6
diffidenze che impediscono relazioni proficue. Una politica dell’integrazione deve 
puntare soprattutto a superare questi atteggiamenti, attraverso alcune misure che mirino 
non solo a rimuovere le percezioni errate, ma anche a chiarire gli elementi di fondo su 
cui i pregiudizi si basano. Vanno inoltre offerte certezze alle comunità immigrate 
rispetto alla soddisfazione di bisogni fondamentali, come la conservazione di condizioni 
di vita dignitose e la garanzia di poter mantenere nel tempo le condizioni di legalità di 
soggiorno e di lavoro. L’integrazione socio-lavorativa delle minoranze etniche 
immigrate in Italia rappresenta una straordinaria occasione di arricchimento di valori 
culturali, con i quali spesso è difficile confrontarsi a causa della diffidenza, del 
pregiudizio e del disinteresse. E’ poi fondamentale saper rispondere all’esigenza di 
tutelare i diritti dei più deboli, favorendo l’instaurazione di rapporti improntati 
all’eguaglianza ed alla lotta ad ogni forma di emarginazione e discriminazione razziale.  
In questo contesto si inserisce il progetto “Migratools”, su cui si è focalizzata la 
mia attenzione e la ricerca che verrà presentata. Si tratta in particolare di un progetto 
pilota che, svolgendosi nell’ambito del programma europeo Leonardo Da Vinci, nasce 
da un’esigenza di maggiore integrazione della manodopera non comunitaria. Esso 
inoltre ha avuto l’obiettivo specifico di creare uno strumento multimediale per 
l’orientamento e l’inserimento al lavoro degli immigrati stranieri, concretizzatosi 
nell’elaborazione del sito “www.migratools.net” da parte di Fòrema, l’ente presso cui 
ho svolto il mio tirocinio formativo universitario. 
Il presente lavoro di tesi si articola in due parti: la prima parte, di riflessione 
teorica, mira ad offrire un panorama generale del fenomeno dell’immigrazione in Italia, 
collegandolo al problema dell’inserimento socio-lavorativo degli immigrati, anche nella 
realtà veneta e padovana; la seconda parte, riferita alla ricerca da me condotta sul 
campo, intende illustrare il progetto Migratools e descrivere appunto metodologia e 
risultati dell’indagine, che ha coinvolto un gruppo di 73 immigrati a Padova, volta a far 
loro sperimentare concretamente l’utilizzo e a verificare la fruibilità di alcuni strumenti 
on-line, creati nel progetto stesso, per l’orientamento socio-lavorativo degli immigrati. 
In particolare il primo capitolo traccia un quadro generale della presenza in Italia 
della popolazione immigrata, alla luce delle ultime statistiche a riguardo, considerando 
 7
anche l’aspetto psico-sociale dell’esperienza migratoria negli ostacoli che essa incontra. 
Viene poi riportato brevemente l’iter della condizione giuridica dell’immigrato, secondo 
le leggi e l’ordinamento italiano, fino a giungere alla normativa in vigore, nei suoi punti 
fondamentali, riflettendo anche sui suoi aspetti più negativi attraverso qualche 
considerazione di ordine politico. 
Il secondo capitolo, presentando la figura dell’immigrato “lavoratore” e il 
significato del lavoro in rapporto agli immigrati, traccia le cause e le caratteristiche 
dell’arrivo degli immigrati nel sistema economico italiano, attraverso alcune teorie 
sociologiche e ricerche sul campo che hanno cercato fin d’ora di  compiere avanzamenti 
importanti su questa delicata materia di studio. Un paragrafo viene dedicato alla 
situazione dell’occupazione immigrata in Veneto, soffermandosi in particolare sulla 
realtà di Padova, con i dati più aggiornati disponibili circa il numero di presenze 
effettive nel territorio provinciale e sui principali settori occupazionali di inserimento 
degli immigrati nel mercato del lavoro locale. 
