4 
 
INTRODUZIONE 
 
A partire dal 2013 e, con l’inasprimento della “lunga estate della migrazione”
1
 nel 2015, l’Europa ha 
accolto un numero sempre maggiore di migranti e rifugiati che, provenienti dal Medio Oriente, dal 
Nord Africa, e successivamente dall’Africa Centrale, cercano di raggiungere il vecchio continente 
per domandare asilo tramite le principali rotte di attraversamento del Mediterraneo: quella occidentale 
verso la Spagna, quella centrale verso l’Italia e quella orientale verso la Grecia. Quest’ultima ha subìto 
un arresto nel 2016, quando l’Unione Europea e la Turchia decisero di stipulare un Accordo che 
limitasse gli sbarchi sull’isola di Lesbo e sulle altre isole dell’Egeo. Conseguentemente, la Grecia, da 
sempre Paese di transito per tutti quei migranti che tentavano il “gioco” della rotta balcanica con 
l’intento di raggiungere i paesi del Nord Europa, divenne in breve tempo un Paese di confinamento. 
I migranti si sono ritrovati intrappolati nelle isole greche e nella Grecia continentale, bloccati in un 
sistema di accoglienza mal funzionante e privo di programmi di integrazione duraturi. L’approccio 
adottato fin da subito nei loro confronti fu quello emergenziale dell’umanitarismo, caratterizzato 
dall’elargizione di beni e servizi in un’ottica filantropica attraverso la quale il migrante veniva 
concepito come una vittima passiva, bisognosa di assistenza. L’Accordo tra Bruxelles ed Ankara si 
inscriveva così all’interno di quel processo più ampio di progressiva securitizzazione delle frontiere 
europee che, a partire dagli anni Novanta, divennero sempre più porose ed impercettibili.  
Partendo da questo contesto, l’intento del seguente elaborato è quello di analizzare la 
posizione ricoperta dai migranti all’interno della cosiddetta “fortezza”
2
 Europa, nello specifico 
concentrandosi sulla città di Atene, in Grecia. Invero, durante l’osservazione partecipante ivi 
condotta, è apparsa evidente una contraddizione: se da un lato il contatto diretto con le storie di vita 
dei migranti ha permesso di comprendere come le politiche europee e, in particolare, quelle greche 
siano volte al confinamento e all’invisibilizzazione degli stessi, dall’altro lato, è sufficiente 
camminare per il centro di Atene per avvertire un forte protagonismo della realtà migratoria nella 
città.  Da ciò è scaturita la domanda di ricerca, punto di partenza di questo lavoro: i migranti sono da 
considerarsi solo vittime delle politiche migratorie di confinamento, o sono anche possibili agenti di 
emancipazione e resistenza all’immobilità da esse originata?  
Con l’intento di rispondere a questo quesito, l’elaborato si propone di analizzare la dinamica dello 
squatting, ovvero l’occupazione abusiva di edifici abbandonati, in quanto specifica lotta socio-
 
1
 Hess S., et al., Der lange Sommer der Migration. Grenzregime III (The Long Summer of Migration: Border Regime 
III)., Berlin: Assoziation A., 2017. 
2
 Geddes, A., Immigration and European Integration: Towards Fortress Europe? In Refugee Survey Quarterly 20 (1), 
2001. 
Carr, M. Fortress Europe. Inside the War against Immigration”., London: Jurst&Company, 2015.
5 
 
