5 
 
Introduzione 
Ho scelto di svolgere la tesi conclusiva del mio percorso di studi sulla tematica 
dell‟homelessness, ossia sulle persone senza fissa dimora, idea nata da una lunga 
esperienza di volontariato in questo campo.  
La ricerca in oggetto si prefigge innanzitutto di gettare uno sguardo “psicologico” sul 
fenomeno, che spesso e volentieri è dimenticato a favore di approcci sociologici. In 
Italia, gli studi sui senza dimora scarseggiano, a differenza di altri paesi, come gli Stati 
Uniti, che investono ingenti risorse economiche e umane per affrontare questo 
problema: la mia tesi vorrebbe inserirsi in una nuova e feconda stagione di maggiore 
attenzione e sensibilità a questa tematica, anche alla luce della crisi economica e sociale 
che stiamo vivendo. Preoccupanti, infatti, sono le recenti stime del fenomeno, che sta 
interessando fasce di popolazione sempre maggiori, e che nel futuro sarà purtroppo 
destinato ad aumentare. 
Obiettivo del lavoro sarà di illustrare la complessità del fenomeno, a scapito di visioni 
riduttive e semplicistiche, che definiscono l‟homelessness come un mero disagio 
abitativo, facendone emergere gli aspetti esistenziali, relazionali e simbolici. In 
particolare, nel primo capitolo, verrà riesaminata la letteratura esistente, per indagare le 
definizioni del fenomeno, le sue dimensioni (con un‟attenzione particolare alle stime 
italiane e della città di Como) e le principali teorie che hanno tentato di spiegare le 
cause dell‟homelessness. Alla fine del capitolo, saranno descritte le principali 
caratteristiche psicologiche dei senza dimora come gli aspetti motivazionali, 
l‟autostima, il senso del sé e l‟identità sociale, le modalità relazionali, le emozioni e le 
difese psichiche. Altro obiettivo del mio lavoro è indagare l‟identità e il sé delle persone 
senza dimora, e chiarirne i percorsi esistenziali passati e presenti, alla luce della
6 
 
condizione stressante nella quale vivono ora. Nel secondo capitolo descriverò la 
metodologia che mi guiderà nella parte sperimentale della mia ricerca, all‟ascolto e alla 
comprensione delle “Storie di vita” di alcuni senza dimora, intervistati sul territorio 
comasco. Saranno descritti i pregi dell‟approccio autobiografico e narrativo e il loro 
utilizzo nelle ricerche che si pongono come obiettivo l‟indagine e lo studio sui percorsi 
identitari durante il ciclo di vita. In particolare, verranno approfonditi gli strumenti della 
“Storia di vita” e dell‟intervista autobiografica e il rapporto che questi hanno con la 
costruzione del sé. Emergerà una visione costruttiva e interattiva (culturale) 
dell‟identità, secondo la prospettiva teorica di Bruner (1990, 1992, 1997). 
Il terzo capitolo sarà interamente dedicato alla descrizione della ricerca qualitativa 
condotta grazie alla disponibilità di undici persone senza dimora, a raccontare la propria 
storia. Successivamente, analizzerò le storie narrate una alla volta, per osservare i 
processi di formazione dell‟identità della persona e il suo sé attuale, codificando gli 
indicatori o marcatori del sé di Bruner (1998). Si verificherà, inoltre, la presenza di life-
stressful events, intesi come fattori di rischio per l‟homelessness, l‟esistenza e la qualità 
della rete relazionale, la visione del futuro e le risorse dei senza dimora, in un‟ottica di 
progettazione d‟interventi a loro favore. Per concludere, proverò a compiere una 
metanalisi delle interviste autobiografiche, per tentare di tracciare un profilo identitario 
comune agli individui del campione.
7 
 