Il terzo capitolo approfondisce la questione dell’inserimento socio-lavorativo 
degli immigrati, esplicitando le principali problematiche che ostacolano un loro 
concreto inserimento nella società e nel lavoro e focalizzando l’attenzione sulle 
modalità più ricorrenti di inclusione sociale e lavorativa, con particolare riferimento in 
chiave sociologica alle “reti sociali” e alle “politiche sociali”. La problematica viene in 
seguito analizzata chiarendo il significato del concetto di “integrazione” e le effettive 
possibilità per raggiungerla, sottolineando altresì l’importanza del ruolo rivestito dalla 
formazione e dall’orientamento, soprattutto come strumenti di intervento a favore 
dell’integrazione degli immigrati. Vengono anche evidenziate le caratteristiche 
dell’inserimento degli immigrati nella Regione Veneto, rivelando la reale capacità del 
terzo settore e dei servizi di affrontare le sue difficoltà e specificando quali siano i 
progetti, le Associazioni e gli Enti, a mio avviso più interessanti, presenti a Padova.  
Nel quarto capitolo è contenuta una breve illustrazione del programma europeo 
Leonardo Da Vinci, per poter poi descrivere analiticamente il Progetto Migratools, 
presentare il sito web realizzato e, nello specifico, la sezione “orientation” dedicata ad 
innovativi strumenti per intraprendere un percorso di orientamento al lavoro on-line. 
 8
Infine, il quinto e ultimo capitolo presenta le motivazioni e il piano della ricerca 
da me effettuata, nonchè il lavoro di elaborazione ed analisi dei dati relativi agli 
strumenti utilizzati durante la sperimentazione. Verranno in particolare presentati i 
risultati emersi dall’analisi, attraverso un’interpretazione personale che porterà ad 
evidenziare difficoltà incontrate, valutazioni sui partecipanti e punti di forza e di 
debolezza dello strumento on-line proposto, in un’ottica di miglioramento del servizio 
stesso e offrendo possibili soluzioni per efficaci interventi di orientamento e formazione 
a favore dell’inserimento socio-lavorativo di immigrati stranieri. 
        
 PARTE PRIMA 
 
  10
CAPITOLO 1 
PANORAMICA SULL’IMMIGRAZIONE IN ITALIA 
 
“Immigrazione è globalizzazione” recita lo slogan del “Dossier Statistico 
Immigrazione 2005” della Caritas Italiana
1
, a significare come i flussi migratori stanno 
diventando sempre più protagonisti di una globalizzazione “dal basso” che incentiva la 
formazione di società aperte alla convivenza multiculturale nei paesi di accoglienza e il 
varo di meccanismi di scambio più equi a livello internazionale. L’immigrazione, 
avendo come protagoniste le persone, è senz’altro il più significativo fattore del 
processo di mondializzazione in atto, con un forte impatto sul piano politico, sociale e 
anche religioso. Come dice lo slogan, tale fenomeno avanza nel mondo, coinvolgendo 
quasi 200 milioni di persone e anche nel nostro paese è diventato uno tra gli aspetti 
societari più significativi. In Italia, come riportato dallo stesso Dossier, elaborato sui 
dati forniti dal Ministero dell’Interno, dal 1970 ad oggi si è passati da 144.000 
immigrati a quasi 3 milioni, con un aumento di ben venti volte. 
 Le statistiche sui cittadini stranieri soggiornanti in Italia sono disponibili a partire 
dal 1970, ma in realtà negli anni ’70 e ’80 si riscontrano aumenti annuali contenuti. 
Invece, negli anni ’90 si assiste al raddoppio dei soggiornanti, che passano da 649.000 
alla fine del 1991 a 1.341.000 nel 2000, e ciò aiuta a prendere coscienza che il 
fenomeno è diventato di massa. In particolare, nei primi anni ’90 si registra l’ingresso di 
persone provenienti dalla Penisola balcanica; successivamente gli immigrati 
provengono anche da altri paesi dell’Est Europa e così al consistente aumento degli 
albanesi fa riscontro quello dei romeni, dei polacchi, degli ucraini e di altre nazionalità. 
