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INTRODUZIONE
Questa tesi di laurea si pone l’obiettivo di fornire un quadro generale su quanto
noto sulla religiosità durante l’età del Ferro nell’area alpina, e in particolare in
Valcamonica.
Questo testo comincia fornendo un’idea di quelle che sono le scoperte avvenute
fino ad oggi nell’ambito delle incisioni rupestri e le tecniche elaborate per
garantire un’eccellente rilievo e dunque uno studio accurato, fondato su basi
scientifiche. Si rivela perciò necessario fornire anche un riassunto della storia
delle ricerche per poi passare all’analisi accurata della cronologia.
Le raffigurazioni simboliche, almeno quelle legate al culto, sono registrate in ogni
fase stilistica e temporale dell’arte rupestre in Valcamonica; ponendo tali
raffigurazioni a confronto con rappresentazioni di territori limitrofi o con il
ritrovamento di materiali archeologici, è possibile comprenderne meglio il
significato o ipotizzarne la funzione.
Si proseguirà poi ampliando leggermente lo sguardo a tutta l’area alpina e ad altri
tipi di manifestazioni di culto. Infatti, non sono solo le rocce a fornirci esempi di
religiosità e di simbolismo ma anche i roghi votivi e le offerte alle acque.
Il nucleo fondamentale di questo testo riguarda le figure di divinità che nel
periodo dell’età del Ferro sembrano finalmente possedere una personalità ben
delineata e non sono più rappresentate da oggetti evocativi e simbolici, bensì
hanno un nome preciso e possono essere associate a divinità note anche in altre
culture, come quella romana o quella celtica.
La divinità Cernunnos, in particolare, ci permette di far luce su una questione
piuttosto interessante: quanta effettiva influenza possano aver avuto i popoli alpini
e, in particolare, i Camunni verso queste altre culture? Quanto delle tradizioni,
credenze e usanze camune si è tramandato ai Celti o ai Romani?
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L’ARTE RUPESTRE DELLA VALCAMONICA
LA STORIA DELLE RICERCHE
L’arte rupestre è un ambito di ricerca sempre più studiato che può fornirci
interessanti notizie su quegli aspetti culturali e tradizionali meno noti, come, in
special modo, quello della religiosità. I due più grandi complessi figurativi
nell’arco alpino sono quelli della Valcamonica (Arcà, Fossati, 1995) e del Monte
Bego (Arcà, 2011).
Gli studi di arte rupestre della Valcamonica cominciano con la “riscoperta” del
masso di Cemmo, già conosciuto dai locali come <<Preda dei Pitoti>>, cioè pietra
dei pupazzetti (De Marinis, Fossati, 2012).
Questa venne segnalata nel 1914 da Walther Laeng, geografo, all’interno di una
guida turistica ma cominciò effettivamente ad essere studiata nel 1929, quando gli
studiosi Paolo Graziosi e Giovanni Marro, giunsero in Valcamonica proprio per
osservare le incisioni (Laeng, 1914; De Marinis, Fossati, 2012).
Accanto alla pietra dei pupazzetti, Marro trovò ben presto un secondo masso
istoriato; i due <<Massi di Cemmo>> costituiscono il punto di partenza per le
esplorazioni e gli studi sull’arte rupestre in Valcamonica. Il protagonista di questa
fase pioneristica insieme a Giovanni Marro fu Raffaello Battaglia: egli propose
una suddivisione delle incisioni in gruppi che si distinguono a livello topografico
e che oggi è ancora tenuta in considerazione (conosciamo il gruppo di Paspardo,
di Cemmo, di Cimbergo…) (De Marinis, Fossati, 2012).
Oggi due punti delle teorie di Battaglia non sono considerati validi e cioè
l’affermazione secondo cui le incisioni più antiche risalissero all’età del Ferro e la
teoria secondo cui le incisioni furono praticate tramite l’utilizzo di strumenti di
metallo (De Marinis, Fossati, 2012).
La Valcamonica si è formata in seguito allo scioglimento dei ghiacciai nelle alpi
centrali. Le rocce lavorate dagli abitanti di questo luogo sono differenti in base
alla zona geografica: nella media e bassa valle, e cioè nell’area che va da Pisogne
a Sellero-Grevo, le incisioni si concentrano sulle rocce di arenaria. Nell’alta valle
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invece, e in particolare, nelle zone di Capo di Ponte, Arfo Boario Terme e Sonico-
Edolo (cioè nelle tre aree maggiormente istoriate), osserviamo che le incisioni
vengono praticate su scisti filladici levigati dai ghiacci; queste rocce sono molto
lisce e mostrano le linee orizzontali lasciati dagli strati di ghiaccio (Arcà, Fossati,
2006).
Grazie all’archeologia sperimentale oggi sappiamo che erano in uso diverse
tecniche: la picchiettatura a percussione diretta o indiretta, il graffito filiforme ed
il graffito a “polissoire” o solco continuo. È probabile che venissero utilizzate
delle pietre per praticare le incisioni e tra queste sono state proposte: quarziti,
graniti, arenarie dure e compatte (Priuli, 2006).