CAPITOLO 1: CHI SONO I SENZA FISSA DIMORA? 
1.1 Definizioni della “persona senza fissa dimora” 
Il fenomeno delle persone senza fissa dimora si caratterizza per la sua complessità 
a partire dalla definizione stessa del concetto e dal framework teorico con il quale ci si 
avvicina all‟argomento. Infatti, l‟espressione “senza dimora” viene utilizzata nella 
letteratura italiana e internazionale per indicare un insieme eterogeneo e composito di 
persone, che spesso sfugge a tentativi precisi di categorizzazione. Proprio il grande 
numero di parole usate per riferirsi a questa popolazione, ci dà un‟idea della difficoltà a 
individuare caratteristiche di omogeneità all‟interno di un gruppo di individui che 
mostra una tipologia diversificata di situazioni di disagio e di svantaggio (Formentin, 
Santinello, Tessari, 2009). La categoria dei senza dimora contiene al proprio interno una 
ricca tipologia di persone, differenti per storie, problemi, bisogni e stili di vita (Pollo, 
1991). I termini senza tetto, senza dimora, homeless, sans-abri, clochard, hobo, 
roofless, barbone, sono solo alcune etichette attribuite a queste persone, aventi 
significati e implicazioni anche operative non sempre coincidenti. La maggioranza di 
studiosi è concorde nel ritenere che vi siano due sostanziali linee interpretative della 
homelessness: una privilegia il concetto di senza tetto e quindi considera centrale la 
mancanza in senso fisico di una casa, di un luogo dove abitare, mentre l‟altra si riferisce 
al termine di senza dimora che evidenzia la concezione di mancanza di uno spazio di 
vita, dove coltivare relazioni affettive e personali stabili e piene di significato. 
Quest‟ultimo aspetto fa riferimento a un senso ampio del possedere una casa, a una 
dimensione che evoca l‟insieme di significati psicologici e affettivo/relazionali legati ad 
avere un‟abitazione, come luogo privilegiato allo sviluppo del Sé e dei legami 
intersoggettivi.
8 
 
Casa intesa come un luogo dove appartarsi, dove difendersi, dove avere sicurezza; 
luogo dell‟accoglienza totale, dove ci si può attendere di essere riconosciuti come 
persone con un valore. Casa come luogo antropologico per eccellenza, dove l‟uomo si 
manifesta per ciò che è, da alcuni chiamato “spazio per l‟anima
1
”. 
Il privilegiare in modo improprio una o l‟altra definizione conduce a diverse letture 
delle cause del fenomeno: interpretazione della homeless come causata da un grave 
disagio abitativo e quindi affrontabile attraverso piani concreti legati a politiche 
abitative più efficaci, oppure come un problema di relazione e di perdita delle relazioni 
e quindi ricondotto al disagio e all‟esclusione sociale (Zuccari, 2007). 
Risulta importante evidenziare sia la carenza o assenza di un adeguato spazio fisico 
(casa) sia l‟inconsistenza di una rete di relazioni e di sostegno (dimore affettive). 
(Gnocchi, 2007). Tosi mette in guardia da semplificazioni e da scomposizioni rigide 
delle polarità sopra esposte, di homelessness come “house problem” o come “social 
problem” (Tosi, 1996); a livello operativo questo significherebbe parcellizzare gli 
interventi a favore dei senza dimora e perdere la complessità del fenomeno. È utile 
tuttavia riferirsi alle due diverse accezioni quando si vuole cogliere maggiormente i 
problemi relazionali e sociali e le disabilities tradizionalmente associati agli homeless 
da un lato, oppure l‟esclusione da un‟abitazione in senso stretto dall‟altro, considerando 
in entrambi i casi l‟homelessness come interrelata alla condizione di povertà estrema e 
di grave emarginazione.  
Non sempre le definizioni del fenomeno in questione sono state univoche tra gli 
studiosi. È interessante presentare una breve rassegna delle più importanti definizioni di 
persona senza dimora a proposito del loro succedersi negli anni, definizioni che 
                                                 
