2
affrontare preliminarmente e che hanno improntato per forza di cose l’intera tesi. 
Prendere in considerazione la lettura pareysoniana di Dostoevskij come oggetto di 
analisi comporta, secondo me, il rispetto di almeno due esigenze di diversa natura. 
Intanto, ritengo che non sia possibile fermarsi a considerare quanto Pareyson dice 
del suo pensiero, il che sarebbe limitarsi alla definizione delle etichette da lui 
riconosciute, e per così dire all’apparenza del suo pensiero, ma sia necessario 
piuttosto giungere a cogliere gli snodi teoretici essenziali entro i quali si delinea la 
sua meditazione. E dunque questa prima esigenza si qualifica in realtà come un 
invito, per quanto gravoso, a calarsi più all’interno della sua speculazione. Ho 
accolto con scrupolo questo appello, cercando comunque di rispettare il più 
possibile la priorità degli interessi delimitati dall’obiettivo prefissatomi, e mirando 
anche ad armonizzare in modo fedele la vastità che lo sviluppo vigoroso del 
pensiero pareysoniano comporta. 
In tal senso, il primo capitolo del lavoro vuole testimoniare questa mia 
incursione all’interno del pensiero di Pareyson. Non ho mancato di soffermarmi 
in modo essenziale sugli elementi che Pareyson acquisisce dal confronto con 
l’esistenzialismo e che, modulati secondo la sua originalissima concezione 
personalistica rimangono comunque fondamentali per tutta la sua meditazione 
successiva  (la persona come intenzionalità in quanto rapporto all’essere).  
Riconosco la difficoltà che ho incontrato nel coniugare da parte mia 
l’esigenza di sintesi mirata e l’attenzione monopolizzante che l’indagazione del 
pensiero di Pareyson richiederebbe, soprattutto quando considera il momento in 
cui il suo interesse per la questione ontologica si evolve fino alla proposta della 
teoria che sostiene l’inesauribilità dell’essere. È questa una conquista che 
Pareyson raggiunge sia grazie al confronto incrociato e reciproco con grandi nomi 
della filosofia quali Plotino, Fichte, Schelling e Heidegger, sia grazie al 
pronunciamento delle sue personali posizioni estetica ed ermeneutica insieme.  
Infatti, questo secondo periodo della meditazione pareysoniana è 
estremamente articolato — al punto che la critica sembra concordare nel 
riconoscergli un ruolo essenziale come crocevia per l’intero pensiero di Pareyson, 
termine di arrivo della sua riflessione precedente, e punto di fondazione per tutto 
 3
quello che viene in seguito, ma discorda poi riguardo l’interpretazione del 
reciproco rapporto che le diverse istanze di questo pensiero hanno sia fra di loro 
sia specialmente rispetto all’ultima filosofia di Pareyson. Rimane che gli anni fra 
il Cinquanta e il Sessanta costituiscono un punto nevralgico a cui giungono e da 
cui si irradiano fruttuosamente tutti i filoni della speculazione pareysoniana (la 
maturazione dell’esistenzialismo nella forma del personalismo ontologico, 
l’estetica della formatività, la teoria ermeneutica della verità inesauribile) e da cui 
dipendono le fondamenta dell’ultima riflessione di Pareyson (la centratura 
dell’interesse ontologico sul rapporto libertà–nulla e il conseguente avvio della 
filosofia della libertà).  
È però all’ultima filosofia di Pareyson, l’ontologia della libertà, 
concretizzatasi nel suo opus magnus postumo, ma la cui gestazione nella mente di 
Pareyson appare riscontrabile almeno a partire dagli ultimi anni Settanta (così 
conferma Aldo Magris, Ontologia della libertà, p. 294), che quest’indagine 
dedica maggiore attenzione, perché costituisce il riferimento imprescindibile per 
capire Pareyson lettore di Dostoevskij. Si  noti subito, che se anche il mio 
interesse è così vivo per all’ontologia della libertà, a mio parere, la relazione fra 
queste due voci di cui si costituisce dall’interno l’ultima meditazione 
pareysoniana non è facilmente riducibile nel senso di un appiattimento della 
lettura di Dostoevskij entro il discorso complessivo delle filosofia della libertà. 
