4
 
INTRODUZIONE 
  
 
 
 
“Il sole sembra grande a Democrito, 
 perchØ egli è uno scienziato  
ed ha una compiuta conoscenza della geometria; 
 della grandezza di circa due piedi ad Epicuro, 
 perchØ egli pensa che esso è grande 
 tanto quanto appare" 
 
(Cicerone, De finibus, I 6, 20) 
 
 
L’obiettivo che questo lavoro si propone di conseguire è quello di studiare 
l’interpretazione che dà K. Marx di due filosofi greci apparentemente molto simili, 
ma in realtà tra loro molto distanti: Democrito ed Epicuro. 
Prima di arrivare a questo traguardo, però, il percorso tracciato in queste pagine 
passa per due tappe fondamentali. I primi due capitoli, infatti, sono dedicati 
rispettivamente al filosofo di Abdera e al filosofo di Samo: soltanto dopo aver 
analizzato entrambi i pensieri - in tutti i loro punti di contatto e di contrasto - si 
arriva, nell’ultimo capitolo, all’analisi di Marx. 
Il filosofo tedesco affronta questo argomento nella sua dissertazione per il 
dottorato discussa a Jena il 15 aprile 1845, dal titolo Differenza tra la filosofia 
della natura di Democrito e quella di Epicuro. In questa sua tesi Marx discute una 
situazione che, ai suoi occhi, si sta riproponendo anche negli anni in cui lui 
stesso vive: la filosofia post-hegeliana, infatti, può benissimo essere interpretata 
attraverso un’attenta lettura delle filosofie ellenistiche - in questo caso 
l’epicureismo - nate dopo la metafisica platonica e quella aristotelica. La ripresa 
che Epicuro attua, dopo Platone, del pensiero atomistico democriteo, anche se -
5
si vedrà - eticamente finalizzata, si pone sullo stesso piano del recupero di Marx 
della concezione materialistica dopo la lunga parentesi dell’idealismo hegeliano. 
Ecco, quindi, che la sua scelta cade inevitabilmente sul pensatore di Samo: la 
sua filosofia è l’autentico materialismo. Se l’atteggiamento di Democrito nei 
confronti del mondo sensibile può essere considerato una forma di scetticismo - 
l’aneddoto dell’auto-accecamento ne rappresenta sicuramente una prova - 
Epicuro, al contrario, ritiene che soltanto in esso si può giungere alla verità. La 
scienza è motivo di vita per Democrito, portato continuamente alla ricerca di una 
spiegazione causale per ogni fenomeno: Epicuro, invece, ritiene sufficiente la 
sua teoria delle spiegazioni multiple. Alla certezza che il carattere necessario 
della scienza è capace di assicurare, egli preferisce la semplice possibilità in sØ 
e per sØ, l’unica capace di persuadere e, nello stesso tempo, di conservare lo 
stato di serenità interiore. ¨ la dimensione catastematica, così, a segnare il 
distacco definitivo tra i due filosofi: alla κίνησις di Democrito viene a sostituirsi la 
κατάστασις di Epicuro, alla mania di viaggiare del filosofo di Abdera si 
contrappone la tranquillità del κηπος epicureo.  
La nonchalance con la quale il pensatore di Samo affronta i temi riguardanti i 
fenomeni celesti gli permette di apparire agli occhi dei suoi seguaci il primo uomo 
capace di tracciare il sentiero che conduce al bene da sempre e da chiunque 
agognato, vale a dire la felicità. Nulla può turbare l’animo umano quando esso 
viene liberato dalle paure delle cose celesti, della morte e, soprattutto, degli dei: 
una volta eliminata dal mondo qualsiasi azione della divinità, infatti, l’uomo può 
finalmente godere di una condizione di vita atarassica. Sotto questo punto di 
vista l’ateismo di Epicuro e quello di Marx vanno di pari passo: anche per il
6
filosofo tedesco è necessario bandire tutti gli dei per proclamare come unica vera 
divinità l’autocoscienza umana. 
Questi - e altri - sono i temi affrontati in queste pagine, le quali mirano ad 
evidenziare il rapporto - piø stretto di quanto si possa pensare - tra Epicuro e 
Marx, due filosofi separati da oltre due millenni ma uniti dagli stessi ideali.
7
 
