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Introduzione 
 
La tesi nasce dal desiderio di ricercare le origini biologiche ed evolutive 
di quei comportamenti criminali caratterizzati da  inefferata violenza, da 
una totale mancanza di empatia e  dalla totale assenza di rimorsi e senso 
di colpa, per  i quali  non sembra trovarsi alcuna spiegazione logica, e che 
attualmente alcuni ricercatori fanno rientrate all’interno del costrutto di 
psicopatia. 
Pur non essendo ancora inserito all’interno dei manuali diagnostici fino 
ad oggi pubblicati, la psicopatia  definisce un costrutto di personalità 
patologica, la cui validità è stata accertata e supportata da un ampia 
gamma di studi clinici ed empirici. 
Infatti , sia il DSM-IV-TR, sia l’ICD-10, così come il PDM continuano ad 
equiparare il costrutto di psicopatia a quello della personalità antisociale, 
lasciando in ombra molti aspetti salienti e distintivi che la caratterizzano. 
La tesi offre un analisi dettagliata della letteratura sull’argomento, con 
l’obbiettivo di rintracciare le origini della psicopatia all’interno di un 
ottica multifattoriale, che prende in esame le ipotesi biologiche, 
psicologiche ed evolutive. 
In questo lavoro ho cercato di mettere in evidenza come il trauma e 
alcune dinamiche di attaccamento disfunzionali, possano  influire sullo 
sviluppo della psicopatia. 
In particolare, basandomi su svariate ricerche riportate in letteratura, ho 
voluto evidenziare  come le esperienze traumatiche, caratterizzate da 
diverse forme di abuso subite nell’infanzia e nell’adolescenza, possono 
portare da un lato a una totale assenza di empatia, a una disregolazione 
affettiva, a un deficit della mentalizzazione, e  alla deumanizzazione
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dell’altro, mentre dall’altro possono interferire sullo sviluppo cerebrale 
delle vittime, provocando deficit in diverse strutture del cervello. 
Nel primo capitolo di questa tesi, “La psicopatia:origini storiche e 
concettuali”, ho cercato di porre un quadro dettagliato e preciso del 
costrutto di psicopatia.  
In particolare nei primi tre paragrafi ho tracciato l’evoluzione storica del 
costrutto di psicopatia dalle sue origini fino  ai giorni nostri, riportando 
diverse concettualizzazioni di svariati autori come Pinel, Rush, Kreapelin, 
Cleckley, Hare e altri, soffermandomi in seguito sull’evolversi del 
costrutto di psicopatia all’interno del DSM, partendo dalla prima edizione 
del manuale fino ad arrivare all’ultima. 
Nel quarto paragrafo ho evidenziato le differenze significative che 
intercorrono tra il disturbo antisociale di personalità e la psicopatia, per 
poi soffermarmi brevemente sulle differenze tra narcisismo e psicopatia. 
Gli ultimi paragrafi del primo capitolo riportano nel seguente ordine la 
classificazione della psicopatia di Hare, di Millon e di Davis, e la 
classificazione di Stone, che nel complesso offrono un quadro molto 
dettagliato delle caratteristiche della personalità psicopatica. 
Nel secondo capitolo, “Lo sviluppo biologico ed evolutivo della 
psicopatia”, ho esposto  le varie teorie e le attuali  ricerche biologiche che 
cercano di spiegare l’insorgenza del disturbo.  
In particolare  nel primo paragrafo  “comprensione psicodinamica dello 
sviluppo psicopatico” sono prese in esame alcune teorie psicodinamiche 
sull’insorgenza del disturbo. 
Nel secondo paragrafo “emozioni, trauma e attaccamento nello sviluppo 
della psicopatia” ho approfondito il ruolo cruciale che giocano le 
emozioni, il trauma e l’attaccamento nell’ insorgenza della psicopatia 
sottolineando come essi siano collegati a deficit  delle strutture cerebrali
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deputate al controllo degli impulsi e in particolare alla regolazione 
emotiva, concludendo il paragrafo con le ipotesi proposte da Lonnie 
Athens, che evidenziano come la violenza nasca da abusi e traumi subiti 
durante l’infanzia. 