Tenderei infatti ad escludere che fra i due momenti vi sia un’influenza biunivoca 
ed esclusiva del rapporto contrario da parte dell’ontologia rispetto alla lettura su 
Dostoevskij, e mi propongo come uno degli obiettivi del lavoro di capire fino a 
che punto l’uno influenzi l’altro, e in modo più chiaro, quanto la lettura 
pareysoniana su Dostoevskij importi per la filosofia della libertà. Forse in questo 
senso si può giungere a vederli come due momenti di una medesima indagine, 
l’uno più strettamente filosofico, l’altro più compromesso con il linguaggio 
simbolico, per così dire più sul campo dell’interpretazione del mito. 
 Del resto, se ci basiamo sulle ammissioni di Pareyson stesso, sembra che 
non ci siano dubbi sul fatto che, se addirittura tutta la filosofia moderna era 
destinata alla filosofia della libertà, la filosofia pareysoniana trovi in essa il suo 
 4
centro. Con Pareyson, la metafisica ontica, razionalizzante ed oggettivante, cede il 
passo alla filosofia della libertà. L’approdo alla libertà costituisce, per Pareyson, 
una conclusione filosofica senza precedenti, del tutto rinviata dalla filosofia prima 
di lui, fatta eccezione per Schelling, l’unico pensatore moderno che ha il merito di 
essere chiamato, nonostante la sua collocazione storica, posthegeliano e 
addirittura postheideggeriano. Ritengo che sarebbe stato molto interessante 
istituire un serio confronto Schelling–Pareyson, sia approfondendo le tematiche 
che il Nostro Autore mutua, a debito, dall’ultima filosofia schellinghiana, sia 
soprattutto riconoscendo il modo personale ed originale con cui egli le svolge, ma 
questo avrebbe significato entrare dentro la costituzione dell’ontologia della 
libertà per assistervi minutamente, ed avrebbe portato troppo oltre rispetto 
all’obiettivo della presente indagine. 
Del tragitto teoretico con cui Pareyson raggiunge la libertà mi è sembrato 
opportuno sottolineare invece due elementi dotati di non solo di elevata forza 
speculativa, perché conducono Pareyson a conclusioni essenziali, ma anche forniti 
di grande fascino attrattivo, forse per via del loro essere provocatori: alludo alla 
domanda che la filosofia da Leibniz in giù chiama fondamentale, e che in effetti si 
interroga su ciò che risiede a monte di tutto, e all’immagine poetica dello stupore 
della ragione, usata da Schelling per connotare la divisione fra filosofia negativa 
e filosofia positiva. Mentre la svolta che Pareyson offre alla domanda 
fondamentale, incentrata sulla radicalizzazione dell’insegnamento ontologico di 
Heidegger secondo l’aiuto indispensabile di Schelling, consiste nel giungere a 
riconoscere il vincolo originario fra la libertà e il nulla, l’interpretazione 
dell’immagine schellinghiana dello stupore della ragione è da lui svolta nel senso 
del raggiungimento del concetto di filosofia critica, ovverosia di un nuova 
filosofia che è positiva perché rassegna le sue dimissioni all’indagine puramente 
razionale a favore di un’indagine altrimenti condotta. Su questa strada la filosofia 
può ritrovare se stessa recuperando la propria natura mitica originaria, la fonte 
inesauribile di ogni discorso decisivo per l’umanità.  
Già da queste premesse dovrebbe essere possibile cogliere le strutture 
portanti l’ontologia della libertà di Pareyson. Al centro di questa concezione 
 5
filosofica rimane il riconoscimento della libertà come il cuore stesso della realtà. 
Il principio originario non è inteso da Pareyson né come essere necessario 
(secondo la metafisica classico razionalista), né come essere (nemmeno nel senso 
dell’ontologia heideggeriana), ma appunto come libertà, indefinibile ed 
indimostrabile, originaria nel suo essere preceduta solo dal nulla, inizio ed 
insieme scelta, perché è solo per aver scelto di essere, e da cui ogni realtà può 
derivare solo per ulteriori atti di libertà. Si capisce che l’intonazione con cui viene 
affrontato il tema della libertà dall’ultima filosofia pareysoniana è ben diverso da 
quando egli si applicava alla libertà della persona, nel periodo esistenzialista, o 
quando considerava la libertà che si mette in gioco come verità, nell’ambito 
dell’ontologia dell’inesauribile, nell’interpretazione. Per il Pareyson filosofo della 
libertà, l’intera realtà è appesa alla libertà: libertà originaria e libertà umana si 
prolungano l’una nell’altra, nient’altro che libertà sono sia Dio sia l’uomo, Dio 
libertà assoluta e sovrana, l’uomo libertà finita nella sua potenza ma illimitata 
nella sua estensione.  