 
Capitolo 1 
IL DEMOCRITO DI DEMOCRITO 
 
1.1 VITA E SCRITTI 
 
La fonte piø completa riguardo la vita del filosofo di Abdera è quella di Diogene 
Laerzio: il suo testo, Vite e sentenze dei filosofi celebri
1
, però, fa spesso 
riferimento a testimonianze non verificate e, inoltre, nella Vita di Democrito, 
inclusa nel libro IX, sono riportate piø leggende che notizie. Questo induce, 
quindi, a non prendere alla lettera tutto quanto lo storico dice. 
La data della nascita del filosofo di Abdera viene collocata intorno al 460 a.C.
2
 
dalla maggior parte degli storici. Democrito fu un grande viaggiatore e durante la 
sua lunga vita visitò paesi quali l’Egitto, la Persia, il Mar Rosso, l’India e l’Etiopia. 
Ultimo di tre fratelli, quando si trovò a dover dividere l’eredità paterna, si 
accontentò di quella minima parte di denaro utile per coprire le spese dei suoi 
viaggi
3
. Non si curava affatto della fama, tanto che - si narra - conobbe Socrate 
senza che questi sapesse mai chi fosse
4
. Era talmente appassionato nei suoi 
                                                 
1
 L’opera è suddivisa in X libri e consiste in una serie di biografie, spesso aneddotiche, dei pensatori vissuti 
nell’arco di tempo che va dalla nascita della filosofia, con i Sette Savi, fino ad Epicuro. 
2
 Diels-Kranz, I Presocratici – Testimonianze e Frammenti, Laterza, Roma-Bari 1999, vol. II, p. 666, fr. 68 
A1. Diogene Laerzio a tal proposito dice: “Quanto ai tempi in cui visse [Democrito], come dice egli stesso 
nella Piccola Cosmologia, era giovane quando Anassagora era vecchio, avendo egli quarant’anni meno di 
lui; e dice di aver composto la Piccola Cosmologia 730 anni dopo la distruzione di Troia” [IX 41]. Stando a 
questa testimonianza, dunque, Democrito sarebbe nato intorno all’anno 460 a.C. 
3
 Cfr. Diels-Kranz, p. 664: 68 A1, 35. 
4
 Cicerone, nelle Tusculanae Disputationes (V 36, 104), osserva: “Questo dunque bisogna capire, che nØ si 
deve ricercare la gloria popolare per se stessa nØ si deve temere il restare oscuri. «Andai ad Atene - dice
8
studi da considerarsi alla stregua di un lottatore di pentathlon: riteneva, infatti, di 
doversi interessare tanto alle questioni fisiche quanto a quelle morali, tanto alla 
matematica quanto agli argomenti di cultura generale, senza lasciare indietro lo 
studio delle arti. I suoi scritti genuini, nell’ordine della suddivisione che di essi fa 
Trasillo
5
, sembrano rispecchiare fedelmente questa concezione: libri di etica, libri 
fisici, libri matematici, libri musici e libri tecnici. Oltre alla Piccola Cosmologia
6
, 
altri testi di natura fisica degni di nota sono i Libri probativi
7
 e i Canoni o Dei 
ragionamenti
8
. 
Si esercitava spesso a mettere alla prova la sua immaginazione, “vivendo in certi 
periodi in luoghi deserti e perfino soggiornando tra le tombe”
9
. Acquistò 
addirittura una fama divina dopo aver preannunciato al fratello Damaso una 
grande pioggia. Tra i filosofi del suo tempo Democrito era di gran lunga il 
migliore, tanto che Platone non fa mai il suo nome, neppure quando pensa di 
dover polemizzare con lui. A tal proposito Diogene Laerzio ricorda un elogio fatto 
da Timone: “come Democrito il gran saggio, signore della parola, io riconosco tra 
i migliori acutissimo nel conversare”
10
. 
Riguardo la sua morte, secondo Diogene Laerzio avvenuta a 109 anni, si dice 
che egli, per evitare di farla coincidere con le Tesmoforie
11
, pregò la sorella di 
                                                                                                                                                 