1
 Landuzzi, C., Pieretti, G (a cura di) “Servizio sociale e povertà estreme”, 2003, pag. 57
9 
 
possiamo trovare all‟interno di ricerche sull‟homelessness o elaborate da organizzazioni 
ed enti che si occupano di osservare il fenomeno; queste cercheranno di rendere conto, 
almeno in parte, dell‟eterogeneità di prospettive.  
Nel 1987, il Labos, all‟interno della ricerca “Essere barboni a Roma”, utilizza il 
termine, ormai superato, di barbone come una persona senza fissa dimora indotta ad 
auto estromettersi, per motivi di ordine psicologico e sociale dal contesto di convivenza 
sociale, che vive al di fuori delle regole, alla giornata e qualche volta di elemosina. In 
questa definizione ritroviamo una sottile concezione del senza fissa dimora come 
qualcuno che vive in contrapposizione alle regole stabilite e che in qualche modo si sia 
estromesso per scelta, seppur indotta, dalla società. 
Nel 1988, l‟indagine “Uomini senza territorio” condotta a Torino 
2
, indica le persone 
senza dimora come uomini senza territorio e cioè “individui il cui grado di povertà 
comprende la mancanza di ogni reddito e di risorse continuative dello stato sociale e si 
accompagna a una rilevante estraniazione dai propri mondi vitali e a varie forme di 
disagio e sofferenza fisica e psichica”. Come fa notare Zuccari, questa definizione pone 
l‟accento sulla condizione di povertà estrema, evidenziando il processo di esclusione 
sociale cui è soggetta questa popolazione (Zuccari, 2007) 
3
. La Federazione Italiana 
Organismi per le Persone senza Dimora (FIO.Psd), suggerisce che la definizione di 
persona senza dimora contenga quattro aspetti che si integrano e si autoalimentano:  
                                                 
2
 Si tratta della ricerca di Berzano, L. (1991) “Il vagabondaggio nelle metropoli”, in Guidicini P. (a cura di), 
Gli studi sulla povertà in Italia, Franco Angeli, Milano 
3
 Un’altra definizione “figurativa” molto interessante è quella di senza fissa dimora come “abitante dei 
non luoghi”, di spazi privi di significato, non identitari, né relazionali, che troviamo nel volume di 
Gazzola, A. Gli abitanti dei non luoghi, i senza fissa dimora a Genova, 2007. Altrettanto suggestiva è la 
visione sociologica di Bauman dell’essere umano diventato “vita di scarto”, estromesso dai processi 
produttivi della società e quindi vita “eccedente”, in soprannumero, paragonata agli scarti dei processi di 
produzione e di consumo nella società della globalizzazione. (Bauman, 2005).
10 
 
1. presenza contemporanea di bisogni e problemi diversi che definisce un 
disagio complesso a carattere multi-dimensionale;  
2. progressività del percorso emarginante nel tempo che determina l‟interazione 
e il consolidamento dei fattori di disagio attraverso un meccanismo che si 
autoalimenta e definisce un processo di cronicizzazione tale da rendere la 
persona non più in grado di contrastare validamente il processo di esclusione 
sociale;  
3. difficoltà nel trovare accoglienza e risposte appropriate nei servizi 
istituzionali a causa di due fattori principali:  
 rispetto alla persona, per le elevate barriere di accesso che i servizi 
presentano rispetto alle esigenze e le risposte che ella ritiene siano 
possibili soluzioni dei problemi vissuti;  
 rispetto ai servizi, per la difficoltà che hanno nel riconoscere la 
persona come un utente di loro “competenza” (anche se in molti casi 
la persona è già stata in passato utente dei medesimi servizi); 
4. la difficoltà per la persona a strutturare e mantenere relazioni significative.  
Tutto ciò premesso, è possibile definire una persona senza dimora come un soggetto in 
stato di povertà materiale e immateriale portatore di un disagio complesso, dinamico e 
multiforme.  (FIO. Psd, www.fiopsd.org). 
4
 
Per quanto riguarda le definizioni che prendono in considerazione l‟elemento di 
esclusione abitativa insito al fenomeno dell‟homelessness, troviamo quella del 
                                                 
4
  La FIO. Psd è una federazione per le persone senza dimora che opera dal 1985 in Italia e che raggruppa 
organismi che a livello locale erogano servizi alle persone senza dimora, appartenenti alla pubblica 
amministrazione e ad organismi del privato sociale (organizzazioni di volontariato, cooperative sociali, 
associazioni, Caritas Italiana, ecc.)
11 
 