L'Italia è infatti un paese “ponte” per la sua struttura geografica di penisola in mezzo al 
Mediterraneo, ma è definibile anche come il paese che ricopre il ruolo di “cerniera” tra 
Europa e Paesi dell'Est, che negli anni Novanta hanno fornito un grandissimo numero di 
immigrati. L'Italia svolge quindi la duplice attrattiva di meta finale, ma anche di luogo 
di passaggio, di transito verso altri paesi dell'Unione Europea. Ad influire 
                                                 
1
 Cfr. Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes 2005, Edizioni Idos, Roma, 2005. 
  11
maggiormente sull’incremento della presenza immigrata in Italia sono tre fattori 
strettamente collegati:  
1. la collocazione geografica, con confini molto estesi, in un’area a forte pressione 
migratoria, alla confluenza del continente africano e di quello asiatico e alle porte 
dell’Est Europa;  
2. una programmazione dei flussi quantitativamente debole e operativamente 
inefficace;  
3. il realistico recupero, attraverso le regolarizzazioni, degli immigrati sprovvisti di 
permesso di soggiorno ma già inseriti nell’area del lavoro nero. 
La regolarizzazione è la chiave per capire l’effettivo dinamismo migratorio in 
Italia, poiché nei decenni vi è una netta differenza tra gli anni “normali” e quelli di 
regolarizzazione in cui l’aumento è molto consistente. Infatti nel 2003 vengono 
ampiamente superati i due milioni di presenze, come effetto della regolarizzazione 
disposta nell’anno precedente dalla legge Bossi-Fini. Tuttavia, in questo nuovo 
decennio, che inizia dal 2001 con un ritmo di crescita più sostenuto rispetto a quanto 
avvenuto negli anni ’90, gli aumenti risultano essere considerevoli anche negli anni 
normali, tanto che al netto delle regolarizzazioni superano le 100.000 unità annue
2
. 
 Quindi, a 35 anni di distanza dalle prime statistiche al riguardo, lo scenario 
attuale è radicalmente mutato: prima questa presenza era marginale nella società 
italiana, oggi gli stranieri regolarmente soggiornanti sono ben 2 milioni e 800.000, ad 
attestare la rilevanza del fenomeno. Nell’Unione Europea veniamo subito dopo la 
Germania, la Francia e il Regno Unito, mentre insieme alla Spagna siamo lo Stato 
membro caratterizzato dai ritmi d’aumento più consistenti. L’immigrazione straniera, 
essendo un indicatore del dinamismo occupazionale del paese, è più concentrata nel 
Nord (59% della presenza immigrata complessiva), è mediamente presente nel  Centro 
(27%) e si riduce nel Mezzogiorno (14%). Il fenomeno è maggiore nelle grandi città 
                                                 
2
 Fin qui si è parlato di immigrati adulti, che però non esauriscono l’intera presenza straniera. L’Archivio 
del Ministero dell’Interno non registra i minori se non quando hanno compiuto il 14º anno di età o quando 
si ricongiungono ai genitori già soggiornanti in Italia. Da quando il numero dei minori è diventato alto, 
una stima dell’effettiva presenza straniera regolare in Italia comporta che, partendo dai permessi di 
soggiorno, si ipotizzi il numero complessivo delle presenze regolari. 
