6 
ultimi cinquanta anni non si può non affermare che si è sicuramente dato un 
utile contributo alle problematiche in questione ma purtroppo è anche 
evidente che la povertà non è stata debellata. Le varie politiche d’aiuto, 
spesso contaminate da un assistenzialismo viziato, si sono rivelate 
insostenibili nel lungo periodo. Importanti passi avanti si compiranno 
soltanto quando le società impareranno a creare ricchezza ed erogare servizi 
con il contributo attivo di tutta la gente e senza escludere nessuno dai 
processi di sviluppo.  
Gli ostacoli allo sviluppo sono molteplici e di diversa natura: economica, 
sociale, politica e sono proprio questi, spesso, ad impedire la piena 
realizzazione di un individuo, di un povero che, anche se crede nelle proprie 
capacità e ha fiducia in sé stesso, non si vede riconosciuto il diritto, la 
libertà di partecipare al proprio processo di sviluppo. Quello che si vuol 
portare alla luce nella presente tesi è proprio l’ineguaglianza delle 
possibilità di accesso ai meccanismi e ai benefici dello sviluppo. La Carta di 
Copenaghen2 addebita con chiarezza la responsabilità del sottosviluppo ai 
meccanismi viziosi che impediscono la partecipazione di un importante 
fetta di popolazione mondiale ai processi di sviluppo. È la mancata 
partecipazione che rende impossibile la piena utilizzazione delle grandi 
potenzialità umane. È nell’esclusione dalla vita sociale ed economica che 
affondano le radici dei diversi  squilibri. Con il termine esclusione, in 
questo contesto, si fa riferimento ad una specifica forma di esclusione, 
quella sociale. Si fa riferimento a tutti quei meccanismi discriminatori che 
privano molte persone dall’accesso alle informazioni, al credito, 
all’istruzione, alla formazione, alla salute e, più in generale, al godimento di 
                                               
2
 Documento finale del vertice mondiale sullo sviluppo sociale organizzato dalle Nazione Unite a 
Copenaghen, 6 – 12 marzo 1995. Il documento si chiama ufficialmente “Dichirazione e 
programma d’azione del vertice mondiale sullo sviluppo sociale”. È consultabile in versione 
integrale sul sito www.yorku.ca/hdrnet. A Copenaghen furono affrontati tre temi fondamentali: 
povertà, disoccupazione ed esclusione sociale. Quest’ultima è stata ritenuta la causa principale del 
grave squilibrio prodotto dalle varie forme di sviluppo che non sono dovutamente incentrate sui 
bisogni di tutti gli esseri umani. Per una trattazione esaustiva dell’argomento si veda Carrino L., 
(2005), Perle e pirati, Edizioni Erickson, Trento.    
 7 
diritti che, per altri, sono garantiti. Quando cioè un determinato modello di 
sviluppo non si propone di offrire a tutti, senza alcuna distinzione, la 
possibilità di esprimere le proprie capacità e di partecipare attivamente alla 
vita economica e sociale3. 
L’intento del presente contributo è analizzare un particolare modello di 
esclusione, un impedimento di carattere finanziario che, privando molti di 
prender parte al circuito economico esistente, nega la possibilità di 
migliorare la propria condizione economica, sociale ed umana. “Gli 
economisti hanno contribuito in modo determinante a modellare il mondo 
in cui viviamo, e si può dire, senza timore di essere smentiti, che hanno 
completamente fallito nell’ambito delle scienze sociali. Le eleganti teorie 
che hanno elaborato nel corso degli anni saranno forse servite a mettere in 
evidenza i meccanismi che regolano la nostra economia, ma hanno 
trascurato l’esistenza dei poveri, e hanno eluso la dimensione sociale dei 
problemi”4. Nel periodo post-bellico gli economisti hanno iniziato ad 
interessarsi ai problemi della società odierna quali l’esclusione, 
l’indebitamento, la precarietà ecc. Si sono così avvicinati alla realtà 
studiando però questi fenomeni con il solo punto di vista della loro 
specializzazione, ne hanno analizzato l’incidenza sulla crescita economica, 
occultandone le altre dimensioni ed eludendo l’importanza della giustizia 
sociale. Si è andata poi ad affermare una branca dell’economia, c.d. 
“economia dello sviluppo”, che si proponeva di rimediare a quelle 
problematiche dovute a condizioni di indigenza, tra le quali: malnutrizione, 
analfabetizzazione, carenza di assistenza sanitaria, ecc. Sta di fatto che 
grandi progressi in questo senso non si sono verificati e questa economia si 
è limitata a reinterpretare le teorie economiche dominanti, applicandole alle 
diverse e difficili situazioni degli stati post-coloniali divenuti da poco 
indipendenti.  
                                               