Figura 2 esempio di tecnica a martellina
campita (Priuli, 2006)
Figura 3 esempio di incisione filiforme (Priuli, 2006)
Figura 4 esempio di tecnica mista (Priuli, 2006)
Figura 1 esempio di campitura a martellina (Priuli, 2006)
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Negli anni trenta avvennero molti ritrovamenti, sia di arte rupestre che di cultura
materiale, soprattutto attorno al paese di Capo di Ponte. Ci si interrogò, allora,
sull’appartenenza etnica dei popoli artefici di queste opere e vennero avanzate
molte ipotesi: Liguri Celti, Reti o Veneti (Anati, 1982).
Con la seconda guerra mondiale, gli studi che si stavano avviando subirono un
arresto e ripresero solo dopo il 1951, quando Walther Laeng e Emanuele Süss
ripresero l’esplorazione. Nel 1956, Emmanuel Anati giunse in Valcamonica per
comparare l’arte rupestre camuna con quella del Monte Bego, che stava studiando
per conto del governo francese (De Marinis, Fossati, 2012).
Il gruppo di Anati, che era composto di studenti e volontari, operò alla ricerca di
nuove incisioni, dal 1956 al 1964, quando Anati fondò il <<Centro Camuno di
Studi Preistorici>>. Si cercò, per la prima volta, di classificare e dare un ordine e
una tipologia ai repertori.
La cronologia dell’arte rupestre della Valcamonica viene stabilita attorno al 1960
e da quel momento continua ad essere verificata e modificata (Anati, 1982).
Nel 1955 nacque anche il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane,
presso Capo di Ponte ed è da quel momento che l’arte rupestre della Valcamonica
cominciò ad essere mostrata al pubblico (De Marinis, Fossati, 2012).
Dagli anni Settanta ad oggi, il Museo Didattico d’Arte e Vita Preistorica di
Ausilio Priuli e la Cooperativa Archeologica “Le Orme dell’Uomo”, nata nel
1988, continuano le ricerche sulle incisioni (Fossati, 1995).
Nel 1989 in Valcamonica viene introdotto il concetto di “archeologia rupestre”,
inteso come metodo che tratta l’arte rupestre al pari di qualunque altra disciplina
archeologica (Arcà, Fossati, 2006).
Ha molta importanza per gli studi il concetto della stratigrafia: distinguere gli
strati di sovrapposizioni è come ricostruire la stratigrafia archeologica di uno
scavo (Arcà, Fossati, 2006).
È infatti possibile trovare situazioni in cui l’ordine di esecuzione delle figure
viene reso noto dalla cancellazione di quelle più antiche tramite la
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sovrapposizione ad esse di incisioni più nuove; ed è anche possibile trovare
situazioni in cui un elemento databile con certezza, come per esempio un pugnale
di tipo Remedello, costituisca un termine post quem per le figure che vi sono
sovrapposte (Fossati, 1995).
Va favorendosi anche una sempre più stretta connessione tra i ritrovamenti degli
scavi archeologici della zona e le incisioni: infatti, un sistema cronologico con
diversi periodi si può creare solo in collegamento con la cronologia delle culture
locali, confrontando le incisioni con i materiali archeologici degli insediamenti
della zona (Arcà, Fossati, 2006).
In Valcamonica, i resti archeologici sono decisamente pochi a confronto con le
incisioni rupestri, ma vengono comunque ritrovate tracce di abitati, terrazzamenti
agricoli, e anche tombe e reperti di cultura materiale. Non è infatti raro
riconoscere tra gli oggetti incisi, gli stessi pugnali, spade, elmi o decorazioni che
vengono ritrovati negli scavi archeologici. Per esempio, si possono riconoscere sui
massi di Cemmo, i pugnali della cultura di Remedello, con il tipico pomo
semilunato; e si possono quindi datare quei massi alla prima età del Rame (Fossati,
1995).
Ad oggi sono stati studiati e trovati diversi metodi di rilevazione e tra le tecniche
più in uso possiamo trovare: la fotografia e il disegno, il frottage, il rilievo a
contatto o il calco, e altre ancora.
Tra queste tecniche, alcune più di altre favoriscono una resa fedele (Fossati,
1995).
Il rilievo risulta più semplice, poi, se ci si assicura un effetto di contrasto tra
l’incisione e la roccia su cui si trova: prima si utilizzava la caseina, che però è
stata vietata nel 1991 dalla S.A.L. (che si occupa della tutela e della conservazione
dei reperti) poiché sembra favorire la nascita di licheni e quindi il degrado della
superficie rocciosa. Oggi l’effetto di contrasto si ottiene creando in maniera
artificiale, a volte con l’aiuto di uno specchio, una luce il più possibile radente e il
metodo di rilievo utilizzato è quello per trasparenza a contatto, riportando la
picchiettatura su un foglio di PVC (polivinilcloruro) sul quale viene segnalata
anche la distinzione tra le varie sovrapposizioni e le linee o rotture createsi sulle