  12
quali Roma e Milano, ma è diffuso anche nelle piccole città e nei paesi, a partire 
dall’Italia del nord fino alle regioni meridionali e alle isole. La popolazione immigrata 
ha raggiunto l’equilibrio dal punto di vista demografico: quantitavamente uomini e 
donne pressochè si equivalgono e diventano sempre più numerose le famiglie. In 
particolare, il Dossier 2005 stima che, nel mercato occupazionale, i lavoratori stranieri 
siano circa il 9% delle forze lavoro e il tasso medio di disoccupazione sia vicino all’8% 
registrato per gli italiani. Ma la ripartizione per settori d’impiego (agricoltura 5,9%, 
industria 44,8% e servizi 49,1%), emersa dall’ultimo Censimento della popolazione 
effettuato nel 2001, è andata modificandosi rispetto agli anni precedenti, evidenziando 
una collocazione maggiore degli immigrati nei servizi, a scapito dell’industria. I reparti 
che spiccano di più sono quelli delle costruzioni, il settore alberghiero e della 
ristorazione, l’agricoltura, il servizio operativo alle imprese, il commercio e il lavoro 
domestico e di assistenza alle persone, con un grande protagonismo delle piccole 
aziende. Tuttavia tale ripartizione è piuttosto diversificata se si guarda alle aree 
continentali di provenienza: gli immigrati dell’Est Europa prevalgono nei contratti del 
settore agricolo  e detengono circa la metà dei contratti nell’industria e nei servizi; gli 
asiatici si affermano soprattutto nei contratti riguardanti l’industria conciaria e tessile; 
gli africani in alcuni altri rami dell’industria e gli americani in certe branche dei servizi. 
Accanto ai settori tradizionali dell’occupazione prevalentemente maschile, si aggiunge 
il fenomeno delle cosiddette “badanti”, oggetto anche di una recente sanatoria. Infatti la 
collaborazione familiare è la categoria a più alto inserimento di immigrati, a seguito di 
un processo iniziato alla fine degli anni ’60. Dopo la regolarizzazione del 2002, secondo 
le stime dell’INPS, si è arrivati a superare il mezzo milione di addetti stranieri, con una 
prevalenza (54,2%) di donne dell’Est Europeo (ucraine, romene, polacche), una 
partecipazione ridotta ma significativa dell’Asia e dell’America (16,4% e 14,9%) e una 
minima incidenza dell’Africa (9,9%). Queste osservazioni e tutti i dati fin qui riportati
3
, 
sono molto importanti per comprendere il tipo di insediamento degli immigrati, che non 
è limitato alle grandi città, di solito caratterizzate per la prestazione di servizi, come nel 
                                                 
3
 Tali dati si possono ritrovare nel Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes 2005 
  13
caso delle badanti o della ristorazione e dell'ambulantato, ma che è diffuso su tutto il 
territorio, seguendo l'andamento degli insediamenti industriali e artigianali, nonché delle 
zone agricole più produttive.  
Si può dire inoltre che, nonostante le difficoltà del sistema produttivo italiano a 
reggere la sfida internazionale, l’occupazione è comunque aumentata, seppure in forme 
più precarie, e l’andamento demografico negativo ha accentuato la necessità di 
manodopera aggiuntiva, sia ad alta che a bassa specializzazione. 
Probabilmente lo scenario cambierà ancor di più nel futuro: poiché in Italia 
l’andamento delle nascite non è soddisfacente, rimane elevata l’esigenza di forza lavoro 
aggiuntiva e i flussi in ingresso diventeranno sempre più consistenti. Continuando con 
questo ritmo, ogni anno si aggiungerà una quota consistente tra nuovi nati e persone 
venute per ricongiungimento familiare, oltre al numero di nuovi lavoratori che 
annualmente verrà programmato. Se tendenzialmente i potenziali flussi in ingresso di 
lavoratori e familiari ammontano a 300.000 persone l’anno, potremo avere un ulteriore 
raddoppio della popolazione straniera nel corso dei prossimi dieci anni. Ciò che 
potremmo definire come l'anomalia del caso italiano è una certa, non quantificabile 
presenza di irregolari e di clandestini nel nostro territorio
4
.  