Department of Housing and Urban Development (HUD, www.hud.gov)
5
, che descrive 
il senza fissa dimora come: 
1. un individuo mancante di una residenza notturna fissa, regolare e adeguata; 
2. un individuo che come primaria residenza notturna ha:  
 un riparo gestito da servizi pubblici o privati, che offre una sistemazione 
temporanea; 
 un‟istituzione che fornisce una residenza temporanea per persone che 
saranno in seguito istituzionalizzate; 
 un posto pubblico o privato usato per fornire una sistemazione regolare per 
dormire. 
Allo stesso modo, Chamberlain e Mackenzie (1992), due ricercatori australiani, 
propongono una definizione che comprende tre livelli o aree: 
 homelessness primaria: riguarda persone senza una sistemazione convenzionale 
e che quindi dormono in strada, nei parchi, sulle panchine, in macchina, nelle 
stazioni; 
 homelessness secondaria: ne fanno parte individui che si spostano 
frequentemente tra sistemazioni temporanee, provvisorie, come dormitori di 
emergenza (shelters), o che vengono ospitati occasionalmente da qualcuno;  
 homelessness terziaria: persone che sono ospitate presso l‟abitazione di altri, 
anche a lungo termine, spesso senza alcuna certezza. 
Esse sono quindi considerate fragili allo stesso modo degli altri poiché costantemente a 
rischio di trovarsi senza un tetto. 
 
                                                 
5
 L’HUD è il dipartimento del governo federale degli Stati Uniti d’America che si occupa delle politiche 
abitative e della pianificazione urbana.
12 
 
Questo tipo di classificazione, come si è detto, sottolinea maggiormente la componente 
della “houselessness”, definendo quindi l‟homelessness in relazione all‟accesso delle 
persone a dormitori o abitazioni.  
Anche la Feantsa 
6
 tramite l‟Osservatorio Europeo sull‟Homelessness, definisce il 
soggetto senza dimora come “una persona che, avendo perso o abbandonato il suo 
alloggio, non può risolvere i problemi ad esso connessi e ricerca o riceve l‟aiuto di 
agenzie pubbliche/private d‟intervento” (Nanni, 1998). Il rapporto Feantsa del 1993, 
curato da Tosi e Ranci (Tosi, Ranci 1995), suggerisce che possano essere inserite nella 
categoria dell‟homelessness le persone prive di qualsiasi sistemazione (no 
accomodation), quelle in sistemazioni provvisorie nel settore pubblico, del privato 
sociale e del volontariato (temporary accomodation) e coloro che si trovano in 
sistemazioni abitative marginali sottostandard (marginal accomodation); categorie che 
rispecchiano i livelli di Chamberlain e Mackenzie.  
Sempre nel tentativo di tracciare le numerose caratteristiche del soggetto homeless, 
Feantsa ne elenca alcune caratteristiche (Pellegrino, Verzieri, 1991):  
 diseguaglianza sociale; 
 impossibilità a partecipare alla società a causa di vincoli nell‟inserimento sociale 
e lavorativo; 
 mancanza di prospettive di cambiamento della propria situazione; 
 mancanza di potere sui diritti di cittadinanza; 
 mancanza di autonomia individuale; 
 identità personale e sociale danneggiata. 
                                                 
6
 Federazione Europea degli organismi nazionali per i senza dimora (European Federation of National 
Organizations Working with the Homeless) avente sede a Bruxelles.
13 
 
Questa definizione di persona senza dimora si caratterizza soprattutto in negativo, 
ponendo un accento sulle mancanze della persona, su ciò che ha perduto nella società e 
rispetto alla propria identità, ma non manca di fare un cenno all‟identità del soggetto, in 
modo tale da aprire a considerazioni psicologiche e sociologiche.
7
  