La filosofia della libertà si qualifica più concretamente come ontologia 
esistenziale, per il suo compito di essere ermeneutica della coscienza religiosa 
che rinviene nella narrazione del mito gli eventi della storia eterna della libertà, i 
quali non possono certo essere dedotti razionalmente ma sfuggono ad ogni 
possibile esperienza storica. In nome di questo appello, la filosofia della libertà si 
qualifica dunque come ermeneutica del mito religioso. Entro questo panorama 
filosofico la lettura del pensiero di Dostoevskij acquisisce intanto un significato 
essenziale in qualità di interpretazione del mito artistico, e inoltre viene invocata 
e proposta come un nuovo modo di essere per la filosofia, perché si applichi al 
linguaggio simbolico del mito e si riveli in grado di ascoltarne il messaggio 
originario        
Dopo l’approfondimento del pensiero di Pareyson, ho affrontato quella che 
mi pare la seconda esigenza da risolvere per poter indagare sui contenuti filosofici 
raggiunti da Pareyson lettore di Dostoevskij. Essa si rivela ancora più 
impegnativa e delicata, in quanto non solo implica una conoscenza di Dostoevskij 
e della sua opera, ma richiede anche e soprattutto una ricognizione dell’attenzione 
 6
dedicatagli dalla filosofia. La storia delle interpretazioni filosofiche di 
Dostoevskij non occupa uno spazio marginale all’interno del pensiero 
contemporaneo, visto che i contributi impegnati sulla filosofia dostoevskiana sono 
molti, autorevoli ed alcuni molto pregevoli. Nella prima appendice al capitolo 
secondo ho presentato per cenni la storia secolare della lettura filosofica di 
Dostoevskij, offrendola in una sintesi che vorrebbe portare degli spiragli di luce 
su dimensioni e tematiche molto complesse e raggiungere almeno due scopi. 
Intanto dovrebbe apparire chiaro che la lettura filosofica di Dostoevskij si è 
rivelata nel corso della sua storia passibile di uno sbilanciamento fra due opposti 
estremi, per cui Dostoevskij appare di volta in volta pensatore associato a uno 
degli abissi, quello dei supremi ideali e quello della più abietta degradazione. 
Dovrebbe inoltre apparire come correttivo a questi eccessi che la lettura proposta 
da Pareyson si colloca su un piano di equilibrio unitario, desideroso di 
contemplare contemporaneamente i due abissi: in tal senso, la lettura di Pareyson 
può essere intesa come l’esito più compiuto della linea interpretativa che si 
richiama a Rozanov e a Berdjaev e in cui egli si inserisce per sviluppare in una 
teologia dialettica lo spunto contenuto nel pensiero di Dostoevskij. 
Per completare la ricognizione sull’opera di Dostoevskij si è dimostrata 
conveniente anche una seconda appendice, la quale nell’offrire una presentazione 
dei quattro maggiori romanzi dostoevskiani (Delitto e castigo, L’idiota, I demoni, 
I fratelli Karamazov) a metà fra il narrativo ed il suggerimento di senso, risente 
dell’inevitabile seduzione che la lettura dell’opera di Dostoevskij suscita. In 
confronto all’indagine che segue, quest’appendice è stata concepita per offrire una 
sbirciata preliminare alla narrazione dostoevskiana, anche per poter 
contestualizzare alcune osservazioni svolte da Pareyson nella sua trattazione. 
A partire dal capitolo successivo, l’indagine espone i risultati ottenuti dalla 
mia comprensione dei saggi dostoevskiani scritti da Pareyson e procede secondo 
una logica che rispetta quello che mi sembra essere il modo di argomentare usato 
dal filosofo stesso nel suo testo, e che oserei definire nei termini di un progressivo 
avvicinamento alle tematiche essenziali. Infatti, la difficoltà maggiore che ho 
incontrato nel rapportarmi alla lettura pareysoniana è dipesa proprio dalla 
 7
necessità di acquisire un metodo valido per far trasparire l’unicità del messaggio 
di Pareyson, a prescindere dalle diverse prospettive che organizzano i saggi, del 
tutto coerenti fra di loro eppure complementari, in parte perché composti anche 
per differenti occasioni, in parte soprattutto perché sostenuti da opposte 
ispirazioni speculative (gli uni più discorsivi, gli altri più morali, gli altri infine 
strettamente teoretici). 