Da questi dati si può anche desumere che, per comprendere la questione 
dell’immigrazione straniera affermatasi in questi anni, alla ricerca è stato chiesto di 
quantificare la presenza degli immigrati; ma appare riduttivo, in termini di 
approfondimento del problema, “un approccio meramente contabile, deterministico, 
oggettivizzante, secondo cui di fatto gli immigrati diventano un gruppo composto di 
individui identici e addizionabili”
5
. Per questo, partendo da alcuni dati dello scenario 
nazionale, si può individuare qualche linea interpretativa e qualche spunto di riflessione 
sul fenomeno senza ricorrere a tesi pregiudiziali. Dunque, se gli immigrati insediati in 
Italia, oggi più di tre milioni, sono una cospicua quota della nostra società e aumentano 
                                                 
4
 Vi è anche una presenza irregolare di consistente e crescente incidenza, come è stato evidenziato dal 
numero delle richieste nominative ben superiori alle quote di nuovi lavoratori stabilite per il 2005. Tale 
presenza di immigrazione clandestina difficile da quantificare, rende problematico ogni conteggio. 
5
 Ambrosini M., Alla scoperta della diversità, in Ambrosini M. e Salati M. (a cura di), Il valore della 
differenza:  tendenze, problemi, interventi sull’immigrazione straniera, Paoline, Milano, 1997, p. 13 
  14
sempre più, si può pensare che essi sono per l’Italia una risorsa soprattutto dal punto di 
vista demografico ed occupazionale: grazie ad essi la popolazione non diminuisce e si 
aggiunge una quota di forza lavoro supplettiva indispensabile in diversi settori. Si tratta, 
perciò, di una opportunità piuttosto che di una minaccia al nostro benessere, alla nostra 
cultura, alle nostre istituzioni e al nostro senso religioso. Al fine di rimediare alle 
carenze del grado di competitività che l’Italia sta vivendo nei confronti di altri paesi 
industrializzati, rappresentano una risorsa non solo gli immigrati che arriveranno nei 
prossimi anni, ma anche quelli attualmente presenti che, avendo mediamente un elevato 
livello di scolarizzazione, sono in grado di adattarsi ad obiettivi socio-educativi più 
impegnativi. Però gli immigrati non dovrebbero essere una ruota di scorta da utilizzare 
solo per far fronte ai bisogni dell’economia: la questione di fondo consiste nel 
considerarli come i nuovi cittadini, parte essenziale della nostra società caratterizzata da 
una globalizzazione interculturale. Per questo, diventa necessario operare per una 
progettualità dell’accoglienza, aprendo loro gli spazi del coprotagonismo e della 
partecipazione, nella convinzione che la più grande minaccia alla sicurezza non è la 
diversità bensì l’esclusione sociale. 
 
1.1 L’esperienza migratoria e i suoi rischi 
Il fenomeno delle migrazioni è stato approfondito, nel corso degli anni, da varie 
discipline, come la demografia, l’economia, la psicologia, la sociologia, e dai vari 
approcci, che in diversi modi hanno cercato di analizzarne le caratteristiche ma anche 
gli aspetti problematici. In particolare la sociologia inquadra le migrazioni come 
“processi”, in quanto dotate di una dinamica evolutiva che comporta una serie di 
adattamenti e di modificazioni nel tempo, e come “sistemi di relazioni” che riguardano 
le aree di partenza, quelle di transito e quelle di destinazione, coinvolgendo una pluralità 
di attori e di istituzioni. Si può pertanto distinguere il movimento dell’emigrazione, che 
si riferisce all’uscita dal paese di origine, rispetto al movimento dell’immigrazione, che 
riguarda l’ingresso nel paese ricevente. Questo equivale a dire che si possono studiare i 
processi migratori sotto il profilo dell’emigrazione, se li consideriamo solo a partire dal 
luogo di provenienza delle persone che ne sono interessate, e come immigrazioni, se li 
  15
guardiamo dal punto di vista del paese in cui esse si stabiliscono
6
. Qui però, si vuole 
mettere in evidenza un approccio che tiene presenti unitamente entrambi gli aspetti: 
quello psicosociale, che considera i problemi sociali e umani dell’esperienza migratoria 
nella continua dinamica tra la sfera individuale e quella collettiva e implica quindi 
l’esistenza di un legame tra i fattori culturali e sociali e il funzionamento della “psyche”. 
