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1. Premesse 
 
1.1 Introduzione 
 
L’attività di tirocinio si è svolta presso il Consiglio Nazionale delle 
Ricerche, Istituto per l’Ambiente Marino Costiero (CNR-IAMC), situato in 
località Sa Mardini - Torregrande (Oristano). 
L’obiettivo dell’Istituto è di promuovere la ricerca scientifica, la 
cooperazione internazionale, la formazione e la diffusione, finalizzata alla 
corretta gestione delle bio-risorse e dell’ambiente marino Mediterraneo, 
contribuendo così a una politica per lo sviluppo sostenibile del territorio. 
Le linee principali di ricerca dell’Istituto sono la Biologia degli organismi, 
gli Ecosistemi costieri e l’Oceanografia. 
Durante il tirocinio, svoltosi principalmente nei laboratori di chimica e 
sedimentologia, ho appreso e acquisito la metodologia e le tecniche di analisi 
dei sedimenti, studiando in particolar modo quelli provenienti dallo stagno di 
Santa Giusta. 
 
Infatti, l’analisi delle caratteristiche chimiche e fisiche dei sedimenti, 
riveste una notevole importanza nello studio degli ambienti di transizione, 
come le lagune e gli stagni costieri ed è utile per capire le condizioni 
ambientali di questi particolari ecosistemi. 
Questi ambienti, infatti, sono aree ad elevata produttività e quindi cruciali 
per la sopravvivenza di molte specie utili all’uomo, quali invertebrati, pesci, 
uccelli e mammiferi. 
Oltre a rivestire un’importanza umana, culturale ed economica, queste 
zone umide costituiscono un ambiente naturale di rara bellezza dal punto di 
vista paesaggistico e faunistico, ospitando una grande varietà di avifauna, fra 
cui alcune specie ormai rare, che nidificano fra le molteplici varietà di flora. 
Attualmente, le attività di pesca e itticoltura hanno dato vita a un turismo eno-
gastronomico che spesso si accompagna ad una sana attività sportiva.  
 
Va comunque ricordato che si tratta di habitat estremamente delicati: 
l’equilibrio biologico rischia, infatti, di rompersi ogniqualvolta gli stress 
ambientali e il degrado dovuto all’inquinamento e ad altri fattori 
antropogenici, agiscono negativamente sulla riproduzione, distribuzione e 
sopravvivenza di numerose specie di notevole interesse naturalistico e 
commerciale. Inoltre, tali ambienti, che spesso si trovano nei pressi di centri 
urbani o industriali, sono sempre più condizionati da fattori di produzione 
eccessiva di nutrienti e materia organica, soprattutto come conseguenza diretta 
(es. scarico di acque reflue, acquacoltura) o indiretta (es. eutrofizzazione) 
delle attività umane (P. Magni, 2007). 
 
Infatti, un eccesso di sedimentazione di materia organica, in condizioni di 
aumento di temperatura, può portare a elevati tassi di batteri solfato-riduttori, 
alla riduzione di ossigeno
 
e al successivo rilascio nell’acqua di acido solfidrico 
(H
2
S) tossico, in concentrazioni superiori alla soglia di tolleranza per la 
maggior parte degli organismi acquatici animali. Questo fenomeno è legato 
all’accumulo sul fondo di grandi quantità di materia organica che non viene 
ossidata a causa dello scarso ricambio d’acqua e del clima caldo-umido che in 
Sardegna prevale per lunghi periodi dell’anno: il risultato è il verificarsi di uno 
stato di anossia che porta al collasso dell’intero sistema.
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Ancora prima che l’H
2
S sia rilevabile nelle acque, la tossina comincia a 
depositarsi nei sedimenti, dove la presenza di accumuli di sostanza organica 
dà origine a un metabolismo anaerobico. L’assenza di ossigeno causa la 
scomparsa delle specie ittiche presenti.  
In tali condizioni, i tempi di recupero della produttività del sistema 
attualmente non sono quantificabili, ma gli studi fino ad oggi condotti 
indicano che la morìa può interessare anche i livelli più bassi della catena 
trofica (P. Magni, 2007). 
Le lagune e gli stagni costieri sono inoltre interessati dal problema 
dell’eutrofizzazione: l’elevata concentrazione di nutrienti (P e N) che si 
accumula in questi ambienti, sia per cause naturali che antropiche, determina 
un incremento della produzione primaria fitoplanctonica e fitobentonica 
(biomassa vegetale), che a sua volta può dare origine a fenomeni di anossia o 
ipossia, portando, come conseguenza estrema, alla morte di molte specie.  
 