L’ultimo paragrafo “Basi biologiche e disfunzioni cerebrali nella 
psicopatia” propone alcune teorie biologiche sullo sviluppo della 
psicopatia e riporta alcune recenti ricerche che mostrano chiaramente la 
presenza di anomalie cerebrali in soggetti affetti da tale disturbo. 
Nel  terzo capitolo, “L’assessment della psicopatia”, ho cercato di 
descrivere in dettaglio le caratteristiche principali della PCL-R e il suo 
utilizzo. La prima parte del capitolo descrive la “nascita” dello strumento, 
la sua validazione e la sua struttura fattoriale, attraverso le varie revisioni.  
I paragrafi finali invece  riportano in breve l’epidemiologia del disturbo 
preso in esame, le eventuali comorbidità con altri disturbi e lo stato 
attuale dei trattamenti terapeutici che purtroppo fino ad oggi non hanno 
ottenuto risultati soddisfacenti. 
Il quarto e ultimo capitolo, riporta un caso clinico di un assassino 
esaminato attraverso l’utilizzo della PCL-R, secondo il modello bi 
fattoriale e il modello a 4 fattori.  
Nello specifico la prima parte  descrive brevemente il caso e l’attuale 
diagnosi, il secondo paragrafo descrive i risultati ottenuti dalla 
somministrazione della PCL-R che si evincono in base ai due modelli 
principali, mentre il terzo paragrafo riporta una breve anamnesi 
psicologica del caso in questione, estratta dall’intervista semi-strutturata, 
all’interno del quale propongo una breve riflessione psicodinamica per 
comprendere l’origine della violenza nel caso oggetto di studio.
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Capitolo Primo: 
La Psicopatia: origini storiche e concettuali 
 
1.1: Il costrutto di psicopatia: dalle sue origini al XX secolo. 
 
La psicopatia rappresenta il primo disturbo di personalità riconosciuto  
dalla nosografia psichiatrica dell’800, periodo in cui  si cominciarono a 
considerare alcune forme di follia nelle quali, in assenza di disturbi  
dell’intelletto, veniva colpita la sfera morale della persona.  
In ambito psichiatrico, una delle prime figure a descrivere un pattern di 
comportamento che sarà successivamente etichettato come psicopatico fu 
Philippe Pinel nel 1809, con la sua manie sans delire (mania senza 
delirio).  Egli è stato uno dei primi a riconoscere la possibile presenza di 
un comportamento gratuitamente crudele senza che ciò fosse 
necessariamente accompagnato da un deficit della ragione, della 
percezione, della memoria o altro (Pinel,1800). 
Secondo Pinel la psicopatia è continua o caratterizzata da accessi 
periodici, non presenta nessuna alterazione manifesta delle funzioni 
dell’intelletto, della percezione, del giudizio, della memoria né 
dell’immaginazione, ma è caratterizzata da un abnorme perversione delle 
funzioni affettive e da condotte di inefferata violenza alle quali non si 
riesce a trovare nessuna spiegazione logica e razionale (Dazzi, 2010). 
Gli individui descritti da Pinel molto spesso si trovavano coinvolti in 
azioni impulsive e socialmente inaccettabili, ma ciò che colpì lo 
psichiatra francese fu il fatto che questi individui, differentemente da
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quelli con altre sindromi, fossero completamente coscienti 
dell’irrazionalità e della natura distruttiva delle loro azioni. 
Nello stesso periodo, Benjamin Rush (1812), psichiatra americano, 
descrisse una condizione simile, che chiamò sconvolgimento morale o 
anomia. Secondo Rush gli individui con sconvolgimento morale erano 
caratterizzati da un’ organizzazione disfunzionale dei distretti individuali 
deputati alla gestione delle facoltà morali della mente. Rush descrisse 
soggetti che mostravano comportamenti socialmente distruttivi, senza 
provare alcun rimorso, senso di colpa o preoccupazione per gli esiti 
negativi delle loro azioni,  mettendo in risalto la natura irresponsabile e 
antisociale di questi individui .Con Rush si inizia a delineare un idea che 
si basa sia sull’assenza di deliri,  sia sull’incapacità di questi individui di 
provare senso di colpa, elementi che rimarranno essenziali negli studi 
successivi (Rusch, 1812,cit. in Werlinder,1978). 