L’individuo viene collocato in un ambiente o contesto d’interazione (famiglia, 
comunità, cultura) e una particolare attenzione viene portata alle relazioni circolari tra 
individui e ambiente, che avvengono a livelli multipli e multidirezionali. In questo 
modo si risponde all’esigenza di fornire un’ottica globale, che non contempli 
esclusivamente un focus individuale, sulle dinamiche profonde della psicologia di 
ognuno, né solo un focus collettivo, sugli aspetti sociali e culturali, ma che piuttosto 
focalizzi l’attenzione su un’area intermedia, un terzo spazio di transizione tra 
individuale e collettivo, tra inconscio e conscio, tra interno ed esterno. Secondo tale 
approccio, l’esperienza migratoria dev’essere collocata tra paese di partenza e paese di 
arrivo, consentendo di concepire l’emigrazione non solo come espulsione o come 
attrazione ma come processo dinamico che si compone di diverse fasi e che si dispiega 
su più livelli. E’ quindi necessario volgere l’attenzione verso alcuni punti fermi che 
consentono di delineare una mappa complessa del sistema di relazioni entro cui si 
articolano le migrazioni
7
: 
     La migrazione è meglio descritta, analizzata e compresa come processo che mette in 
relazione tra loro società di partenza e società di arrivo, secondo una rete di 
interconnessioni tra processi locali, nazionali e internazionali. L’esperienza 
migratoria comprende momenti antecedenti alla partenza (processo decisorio e 
preparativi con attivazione di reti sociali) e momenti successivi di inserimento nella 
nuova società, con il tentativo di mantenere contatti e relazioni con il mondo 
d’origine e di attivare nuovi modelli di interazione nella società di arrivo. 
     Il fenomeno migratorio è complesso, sia nelle cause che lo generano (economiche, 
                                                 
6
 Cfr. Ambrosini M., Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, 2005. 
7
 I punti sono ricavati dal Modulo di orientamento interculturale, Unità psicosociale e di integrazione 
culturale, OIM, 2003. 
  16
politiche, sociali e culturali), sia nelle motivazioni che lo spingono e alimentano, 
tanto da poter parlare di “cultura migratoria” specificata attraverso la categoria del 
riscatto. In altre parole, il processo migratorio spinge le persone ad agire 
oltrepassando le soglie che contraddistinguono le fasi del processo stesso 
(separazione, transito, reincorporazione), riscattando così la propria esistenza. 
     Le fasi del processo migratorio sono quelle tipiche dei riti di passaggio che gli 
antropologi hanno individuato nelle situazioni rituali, nelle feste, nelle celebrazioni 
che marcano i cambiamenti nella vita di un individuo. Le sottofasi e le attività 
correlate non sono scandite in modo uniforme per tutti i gruppi etnici, né sono 
ugualmente valide in tutti i tempi storici, né per tutti gli individui. 
Quando la progressione del processo migratorio si inceppa, il vissuto del migrante 
può essere analizzato sotto la lente dello stress che origina dal cambiamento e dalle 
aspettative che lo accompagnano in sede di progetto. L’approccio psico-sociale è 
particolarmente attento a questa dimensione e mette in luce quei fattori di rischio che 
accompagnano situazioni di cambiamento, di discriminazione-mortificazione delle 
aspettative, di continue ristrutturazioni delle stesse, rese necessarie dall’instabilità o 
dalla particolare fragilità (personale, sociale, identitaria) dei soggetti interessati. 
