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Introduzione 
 
 
 
 
La “crisi migratoria” o “crisi dei rifugiati” che hanno avuto inizio con l’esplosione delle 
Primavere arabe nel 2011 hanno portato centinaia di migliaia di individui ad abbandonare le loro 
case per cercare salvezza in Europa. Quello che, in principio, sembrava un evento destinato ad avere 
una durata e un impatto limitato, si è rilevato, invece, essere prodromico per un fenomeno sistemico 
che è andato aumentando di portata e intensità col passare degli anni, cioè i flussi migratori verso 
l’UE. Ciò che è cambiato nel corso del tempo non è stata solo l’intensità del fenomeno migratorio, 
ma anche la sua composizione, coinvolgendo nazionalità differenti e adducendo differenti 
motivazioni. Ciò che non è cambiata, invece, è stata la conclamata l’incapacità dell’Unione 
Europea, delle sue istituzioni e degli stessi Stati membri nell’affrontare questo fenomeno. Sono 
mancate politiche migratorie e d’asilo univoche, corali e soprattutto sistemiche, che prendessero il 
posto degli interventi di tipo emergenziale che hanno invece segnato il corso di questi anni. La 
“crisi dei rifugiati” ha mostrato il lampate fallimento dell’armonizzazione della protezione dei 
rifugiati a livello dell’Unione Europea. Quindi la “crisi migratoria” o “crisi dei rifugiati” è forse più 
propriamente definibile come una crisi delle politiche migratorie e di asilo, una crisi di fiducia, 
solidarietà e responsabilità reciproca fra gli Stati membri, in cui questi ultimi hanno cercato di non 
impegnarsi a ricevere i richiedenti asilo che non fossero già presenti nel loro territorio, 
rimpallandosi vicendevolmente le responsabilità e quindi gli oneri ad essa connessi (Zaun 2017, 2; 
Bendel e Ripoll Servent 2018, 61).  
Prima di iniziare con la dissertazione di questa tesi è doveroso specificare cosa si intende per 
“politica delle migrazioni” e alle connesse policies. Con “politica delle migrazioni” intendiamo quel 
complesso processo in cui vari attori politici, sociali ed economici negoziano l’accesso e 
l’appartenenza a una determinata comunità politica, con la comprensione che gli attori non si 
limitano all’arena nazionale (Weinar, Bonjour e Zhyznomirska 2019, 2). Ci rifaremo quindi alla 
ormai classica distinzione coniata da Thomas Hammar (1985) che, analizzando le politiche 
migratorie, individuò in esse due parti distinte ma interconnesse: «immigration regulation and
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aliens control», cioè quelle politiche che si riferiscono alle regole e procedure che governano la 
selezione e ammissione al territorio nazionale di cittadini di paesi stranieri; e «immigrant policy», 
cioè quelle politiche che si riferiscono alle condizioni fornite agli immigrati residenti, comprendente 
tutte le questioni che influenzano la condizioni degli immigrati (lavoro e condizione abitativa, 
servizi sociali, opportunità educative ecc.). Le politiche d’asilo, nostro oggetto di studio, ricadono 
principalmente nella prima definizione, benché alcuni aspetti – come le condizioni garantite alla 
prima accoglienza e i diritti connessi allo status di rifugiato, che analizzeremo nei Capitoli III e IV – 
rientrino indubbiamente nella seconda definizione.  
Il fenomeno migratorio e la sua gestione sono imprescindibilmente connessi a più livelli di 
governo e governance, sebbene per lungo tempo sia stato principalmente associato alle politiche 
nazionali. Un fenomeno così globale come quello migratorio necessita dell’interazione fra differenti 
livelli, da quello più ampio delle Organizzazioni Internazionali (International Organizations, IOs) a 
quello locale, passando per i livelli europeo e nazionale, in una sorta di schema piramidale 
rovesciato (Adam e Caponio 2019). È stato quindi coniato, di fronte al crescente consolidamento 
delle istituzioni sovrannazionali europee – come vedremo nel corso di questo lavoro – e al 
decentramento dei poteri verso livelli inferiori di governo e attori non pubblici, il concetto di multi-
level governance (Hooghe e Marks 2001; Piattoni 2012; Zincone e Caponio 2006). Tale concetto, 
con la sua specifica enfasi sulle intersezioni fra interazioni intergovernative verticali e relazioni 
orizzontali stato-società, ci permetterà di indagare al meglio le politiche d’asilo europee e nazionali.  