Consorti, nel recente convegno “Homelessness, migration and democratic change in 
Europe”
8
, fa cenno al rischio di considerare esclusivamente gli attributi caratterizzati 
dall‟aggettivo “less” e quindi di concettualizzare i senza dimora solo come persone 
mancanti di qualcosa, deficitarie. (Consorti, 2011). 
In occasione della realizzazione di un‟indagine nazionale sui senza fissa dimora, un 
gruppo di lavoro coordinato dalla Fondazione “E. Zancan” di Padova ha definito la 
persona senza fissa dimora come «una persona priva di dimora adatta e stabile, in 
precarie condizioni materiali d‟esistenza, priva di un‟adeguata rete sociale di 
sostegno» (Fondazione “E. Zancan”, 1992). La sottolineatura è sia sul versante della 
difficoltà e dell‟esclusione abitativa sia alla mancanza di una rete sociale e di relazioni 
interpersonali significative (aspetti di emarginazione sociale e di disagio personale). 
In conclusione di questa rassegna è d‟obbligo citare la tipologia ETHOS (European 
Typology on Homelessness and Housing Exclusion), elaborata recentemente da Feantsa 
(Feantsa, 2005) che ha l‟obiettivo di promuovere la comprensione e la misurazione 
dell‟homelessness in Europa, fornendo un linguaggio comune agli studiosi. ETHOS 
parte dalla comprensione di alcuni concetti: esistono tre aree che vanno a costituire 
l‟abitare, in assenza delle quali è possibile identificare un problema abitativo importante 
fino ad arrivare all‟esclusione abitativa totale vissuta dalle persone senza dimora.  
                                                 
7
 European Federation of National Organizations Working with the Homeless, Homelessness in the 
European Community, Harvey, Bruxelles, 1989. 
8
 Una breve presentazione dell’intervento si può trovare all’indirizzo internet: 
http://eohw.horus.be/code/EN/pg.asp?Page=1149
14 
 
Per definire una condizione di piena abitabilità è necessario quindi che siano soddisfatte 
alcune caratteristiche: avere uno spazio abitativo adeguato sul quale una persona può 
esercitare un diritto di esclusività (area fisica); avere la possibilità di mantenere in 
quello spazio relazioni soddisfacenti e riservate (area sociale); avere un titolo legale 
riconosciuto che ne permetta il pieno godimento (area giuridica). 
L‟assenza di queste condizioni permette di individuare quattro categorie di grave 
esclusione abitativa: 
a. persone senza tetto (rooflessness: dormire per la strada è la forma più 
visibile del fenomeno); 
b. persone prive di una casa (houselessness – senza alloggio: persone che 
pur avendo la disponibilità di alloggi temporanei, di emergenza, o di 
stare dentro istituzioni o in carcere, non dispongono una volta usciti di 
una casa); 
c. persone che vivono in condizioni d‟insicurezza abitativa (precarietà 
abitativa: alloggi temporanei e precari, inadatti alla sicurezza e 
all‟incolumità delle persone); 
d. persone che vivono in condizioni abitative inadeguate (inadeguatezza 
abitativa: sovraffollamento, campi profughi, campi rom, barche, roulotte, 
inabitabilità del luogo ) (Feantsa, www.feantsa.org).  
Tutte le quattro categorie stanno comunque a indicare l‟assenza di una (vera) 
abitazione. ETHOS perciò classifica le persone senza dimora e in grave marginalità in 
riferimento alla loro condizione abitativa. Una critica che è stata mossa a 
quest‟approccio è che minimizzi il vissuto e le problematiche personali degli individui 
coinvolti: in Italia, per esempio, si dà molta importanza agli aspetti sociali e psicologici 
del fenomeno che si traduce con la messa in atto d‟interventi sociali che non si riducano
15 
 
all‟assegnazione di un alloggio ma che mirino a un più complesso progetto di recupero 
della persona a livello relazionale e sociale (Zuccari, 2007; Negri, Saraceno, 2000). I 
due approcci, quello abitativo e quello esperienziale/fenomenologico, devono quindi 
essere integrati e non esclusi a vicenda.  
 