Democrito - e là nessuno mi conobbe ». Uomo veramente costante e dignitoso, tanto da vantarsi perchØ si è 
tenuto lontano dalla gloria!”. 
5
 Astrologo e grammatico neopitagorico del I secolo d.C., attivo alla corte dell'imperatore Tiberio: per la 
catalogazione delle opere di Democrito, il Diels-Kranz segue l’ordine delle sue tetralogie. 
6
 Ripropone le teorie della Grande Cosmologia del maestro Leucippo: contiene argomenti sulla formazione 
del mondo, sull’origine degli animali e sulla storia della civiltà umana.  
7
 Porta avanti la tesi secondo cui “noi in realtà non conosciamo nulla che sia invariabile, ma solo aspetti 
mutevoli secondo la disposizione del nostro corpo, e di ciò che penetra in esso o gli resiste”: cfr. nota 35.  
8
 Qui Democrito analizza le due forme di conoscenza: quella dei sensi, “oscura”, e quella dell’intelletto, 
“genuina”: questa sua teoria sarà presa maggiormente in considerazione nel seguito di questo capitolo. 
9
 Diels-Kranz, p. 665: 68 A1, 38. La testimonianza è tratta dall’opera di Diogene Laerzio, IX  38.  
10
 Ivi, 40. 
11
 ¨ il nome di una festa celebrata nell’antica Grecia in onore di Demetra. Aveva luogo in autunno e durava 
tre giorni, uno dei quali dedicati al digiuno; vi partecipavano esclusivamente donne. I riti che vi venivano 
praticati avevano lo scopo di favorire la fertilità del grano nell’imminenza della semina.
9
accostargli ogni giorno davanti alle narici dei pani caldi, in modo da potersi 
spegnere lentamente e senza dolore, superando allo stesso tempo, grazie al loro 
solo odore, i tre giorni della ricorrenza
12
. La tradizione posteriore
13
 ci tramanda 
un filosofo soprannominato “ο Γελασĩνος”
14
, per la sua abitudine di deridere gli 
uomini che mostravano il loro attaccamento alle vanità dell’esistenza
15
.  
Molte sono, infine, le fonti che vedono Democrito, ad un certo punto della sua 
vita, privarsi della vista
16
: su questo punto si tornerà in maniera piø specifica nel 
corso del capitolo, analizzando la connessione tra questo aneddoto e il pensiero 
di Democrito. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
12
 Cfr. Diels-Kranz, p. 667: 68 A1, 43. 
13
 Il Diels-Kranz, in nota, fa riferimento alla letteratura moralistica e romanzesca. 
14
 il Derisore. 
15
 Diels-Kranz, p. 674, 68 A21: nel De oratore, a proposito della figura del filosofo derisore, Cicerone 
scrive: “E, prima di tutto, che cosa sia propriamente il riso, e in qual modo venga suscitato […] se la veda 
Democrito” (II 58, 235). 
16
 A proposito della cecità di Democrito, il Diels-Kranz riporta le testimonianze di diversi autori: Cicerone 
(68 A22), Gellio (68 A23), Lucrezio (68 A24), Tertulliano (68 A26) e Plutarco (68 A27).
10
 