spaziale che si posiziona in contrasto alle misure di confinamento dello Stato e all’assistenza 
umanitaria delle Organizzazioni Internazionali e delle Organizzazioni Non Governative. In questi 
spazi la quotidianità e le relazioni socio-spaziali vengono riorganizzate in netto contrasto con le regole 
imposte dalle istituzioni, creando forme di resistenza e di cittadinanza alternative, che producono 
soggettività politiche antagoniste. Per meglio comprendere tale dinamica viene analizzato il caso più 
emblematico di squatting ad Atene: il “Refugee Accommodation and Solidarity Space City Plaza”. 
Occupato nel 2016 e liberato nel 2019, “il City Plaza è stato un simbolo paneuropeo di resistenza al 
regime migratorio razzista e oppressivo dell’Unione Europeaa”
3
. Organizzato dal basso da attivisti di 
varia natura, ha abbracciato lotte politiche su più scale, da quella urbana a quella transnazionale, 
dando voce agli ultimi emarginati dalle istituzioni. 
Pertanto, partendo dall’analisi più generale dei confini come dispositivi di immobilità, il primo 
capitolo si serve del contributo fornito dal quadro teorico dei border studies per concentrarsi 
sull’evoluzione delle frontiere che, oggi, secondo le parole del filosofo francese Étienne Balibar, si 
trovano “ovunque e da nessuna parte”
4
.  
Nel secondo capitolo, invece, più specificatamente, viene analizzato il contesto migratorio greco, e 
le sue politiche d’asilo, con un focus particolare sulle politiche dei campi di accoglienza statali. 
L’obiettivo, qui, è quello di dimostrarne il carattere confinante ed escludente che li caratterizza, 
mettendo in luce come le frontiere si manifestino anche attraverso le scelte politiche delle istituzioni.  
Infine, il terzo capitolo, interpreta il diritto alla città e l’housing come terreni di lotta in 
contrapposizione alle precarie condizioni dei campi di accoglienza statali finanziati dai fondi europei, 
e,  servendosi dell’approccio teorico del borderscape, così come inteso da Chiara Brambilla, dimostra 
come i migranti, tramite la semplice azione dell’abitare, e le pratiche di vita quotidiana, riescano a 
sfidare i confini imposti dalle istituzioni e a far emergere soggettività e forme di cittadinanza 
alternative.  
Inoltre, questo studio vuole contribuire a modificare la narrativa mainstream dei migranti e dei 
rifugiati: seppur rappresentati come soggetti passivi che devono essere salvati in quanto incapaci di 
esercitare autonomamente i propri diritti, il seguente elaborato vuole proporre, attraverso esempi 
concreti, una riflessione degli stessi come membri attivi della società di accoglienza, portatori di una 
forma di cittadinanza alternativa dal basso.  
 
 
 
 
3
 Unk, 39 months city plaza: the end of an era, the beginning of a new one, https://best-hotel-in-europe.eu/  
4
 Balibar E’., Politics and the Other Scene, Verso, Londra, 2002, pp. 78.
6 
 
Note metodologiche  
Il seguente elaborato è frutto di una ricerca ibrida condotta sia attraverso l’analisi e la rielaborazione 
della letteratura, sia tramite l’osservazione partecipante effettuata nella città di Atene, tra giugno 2022 
e settembre 2022.  
Durante la ricerca sul campo ho collaborato con la Onlus One Bridge to Idomeni (OBTI).   
A partire dal 2016, quest’ultima, si è dedicata ad assistere le persone migranti lungo la rotta balcanica, 
operando all'interno dei confini europei. In questo contesto, ha lanciato vari progetti in Grecia, Serbia 
e Bosnia-Erzegovina. Nel 2021 in collaborazione con le ONG Vasilika Moon e Aletheia Refugee 
Camps Support (RCS) ha dato avvio al Meraki community centre, ovvero un luogo di assistenza 
sociale e sanitaria per le persone bisognose, migranti e non, che vivono nella città di Atene. Situato 
in Thiras Street, numero 35, nel centro di Atene, accanto a Platia Amerikis (Πλατεία Αμερικής) noto 
tra la gente anche come "Platia Afrikis", il centro comunitario è condiviso tra le tre organizzazioni, e 
l’associazione Medical Volunteers International (MVI), responsabile dell'assistenza medica. Insieme, 
le quattro organizzazioni mirano a migliorare le condizioni di vita delle persone bisognose, con 
l'impegno comune di offrire i migliori servizi possibili, nel rispetto della storia, della dignità e della 
privacy degli individui. Un punto essenziale del progetto è quello di puntare sulla collaborazione con 
i migranti, piuttosto che sulla semplice elargizione di aiuti, per favorirne l’autonomia e il rispetto.  
 