Mi sembra che in tal senso sia giustificata la natura introduttiva che il 
secondo capitolo mantiene, per il suo essere destinato alla considerazione del 
pensiero di Dostoevskij secondo più fronti, quali le intersezioni con la biografia 
ed il confronto con altre prospettive interpretative, e che è da intendersi dunque 
come una panoramica sui temi che Pareyson si propone di scandagliare nel corso 
della sua lettura. Pur offrendo spunti per la considerazione dell’arte di Dostoevskij 
in generale, questo capitolo dovrebbe far capire fin da subito il particolarissimo 
tipo di metodo interpretativo usato da Pareyson  — quello della fedeltà che 
conduce a confilosofare con Dostoevskij —, e la peculiarità dell’interpretazione 
di Pareyson rispetto ad alcuni esegeti che lo hanno preceduto — primo fra tutti 
Berdjaev, la cui lezione rimane però sempre presente per Pareyson. Seppure 
all’interno di una prospettiva introduttiva, vengono forniti già da qui alcuni 
squarci che anticipano ed illuminano l’intento finale che sorregge la analisi di 
Pareyson. 
Di certo si avvicina molto di più alle questioni centrali della filosofia di 
Dostoevskij il capitolo successivo, il terzo, dedicato ai temi del male del bene e 
della redenzione. Rimane che però la prima ispirazione che guida la 
considerazione di Pareyson rispetto a questi elementi è di natura morale, tant’è 
che nel corso della trattazione sembra di assistere ad una specie di fisiognomica 
del male e delle sue forme, e ad una ricerca “impossibile” dell’anima bella 
(sebbene paradossalmente proprio nelle pagine di un autore che intende negare 
questo concetto). La breve riflessione condotta sulla redenzione, per la legge di 
espiazione unico approdo possibile del confronto fra i due opposti modelli di vita 
offerti, quello secondo il male e quello secondo il bene, invoca in modo naturale il 
 8
capitolo finale. Le risposte alle drammatiche questioni avviate vengono rinviate in 
quanto implicano un piano ulteriore a quello morale. 
Le conclusioni a cui il capitolo quarto giunge sorgono infatti sulla base di 
un ulteriore radicalizzarsi dell’indagine in senso più fortemente teoretico. Ecco 
perché, ad esempio, il confronto con il testo dostoevskiano, così esteso nel 
capitolo precedente, ora è mirato verso le sue parti più difficili (La ribellione di 
Ivàn Karamazov  e la sua Leggenda del Grande Inquisitore). In questo capitolo 
risiede il cuore della riflessione, imperniata sui fondamentali temi di libertà, male 
e Dio, ma destinata a svolgersi secondo un procedere sempre più difficile e 
drammatico, fino ad incrociare nella loro radicalità lo scandalo del male, della 
sofferenza inutile, e dell’ateismo sottile che da essi consegue. Di fronte agli 
appelli irrimandabili che il genio di Dostoevskij rilancia nella loro eterna attualità, 
la parola di Pareyson, per sua stessa ammissione, procede sempre più nel suo 
modo di colloquiare con Dostoevskij e, oltre Dostoevskij, fornisce la sua unica 
risposta.            
 9
CAPITOLO PRIMO: 
LUIGI PAREYSON (1918–1991), 
 FILOSOFO DELLA LIBERTÀ 
 
“Siamo tutti dei cercatori d’oro, qui, in filosofia, 
  rispetto alla verità”
1
. 
“È vero pensatore colui che non solo dice la verità unica  [...], ma 
 che anche insiste a dire e ripetere quell’unica cosa che è  la sua verità, 
  perché quella continua ripetizione è il segno che egli, 
 lungi dal limitarsi ad esprimere il tempo, ha attinto la verità”
2
. 