La natura stessa delle politiche d’asilo ha enfatizzato la sua natura normativa e ha portato, nel 
corso degli ultimi anni, ad una crescente politicizzazione del dibattito che vi si è sviluppato attorno 
(Bendel e Ripoll Servent 2018, 66), di cui cercheremo di comprendere i risvolti nel corso di questo 
lavoro.  
L’obbiettivo di questa mia tesi è proprio quello di cercare di analizzare e comprendere lo 
sviluppo e l’attuale configurazione - a livello europeo ed italiano - delle politiche d’asilo e 
migratorie, quali attori e normative entrino in gioco e quali siano gli spazi di azione e di inazione, al 
fine di delineare un quadro quanto più limpido ed esaustivo della tematica. Cercheremo in questo 
lavoro di rispondere ad alcune domande centrali nell’analisi delle politiche d’asilo e migratorie, in 
particolare: «Come si è sviluppata la normativa internazionale nel settore dei rifugiati e richiedenti 
asilo?», «In che modo la normativa internazionale ha influenzato lo sviluppo delle politiche d’asilo 
europee e nazionali?», «Come sono cambiate le politiche europee in materia di asilo e in che modo 
le istituzioni europee hanno contribuito al cambiamento?», «La normativa d’asilo europea è
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davvero il minimo comune denominatore?», «Come si sono sviluppate le politiche d’asilo italiane e 
in che modo il processo di europeizzazione le ha influenzate?» e per finire «Quali sono le 
prospettive future per le politiche migratorie europee e italiane?». Questo lavoro cercherà di dare 
risposta ad una domanda di ricerca più generale, quella cioè di «Perché le politiche d’asilo europee 
hanno fallito?», prendendo come spunto l’ormai classico quesito di Castles (2004).  
Il nostro viaggio all’interno delle politiche d’asilo partirà, nel primo capitolo, con una breve 
introduzione sulla storia delle migrazioni per poi concentrarsi nel delineare il quadro storico e 
politico che ha portato alla cosiddetta “crisi dei rifugiati” esplosa nel 2011 a seguito delle Primavere 
arabe.  
Nel secondo capitolo il nostro sguardo verterà sulla legislazione internazionale concernente la 
tematica dei rifugiati e delle migrazioni: nella prima sezione analizzeremo lo sviluppo della tutela 
dei diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo; nella sezione successiva indagheremo 
approfonditamente la Convenzione di Ginevra; nella terza sezione ci occuperemo del diritto d’asilo 
nel suo impianto teorico più ampio e nello specifico del principio di non-refoulement; 
concluderemo il capitolo con l’analisi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della 
giurisprudenza della Corte di Strasburgo.  
Il terzo capitolo, invece, verterà sulla normativa e sulle competenze europee. Inizieremo il 
capitolo analizzando, con un approccio diacronico, lo sviluppo delle politiche d’asilo europee. Nella 
seconda sezione studieremo dettagliatamente le varie istituzioni e agenzie europee specifiche del 
nostro settore di studio, andando a scoprire qual è stato il loro contributo nella formulazione delle 
politiche d’asilo, come sia avvenuto il cambiamento di policy e quali siano state le dinamiche 
intercorse nel processo di formulazione. Nella sezione finale analizzeremo la normativa europea di 
riferimento e cercheremo di scoprire se è vera l’affermazione secondo cui le politiche d’asilo 
europee rappresentino il “minimo comune denominatore” fra gli Stati membri. 
Il quarto capitolo sarò invece incentrato sull’Italia. Nella prima sezione osserveremo lo 
sviluppo diacronico delle politiche d’asilo italiane, dai suoi albori fino all’attuale strutturazione. 
Nella seconda sezione ci occuperemo della normativa italiana, con un importante focus sull’asilo 
costituzionale. Il sistema di accoglienza italiano sarà l’oggetto della terza sezione, che analizzeremo 
in un modo innovativo. Ci immedesimeremo, infatti, nel percorso di accoglienza che compie un 
richiedente asilo giunto in Italia, ripercorrendo le varie tappe createsi a seguito del nuovo assetto del 
sistema di accoglienza introdotto dalla recente normativa. L’ultima sezione servirà per ricapitolare
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lo sviluppo delle politiche d’asilo italiane, indagando in che modo l’UE abbia influito sulle norme 
nazionali.  