3
 Ibidem, pag. 157.  
4
 Yunus M., (2001), Il banchiere dei poveri, Feltrinelli, Milano, cit. pag. 229. 
 8 
In questo lavoro non ci si vuol spinger a criticare questo ramo collaterale 
dell’economia, non si hanno né le competenze né le intenzioni, si vuole 
invece portare alla luce una grave lacuna del sistema finanziario ed 
economico attuale che consiste nella “non comprensione del potere sociale 
e non solo economico del credito”. Concedere un credito significa “aver 
fiducia”, “ il credere”  nelle possibilità del beneficiario; si prestano dei soldi 
che poi saranno restituiti a determinate scadenze dando così fiducia a quella 
persona, consentendogli di soddisfare i propri bisogni. Con il tempo 
all’interno delle istituzioni finanziarie si sono radicate delle regole che 
escludono da questi benefici chi, non in possesso di terra, casa, patrimoni, 
non è in grado di dare garanzie circa il rimborso e quindi non può usufruire 
di alcun prestito. A chi cioè è considerato “povero”, non viene prestato 
“denaro freddo”, “anonimo”, perché incapace di offrire certezze ed è così 
escluso a priori dal circuito finanziario, innescando un meccanismo che 
favorisce il ricco a diventarlo sempre di più e perpetua la condizione di chi 
è povero. Sono considerati dalle normali banche dei clienti “non appetibili” 
perché, oltre a non fornire garanzie patrimoniali, muovono capitali così 
esigui da non giustificare il costo delle singole operazioni. Non concedere 
credito significa in effetti negare a molti la possibilità di uscire da quello 
stato di impoverimento materiale spesso causa diretta della mancanza di 
altre libertà sostanziali come la libertà di nutrirsi, vestirsi, avere un tetto, 
acqua pulita, accesso a cure sanitarie, possibilità di partecipazione politica e 
così via.  
Stando ai dati dell'UNDP (United Nations Development Programme) il 
20% più ricco della popolazione mondiale ottiene il 95% del credito 
complessivamente erogato nel mondo. 
 
 
 
 
 9 
Tabella 1   La distribuzione mondiale del credito e del risparmio 
 
Fonte: World Bank 
 
 
L’impossibilità di accedere al credito, per la fascia più povera della 
popolazione mondiale, è uno dei pilastri su cui si fonda l’iniqua 
distribuzione delle risorse a livello mondiale.                                 
È risaputo che da uno sviluppo economico non ne deriva conseguentemente 
uno sviluppo umano e non basterà abbattere il muro dell’apartheid 
finanziario per migliorare condizioni di povertà materiale e spirituale; una 
ricchezza, un reddito sempre più alto non consentono di comperare la 
libertà politica, la libertà da anacronistiche tradizioni, la libertà di vivere e 
svilupparsi come meglio si desidera. Lo sviluppo va inteso come un 
processo storico, un processo integrato di più libertà tra loro interconnesse 
dove la ricchezza materiale non è il bene ultimo che cerchiamo ma che 
perseguiamo solo in vista di qualcos’altro. “L’utilità della ricchezza sta 
nelle cose che ci permette di fare, nelle libertà sostanziali che ci aiuta a 
conseguire; ma questa correlazione non è né esclusiva (infatti esistono altri 
fattori, oltre alla ricchezza, che influiscono in modo significativo sulla 
nostra vita) né uniforme (poiché l’effetto della ricchezza sulla vita varia a 
seconda di questi altri fattori)”5. Innegabile però il ruolo fondamentale nel 
vivere associato della libertà di partecipare all’interscambio economico, la 
stessa analisi marxista, che possiamo definire con certezza anti-capitalista, 
                                               