 
Anche solo uno primo sguardo alle principali opere teoretiche di Pareyson 
rivela che il  modo di filosofare del pensatore torinese procede tratteggiando un 
percorso intellettuale organizzato in tappe legate fra di loro in un gioco di continui 
rimandi e dipendenze,  per temi i affrontati,  per i confronti ingaggiati con altri 
pensatori, per le nuove visioni proposte.  Del resto, la posizione di grande rilievo 
che gli spetta nell’ambito della filosofia italiana contemporanea è legata alle 
spinte determinanti portate dai diversi impegni da lui assunti fin da giovanissimo 
e che Pareyson ha dimostrato di saper condurre a termine tramite «un’opera 
pionieristica in tutti i campi in cui si è esercitata»
3
. Accennare ai molteplici 
interessi pareysoniani è utile per mostrare un orizzonte filosofico molto articolato 
ma al contempo organico, a partire dal suo primo impegno di giovane studioso 
che introduce in Italia  — egli per primo in un contesto speculativo reso asfittico 
per i  
                                                 
1
Essere e libertà. Il principio e la dialettica, corso di Filosofia teorica tenuto 
nell’Università di Torino per l’a.a.1982/83 (ora in L. PAREYSON,  Essere Libertà Ambiguità, a 
cura di F. Tomatis, Mursia, Milano, 1998, p. 77), nona lezione. La citazione è la frase conclusiva 
di una risposta data da Pareyson all’intervento di un allievo che si chiede in che senso è sostenibile 
che il bene trionferà sul male dato che questa non è una certezza ma solo una speranza. La risposta 
di Pareyson apre uno squarcio su come intendere i rapporti fra filosofia e religione, visto che «il 
problema del male è posto solamente in modo soddisfacente finora dalla religione» (ivi, p. 76). 
2 
L. PAREYSON, Pensiero espressivo e pensiero rivelativo, in Verità e interpretazione, 
Mursia, Milano, 1982, p. 18. 
3
 Questa è la visione del lavoro di studioso di Pareyson offerta da CLAUDIO CIANCIO nel 
saggio Memoria di Luigi Pareyson (1992). Il saggio costituisce una commemorazione in cui viene 
presentata la figura di Pareyson, per così dire a tutto tondo, più che dal punto di vista 
esclusivamente teoretico. Affini per la sensibilità sono anche di XAVIER TILLIETTE, Encomio di 
Luigi Pareyson (1994), di GIUSEPPE RICONDA, Ricordo di Luigi Pareyson (1991). 
 10
continui rifacimenti alla filosofia hegeliana sotto la guida o di Gentile o di 
Croce — le tematiche dell’esistenzialismo, con le Note sulla filosofia 
dell’esistenza (1938) e La filosofia dell’esistenza e Carlo Jaspers (1939). 
L’esistenzialismo rimane un ripensamento importante e sempre costante per il suo 
pensiero, e si qualifica meglio nella modulazione personalistica raggiunta con 
Esistenza e persona (1950).          
L’enumerazione della vastità degli interessi di Pareyson continua con la 
sua personale elaborazione della filosofia dell’interpretazione nel senso di 
un’ontologia dell’inesauribile, visione che pure svolge il ruolo di anticipare la 
filosofia ermeneutica del sec. XX, non solo in Italia ma nell’intero panorama 
europeo, e che comunque si colloca nel pensiero contemporaneo come una delle 
sue teorie ermeneutiche più robuste, parallela e per certi versi alternativa a quelle 
di Gadamer e Ricoeur, e che costituisce il riferimento imprescindibile della sua 
teoria dell’interpretazione matura quale appare in Verità e interpretazione (1971). 
Consentaneo alla teoria dell’interpretazione è il grande capitolo costituito 
nella filosofia di Pareyson dal rinnovamento delle categorie estetiche proposto 
con la sua formulazione estetica con lo studio Estetica: teoria della formatività 
(1954). Né è possibile passare sotto silenzio l’intensa attività storiografica 
condotta da Pareyson con scrupolo di rivisitazione teoretica, rivolta alla grande 
filosofia del romanticismo e dell’idealismo tedesco, ed accompagnata dalla lettura 
di Kant, Schiller, Goethe, Novalis, Fichte e Schelling, con l’opera Fichte. Il 
sistema della libertà (1950),  grande esempio di lavoro insieme storiografico e 
teoretico e considerato il capolavoro storiografico di Pareyson, e con L’estetica 
dell’idealismo tedesco (1950). Negli ultimi anni della sua vita, la riflessione 
filosofica di Pareyson coincide con la proposta di un pensiero tragico, di 
un’ontologia della libertà capace di scandagliare il male e la sofferenza umane, e 
l’assunzione del Cristianesimo come questione indispensabile per la riflessione 
contemporanea. Queste tematiche traspaiono sia dalla sua  
 11
Ontologia della libertà
4
 pubblicata postuma nel 1995, sia nei saggi uniti 
nel volume pubblicato pure postumo nel 1993, Dostoevskij. Filosofia, romanzo ed 
esperienza religiosa
5
, che raccoglie tutte le riflessioni di Pareyson sullo scrittore 
russo. La rassegna delle principali opere di Pareyson, che delinea in sintesi le 
tappe e i loro nessi di collegamento secondo cui si organizza l’itinerario 
speculativo pareysoniano, permette di cogliere l’ontologia della libertà come un 
approdo, traguardo e visione matura da cui tutta la sua riflessione sembra 
fatalmente attratta, e fa comprendere come quest’ultima riflessione costituisca il 
cuore propulsore di tutto il suo pensiero
6
. Lungo il suo cammino filosofico sono 
molti i pensatori con cui Pareyson entra in colloquio diretto e il cui pensiero è 
sottoposto ad una disanima continua, a partire da Hegel, Kierkegaard, Fichte,  
                                                 
4
 L’Ontologia della libertà, opus maius degli ultimi anni di Pareyson, è l’insieme di saggi 
e lezioni  destinati a costituire per volere dell’autore due volumi dal titolo Ontologia della libertà. 
