervento dell’associazione è motivato dalle difficoltà delle vittime degli attentati 
di 10 anni fa ad avere i risarcimenti, ma è pur vero che una prospettiva del genere 
può comportare il rischio che siano gli stessi mafiosi o loro prestanome a 
ricomprarli, vanificando così le intenzioni del Legislatore.       
 
Proposte di modifica normativa  
 
Le misure di prevenzione, come già detto, costituiscono strumento privilegiato e 
momento fondamentale per l’aggressione alle organizzazioni criminali ed ai loro 
patrimoni, suscettibili di impieghi contra legem, ma anche di utilizzo nei sistemi 
finanziari con evidenti effetti distorsivi - concorrenza sleale, acquisizione di beni e 
società al di fuori delle regole del mercato, ecc..  
L’azione quotidiana di contrasto ha trovato alcuni limiti oltre che per gli ostacoli di 
natura tecnica che le organizzazioni criminali pongono alle attività investigative e 
repressive anche per alcune lacune legislative ed interpretazioni normative talvolta 
eccessivamente restrittive.  
Le proposte, che in questa sede si intendono presentare a compendio di una 
decennale esperienza nel settore, possono così indicarsi :  
- emanazione di un Testo Unico in materia. Nell’arco dell’ultimo ventennio la 
possibilità di aggredire i patrimoni illecitamente costituiti si è estesa man mano 
dai soggetti a cui sono ascrivibili le fattispecie di cui all’art. 416 bis c.p. 
(associazione per delinquere di stampo mafioso) e quella di associazione 
finalizzata al traffico di stupefacenti e, poi, ai soggetti indicati ai n. 1 e 2 del I 
comma dell’art.1 della legge n.1423/56 (coloro che debba ritenersi siano 
abitualmente dediti a traffici delittuosi e coloro che debba ritenersi vivano 
abitualmente, anche in parte, coi proventi di attività delittuose), fino ad arrivare 
a coloro per i quali sono configurabili i reati previsti dagli art. 629  
(estorsione), 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione), 644 (usura), 648 
bis (riciclaggio), 648 ter (impiego di denaro, beni o utilità di provenienza 
illecita) del codice penale ed il reato di contrabbando (art. 14 legge n. 55 del 
1990). LIMITE: la normativa non colpisce alcuni reati ….   
Tuttavia esistono altre fattispecie delittuose che appaiono idonee a generare ed 
accumulare ricchezza illecita, quali ad esempio l’associazione finalizzata al 
contrabbando, il reato di cui all’art. 12 quinquies della legge n.356/92 
(trasferimento fraudolento di valori) ed altri reati in materia di stupefacenti.  
Sarebbe pertanto opportuno:  
• estendere anche a tali reati la possibilità di aggredire i patrimoni illecitamente 
accumulati mediante la predisposizione di proposte per l’applicazione di 
misure di prevenzione patrimoniali;  
• rafforzare il presupposto legislativo imponendo l’applicazione di misure di 
prevenzione in presenza di soli indizi purché questi conducano a un giudizio 
di certezza sul fatto. Il procedimento di prevenzione, così come ha più volte 
ribadito la Corte di Cassazione, ha come presupposto la pericolosità del 
soggetto e tale giudizio si fonda su elementi dotati di minore efficacia 
probatoria di quelli che riguardano il procedimento penale senza che essi 
tuttavia rimangano a livello di sospetti, congetture e illazioni.  
Ecco il motivo per cui si ritiene opportuno che l’intera materia sia 
disciplinata in un Testo Unico;  
- proponibilità di misure patrimoniali disgiunte da quelle personali. Nella 
vigente normativa antimafia il patrimonio illecitamente costituito può essere 
aggredito solo ed unicamente in via congiunta con l’emergere dell’aspetto 
soggettivo legato al concetto di pericolosità sociale richiesto per l’applicazione 
della misura di prevenzione personale.  
In assenza di ciò, salvo che non ci si trovi nella condizione di un procedimento 
già avviato connesso ad un pregressa sottoposizione a misura personale, non è 
consentito l’utilizzo della misura patrimoniale del sequestro e della confisca, 
ossia di quei provvedimenti ablativi che recedono rispettivamente in via 
temporanea e definitiva il rapporto di titolarità di beni.  
E’ quindi di fondamentale importanza, nel futuro scenario dell’antimafia, poter 
colpire ed incidere su patrimoni illeciti a prescindere dalla personalità dei loro 
detentori;  
- estensibilità delle misure patrimoniali agli eredi. Occorre ammettere 
l’applicabilità delle misure patrimoniali agli eredi, in caso di decesso 
dell’originario intestatario dei beni, sia perché permane l’illecita costituzione del 
cespite ab origine sia per gli effetti distorsivi nel circuito economico legale;  
- estensione dei poteri attribuiti al Direttore della DIA. Si propone di attribuire 
al Direttore della DIA il potere propositivo nei confronti di quei soggetti cui 
viene contestata l’aggravante di cui all’art.7 del D.L. 152/91, convertito nella 
Legge 203/91, ossia per l’essersi avvalsi delle condizioni previste dall’art.416 
bis c.p. ovvero per aver favorito l’attività delle associazioni previste dallo stesso 
articolo (416 bis c.p.). Ciò potrebbe costituire un ulteriore strumento finalizzato 
a contrastare il fenomeno mafioso, potendo incidere anche nella fascia dei 
cosiddetti fiancheggiatori, da sempre nell’orbita delle organizzazioni mafiose; 
- modifica legislativa dell’art.10 della legge 575/65 nel senso di una espressa 
estensione degli effetti della decadenza da licenze, autorizzazioni, ecc. anche 
nei confronti dei congiunti dell’indiziato di mafia;  
- Un diverso trattamento sanzionatorio e la previsione di limiti edittali anche 
per la pena pecuniaria in caso di violazione della normativa in tema di appalti, 
subappalti e cottimi non autorizzati. 
- sensibilizzazione in ambito U.E. in ordine alle problematiche in questione, 
evidenziando l’esigenza di un’armonizzazione anche con  
la raccomandazione prevista dal Protocollo aggiuntivo e dalla Decisione del 
Consiglio del 28/05/2001 in relazione alla creazione di una rete europea di 
prevenzione della criminalità.