Prima di concludere, nel quinto capitolo, cercheremo di dare un’istantanea dell’attuale 
situazione delle politiche d’asilo e migratorie europee ed italiane. Nella prima sezione analizzeremo 
le politiche di rimpatrio e il processo di esternalizzazione delle politiche migratorie e dei controlli di 
frontiera che si è sviluppato in risposta all’aumento flussi migratori recenti diretto verso l’UE. Nella 
seconda sezione studieremo nel modo più completo possibile la proposta della Commissione 
europea sulla riforma Dublino IV e il successivo rapporto Wikström del Parlamento europeo (PE), 
cercando di capire per quale motivo il dibattito e le negoziazioni sulla riforma si trovino attualmente 
in una situazione di stallo. Nell’ultima sezione svolgeremo un’interessante indagine sulle possibili 
proposte nel breve e lungo periodo atte a controllare e gestire i flussi migratori in una maniera 
rispettosa dei diritti fondamentali dei migranti e degli interessi degli Stati membri.  
Infine, nel sesto capitolo, ripercorreremo lo studio condotto in questo lavoro e proveremo a 
trarne le conclusioni, sollevando alcuni importanti dubbi e suggerendo alcuni spunti di ricerca 
futuri.  
Diventa quindi imprescindibile, per poter comprendere il mondo attuale e poter esercitare i 
propri diritti politici in maniera critica, uno studio della tematica oggetto di questo lavoro quanto 
più possibile approfondito e rigoroso. La poliedricità del fenomeno migratorio - con le sue 
implicazioni giuridiche, sociali e politiche – può e deve essere oggetto di studio privilegiato per 
studiosi delle Scienze Politiche a cui è permesso, grazie alla multidisciplinarietà dei loro studi, di 
approcciarsi al nostro oggetto di ricerca con uno sguardo complessivo, scevro dalla specificità ed 
esclusività di un’unica disciplina di studi. Proprio per questi motivi, oltre che per un genuino e 
affascinato interesse personale, ho deciso di intraprendere lo studio delle tematiche d’asilo e 
migratorie. Il mio obbiettivo, con questo lavoro, è stato quello di cercare di produrre un elaborato il 
più completo ed esaustivo possibile – nei limiti della sua finalità – al fine di comprendere a fondo le 
sfide che ci vengono poste innanzi da un mondo in continua evoluzione e, se possibile, di cercare di 
individuare soluzioni accettabili e degne di tale nome, in linea con gli impegni umanitari che ogni 
paese – che si voglia considerare democratico – deve rispettare e in osservanza delle vigenti norme 
internazionali, europee e nazionali.
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I Quadro storico e politico 
 
 
 
 
Il capitolo, concepito per essere introduttivo, fornirà al lettore gli strumenti storici e politici per 
incardinare il fenomeno migratorio nel contesto attuale. Nella prima sezione, con una veloce e 
purtroppo non esaustiva disanima del fenomeno migratorio dagli albori dell’umanità fino ai più 
recenti fenomeni degli anni ’90, daremo uno sguardo a quella che è stata la storia delle migrazioni. 
Nella seconda sezione tratteremo, cercando di essere il più sintetici ma esaustivi possibile, gli eventi 
comunemente definiti come “Primavere arabe” e la crisi siriana, prodromi dei fenomeni migratori 
che interessano oggigiorno il nostro continente.  
Prima di inoltrarci nel capitolo è però necessario spiegare cosa intendiamo per migrazioni e 
migranti. Secondo il Glossario dell’International Organization for Migration (IOM in seguito) (IOM 
2019) il termine migrazione definisce:  
«The movement of persons away from their place of usual residence, either across an 
international border or within a State. » 
mentre il termine migrante:  
«An umbrella term, not defined under international law, reflecting the common lay 
understanding of a person who moves away from his or her place of usual residence, whether 
within a country or across an international border, temporarily or permanently, and for a variety of 
reasons. The term includes a number of well-defined legal categories of people [...]; as well as 
those whose status or means of movement are not specifically defined under international law [...].» 