Il male e la sofferenza e La libertà ed il nulla. L’opera, pubblicata da Einaudi nel 1995 e 
presentata da Giuseppe Riconda e Gianni Vattimo, raccoglie nella prima parte, sotto il titolo In 
cammino verso la libertà, le cosiddette Lezioni di Napoli,  tenute da Pareyson presso l’Istituto 
italiano per gli studi filosofici di Napoli il 26, 27, 29 e 30 aprile 1988. La seconda parte dell’opera, 
La libertà originaria, raccoglie saggi già pubblicati su «Annuario filosofico», da Pareyson fondato 
e diretto sino all’anno della sua scomparsa, quali L’esperienza religiosa e la filosofia, La  filosofia 
e il problema del male, Un «discorso temerario»: il male in Dio, e i frammenti inediti 
sull’escatologia trascritti da Aldo Magris. La terza parte dell’opera, La libertà e il nulla, che 
risponde all’intenzione di Pareyson di un secondo volume autonomo costituito dall’intreccio di 
speculazione e meditazione storiografica, unisce i saggi «La domanda fondamentale»:«Perché 
l’essere piuttosto che il nulla?»,   Stupore della ragione e angoscia di fronte all’essere, Il nulla e 
la libertà come inizio e Filosofia della libertà (la lezione di congedo tenuta all’università di 
Torino il 27 ottobre 1988).                        
5
 Il volume, pubblicato postumo nel 1993 da Einaudi e presentato da Giuseppe Riconda e 
Gianni Vattimo, raccoglie saggi che vengono dedicati da Pareyson alla riflessione condotta 
sull’opera di Dostoevskij ma che trascendono il semplice significato di commento al testo e 
assurgono a luogo di autentica riflessione sulle tematiche centrali dell’ultima filosofia 
pareysoniana, quali l’esperienza del bene e del male, l’esperienza della libertà e l’esperienza di 
Dio. L’opera consta di una prima parte, Primo sguardo, in cui trova spazio il corso universitario 
tenuto da Pareyson nel 1967 per la cattedra di filosofia morale intitolato Il pensiero etico di 
Dostoevskij; e di una seconda parte, Approfondimenti, che svolge il completamento dell’indagine 
sul pensiero dostoevskiano tramite una serie di saggi (L’esperienza della libertà, L’ambiguità 
dell’uomo, La sofferenza inutile). L’appendice riporta con il titolo Dmitrij confuta Ivàn gli appunti 
incompleti di uno degli altri due saggi che Pareyson aveva in mente di dedicare a Dostoevskij, 
mentre non c’è traccia concreta dell’altro saggio.     
6
 La tesi che l’ontologia della libertà costituisce rispetto ai diversi momenti del pensiero 
di Pareyson una formulazione unitaria e una loro armonica convergenza, e che quindi  i motivi 
peculiari dell’esistenzialismo pareysoniano appaiono dalla considerazione dell’ontologia della  
libertà, viene proposta compiutamente a partire da Giuseppe Modica nel suo Per un’ontologia 
della libertà. Saggio sulla prospettiva filosofica di Luigi Pareyson, Cadmo, Roma,1980.    
 12
Jaspers e naturalmente Heidegger, ma sono Plotino, e soprattutto Schelling 
e Dostoevskij
7
 a costituire gli snodi indispensabili per cogliere l’orizzonte del suo 
ultimo pensiero. 
                                                 
7
 «Pareyson compie attraverso l’interpretazione dello scrittore russo un passaggio 
fondamentale del suo itinerario speculativo… Attraverso Dostoevskij si comincia a configurare un 
pensiero che dà corpo alle attese di Verità e interpretazione: un pensiero cioè in cui l’ascolto del 
mito e la sua interpretazione vengono messi in atto» M. GENSABELLA FURNARI, I sentieri della 
libertà. Saggio su Luigi Pareyson, Guerini, Milano, 1994, p. 175.    