Attraverso l’attività svolta nel centro Meraki ho potuto comprendere il funzionamento reale 
del sistema di accoglienza greco, valutandone i punti di forza e le problematicità dall’interno.  
Inoltre, il contatto diretto con le persone in movimento, e le loro storie personali, ha contribuito alla 
formazione di un’idea articolata delle difficoltà e degli ostacoli che i migranti sono costretti a subire 
nel loro percorso migratorio, primo fra tutti la mancanza di sistemazioni abitative nella città. Ciò ha 
contribuito a forgiare la mia scelta di utilizzare la problematica dell’housing come punto di partenza 
della mia analisi. In più, grazie alla posizione centrale del centro, è stato possibile vivere ed osservare 
il contesto politico, economico e sociale di Atene e dei suoi quartieri, come Exarchia nel quale è 
situata la maggior parte degli squats della capitale. 
Per quanto concerne il caso studio “Hotel City Plaza”, sebbene moltissima letteratura si 
esprima a riguardo, l’idea iniziale era quella di condurre delle interviste strutturate agli attivisti, ai 
volontari e ai migranti che avevano abitato al suo interno. Tuttavia, sono entrata in contatto con un 
numero esiguo di ex residenti a causa di alcune difficoltà. Anzitutto, la maggior parte dei migranti e 
dei solidali che erano stati all’interno del City Plaza erano persone di passaggio, che attualmente si 
trovano all’estero. Tra questi Khalil, un rifugiato siriano residente in Germania, a cui ho sottoposto
7 
 
un’intervista strutturata
5
 e che mi ha indicato ulteriori contatti a cui rivolgermi, come previsto dallo 
“snowball effects”. Tuttavia, la seconda difficoltà incontrata è stata la scarsa disponibilità degli 
individui a raccontare la propria esperienza all’interno dello squat. Tra le motivazioni che mi sono 
state riferite, le conseguenze legali che alcuni attivisti anarchici hanno subito in seguito alla chiusura 
del progetto abitativo.  
Pertanto, ho deciso di basare questo studio in gran parte sulla letteratura, tuttavia apportando il mio 
contributo personale grazie all’osservazione partecipante, durante la quale ho potuto comprendere 
pienamente alcune dinamiche contestuali e personali dei migranti, che altrimenti sarebbero mancate 
alla mia analisi.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
5
 Vedi Appendice I (IV) per il testo integrale.
8 
 
CAPITOLO 1 
I Confini Come Dispositivi Di Immobilità 
 
 
1.1 Introduzione ai confini: che cos’è un confine? 
L’uomo, oltre che “sociale”, è anche un “essere geografico”: ciò significa che mantiene una relazione 
attiva e passiva costante con lo spazio che abita. Egli, infatti, non si limita ad adattarsi all'ambiente in 
cui vive, ma lo organizza e lo trasforma dinamicamente
6
.  
Tra gli strumenti di cui l’essere umano si serve maggiormente, nel tentativo di governare lo spazio 
circostante, vi sono i confini. Con questo termine, si indicano tutte quelle linee che forniscono una 
precisa delimitazione dell'autorità politica e una precisa demarcazione del territorio statale
7
.  Infatti, 
oltre ad influenzare inevitabilmente il movimento di persone, beni e capitali, i confini sono il primo 
strumento per l'organizzazione formale dello spazio. Questo si può affermare poiché, attraverso tale 
dispositivo, vengono stabilite le linee di separazione dedite alla protezione di spazi governati da leggi 
e norme sociali differenti che creano o reiterano differenze sociali, politiche, culturali ed economiche, 
nonché obblighi e aspettative comportamentali diverse tra i gruppi umani. Nei processi sociali e 
politici, questo canale di differenziazione spaziale è cruciale e, come sottolineò Thomas Nail nel suo 
“Theory of the Border”, una società senza confini interni o esterni non è altro che ciò che chiamiamo 
la terra o il mondo
8
: cioè, non una società, ma un punto di riferimento puramente geologico
9
.   
Il concetto di confine così come riportato, tuttavia, non gode di un’interpretazione unanime. In 
letteratura, infatti, sebbene vi siano stati diversi tentativi di trovare delle definizioni univoche, prevale 
il cosiddetto “lack of conceptual consensus”
10
, ovvero rimane vivo il dibattito sulla definizione e 
sull’interpretazione del termine, al quale si aggiunge l’ulteriore difficoltà interpretativa a causa 
dell’accostamento e dell’intercambiabilità dello stesso con il concetto di “frontiera”.  I due termini 
vengono usati spesso come sinonimi e la confusione aumenta nel mondo anglofono dove ai termini 
“border” e “frontier” si aggiunge quello di “boundary”
11
.  
 
