8 INTRODUZIONE
(co)simplessi elementari arbitrariamente lontani. Questo e` cio` che accade
per la teoria simpliciale `p, la piu` naturale tra le generalizzazioni della teoria
simpliciale classica.
Le applicazioni di tale generalizzazione spaziano dalla topologia alla teo-
ria geometrica dei gruppi nello spirito di M. Gromov. Segnaliamo che i primi
germogli di una teoria simpliciale `p si possono trovare in un articolo di H.
Garland1 dedicato allo studio di reticoli in gruppi p-adici. Pochi anni piu` tar-
di, e` J. Dodziuk ad introdurre in modo piu` organico una teoria (co)omologica
simpliciale (ridotta) `2, in relazione ad un problema di M. Atiyah sull’inter-
pretazione topologica dei numeri di Betti L2 di rivestimenti co-compatti. In
quest’ambito, Dodziuk stabilisce un isomorfismo di tipo de-Rham, che verra`
poi esteso da Goldshtein-Kuzminov-Shvedov al caso `p non ridotto in modo
definitivo e altamente non banale.
Al meglio della nostra conoscenza, non esiste in letteratura una trat-
tazione sistematica della teoria simpliciale `p. Spesso, aspetti che coinvol-
gono anche i fondamenti di questa teoria risultano solo enunciati e, tal-
volta, assunti come folklore. In questo quadro, l’obiettivo principale del
nostro lavoro e` quello di entrare nei dettagli della costruzione della teoria
omologico-simpliciale `p enfatizzando gli aspetti combinatori ed estendendo,
ove possibile, i risultati noti.
La nostra trattazione si limitera` al caso dei complessi simpliciali numera-
bili, localmente finiti, di dimensione finita. Questi hanno una realizzazione
geometrica in uno spazio Euclideo di dimensione sufficientemente alta. Come
messo in luce da J.Eells e B.Fuglede2, una tale realizzazione e` anche bilip-
schitziana quando il complesso simpliciale e` dotato della metrica Euclidea,
ottenuta attraverso coordinate baricentriche. Dunque, sia dal punto di vista
combinatorio (che noi privilegeremo) sia da quello metrico, non si perde in
generalita` limitando lo studio a complessi simpliciali Euclidei. Il lavoro e`
organizzato nel seguente modo.
1
[Garland 1973].
2
[Eells-Fuglede 2001].
9Nel primo capitolo abbiamo introdotto il concetto di complesso simplicia-
le a geometria limitata (BG-complesso), fissando cos`ı i limiti all’interno dei
quali risulti ragionevole definire una teoria `p. Per un BG complesso simpli-
ciale K viene definito il complesso (di Banach) delle catene `p e le susseguenti
omologie ridotta e non ridotta, mostrando esplicitamente come esse consen-
tano, tra le altre cose, di distinguere gli alberi X ed Y menzionati piu` sopra.
Particolare attenzione e` stata rivolta alla descrizione della topologia degli
spazi vettoriali di omologia `p, attribuendo particolare enfasi alla continuita`
degli operatori tra essi definiti.
Il secondo capitolo, ispirato ad un’affermazione di Gromov3, affronta lo
studio di un’invarianza combinatoria dell’omologia simpliciale `p. Dopo aver
introdotto il concetto di mappe simpliciali a geometria limitata (BG map-
pe simpliciali) e studiato gli operatori indotti in omologia, viene proposta
una definizione di omotopia simpliciale a geometria limitata sfruttando la
costruzione del prisma sopra un BG complesso. Sulla base di una costru-
zione classica in ambito compatto, si prova che BG mappe simpliciali che
siano BG simplicialmente omotopiche inducono lo stesso operatore continuo
a livello di spazi di omologia.
Il terzo capitolo, dedicato alle azioni simpliciali di gruppi discreti su com-
plessi infiniti, mette in luce alcuni legami tra le proprieta` dell’azione e quelle
del complesso simpliciale soggiacente. In particolare, nell’ambito delle azio-
ni regolari (nel senso di G. E. Bredon4), vengono studiate condizioni sot-
to le quali complessi e mappe simpliciali equivarianti risultino a geometria
limitata.
Nel quarto capitolo ci si e` occupati delle suddivisioni di complessi simpli-
ciali infiniti. Dopo aver introdotto alcune tecniche classiche di suddivisione,
viene dimostrato che una suddivisione di un BG-complesso simpliciale, sotto
opportune restrizioni, non altera gli spazi di omologia `p. Come corolla-
rio si deduce che, in virtu` di un’osservazione di Bredon, l’ipotesi tecnica di
regolarita` dell’azione, usata nel terzo capitolo, non e` affatto restrittiva.
3
[Gromov 1993].
4
[Bredon 1972].
Capitolo 1
Omologia `p per Complessi
Simpliciali a Geometria
Limitata
In questo capitolo introduciamo il concetto di BG-complesso simpliciale e
mostriamo come da esso si origini un’omologia simpliciale `p, capace di
distinguere complessi infiniti contraibili ma geometricamente differenti.