 
1.2 L’ATOMISMO E LE SUE RADICI 
 
Con Aristotele la filosofia greca segna il trionfo della concretezza sull’universale 
astratto platonico. Prima di Aristotele, però, già Democrito aveva introdotto il 
concetto di realtà individuata, e lo aveva fatto partendo dalle premesse poste da 
Parmenide. Per capire la nascita del pensiero atomistico è quindi fondamentale 
capire la sua relazione con l’Essere parmenideo. D’altronde Leucippo
17
, maestro 
di Democrito, conosceva bene la problematica eleatica, visto che a suo tempo 
era stato discepolo diretto di Zenone e di Melisso. La connessione tra i due 
pensieri è esposta in modo esemplare da Aristotele
18
. 
Mentre per gli Eleati molteplicità e movimento non avevano alcun senso, 
essendo l’Essere necessariamente uno ed immobile e il vuoto non-essere, per gli 
Atomisti, invece, intenzionati a costruire una dottrina in accordo con la 
percezione sensibile e tale da spiegare la realtà empirica, il movimento e la 
molteplicità delle cose, nonchØ la loro generazione e corruzione, il loro nascere e 
perire, andavano necessariamente recuperati. 
                                                 
17
 Di lui sappiamo pochissimo. Fu contemporaneo di Anassagora; sembra che sia nato a Mileto ed abbia 
soggiornato ad Elea, ove avrebbe conosciuto Zenone, e che poi, trasferitosi ad Abdera, sia entrato in 
rapporto con Democrito. Avrebbe scritto una Grande Cosmologia, di cui non abbiamo nulla, e un libro 
Sull’intelletto, di cui ci è pervenuto un solo frammento. 
18
 Cfr. G. Reale, Storia della filosofia antica, Vita e Pensiero, Milano 1979, vol. I, pp. 172-173: qui l’autore 
riporta un passo del De generatione et corruptione (324 b 35 sgg) in cui Aristotele spiega la relazione 
esistente tra l’atomismo e l’eleatismo. Al loro rapporto dedica un paragrafo T. Gomperz nella sua opera 
Pensatori greci - Storia della filosofia antica (libro III, cap. II). Secondo lui, infatti, “proprio 
l’«innaturalista» e l’«uomo della quiete universale», colui che negava ogni movimento, ogni cangiamento, 
ogni divenire, e che perciò sottraeva allo studio della natura il suo stesso contenuto, proprio lui ha, dunque - 
tanto mirabilmente s’intrecciano le vie del progresso spirituale! - inconsciamente e contro la sua propria 
intenzione, servito la causa di quella ricerca naturalistica che, riconoscendo pienamente il mutamento e il 
divenire, li riconduce al movimento meccanico, e si mantiene entro la cerchia esclusiva dei loro problemi”. 
Dopo aver affermato questo, però, Gomperz tiene a precisare che ciò non è comunque sufficiente per 
dedurre la completa dipendenza dell’una teoria dall’altra: “esse si toccano effettivamente in molti punti, ma 
proprio a quel modo e per quella ragione che anche i contrari si toccano” (pp. 108-109).
11
Parmenide affermava - e insieme negava - la dialettica, riconoscendo come non 
si possa dare positivo senza negativo, come non si possa concepire l’essere 
senza affermare o negare il suo opposto: il non-essere. Quest’ultimo, però, viene 
del tutto abolito, ed ecco che - scrive V. E, Alfieri - “la dialettica non era dialogo, 
un sì contro un no, un sì necessariamente inseparabile dal no, ma monologo 
solitario e inaccessibile: e il negativo sfuggiva davanti, sembrava svanire come 
nebbia del mattino, e tuttavia sempre risorgeva come ombra che segue ovunque 
la luce”
19
. Così la verità coincide con il concetto, la realtà con il razionale, e il 
ragionamento logico annienta l’opinione, il pensiero cancella la sensazione. 
Leucippo per primo sentì la necessità di risolvere un nuovo problema: “salvare i 
fenomeni”, e “mostrare la razionalità anche del negativo, di quel negativo senza il 
quale nemmeno il positivo potrebbe mai essere concepito”
20
. L’Essere pieno di 
Parmenide così si frantuma in un infinito numero di corpi, di volume piccolissimo 
e indivisibili: gli atomi. Essi “sono la frantumazione dell’Essere-Uno eleatico in 
infiniti esseri-uni, che aspirano a mantenere quanti piø caratteri possibili 
dell’Essere-Uno”
21
. Questo però non può bastare per “salvare i fenomeni”. 
L’atomismo presenta, allora, una premessa logica fondamentale: l’affermazione 
della realtà e della pensabilità del non-essere, e di conseguenza del vuoto, 
necessario per ammettere il movimento e la molteplicità. Solo così è possibile 
mettere d’accordo il pensiero con l’esperienza. Come testimonia Simplicio, 
riportando “una breve citazione del libro di Aristotele Su Democrito”
22
, per il 
filosofo di Abdera “la materia di ciò che è eterno consiste in piccole sostanze 
                                                 