Appaiono evidenti quindi la difficoltà che si riscontrano, anche solo nel tentativo di definizione 
dei termini stessi. Invece, a fini statistici, viene generalmente utilizzata la definizione coniata nel 
1998 dallo United Nations Department of Economic and Social Affairs (UN DESA 1998) per i 
migranti di lungo periodo:
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«A person who moves to a country other than that of his or her usual residence for a period of 
at least a year (12 months), so that the country of destination effectively became his or her new 
country of usual residence. From the perspective of the country of departure the person will be a 
long-term emigrant and from the perspective of arrival the person will be a long-term immigrant. »  
È importante ribadire che le definizioni poste sopra rispondono alla domanda «chi è un 
migrante?», ma queste risposte ribadiscono che tali definizione e misurazioni sono storicamente, 
socialmente e politicamente contingenti. Le conoscenze e distinzioni che produciamo sulle 
migrazioni svolgo, però, un ruolo vitale nel generare possibilità di azione politica e di policy per 
definire le condizioni d’ingresso, identificare il “rischio” ed escludere gli “estranei” (Carmel e Kan 
2019, 73).  
Quel certo «feticismo categoriale» (Crawley e Skleparis 2018) che porta alla creazione di volta 
in volta delle categorie di “rifugiato”, “migrante economico” o altro, e la conseguente scelta di 
etichettare un individuo in un modo piuttosto che in un altro, è un processo profondamente e 
potentemente politico (Zetter 2007).  
La più semplice e veloce categorizzazione dicotomica fra “rifugiato” e “migrante” crea dei 
problemi in quanto spesso si può passare da una categoria all’altra molto velocemente. In aggiunta, 
essa non dà ragione della complessità delle vite degli individui che difficilmente possono essere 
rinchiuse in una sola categoria, con percorsi migratori che spesso sono e vengono strutturati nel 
tempo, con decisioni e spostamenti intrapresi nel corso di anni (Collyer e de Haas 2012; Crawley e 
Skleparis 2018).  
Le categorie, infine, hanno delle conseguenze che, come vedremo nel corso di questo lavoro, 
danno ad alcuni il diritto alla protezione, l’accesso a dei diritti e a delle risorse, mentre 
contemporaneamente vengono negati ad altri (Crawley e Skleparis 2018, 59).  
Le categorie legali sono, però, al tempo stesso importanti e insignificanti in quanto definiscono 
uno status o respingono in un’assenza di status, con conseguenze potenziali in termini di diritti 
positivi e negativi, ma tali categorie non influenzano in nessun modo la maniera in cui le persone 
sono percepite e trattate nel quotidiano dalla burocrazia e dalla popolazione (Fassin 2018, 61)
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.  
Benché a livello accademico sia stato più volte ribadito che le migrazioni si mischiano ad ogni 
livello del processo migratorio, i policy-makers e le agenzie multilaterali, come l’UNHCR, 
 
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 Rimandiamo per una più completa disamina sul valore delle vite, fra cui quelle di rifugiati e migranti, dal punto di 
vista filosofico e antropologico all’interessante lavoro di Fassin, D. Le vite ineguali (trad. Lorenzo Alunni), 
Giangiacomo Feltrinelli editore, Milano, 2019.
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continuano ad insistere, contro le evidenze, che i migranti, specialmente economici, scelgono di 
muoversi per migliorare le loro vite. I rifugiati, invece, sono costretti a scappare per salvare le loro 
vite e preservare la loro libertà (Schuster 2016).  
Per quel che concerne il fine di questo capitolo, utilizzeremo il termine ampio e inclusivo 
delineato dall’IOM. Nel secondo capitolo, invece, definiremo nello specifico le fattispecie di 
rifugiato e richiedente asilo in modo da avere ben chiaro il quadro di riferimento durante la nostra 
analisi della normativa internazionale e nell’intero corso di questo lavoro.
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1. Breve storia delle migrazioni 
Fin dagli albori dell’umanità l’uomo si è spostato ed è migrato per i più svariati motivi: per 
ricercare cibo, a causa di eventi climatici, per scappare dai predatori o dai nemici che volevano 
eliminarlo o semplicemente per sete di avventura e conoscenza. La capacità di spostarsi da un luogo 
all’altro è intrinseca nella natura umana ed è prerogativa preziosa per adattarsi e migliorare le 
condizioni di vita. Nella storia sono numerosi gli eventi, narrati ai posteri o non, che vedono l’uomo 
come motore di importanti migrazioni.  