1.1 Complessi Simpliciali
Definizione 1.1. Un insieme finito di punti {x0, ..., xn} ⊆ RN si dice geo-
metricamente indipendente se per ogni insieme {t0, ..., tn} di scalari
(reali) vale la seguente proprieta`:
se
∑n
i=0 ti = 0 e
∑n
i=0 tixi = 0
allora t0 = t1 = ... = tn = 0.
(1.1)
Osservazione. Si puo` facilmente mostrare che {x0, ..., xn} ⊆ RN sono
geometricamente indipendenti se e solo se i vettori a1 − a0, ..., an − a0 sono
linearmente indipendenti e questo non dipende dalla scelta di a0.
12 Omologia `p per Complessi Simpliciali a Geometria Limitata CAP. I
Definizione 1.2. Dati i punti {a0, ..., an} geometricamente indipendenti de-
finiamo n-simplesso Euclideo generato da a0, ..., an il piu` piccolo convesso
contenente i punti a0, ..., an cioe` l’insieme dei punti x ∈ RN t.c.
x =
n∑
i=0
tiai, dove
n∑
i=0
ti = 1 e ti ≥ 0. (1.2)
Esso verra` indicato con (a0, ..., an).
Esempio 1.
Uno 0-simplesso consiste nel punto v0,
un 1-simplesso e` il segmento chiuso che congiunge i vertici v0 e v1,
un 2-simplesso il triangolo chiuso di vertici v0, v1, v2,
un 3-simplesso risultera` essere un tetraedro e cos`ı via...
v0
0-simplesso
v2
v1
1-simplesso
v3
v4
v5
2-simplesso
v6
v7
v8
v9
3-simplesso
Definizione 1.3.
- I punti a0, a1, ..., an che generano il simplesso σ si dicono vertici del
simplesso.
- Il numero n e` la dimensione del simplesso.
- Tutti i simplessi τ generati da un sottoinsieme (proprio) di {a0, ..., an}
vengono chiamati facce (proprie) del simplesso σ: utilizzeremo la
notazione τ E σ (τ / σ per le facce proprie).
- L’unione delle facce proprie di σ viene detta bordo del simplesso e si
indica con Bd σ.
- La parte interna di σ, Int σ, e` definita come Int σ = σ - Bd σ e
viene anche detta simplesso aperto.
§ 1 Complessi Simpliciali 13
Definizione 1.4. Un complesso simpliciale K in RN e` una collezione di
simplessi di RN t.c. :
1. Ogni faccia di un simplesso di K e` ancora un simplesso di K.
2. L’intersezione tra due simplessi di K e` faccia di entrambi i simplessi.
Osservazione. La condizione (2) puo` essere sostituita dalla seguente
2b. Presi comunque due simplessi distinti di K essi hanno parti interne
disgiunte.
Definizione 1.5.
- La dimensione del complesso e` data da
dimK = sup
σ∈K
dimσ
- Una sottocollezione L di K che contiene tutte le facce dei suoi elementi
e` a sua volta un complesso simpliciale e viene detto sottocomplesso.
- Una particolare classe di sottocomplessi di K e` quella dei p-scheletri,
K(p), composti da tutti i simplessi σ ∈ K t.c. dimσ ≤ p.
- I punti dello 0-scheletro K(0) vengono detti vertici.
- Dato v vertice di K la stella di v in K, denotata da St v, e` l’unione
delle parti interne di tutti i simplessi di K che hanno v come vertice.
14 Omologia `p per Complessi Simpliciali a Geometria Limitata CAP. I
Esempio 2. Un esempio di complesso simpliciale infinito di dimensione 1.
v1 v0
v3
v5
v2
v4
v9
v7
v8
v6
v11
v13
v10
v12
Esempio 3. Un modo conveniente per ottenere un complesso simpliciale
di dimensione n+ 1 partendo da uno di dimensione n e` quello di introdurre il
concetto di cono.
Supponiamo K un complesso simpliciale di dimensione n e w un punto tale
che ogni raggio emanato da w intersechi |K| in un punto al massimo. In tal
caso definiamo il cono su K di vertice w, che denoteremo w∗K, la collezione
di tutti i simplessi della forma (w, v0, ..., vp) dove (v0, ..., vp) e` un simplesso di
K. Il complesso originario K viene detto anche base del cono.
K
v0 v1
v3
w ∗K
v0 v1
v3
w
Che (w, v0, ..., vp) sia un simplesso di dimensione p+1 e` evidente. Rimane
percio` da mostrare che dati due simplessi di w ∗ K essi si intersechino al piu`
lungo una faccia comune.
§ 1 Complessi Simpliciali 15
I simplessi di w ∗K sono di tre differenti tipi: i simplessi v0...vp inclusi in
K, i simplessi della forma (w, v0, ..., vp) e w stesso.
Presa una qualsiasi coppia di simplessi del primo tipo, le loro parti interne
sono disgiunte in quanto simplessi di K. La parte interna di un simplesso
del secondo tipo, Int(w, v0, ..., vp), e` formata dall’unione di tutti i segmenti
aperti congiungenti w ai punti di Int(v0, ..., vp). Quindi le parti interne di
due simplessi di questo tipo non possono avere punti in comune perche´ nessun
raggio uscente da w interseca |K| in piu` di un punto.
Per la stessa ragione un simplesso del primo tipo ed uno del secondo hanno
parti interne disgiunte.