Un approccio morale è evidente anche nel lavoro di J. C. Prichard, un 
medico inglese, il quale per primo introdusse il lavoro di Pinel in 
Inghilterra. Prichard definì insanità morale uno stato psichiatrico 
caratterizzato da un disordine negli affetti in individui che, comunque, 
manifestavano capacità intellettive intatte. Secondo l’ottica di Prichard  il 
disturbo si presenta principalmente nella sfera dei sentimenti del 
temperamento e delle abitudini. 
Inoltre egli sottolineò come i principi morali in questi individui siano 
duramente sovvertiti, e come le facoltà intellettive siano per nulla o poco 
compromesse (Prichard, 1835). 
Emile Kraepelin (1856-1926), nell’ottava edizione del suo Manuale di 
Psichiatria del 1915 descrisse gli psicopatici come persone caratterizzate  
da un deficit degli affetti e della volizione, distinguendo gli psicopatici in  
due gruppi separati: quelli che presentavano  disposizioni morbose, cioè
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gli ossessivi, gli impulsivi e i devianti sessuali, e quelli che avevano 
personalità peculiari, che divise in sette sottotipi: l’eccitabile, l’instabile, 
l’impulsivo, l’eccentrico, i bugiardi, i truffatori, l’antisociale e i litigiosi 
(Dazzi,2010). 
Nel 1909, K. Birnbaum introdusse il termine “sociopatico”  sottolineando 
come esso fosse più affine per la maggioranza dei casi diagnosticati  
come psicopatici. Birnbaum riteneva che solo una piccola parte dei 
delinquenti appartenenti al gruppo degli psicopatici degenerativi fossero 
anche costituzionalmente inclini alla criminalità; infatti, egli asseriva che 
il comportamento antisociale e psicopatico  riflettesse spesso la difficoltà 
di acquisire forme di comportamento socialmente accettabili a causa dei 
condizionamenti della società. 
Infatti secondo l’autore la psicopatia è dovuta alle condizioni ambientali e 
al contesto di vita di tali individui che non permette loro di apprendere e 
agire condotte socialmente accettabili (Birnbaum,1909, cit.in Millon, 
Simonsen, Binket-Smith, 1998). 
Questa concezione, però, non ebbe molto riscontro nel mondo 
psichiatrico, che fino agli anni Trenta seguì la concezione di Prichard, il 
quale inquadrava la psicopatia come la manifestazione di una malattia 
della morale. 
Agli inizi del 1930, uno psicologo americano, Partridge, sottolineò 
l’importanza di restringere il termine psicopatia per non perdere di vista il 
costrutto in sé. Secondo l’autore la psicopatia è caratterizzata da 
comportamenti antisociali e/o socialmente futili, da  assenza di valori, da 
interessi ed attività immaturi, da un accentuata instabilità emotiva, da 
disturbi a livello emotivo, irresponsabilità,  manipolazione, impulsività, 
stile di vita instabile, egocentrismo e povertà di giudizio (Partridge, 
1930).
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Quindi egli considerava la psicopatia e il comportamento antisociale 
come due costrutti sovrapponibili, e suggerì il termine “personalità 
sociopatica” per definire e caratterizzare gli individui psicopatici. 
Negli anni Trenta e Quaranta, D. K. Henderson descrisse la psicopatia 
come un deficit del sistema affettivo e morale, e ipotizzò che la psicopatia 
avesse una forte base biologica sulla quale i fattori psicologici e 
sociologici avevano scarsa influenza. 