Negli ultimi anni, unitamente a una crescente sensibilizzazione dei gruppi 
e degli organismi pubblici di governo alle problematiche ambientali, è 
aumentato l’interesse per la valutazione degli inquinanti presenti negli 
ambienti acquatici, mediante l’applicazione di indicatori ecologici di diverso 
tipo, che vengono utilizzati per fornire informazioni sul benessere degli 
habitat e l’eventuale impatto di attività antropiche. 
Attraverso gli indicatori ecologici è possibile descrivere in termini più 
semplici la vita dell’ecosistema, al fine di indirizzare al meglio le decisioni per 
una corretta gestione dello stesso. 
 
Pertanto, l’obiettivo delle analisi sui sedimenti dello stagno di Santa 
Giusta, che si configurano come indicatori ecologici, è quello di acquisire una 
visione d’insieme di tutte le informazioni riguardanti lo stato di salute dello 
stagno stesso, dati necessari per pianificare l’attività di gestione di questo 
particolare ecosistema. 
Lo studio dei fenomeni legati al comportamento dei sedimenti è perciò 
indispensabile al fine di valutare gli effetti di possibili interventi di 
risanamento dell’habitat in esame.
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2. Inquadramento dell’area di studio: lo stagno di Santa Giusta. 
 
2.1 Aspetti morfologici e idrologici 
 
Lo stagno di Santa Giusta è un corpo d’acqua localizzato nella porzione 
centro-settentrionale dell’entroterra del Golfo di Oristano (costa occidentale 
sarda), nella piana di Pesarìa, una zona agricola coltivata intensivamente con riso, 
tra Oristano a nord, il centro abitato di Santa Giusta a est, la piana del Cirras a sud 
e il mare a ovest (39° 52’ N, 08° 36’ E). 
Esso fa parte del Comprensorio di bonifica del Campidano ed è 
considerato uno dei più grandi ambienti salmastri costieri sardi; infatti, per le 
dimensioni di 839 ettari è classificato come il terzo stagno più grande della 
Sardegna dopo lo stagno di Cabras e lo stagno di Santa Gilla a Cagliari 
(Tataranni, 2009). 
 
Ha una caratteristica forma circolare, 
con un volume idrico di 12,6 Mm³ e una 
profondità media dell’acqua molto modesta 
che non consente una stratificazione termica 
stabile: essa varia da 40 cm a 1,5 m 
(profondità max: 1,9 m); presenta acque 
salmastre perenni, con un grado di salinità che 
non raggiunge mai valori elevati: presenta 
variazioni da 25 a 42‰, con un valore medio 
annuale di 30‰ (Tataranni, 2009). 
 
Allo specchio d’acqua principale dello 
stagno sono collegati, mediante uno stretto 
canale navigabile detto Riu Nou, oltre a 
diversi canali agricoli, alcuni piccoli bacini 
secondari interni comunicanti, tra cui Pauli 
Majori e Pauli ‘e Figu, situati sul lato 
orientale e circondati da una fittissima 
vegetazione ripariale naturale che include fitti 
canneti, cortine di tamerici, ecc. 
 