6
 Diener A.C, Hagen J., Borders. A very short introduction, Oxford University Press, 2012, pp. 1 ss. 
7
 Joffe G.H., Disputes Over State Boundaries in the Middle East and North Africa, in The Middle East in Global Change, 
(ed.) Laura Guazzone, MacMillan, UK, 1997, p 58. 
8
 Nail T., Theory of the Border, Oxford University Press, New York, 2016, pp 4. 
9
 Sferrazza Papa E. C., Filosofia e Border Studies. Dal confine come “oggetto” al confine come “dispositivo”, in Rivista 
di estetica (Online), 75 | 2020, consultato il 07 marzo 2022, https://journals.openedition.org/estetica/7436 
10
 Baud M., Van Schendel W., Toward a Comparative History of Borderlands in Journal of World History, vol. 8, no. 2, 1997, 
pp. 211–42. 
11
 Kristof L. K. D., The nature of frontiers and boundaries, in Annals of the Association of American Geographers, Vol. 
49, No. 3, 1959, pp. 269-282.
9 
 
A tal proposito, Ladis K.D. Kristof suggerì che, storicamente, la frontiera è stata interpretata come 
una zona, ossia quella identificabile dal fronte. Tale concetto non porta con sé alcuna connotazione 
politica
12
, bensì si presenta come un’area di transizione in cui forze e soggetti si incontrano, scontrano 
ed entrano in relazione tra loro
13
. Il concetto di frontiera, in questo senso, non viene concepito come 
un termine astratto, bensì designa un'area facente parte di un tutto. Nello specifico si fa riferimento a 
quella parte di territorio che si trova a monte dell'entroterra e che permette di comprendere dove si 
trova il “fronte” di un determinato Stato
14
.  Questo concetto è una manifestazione di forze centrifughe, 
cioè è orientato verso l’esterno, volto a identificare il punto in cui uno Stato inizia e/o finisce
15
. 
Nel corso del tempo le frontiere sono state interamente sostituite dal più moderno concetto di 
“confine”. Quest’ultimo, al contrario, è un’astrazione orientata verso l'interno, indicatore di forze 
centripete
16
. Esso emerge congiuntamente agli sviluppi della dottrina generale dello Stato (Jellinek) 
e della “geografia politica” (Ratzel) tra Otto e Novecento in Germania
17
. In quest’ambito, il confine 
viene interpretato come un’astrazione, una linea intangibile in grado di porre un limite allo sviluppo 
politico di un popolo, e circoscrivere la validità territoriale del potere dello Stato
18
.  Invero, il concetto 
di “confine” si adatta meglio alla concezione contemporanea di Stato-nazione, il quale, per la sua 
esistenza, è caratterizzato dalla compresenza di tre elementi: sovranità, territorio e popolo. Il confine 
assume in questo senso il significato di linea in grado di contenere un popolo all’interno di un 
territorio e capace di delimitare una certa unità politica distinguendo ciò che vi è all’interno da ciò 
che vi è all’esterno
19
. Tuttavia, esso non può essere solo astrazione, bensì deve coordinarsi con una 
forza empirica effettivamente presente che si afferma sul territorio, ovvero la sovranità esercitata dal 
governo centrale
20
.  
In un contesto internazionale che non conosce limiti territoriali, l’ordine può dunque essere possibile 
solo tra governi sovrani che concordano su una chiara distinzione tra le sfere della politica estera e 
quella interna; i confini divengono, così, strumenti per il mantenimento di una certa stabilità nella 
struttura politica, sia a livello nazionale che internazionale
21
 o, in altre parole, come affermò Lord 
 
12
 Ibidem. 
13
 Mezzadra S., Diritto di fuga. Migrazioni, cittadinanza, globalizzazione, Ombre corte, Verona, 2001, pp. 93.  
14
 Prescott J.R.V., The geography of frontiers and boundaries, vol. 13, Routledge London, New York, 2015, pp.33 ss. 
15
 Vedi Prescott e Kristof. 
16
 Ibidem. 
17
 Mezzadra S., Diritto di fuga. Migrazioni, cittadinanza, globalizzazione, op. cit. pp. 235. 
18
 Mezzadra S., Confini, Migrazioni, cittadinanza, in Scienza & Politica. Per una Storia delle dottrine, 16(30), 2004, pp. 
105. 
19
 Kristof L. K. D., The nature of frontiers and boundaries, op. cit.  
20
 Ibidem. 
21
 Ibidem.