5
 Sen A., (2000), Lo sviluppo è libertà, Mondadori, Milano, cit. pag. 20. 
Popolazione Mondiale Reddito Risparmio Credito 
20% 82,60% 80,50% 94,60% 
60% 16,90% 18,50% 5,20% 
20% 1,40% 1,00% 0,20% 
 10 
sottolinea l’importanza della libertà di entrare nel mercato, nell’impianto 
economico in contrapposizione a condizioni di schiavitù e di esclusione 
forzata.6 Così come all’Occidente anche ai paesi del Terzo mondo va 
consentita la libertà di sviluppare la propria forza lavoro e di usufruire al 
meglio delle proprie risorse endogene. 
“L’illibertà economica può generare illibertà sociale, così come l’illibertà 
sociale e politica può produrre quella economica”7. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                               
6
 Ibidem pag. 13. 
7
 Ibidem cit. pag. 14. 
 11 
Introduzione 
 
Il personale interesse sul tema trattato nel presente elaborato nasce 
dall’enorme fiducia che da sempre nutro nella creativà umana e nelle 
capacità di ogni uomo di riscattarsi da qualsiasi situazione di svantaggio.  
L’intento di questo lavoro è voler portare alla luce un potenziale strumento 
alternativo di sviluppo, di recente diffusione, che vuole essere una risposta 
funzionale e non paternalistica ai problemi della povertà del Terzo mondo: 
la microfinanza.  
L’innovazione che questo strumento porta con sé è quella di considerare 
l’uomo l’attore principale dei processi di sviluppo, l’artefice in prima 
persona del proprio percorso di crescita verso forme sempre più 
responsabili di partecipazione democratica e di gestione comunitaria. La 
microfinanza presenta un’ampia gamma di possibilità per ridurre la povertà, 
estendere il mercato e promuovere cambiamenti sociali così come presenta 
nel contempo  una serie di problemi che devono essere presentati e descritti.  
 
L’opportunità, lo scorso anno, di svolgere un tirocinio presso l’Ufficio di 
Cooperazione allo Sviluppo dell’Ambasciata d’Italia a Nairobi, mi ha 
permesso non solo di vivere in un paese in via di sviluppo e conoscerne la 
povertà, le contraddizioni ed i progressi ma soprattutto di studiare, grazie ad 
una migliore lente di ingrandimento, il lavoro svolto dagli “addetti al 
lavoro” della cooperazione allo sviluppo; l’operato degli attori locali; 
l’impatto delle politiche di aiuto ed in particolar modo la messa in campo, i 
successi ed i limiti dello strumento oggetto del presente elaborato. 
 
Nel corso di questa tesi saranno trattati gli aspetti salienti della rivoluzione 
della microfinanza e le modalità del suo funzionamento attraverso la 
descrizione degli strumenti atti a favorire la creazione di un sistema 
finanziario inclusivo alla luce dell’attuale crisi del modello della 
 12 
globalizzazione finanziaria. Mai come oggi è necessario dare maggiore 
spazio a fattori in passato raramente considerati, primo fra tutti, il capitale 
sociale, inteso come quell’insieme di legami sociali che si stabiliscono e si 
sviluppano tra individui che condividono la medesima realtà economica e 
sociale. Ragionare quindi in termini di capitale sociale è considerare la 
società dal punto di vista del potenziale di azione degli individui che deriva 
dalle strutture di relazione. Tale concetto di capitale è visto in questa sede 
come un potenziale strumento di analisi per lo studio dei fenomeni 
economici che fa perno sull’idea che le scelte economiche non sono 
influenzate solo dalla disponibilità di risorse economiche ma anche da 
fattori sociali, ed in particolar modo dalle reti di relazioni. 
 
Nel primo capitolo verrà trattata la problematica dell’accesso al credito nei 
paesi in via di sviluppo e le modalità entro le quali tale accesso è garantito 
attraverso circuiti formali ed informali. Largo spazio sarà poi dato alla 
descrizione dei punti di forza del microcredito e della sua capacità di 
favorire la partecipazione, la responsabilizzazione e l’autogestione 
dell’iniziativa economica da parte delle persone e delle comunità del sud 
del mondo. Il microcredito sarà così inteso come lo strumento atto a 
rompere la barriera finanziaria per quell’insieme di microattività, per 
quell’economia popolare presente in tutte le realtà dei paesi poveri e che 
dimostra la forza di sopravvivenza di milioni di persone. Non si poteva poi 
non dedicare una parte dell’analisi all’esperienza più conosciuta di 
microcredito quale la Grameen Bank attraverso la sua storia, la sua 
evoluzione ed i suoi progressi. 
 