1.2  Le dimensioni del fenomeno 
 
Esiste un‟oggettiva difficoltà a quantificare le persone senza fissa dimora a causa di 
difficoltà metodologiche e pratiche e delle caratteristiche stesse di questa popolazione 
(Formentin, Santinello, Tessari, 2009). Gli studiosi tendono ad adottare una particolare 
definizione di “senza dimora” rispetto a un‟altra e questo conduce alla continua 
modificazione del gruppo soggetto di studio, includendo o escludendo di volta in volta 
soggetti diversi. È inoltre complicato rintracciare le stesse persone in oggetto a causa di 
vari fattori come: vasta mobilità sul territorio, occupazione di luoghi inaccessibili o 
pericolosi, sfuggenza e diffidenza; spesso la stessa mancanza di residenza ad esempio 
impedisce la registrazione anagrafica. Molte ricerche adottano l‟approccio 
metodologico della s-night (shelter and street), metodo che si basa sulla rilevazione 
simultanea, in una notte ben definita, delle persone alloggiate in strutture di emergenza, 
come per esempio i dormitori, e quelle che invece stanno passando la notte in strada, 
case abbandonate, stazioni, parchi e via dicendo. Questo metodo consente di compiere 
delle stime attendibili sulla presenza di homeless in un preciso territorio nell‟arco 
dell‟anno evitando problemi di duplicazione dei soggetti (Barnao, 2004). La critica 
principale a questo tipo di conteggio riguarda la probabile e rilevante sottostima delle 
persone senza dimora che non vengono viste dal ricercatore durante la notte di 
conteggio e che rientrano nella definizione più allargata di “senza dimora”, che include, 
ad esempio, nella categoria anche soggetti che sono temporaneamente ospitati in alloggi
16 
 
privati o istituzioni (ad esempio da amici o in carcere). La stima a livello annuale viene 
di solito dedotta grazie al rapporto tra numero di homeless presenti in una notte su un 
determinato territorio e quelli presenti durante un anno solare, che è stato studiato essere 
di circa uno a tre, grazie ad importanti meta-analisi condotte negli anni ottanta (Wright, 
1989; Burt e Cohen, 1989). 
Vale brevemente la pena di presentare alcuni dati a livello americano ed europeo che 
rendano conto della numerosità della popolazione senza dimora sul territorio diviso per 
Stati. Per quanto riguarda gli Stati Uniti d‟America, sembra la condizione di senza fissa 
dimora abbia riguardato circa il 14% della popolazione (Link, 1995) e che almeno il 
10% degli americani si troverà a vivere nel futuro da senza dimora (Toro, Warren, 
1999). Dati recenti hanno rilevato, in una notte, la presenza di circa 754.000 persone 
non aventi una dimora stabile (HUD, 2005).  
A livello europeo, gli ultimi dati disponibili parlano di circa 70.000 senza dimora in 
Austria, 18.000 in Belgio, 9.600 in Finlandia, 260.000 in Francia, dai 370.000 ai 
450.000 in Germania, 17.000 in Grecia, 90.000 in Inghilterra, 28.000 in Irlanda e 
16.000 in Svezia 
9
.  
Per quanto riguarda i dati sul nostro territorio, procedendo in ordine temporale, 
troviamo delle stime del fenomeno in Italia decisamente contrastanti.  
Nel 1993, la Commissione d‟indagine sulla povertà e l‟emarginazione, rilevava dai dati 
oscillanti tra le 44.853 e le 61.753 persone senza dimora presenti sul territorio italiano, 
ipotizzando una media intorno ai 50.000 soggetti (Gnocchi, 2007).  
Nel 1994, i dati di Feantsa stimano il fenomeno intorno alle 150.000/200.000 unità 
(Tosi, Ranci, 1999). La stessa Commissione d‟Indagine citata poco sopra, nel 2000, 
                                                 
9
 Dati disponibili on-line sul sito www.feantsa.org; i riferimenti sono all’anno 2003 e al 2006 
rispettivamente nei paper di Edgar, Meert, Doherty (2003) e di Edgar, Meert (2006).
17 
 