Secondo il pensiero dell’autore, l’inadeguatezza  la devianza o il 
fallimento nell’adeguarsi alla vita sociale ordinaria dello psicopatico non 
è una mera premeditazione o cattiveria che può essere sviscerata 
dall’individuo, ma costituisce una vera malattia per la quale non abbiamo 
una specifica esplicazione (Henderson, 1947). 
Sempre negli anni quaranta Karpman, di formazione psicoanalitica, 
descrisse i soggetti psicopatici come emozionalmente superficiali ed 
immaturi, non dissimili dai bambini. 
Secondo questo autore  gli psicopatici non sperimentano quelle profonde 
e complesse emozioni sociali che hanno la funzione di modulare e 
moderare il comportamento. Di conseguenza, essi sono incapaci di 
imparare a  controllare i loro comportamenti.  
Inoltre,  Karpman  sottolinea come gli psicopatici sperimentino solo 
emozioni semplici, come tensione, preoccupazione, euforia e frustrazione. 
Karpman distinse la psicopatia in due categorie: la psicopatia primaria 
(idiopatica) e la psicopatia secondaria (nevrotica), evidenziando come 
l’elemento chiave che distingue le due categorie di soggetti psicopatici è 
l’aspetto motivazionale che sta dietro le condotte antisociali messe in atto 
dagli stessi. 
Infatti egli attribuiva il comportamento nella psicopatia secondaria a una 
coscienza disturbata, derivante da un aspetto nevrotico attribuibile a cause
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ambientali ( come esperienze ostili  o aggressioni subite)  , a differenza 
della  psicopatia primaria in cui  la coscienza sarebbe assente a causa di 
un deficit genetico (Karpman,1948). 
Intorno al 1950 Kurt Schneider definì i soggetti psicopatici con il termine 
di personalità anormali, dividendo questi soggetti in due categorie : un 
tipo più passivo e senza sentimenti ed un tipo attivo e antisociale. In un 
secondo momento, Schneider definì le personalità anormali come 
personalità psicopatiche, sottolineando la loro sofferenza per la propria 
anormalità e la sofferenza che essi causavano all’interno della società.  
In questa definizione, Schneider  abbandonò il criterio biologico fino ad 
allora predominante, circa la natura congenita dell’anomalia del carattere 
introducendo il criterio sociologico (Schneider, 1958). 
Durante gli anni Sessanta, Arieti  ipotizzò che le emozioni fossero la 
forza motivante del comportamento psicopatico. Infatti, nonostante egli 
fosse d’accordo con chi sosteneva una mancanza di ansia negli 
psicopatici, non pensava che questi soggetti, fossero del tutto privi di 
emozioni. D’altra parte, Arieti riteneva che gli psicopatici non 
sperimentassero l’ansia nevrotica, quella riferita ad eventi futuri  che 
l’autore definiva  ansia a circuito lungo, “ma solo” l’ansia a circuito corto, 
“che è una tensione data dalle frustrazioni del momento e che richiede 
una gratificazione immediata, mettendo in atto i comportamenti criminali 
in base al principio di piacere. Di conseguenza, il soggetto non è in grado 
di posticipare la gratificazione di un bisogno , inoltre il comportamento è 
seguito da emozioni positive che lo rinforzano. Arieti, quindi, propose 
che questo meccanismo a corto-circuito fosse alla base 
dell’incorreggibilità dei soggetti psicopatici. 
Infine, l’autore postulò l’ipotesi che gli psicopatici potessero apparire più 
impulsivi di quello che in realtà sono, proprio a causa della mancanza di
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emozioni a lungo circuito e che, quindi, la causa della loro patologia e del 
loro stile di vita fosse da ricercare nell’ immaturità del loro sistema 
emozionale(Arieti 1969). 