La seconda parte è pienamente destinata alla disamina del passaggio dal 
concetto di microcredito a quello più ampio di microfinanza. Dal 
microcredito si passa infatti a coprire la domanda posta in essere dalle 
persone povere e a basso reddito di ulteriori servizi finanziari come, il più 
 13 
importante fra questi, il deposito di risparmi. La nascita e l’evoluzione delle 
Istituzioni di Microfinanza, quali organi principali che, inserite appieno 
nella realtà dei paesi in via di sviluppo, si occupano dell’erogazione dei 
servizi micro finanziari richiede inoltre un’attenta analisi della loro 
diffusione, delle loro modalità di funzionamento nonché della loro capacità 
di auto sostenersi finanziariamente. Importante sarà poi cercare di valutare 
l’impatto sociale ed economico che queste Istituzioni generano attraverso le 
loro politiche ed i riconoscimenti che la comunità internazionale ha 
concesso al movimento della microfinanza alla luce dei successi che questa 
finanza dal valore umano nonchè alternativa, solidale ed etica ha compiuto 
nel corso dei decenni. 
 
Il terzo capitolo è dedicato interamente allo studio di un caso concreto, di 
una realtà di un paese in via di sviluppo quale il Kenya per meglio 
comprendere come effettivamente la microfinanza si inserisce in un 
contesto politico, sociale ed economico non poco problematico e come 
possa dimostrarsi di importante ausilio allo sviluppo umano di un paese 
povero. La finanza caritatevole deve lasciar spazio ad una finanza nuova 
che trae la sua forza dalle risorse endogene presenti in tutte le comunità del 
mondo nel rispetto delle loro peculiarità e tenendo conto del loro stadio di 
sviluppo. Alcune esperienze di microfinanza, come quella di Jamii Bora, 
trattata in dettaglio nell’ultima parte del capitolo, dimostrano inoltre come 
la creatività e l’impegno dei poveri sono in grado di superare grandi sfide 
quando si lavora insieme per far cadere le barriere strutturali che 
impediscono l’affermarsi della dignità umana di tutti. 
   
 
 
 
 14 
Capitolo I 
 
L’accesso al credito nei paesi in via di sviluppo 
 
“Lo sviluppo è un fiume sotterraneo:  
da esperienze di fallimento nascono nuove opportunità 
 e da istituzioni ormai morte sorgono  
nuove Fenici dello sviluppo. 
 Quello che conta è l’autenticità dei processi organizzativi 
 e delle forme istituzionali” 
Albert O. Hirschman 
 
Premessa 
 
La mancanza di credito è una delle cause fondamentali del sottosviluppo: 
impedisce di attuare quegli investimenti utili ad accumulare capitale ed 
aumentare quindi produzione, reddito e capacità di risparmio delle 
popolazioni povere. 
L’evoluzione del settore bancario nei paesi del sud del mondo e gli aiuti 
forniti a questi paesi sotto forma di credito da parte di quelli più ricchi, non 
hanno offerto un contributo decisivo al fine di ridurre la povertà 
generalizzata anche quando il reddito medio pro capite è aumentato. A 
questo proposito indubbio è il merito del lavoro svolto nel 1990 dall’UNDP 
con l’introduzione di un nuovo indice di sviluppo8, classificato come 
sviluppo umano, che non classifica più i paesi solo in base al reddito medio 
pro capite e dunque alla loro capacità di produrre ricchezza economica ma 
combina tale reddito con la speranza di vita e il grado di alfabetizzazione.  
                                               
8 Questo indice segue un approccio secondo cui la nozione di sviluppo deve considerare 
necessariamente «lo sviluppo delle persone, promosso dalle persone, per le persone» (Rapporto 2, 
1991). Il concetto di sviluppo è esteso al di là della dimensione monetaria e quantitativa ed il fine 
principale delle sviluppo “umanamente” inteso è quello di ampliare le possibilità di scelta a 
disposizione delle persone e di dar luogo e consolidare le capacità di ciascuno.  
 