 13
§1.1: DAL PERSONALISMO ESISTENZIALE 
ALL’ONTOLOGIA DELLA LIBERTÀ 
 
Per presentare il cammino biografico ed intellettuale di Pareyson come 
appare dall’integrità della sua ricerca filosofica, e alla luce di quello il senso 
dell’approdo alle ultime tematiche della filosofia della libertà, appare opportuno il 
riferimento al saggio Dal personalismo esistenziale all’ontologia della libertà,  
posto da Pareyson come introduzione alla quarta edizione di Essere e persona.
8
 
Un’idea espressa da Pareyson in questo saggio si costituisce come criterio guida 
indispensabile e viene accolta nella presente analisi dell’iter filosofico 
pareysoniano:  
«In uno sviluppo vivente di pensiero non è lo stadio iniziale che contiene il 
significato degli stadi successivi, ma si verifica piuttosto l’inverso: spiegare il 
dopo con il prima è troppo riduttivo, mentre assai più illuminante e rivelativo è 
considerare il prima alla luce del dopo»
9
.    
 
Dal saggio introduttivo ad Esistenza e persona, emerge la considerazione 
che il pensiero di Pareyson si sviluppa delimitato secondo tre tappe principali, da 
lui stesso così riconosciute: la prima, l’esistenzialismo personalistico, la seconda, 
l’ontologia dell’inesauribile, la terza, l’ontologia della libertà. Dai pochi cenni 
svolti sopra riguardo le opere pareysoniane non è arbitrario fare corrispondere 
questi tre momenti distinti ma molto intercomunicanti rispettivamente con la sua 
personale proposta esistenzialistica di Essere e persona, la sua teoria 
dell’interpretazione maturata in Verità e interpretazione e infine le tematiche 
dell’omonima  Ontologia della libertà. 
                                                 
8
 L. PAREYSON, Esistenza e persona, il Melangolo, Genova, 1985, pp. 9–38; il presente 
saggio mantiene una natura a metà fra il biografico e lo speculativo. Anche le Lezioni di Napoli 
(1988) offrono notevoli spunti utili alla comprensione dell’itinerario speculativo pareysoniano, 
con il merito maggiore di far cogliere meglio rispetto a quello, e sulla base di uno sfondo più 
fortemente teoretico, il fondamentale nesso fra  essere e libertà. Del resto, il riferimento 
autobiografico non è carente in Pareyson, e di sicuro costituisce un ausilio imprescindibile in sede 
interpretativa. 
9
 Esistenza e persona, cit., p. 26. 
 14
§1.1.1:  ESISTENZIALISMO E PERSONALISMO ONTOLOGICO 
 
La prima tappa, la modulazione dell’esistenzialismo
10
 nel senso di un 
personalismo ontologico, presuppone sia l’impeto che Pareyson dedica agli studi 
giovanili sulla filosofia dell’esistenza, sia l’interesse dimostratosi costante nel 
tempo per le tematiche esistenzialiste. Tutta la filosofia contemporanea viene letta 
da Pareyson come dissoluzione dell’hegelismo
11
, e l’esistenzialismo viene 
collocato al suo interno come una ripresa di questa frantumazione. Pareyson 
intende hegelismo la filosofia di Hegel come viene presentata nella sua lettura 
scolastica, che teorizza la sintesi di pensiero e realtà e che tramite il metodo 
dialettico giunge a pensare nella filosofia la stessa realtà: dopo di Hegel verrebbe 
sancita l’identità di pensiero e realtà, di reale e razionale e l’annullamento del 
finito nell’infinito. Le figure di Kierkegaard e Feuerbach sono molto indicative 
delle possibilità aperte con la dissoluzione del pensiero di Hegel, in quanto il 
primo mantiene l’idea hegeliana di filosofia intesa come sapere assoluto, 
universale, mentre il  secondo prosegue una secolarizzazione del sistema 
hegeliano che col marxismo porta alla filosofia della prassi. Questi due pensatori, 
oltre a rappresentare l’avvio di tutta la filosofia contemporanea, ne propongono 
due linee guida divergenti: Kierkegaard rappresenta un ritrovamento del 
Cristianesimo come fede ed offre appunto una posizione che contiene in sé, per 
averla vinta e vissuta, la posizione atea del secondo. Dall’alternativa che si 
configura dal confronto fra Kierkegaard e Feuerbach, appare che l’esistenzialismo 
si trova di fronte ad una scelta obbligata tra l’essere cristiano o anticristiano: anzi 
Pareyson riconosce la gravità dell’alternativa pro o contro il Cristianesimo per 
                                                 
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 I rapporti di Pareyson con l’esistenzialismo vengono indagati, oltre che da F.P. CIGLIA 
nel suo saggio del 1991, A confronto con la filosofia dell’esistenza. Gli esordi filosofici di Luigi 
Pareyson (1938-1946), anche da C. CIANCIO nel suo saggio Pareyson e l’esistenzialismo (1998), 
dove si sostiene fra l’altro che l’incontro con questa filosofia è per Pareyson non solo il punto di 
partenza per la sua riflessione, ma ne contiene il nucleo centrale. Ciancio sostiene infatti che la 
fase estetica–personalistica–ermeneutica del pensiero di Pareyson vada considerata come 
un’attuazione del programma di inveramento dell’esistenzialismo (secondo la proposta degli studi 
giovanili) e che l’ultimo Pareyson dell’ontologia della libertà sia lo svolgimento teorico 
dell’esistenzialismo.   