Nel 1964 McCord e McCord descrissero il soggetto psicopatico come un 
individuo con una personalità pericolosamente maladattata, caratterizzata 
da profonda mancanza di emozioni sociali, quali l’empatia, l’amore, il 
senso di colpa, il rimorso e da un atteggiamento asociale, egocentrico e 
manipolativo che, dal punto di vista del soggetto psicopatico, gli offre il 
diritto di agire impulsivamente, crudelmente ed aggressivamente senza il 
minimo riguardo per le conseguenze per sé o per gli altri. Anche questi 
autori erano preoccupati dell’assenza di accordo e specificità con i quali 
la diagnosi di psicopatia veniva utilizzata ed enfatizzarono che, 
nonostante la forte presenza di psicopatici nella popolazione criminale, la 
psicopatia non è sinonimo di criminalità. Infatti, l’antisocialità è solo un 
sintomo secondario, che deriva dalla ricerca disinibita di piacere tipica di 
questi soggetti i quali mancano di ogni motivazione esterna che possa 
esplicare le loro azioni, criminali o di altro tipo. 
McCord e McCord evidenziarono come la caratteristica che separava i 
soggetti con psicopatia dagli altri individui fosse la loro mancanza di 
senso di colpa e amore, che si rispecchia nella loro povertà di empatia e, 
di conseguenza, nella carenza di  freni inibitori nelle loro tendenze 
aggressive. Essendo privi di senso di colpa, essi non interiorizzano mai i 
valori altrui, quindi non sviluppano una coscienza. 
Inoltre gli autori,sottolinearono come  il rifiuto e la negligenza genitoriale 
siano i maggiori catalizzatori psicosociali per l’insorgenza della 
psicopatia, in quanto  il rifiuto da parte dei genitori  poteva negare ogni 
possibilità al bambino di sviluppare legami significativi con gli altri,
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condizione che gli autori vedevano come sintomo centrale del 
disturbo(McCord e McCord, 1964). 
Nel 1976 Cleckley nella quinta edizione della sua opera principale, “The 
Mask Of Sanity”, denunciò l’eccessiva confusione riguardo al costrutto di 
psicopatia ed affermò che molte delle classificazioni fino a quel momento 
proposte,  non avessero molto a che fare con la psicopatia propriamente 
detta. Per risolvere questo problema Cleckley cercò di definire le 
caratteristiche centrali del disturbo, supportandole empiricamente. Infatti, 
basandosi su anni di esperienza clinica in ambito psichiatrico e forense, 
egli descrisse dettagliatamente ciò che credeva fossero i 16 tratti distintivi 
del disturbo: falsità e fascino superficiale, assenza di allucinazioni e altri 
segni di pensiero irrazionale, assenza di nervosismo o manifestazioni 
psiconevrotiche,  scarsa affidabilità e bugia patologica,  mancanza di 
colpa e rimorso, comportamenti antisociali inadeguatamente giustificati, 
scarsità di giudizio ed incapacità di imparare dall’esperienza, 
egocentrismo patologico ed incapacità di amare, povertà generale nelle 
principali reazioni affettive, specifica perdita di introspezione, mancanza 
di responsività nelle relazioni interpersonali, comportamento sgradevole e 
disorganizzato sotto l’effetto di alcolici e a volte senza, suicidio poco 
frequente, vita sessuale impersonale, banale e scarsamente integrata, 
fallimento nel seguire i piani di vita. 
Per Cleckley, il comportamento antisociale di questi soggetti non è 
motivato in maniera contingente ma nasce d’impulso, e l’elemento chiave 
del disturbo secondo l’autore è la generale povertà di reazioni affettive. 
Egli comparò questa “anormalità” all’afasia semantica, cioè un disordine 
semantico profondo nel quale le componenti semantiche ed affettive del 
linguaggio sono separate. Questo avrebbe spiegato, secondo l’autore, 
perché gli psicopatici dicono una cosa ma ne fanno un’altra. Un altro
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aspetto che Cleckley sottolineò fu il fatto che non è vero che gli 
psicopatici non esperiscono emozioni, ma quelle che esperiscono 
differiscono da quelle che provano gli individui normali, nel genere, nel 
grado, nella durata e nel modo nel quale vengono elicitate. Inoltre, egli 
asserì che individui con personalità psicopatica si ritrovano non solo nella 
popolazione carceraria, bensì anche tra la popolazione civile e di elevato 
status sociale (Cleckley, 1976).