 15 
La crescita economica è certamente uno degli obiettivi prioritari da 
raggiungere, ma da sola questa meta non è sufficiente per migliorare la 
realtà dei paesi in via di sviluppo. Lo sviluppo economico deve essere 
necessariamente accompagnato da più eque misure redistributive e dalla 
possibilità, concessa a tutti, di prender parte e di godere del processo di 
sviluppo.   
 
1. Il mercato del credito  
 
Nei paesi in via di sviluppo si ha un dualismo finanziario all’interno del 
quale coesistono due canali di credito, uno formale ed uno informale. Le 
cause di questa opposizione vanno ricercate innanzitutto nella presenza di 
un dualismo economico-sociale, che vede contrapporsi una fascia di 
popolazione più abbiente che riesce ad aver accesso al mercato finanziario 
formale ed un’altra fascia, quella più cospicua, che ne viene privata e che si 
incanala in quel settore, sempre più evoluto, che definiremo “informale”. 
Un altro motivo del dualismo sta nelle peculiarità degli attori che lavorano 
sia nel mercato formale che informale. Altri problemi e cause che tendono 
ad escludere la maggior parte della popolazione dal mercato formale del 
credito e dagli altri servizi finanziari saranno trattati in seguito. 
 
1.1 Mercato del credito formale 
 
Nei paesi del sud del mondo esistono, come nei paesi industrializzati, dei 
canali di credito formale. Si tratta di istituzioni internazionali e nazionali 
che operano in mercati finanziari organizzati e seguono precisi regolamenti 
in accordo con le leggi dello Stato nel quale operano. Come si può 
facilmente intuire, l’accesso è molto limitato. La clientela è 
prevalentemente urbana, si rivolge ad imprese o persone con redditi medio-
alti e le condizioni per la concessione di crediti sono spesso controverse 
quindi la maggior parte della popolazione povera resta esclusa da questi 
circuiti di finanziamento formale.  
 16 
1.1.1 Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale  
 
La Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale sono le creature 
nate dalla conferenza di Bretton Wood nel 1944, in seguito affiancate anche 
dal GATT, l’Accordo Generale sul Commercio e le Tariffe. Gli accordi di 
Bretton Wood hanno come obiettivo quello di scongiurare future crisi 
economiche, come la Grande Depressione degli anni ’30, creando, 
attraverso queste organizzazioni, un nuovo ordine economico mondiale.  
Originariamente la Banca era stata creata per assistere i paesi maggiormente 
colpiti dalla guerra nell’opera di ricostruzione fornendo garanzie per gli 
investimenti privati e concedendo prestiti dal proprio capitale mentre il 
Fondo Monetario avrebbe dovuto promuovere la stabilizzazione delle 
relazioni monetarie e finanziarie internazionali. Nel corso degli anni gli 
obiettivi di queste istituzioni hanno subito però un’evoluzione. 
L’abbandono del sistema dei cambi fissi, negli anni ’70, ha indotto un 
ripensamento del loro ruolo. Il Fondo Monetario ha così esteso la propria 
azione alla funzione di sorveglianza sulle politiche economiche dei paesi 
membri e si è indirizzata sempre di più verso i paesi in via di sviluppo, la 
ristrutturazione del loro debito estero ed il credito a medio termine. La 
Banca Mondiale con la creazione nel 1960 dell’IDA, l’Agenzia 
internazionale dello sviluppo, e con il raggiungimento di adeguati livelli di 
crescita nei paesi occidentali toccati dalla seconda guerra mondiale, è 
diventata una vera e propria istituzione di sviluppo e si è esclusivamente 
focalizzata, implementando politiche di riduzione della povertà, sui paesi in 
via di sviluppo, elargendo crediti a tassi agevolati.  
I crediti, sia del Fondo Monetario che della Banca Mondiale, vengono 
erogati a determinate condizioni, ed è questo sicuramente l’aspetto più 
controverso della loro azione, non esente da numerose critiche9. Le 
                                               
9
 Una buona dose di responsabilità dell’attuale crisi del debito grava sulla Banca Mondiale e sul 
Fondo Monetario, in contrasto con l’originario ruolo di “gestori” della cooperazione