Lo stagno di Santa Giusta è 
collegato alla foce del fiume Tirso e 
comunica direttamente col mare 
aperto, da cui dista meno di 2 Km, 
tramite il Canale di Pesarìa. Non 
esistendo più alcuna comunicazione 
diretta col Tirso, dunque, gli afflussi 
di acque dolci provengono 
principalmente da tre immissari 
naturali: il Rio Pauli ‘e Figu, il Rio 
Pauli Majori e il Rio Merd’e Cani. 
A questi si devono aggiungere le 
acque di drenaggio del Canale San 
Giovanni e di altri canali di bonifica e, subito più a sud, all’altezza del porto 
industriale di Oristano, sbocca anche il Canale Industriale. 
 
 
Fig. 2 - Lo stagno di Santa Giusta. 
Fig. 1 - Cartina dello stagno di 
Santa Giusta.
7 
 
Qualche decina di anni fa, è stata effettuata una valutazione dell’apporto di 
nutrienti (N e P totale) nello stagno; il fosforo e l’azoto, infatti, sono gli elementi 
nutritivi fondamentali che, negli ambienti acquatici, controllano la crescita 
vegetale e che in quantità eccessive, innescano i processi di eutrofizzazione. Dalle 
analisi effettuate è risultato che lo stagno presenta contenuti molto elevati di P 
totale (200-1000 mg P m
-3
), di N nitrico (200 mg N m
-3
), di N nitroso (50 mg N 
m
-3
) e di NH
3
 (1500 mg N m
-3
), a causa del continuo rilascio nelle sue acque, di 
fertilizzanti e scarichi urbani, e una concentrazione elevatissima di clorofilla a 
fitoplanctonica (700 mg m
-3
) che, nella valutazione dello stato trofico, assume 
un’importanza determinante in quanto fornisce una stima diretta o indiretta della 
produzione vegetale. 
Considerando quindi, che concentrazioni di P superiori a 10-20 mg P m
-3
 e 
di N minerale superiori a 150 mg N m
-3
 e che picchi di clorofilla a superiori a 16 
mg m
-3
, sono spesso indicativi di uno stato di eutrofia, per le sue concentrazioni 
elevatissime, lo stagno di Santa Giusta è considerato ipertrofico (Sechi, 1982). 
     
 
L’origine dello stagno di 
Santa Giusta, impostato su 
un’antica valle fluviale, sembra 
potersi attribuire allo 
sbarramento, a causa di dune 
litoranee, di avvallamenti naturali 
presenti nella pianura costiera. 
Queste depressioni sono state 
inizialmente colmate dalle acque 
dei corsi d’acqua che confluivano 
nel Golfo di Oristano, più in 
particolare dal fiume Tirso, e lo 
stagno in seguito si è generato per 
emersione di barre sabbiose.  
I grandi fiumi, infatti, soprattutto durante le piene, trasportano grandi 
quantità di materiali in sospensione, come argilla, limo e sabbia e, quando 
raggiungono la costa, la velocità della corrente diminuisce a causa del 
riversamento delle acque del fiume nelle acque marine. Di conseguenza, le 
particelle solide tendono a depositarsi in mare. La sabbia, che è formata di granelli 
più grossi, si deposita prima, più vicino alla costa, mentre l’argilla e il limo, più 
sottili, si disperdono al largo. Le correnti che scorrono “lungo costa” 
distribuiscono il materiale in lunghi “scanni” o “barre di foce” parallele alla linea 
di costa.              
Con l’apporto continuo di altro materiale, le barre crescono fino a 
emergere. Una volta emerse, queste strisce di sabbia vengono consolidate dalla 
vegetazione pioniera e il vento contribuisce ad accumulare materiale con la 
formazione delle prime dune. I cordoni sabbiosi tendono, infine, a separare un 
tratto di mare interno rispetto al mare aperto e si forma, quindi, uno stagno o una 
laguna costiera.  
Nelle fasi iniziali di formazione di questi ambienti di transizione, le acque 
interne rimangono collegate al mare per mezzo di alcune “bocche” che 
interrompono la continuità dei cordoni lagunari, le quali si mantengono aperte per 
l’azione delle correnti di marea.  
 
 
 
Fig. 3 - Veduta dello stagno di Santa Giusta.