Partendo dal principio, senza le migrazioni dei primi ominidi che lasciarono l’Africa 
equatoriale, forse saremmo rimasti confinati in un fazzoletto di terra. L’occupazione graduale del 
mondo fu il risultato di due forze congiunte: la prima, la capacità di riprodursi ed accrescersi 
demograficamente; l’altra, la capacità di spostarsi, cioè di migrare. Il popolamento del continente 
europeo, ad esempio, sarebbe avvenuto lungo la direttrice sud-est nord-ovest con un lento cammino 
di penetrazione e d’insediamento di migranti che estendevano la coltivazione dei campi in nuove 
terre e le insediavano con case e villaggi. Una lenta onda di avanzamento favorita dalla crescita 
demografica e attratta dalla disponibilità di nuovi territori (Livi Bacci 2014, 13).  
Queste forme di migrazioni preistoriche avvenivano in territori vuoti o comunque con 
bassissime e disperse densità di popolamento. Esse non venivano a contatto con altri abitatori, e non 
si ponevano in competizione con loro per le risorse. Nella storia degli ultimi duemila anni, con un 
mondo sempre più densamente popolato, queste condizioni di diffusione incontrastata sono state 
sempre più rare. I migranti hanno dovuto confrontarsi con le popolazioni locali, contrattando le 
modalità di convivenza oppure imponendole o subendole, a seconda dei rapporti di forza e delle 
circostanze. I processi migratori generano conflitto, confronti, mescolanze, ibridazioni – di natura 
culturale, sociale e bio-demografica. Estremamente importanti sono le migrazioni che avvennero 
durante tutto il corso dell’Ottocento fino al primo decennio nel Novecento. In Europa si erano 
chiusi gli spazi vuoti e sparsamente insediati che avevano attratto le migrazioni di insediamento del 
passato. Si aprivano «nuovi mondi» fuori dall’Europa che nei secoli precedenti avevano ricevuto 
solo un modesto rivolo d’immigrazione (ivi, p. 61 e passim). Per meglio comprendere queste 
migrazioni è necessario considerare le peculiarità delle stesse. L’accelerazione della crescita 
demografica, il graduale aumento della produttività agricola, la formazione di una quota crescente 
di forza lavoro scarsamente remunerata o disoccupata, l’accelerazione dell’integrazione economica 
del mondo e la ricerca di equilibri mondiali che travalichi i confini nazionali sono alcuni dei
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fenomeni, tra loro connessi, che hanno portato a determinare i movimenti di massa nel Secolo 
lungo. L’«esportazione netta» di risorse umane tra l’inizio dell’Ottocento e la fine della Prima 
guerra mondiale fu dell’ordine di una cinquantina di milioni di persone (su una popolazione che nel 
1800 ne contava 188). Fu un grande fenomeno sistemico, che investì l’intero continente e non il 
risultato di aggiustamenti parziali di una società rurale fortemente radicata alla terra. L’emigrazione 
raggiunse il suo massimo nel primo quindicennio del Novecento, quando tra un milione e un 
milione e mezzo di europei lasciò il continente, ogni anno, per destinazioni d’oltremare. Con 
l’inoltrarsi del Novecento vennero a cessare le condizioni che avevano reso possibile la grande 
emigrazione transoceanica, si allentò la domanda di manodopera dei paesi di tradizionale 
destinazione e si attenuò la crescita demografica dell’Europa (Livi Bacci 2014, 66 e passim).  
La migrazione non è però solo frutto delle conseguenze delle disparità economiche e politiche. 
La migrazione è regolata e definita da varie forze, due delle quali sono l’economia e la società. 
L’economia e la sua domanda specifica di lavoro qualificato o non qualificato sono di fondamentale 
importanza perché hanno il potere sociale di definire le dimensioni e la struttura dei mercati del 
lavoro verso cui i migranti devono adattarsi. L’approccio istituzionale, d’altro canto, è centrale nello 
spiegare perché e quale tipo di migrazione prende piede. Sottolinea il significato delle politiche e 
delle procedure amministrative per canalizzare i flussi migratori. Le due forze certamente 
interagiscono: le imprese e i loro rappresentanti politici formulano le loro richieste e i loro interessi 
economici, influenzando le regole istituzionali. L’economia e le istituzioni sociali aprono e 
chiudono le porte per i migranti, definendo e differenziando fra mobilità spaziale e migrazione. 