11
 Esistenza e persona, cit., pp. 9–10 e pp. 41ss.   
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tutta la filosofia e nell’introduzione a Esistenza e persona dice che questa scelta è 
per la filosofia contemporanea (dicendo «mondo d’oggi» intende forse qualcosa di 
più?) «un problema filosofico che, come tale, tocca  tutti ed interessa tutti»
12
.  
La filosofia di Kierkegaard è a maggior ragione significativa, secondo 
Pareyson, in quanto l’esistenzialismo tedesco è una scoperta della filosofia 
kierkegaardiana e delle sue tematiche. C’è in particolare un’affermazione di 
Kierkegaard che rimane fondamentale per l’esistenzialismo ed anche per 
Pareyson:  Kierkegaard afferma che l’esistenza è un rapporto con sé che è tale 
solamente in quanto si rapporta ad altro, dove altro sta per la trascendenza; 
Pareyson verrà a sostenere la medesima cosa quando dirà che l’esistenza è 
autorelazione in quanto eterorelazione, o meglio, che «l’esistenza umana è 
coincidenza di relazione con sé e relazione con altro»
13
. Secondo Pareyson, 
questo concetto fondamentale viene accolto in modi diversi dagli esistenzialisti 
tedeschi, come appare dal teocentrismo della teologia dialettica di Barth, come 
rivela l’umanesimo di Heidegger
14
 e come viene mostrato anche in Jaspers dal 
dissolvimento della persona e dall’annullamento della libertà a causa 
dell’implicanza di negativo e positivo. 
Il giovane Pareyson riconosce dunque l’assunto dell’esistenzialismo che 
intende l’esistenza come coincidenza di autorelazione ed eterorelazione, ma 
                                                 
12
 Esistenza e persona, cit., p. 12. Si noti al riguardo che qui Kierkegaard, vincitore della 
filosofia moderna atea in nome della sua professione cristiana, viene accompagnato a Dostoevskij, 
che ha la meglio sul nichilismo per averlo vinto e combattuto, proprio per rappresentare due 
cristiani d’eccezione che con il loro superamento dell’ateismo mostrano la via per un 
Cristianesimo autentico: in tal senso, l’anima tragica dell’esistenzialismo non può che convergere 
con una concezione tragica del cristianesimo.   
13
 Esistenza e persona, cit., p. 229  
14
 Nel saggio di U.M. UGAZIO, Pareyson interprete di Heidegger (1989), saggio del resto 
molto utile per cogliere appieno la posizione interpretativa di Pareyson rispetto ad Heidegger, è 
molto chiara al riguardo la frase: «Pareyson, infatti, costruisce la sua interpretazione della  
Existenzphilosophie nella piena consapevolezza che [...] se Barth, come teologo, nega il tempo per 
l’eternità, Heidegger, come ontologo, fatalmente nega l’eternità per il tempo», idea che conferma 
il riconoscimento di Pareyson della messa in silenzio da parte dell’esistenzialismo tedesco di uno 
dei termini del paradosso kierkegaardiano. Secondo Ugazio, il nocciolo della critica di Pareyson a 
Barth ed Heidegger risiede proprio nell’aver quelli sciolto il paradosso di eternità e tempo in una 
delle due direzioni,  senza però aver mai potuto rinunciare completamente all’altro polo.