grazie alle ricerche condotte dalla Fondazione Bignaschi di Milano e dalla Fondazione 
Zancan di Padova, individua circa 17.000 persone senza dimora, con un‟alta 
concentrazione nei comuni di dimensioni maggiori, nella notte del 14 marzo 1999, 
circoscrivendo di molto il fenomeno (Barnao, 2004) 
10
; questo dato rispecchia la 
definizione “ristretta” usata nella ricerca, che include solo “i soggetti che nella notte di 
rilevazione non avevano un tetto stabile, e quelli che si trovavano per strada, sia le 
persone ospitate nelle strutture a bassa soglia”.   
Come nota Zuccari (2007), questa definizione non rende in modo esauriente la 
complessità del fenomeno, ma almeno non possiede il difetto di sovrastimare il dato; 
molti ricercatori ritengono invece grave la sottostima dei dati che la più recente ricerca 
ha prodotto (si veda a proposito il volume di Barnao, 2004) e lamentano la carenza di un 
ricco dibattito politico e scientifico (Tosi, 1996). La FIO. Psd ha promosso con il 
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Caritas Italiana e Istat un nuovo “Piano 
di ricerca nazionale sul mondo della grave emarginazione in Italia”, che descriva il più 
esaurientemente possibile la vita delle persone che vivono in condizioni di povertà 
estrema e homelessness, i cui dati saranno disponibili a breve. Vorrei presentare 
brevemente i dati recentissimi provenienti da una ricerca condotta dalla Caritas 
Diocesana di Como riguardanti la numerosità dei senza dimora nella città di Como, 
luogo dove ho svolto la mia ricerca, al fine di contestualizzarla meglio. Il metodo 
utilizzato è stato quello della S- Night, durante la notte campione tra il 28 e il 29 luglio 
del 2010. Le persone senza dimora rilevate sono state 195, persone che nella notte 
suddetta dormivano in strada o in strutture di emergenza preposte. Di queste, 92 erano 
da considerarsi persone anche senza tetto, cioè occupanti la strada o rifugi provvisori 
                                                 
10
 Fondazione Zancan (2000) Indagine sulle persone senza dimora, Roma, Dipartimento per gli Affari 
sociali, Presidenza del Consiglio (una sintesi in: Commissione d’indagine sull’esclusione sociale 2002) e 
Meo, A., Modelli di intervento e politiche locali per le persone senza dimora, in Saraceno (2002)
18 
 
(Della Casa, 2010). Questi dati sono da ritenersi sottostimati a causa dei problemi 
metodologici già citati in precedenza per questo metodo di rilevazione; è giusto inoltre 
aggiungere che nell‟ottobre del 2010, Como si è dotata di un centro di accoglienza a 
bassa soglia per la notte dedicato ai senza dimora e che di conseguenza il numero di 
queste persone sul territorio è aumentato vertiginosamente nel corso dell‟ultimo anno. 
La composizione di questo gruppo di persone rispecchia i dati nazionali: si tratta per lo 
più di uomini, 87,4%, contro il 12,6% di donne, confermando quanto rilevato da 
ricerche nazionali 
11
 e dati locali. A Milano, ad esempio, le percentuali trovate sono: 
86,02% di uomini e il 13,98% di donne 
12
. Per quanto riguarda la nazionalità, parliamo 
del 56,1% di stranieri e del 43,9% d‟italiani, dati che rispecchiano in parte l‟altrettanto 
recente censimento della città di Milano 
13
.  
Passando invece all‟età, vediamo come anche qua i dati comaschi rispecchiano quelli 
milanesi e in particolare: per la fascia di età tra i 18 e i 25 anni, a Como si registrano 
persone per l‟8% del totale (a Milano l‟8,6%); il 12,4% tra i 26 e i 35 anni (il 22% a 
Milano), il 37,2% tra i 36 e i 45 anni (il 38% nel capoluogo); nella fascia più anziana 
della popolazione ritroviamo tra i 46 e i 55 anni il 28% circa del totale mentre a Milano 
il 16%, infine oltre i 60-65 anni, i dati sono concordi nel quantificare i senza dimore 
nell‟ordine di percentuali che variano dal 7% al 9%, rispettivamente a Como e a 
Milano. La fascia d‟età più colpita è dunque quella “centrale”, infatti vi è una forte 
incidenza tra i trenta e i quarant‟anni. La maggioranza dei senza dimora è nubile/celibe 
                                                 
11
 Fondazione Zancan, Indagine sulle persone senza dimora, in “Rapporto sulle politiche contro la 
povertà e l’esclusione sociale 1997-2001”, a cura di Saraceno, C., Carocci, 2002. 
12
 Qui si fa riferimento ad una ricerca di Gnocchi (2003), dal titolo “Le persone senza dimora a Milano: 
rapporto SAM 2003, a cura di Caritas Ambrosiana”. 
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 La ricerca di Braga e Corno (Braga, Corno, 2009), ha rilevato a Milano il numero di 3896 senza dimora, 
di cui la maggioranza nelle strade e nei centri di accoglienza è italiana, mentre nei campi o roulotte il 
dato si inverte. Il numero di donne senza dimora varia dal 10% che dorme in strada, al 16% ospitata 
invece nei dormitori.