Solitamente, solo alcune forme di mobilità spaziale sono percepite come migrazione – un fatto non 
riflesso nella definizione piuttosto generale e tecnica di migrazione data dalla Raccomandazione 
delle Nazioni Unite del 1998 – che abbiamo visto in apertura del capitolo. Seguendo queste linee 
guida, i cittadini UE che si muovono all’interno dell’UE sono considerati dei migranti anche se 
solitamente questo non accade (Baganha, et al. 2006, 19). 
Ed è proprio questo quello che accadde in Europa passate le due guerre mondiali col loro 
incalcolabile costo di vite umane e i loro sconvolgimenti senza paragoni nella storia, anche in 
riferimento ai trasferimenti di popolazione. L’emigrazione nel vecchio continente non fu più diretta 
verso l’esterno, ma complice anche la creazione delle Comunità europee, si diresse verso i paesi 
economicamente più forti come la Gran Bretagna, la Francia, la Germania e il Benelux. Tramite 
l’analisi dei flussi migratori diretti verso l’Europa a partire dalla Seconda Guerra Mondiale si 
possono individuare tre distinti periodi: quello successivo alla guerra e precedente alla crisi
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petrolifera; quello compreso fra la recessione economica fra gli anni ’70 e gli anni ’80; infine, 
quello conseguente il decollo economico degli anni ’90 (Baganha, et al. 2006, 20) 
Secondo valutazioni delle Nazioni Unite, tra il 1950 e il 1970 l’Europa occidentale assorbì 
un’emigrazione netta di 6.6 milioni e quella meridionale generò un’emigrazione netta equivalente 
(6.3 milioni) (Livi Bacci 2014, 80). In questo periodo i paesi dell’Europa occidentali cercarono 
attivamente di attingere a nuovi gruppi di lavoratori. A tal fine firmarono strategicamente degli 
accordi bilaterali per il reclutamento di manodopera straniera e facilitarono il ricorso a procedimenti 
giudiziari per il rilascio di permessi di soggiorni a migranti economici che passavano le loro 
frontiere. Questa enorme importazione di lavoro venne favorita supponendo che i milioni di 
lavoratori stranieri sarebbero rimasti solo temporaneamente. L’idea era quella che dopo aver 
realizzato i propri progetti, una parte significativa degli immigrati sarebbe tornata nei loro paesi di 
origine, mentre un’altra parte sarebbe partita solo quando l’economia avrebbe smesso di avere 
bisogno di stranieri per lavori duri e faticosi. I rimanenti avrebbero formato un piccolo residuo, 
senza costituire gravi problemi sociali o culturali. La recessione economica che seguì la crisi 
petrolifera degli anni ’70 falsificò questo presupposto (Baganha, et al. 2006, 21). 
A partire dagli anni ’70 del Novecento l’Europa occidentale si scoprì, suo malgrado, essere 
diventata una regione di immigrazione e importatrice di risorse umane benché la crisi petrolifera del 
1973-74 avesse posto fine al processo migratorio verso i paesi forti, dando il via ad una fase di 
ristrutturazione economica. Nel frattempo, i paesi dell’Europa meridionale, che erano stati fino a 
quel momento fornitori di manodopera, stavano perdendo la loro esuberanza demografica e la 
forbice del divario economico con il nord Europa si restringeva. Un’ultima coda del movimento 
dall’Europa debole a quella forte si avrà negli anni ’90 col crollo del blocco sovietico e l’entrata dei 
paesi del Patto di Varsavia nell’orbita occidentale. Si calcola che tra il 1990 e il 2010 l’Europa 
abbia attratto 28 milioni di immigrati. C’è anche un fatto nuovo: l’immigrazione proviene da altri 
continenti e per la prima volta, dai secoli del basso Medioevo, ha una funzione di riequilibrio 
demografico oltre a quella, tradizionale, di funzione economica. Si tratta di una popolazione che ha 
una funzione di rimpiazzo e che è chiamata non tanto a sostenere la crescita ma a prevenire il 
ritrarsi delle economie del continente (Livi Bacci 2014, 81).  
Gli aspetti strutturali delle migrazioni sono strettamente collegati ai processi economici dei 
paesi di destinazione. Contrariamente alla credenza comune, il processo di globalizzazione 
economia non ha solo creato un numero crescente di opportunità per manodopera altamente 
qualificata in attività come servizi bancari, finanziari, assicurativi o di comunicazione, ma anche