Tipicamente il cosiddetto coping stage (o strategy) è suddiviso in tre fasi 
successive: 
 Impatto: caratterizzato da “rilassamento”, “euforia”, “realizzazione” 
 Rebound (ripercussione/reazione): caratterizzato da “delusione”, “frustrazione”, 
“ritiro” o “depressione” 
 Coping: è la fase in cui si riesce ad attivare il “far fronte” 
L’esperienza clinica suggerisce che i problemi insorgono quando le fasi diventano 
troppo lunghe o quando alcune disfunzioni si cronicizzano senza trovare vie di uscita 
alternative o ristrutturazioni sbloccanti. Una modalità piuttosto diffusa è il ricorso a 
modi più arcaici o regressivi di rapportarsi con il mondo esterno, percepito come 
minaccioso. In alcuni casi si tratta di un ripiegamento sulla propria identità culturale 
che, in ambito lavorativo, può essere negativo per il migrante o alterare il contesto di 
interazione, generando conflitto e violenze. Il migrante può essere il ricettore passivo di 
  17
queste dinamiche, quando esse si sono bloccate; ma seguendo un’evoluzione positiva, 
può diventare agente di cambiamento e di mediazione, da cui gli altri possono imparare 
una migliore gestione delle diversità culturali ed etniche, ad esempio, nei luoghi di 
lavoro. L’analisi dei cambiamenti vissuti dai migranti nella sfera personale più intima, 
in quella delle relazioni familiari e con il mondo esterno consente di mettere a fuoco dei 
fattori di rischio
8
 che precludono le loro possibilità di sviluppo personale: 
    Privazioni socio-economiche e culturali che possono ulteriormente articolarsi nelle 
rotture di ordine sociale, nelle separazioni dalla famiglia, nella scomparsa di alcuni 
membri durante la migrazione; 
    Perdite: della casa, del paese, di membri della famiglia, di amici; 
    Condizioni di inserimento all’arrivo: soprattutto il tipo di prima accoglienza  
ricevuta e la percezione del proprio futuro, spesso molto incerto, nel paese di 
accoglienza; 
    Sradicamento e perdita dei valori di riferimento, delle abitudini e delle 
appartenenze socio-culturali che costituivano il contesto all’interno del quale 
godere di sostegno e sicurezza: essi spesso provengono da un concetto di 
“protezione” che poggia sulla nozione di rete (familiare, sociale, comunicativa) che 
è attivabile dall’individuo; 
    Difficoltà linguistiche e conseguente “gap comunicazionale”: soprattutto per le 
donne, se confinate entro la cerchia delle mura domestiche o del lavoro in aziende 
familiari; 
    Difficoltà culturali e più in generale di inserimento nella società di accoglienza, con 
ritmi di vita, concezioni del tempo e dello spazio diverse, nozioni di persona 
dissonanti rispetto alle proprie origini: nella peggiore delle ipotesi, il confronto tra 
tradizioni scatena un collasso dei valori; nella migliore, ci troviamo di fronte ad una 
continua negoziazione tra diversi valori e tra diverse interpretazioni della propria 
storia e percorso familiare, letti in relazione agli esiti più o meno positivi del 
percorso migratorio; 
                                                 
8
 Quelli elencati sono ricavati dal Modulo di orientamento interculturale, Unità psicosociale e di 
integrazione culturale, OIM, 2003. 
  18
    Pregiudizio e discriminazione: anni fa il pregiudizio riguardava la condizione di 
straniero, di immigrato come non appartenente alla cultura italiana o alla religione 
cattolica. Oggi, è più incentrato sulla condizione di inclusione-esclusione sociale, 
sulla criminalizzazione della condizione di clandestini e sulla islaminizzazione 
dell’etnicità, con risvolti che recentemente hanno investito la sfera della sicurezza 
personale (timore di attacchi terroristici); 
    Incertezza lavorativa e condizioni precarie di lavoro: contribuiscono a creare una 
situazione in cui perdura “la certezza dell’incertezza” che riallaccia l’individuo alla 
sua capacità di gestire il cambiamento e lo stress; 
    Cambiamento di clima: ha un impatto sociale e culturale. 