19
 V.E.Alfieri, Atomos idea, Le Monnier, Firenze 1953, p. 33. 
20
 Ivi. 
21
 G.Reale, op. cit., p. 174. 
22
 Diels-Kranz, p. 681: 68 A37. Il frammento è relativo al De Caelo di Simplicio, 294, 33: con questo 
passo, come lui stesso dice, egli intende mettere in evidenza “la differenza di concezione tra quei due 
pensatori [Democrito e Aristotele]”.
12
infinite di numero; gli atomi, che lui chiama anche con il nome di «ente», «solido» 
e «essere». Queste sostanze sono contenute in uno spazio «altro», diverso da 
quello occupato dalla materia stessa, infinito per grandezza: egli lo chiama coi 
nomi di «vuoto», «niente» e «infinito»”
23
. 
Anche Plutarco riconosce che per Democrito “l’ente non esiste a maggior ragione 
del niente, designando con ente [δέν] il corpo, con niente [μηδέν] il vuoto, 
giacchØ per Democrito anche il vuoto ha una sua propria natura e realtà”
24
. 
Così, dunque, l’atomismo si pone nei confronti del pensiero ad esso precedente 
e, partendo dalle sue basi, lo amplia. ¨ poi Platone a riconoscere definitivamente 
come pensabile e pensato ciò che Parmenide aveva negato, cioè il diverso, τό 
έτερον; e lo farà compiendo il gran “parricidio”, ammettendo cioè l’alterità, 
l’essere del non-essere. Resta il fatto che - nota Alfieri
25
 - “noi non sapremo mai 
se al gran «parricidio» egli non sia stato indotto proprio dall’insegnamento e 
dall’esempio di Leucippo e Democrito, che prima di lui quel «parricidio» con 
piena serenità e senza alcuna angoscia avevano consumato. Ma quel che è 
certo è che per primo Leucippo affermò la pensabilità e la realtà del non-essere: 
e dal concetto dell’alterità dedusse la giustificazione logica della molteplicità e del 
movimento, salvando i fenomeni in nome della logica e non già coartando la 
logica al lodevole fine di salvare i fenomeni
26
”. Secondo Giovanni Reale
27
 questa 
intenzione fatta propria dall’atomismo sta nella lettura del fr. 8 di Melisso: ”se 
esistessero i molti, questi dovrebbero essere tali quali io dico che è l’Uno”
28
. 
Questa affermazione, che per un eleate era la garanzia dell’assurdità del 
                                                 
23
 Ivi. 
24
 Diels-Kranz,  p. 781: 68 B156. Il passo di Plutarco qui riportato è presente nell’opera Contra Colotes,  4 
p.1108F.  
25
 V.E.Alfieri, op cit., p. 48. 
26
 Cosa che, si vedrà in seguito, sarà opera di Epicuro. 
27
 G.Reale, op. cit., p. 174. 
28
 Ivi: in nota, Reale specifica come la fonte a cui egli fa riferimento sia presente in Diels-Kranz, 30 B 8 §2.