La presa in considerazione di questi fattori, permette di comprendere le pesanti 
conseguenze a lungo termine che influiscono anche sull’inserimento socio-lavorativo 
nella società di arrivo, con lo sviluppo di varie risposte negative: stress, burn-out, 
disagio psicologico, depressione, asocialità, aggressività nei luoghi di vita e di lavoro. 
 
1.2. La condizione giuridica dell’immigrato nell’ordinamento italiano 
Il nostro paese, dopo essere stato a lungo terra di emigrazione, a partire dagli anni 
Settanta, e poi sempre più massicciamente fino ai nostri giorni, è diventato meta di 
ingenti flussi migratori. Questa trasformazione è avvenuta in maniera quasi 
inconsapevole e ha colto di sorpresa le istituzioni pubbliche, gli attori politici e la 
società nel suo complesso. Per un insieme di ragioni storiche e politiche, la ricezione 
dell’immigrazione in Italia arriva un po' in ritardo rispetto ad altri paesi europei, che 
invece hanno già creato da tempo norme di contenimento per la presenza di lavoratori 
stranieri. I ritardi che caratterizzano l’impostazione generale delle politiche 
immigratorie del nostro paese, sembrano derivare quindi dalla tradizione di  paese di 
emigrazione che l’Italia contemporanea ha raccolto dalla sua storia recente e che 
comporta le difficoltà ad accettare la nuova realtà di paese di immigrazione. A questo 
proposito, Maurizio Ambrosini, in riferimento al caso italiano, parla di un “modello 
immigratorio implicito” che differisce dai tre modelli di gestione dell’immigrazione 
  19
adottati in altri paesi e distinti in: temporaneo, assimilativo e multiculturale.
9
 Secondo lo 
stesso autore, l’aspetto caratterizzante il modello implicito, riguarda il fatto che 
l’immigrazione in Italia non è stata esplicitamente riconosciuta come fenomeno né 
incoraggiata, ma non è stata nemmeno inquadrata e disciplinata nell’ambito di una 
politica organica. Su questo ha certamente influito l’ingresso relativamente recente nel 
novero dei paesi di immigrazione, ma anche l’ancora più recente e contrastata presa di 
coscienza dell’importanza e dell’irreversibilità di questo processo
10
. Il “complesso della 
povertà” dell’Italia ha a lungo pesato sull’immagine di sé come paese povero e 
sovrappopolato che non aveva bisogno di immigrati e in cui l’immigrazione poteva 
apparire un fenomeno patologico da arginare, più che da riconoscere e da ammettere. 
Dall’eredità storica deriva la prevalenza del cosiddetto “jus sanguinis” per 
l’accesso alla nazionalità, con la conseguenza che per gli stranieri il raggiungimento 
dello status di cittadino diventa difficile e incerto, tanto che il canale più utilizzato è 
stato per lungo tempo il matrimonio. Infatti, avvalendosi di tale diritto, la legge italiana 
ha consentito un più facile recupero della cittadinanza ai discendenti degli antichi 
emigranti italiani che con il tempo l’avevano persa, in Australia o in Argentina, mentre 
è stato prolungato il tempo che lo straniero doveva aspettare per poter inoltrare la 
domanda di cittadinanza. Un altro fatto particolarmente significativo è poi che, nella 
nostra legislazione, la figura dell’immigrato sia stata introdotta soltanto con la “legge nr. 
943/1986”, che costituisce il primo provvedimento destinato a programmare e regolare 
il collocamento ordinario degli stranieri in Italia. Prima infatti, la normativa vigente si 
limitava a trattare la problematica dello straniero disciplinata secondo i regolamenti di 
pubblica sicurezza risalenti al periodo tra le due guerre, che consideravano lo straniero 
come potenziale minaccia per la sicurezza nazionale e lo sottoponevano ad un regime di 
tutela. 
 
  
                                                 
9
 Cfr. Ambrosini M., Le politiche sociali verso l’immigrazione, in Basso P., Perocco F., a cura di, 
Immigrazione e trasformazione della società, F. Angeli, Milano, 2000.    
10
 Ambrosini M., Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 212