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Percorsi identitari frammentati: storie di vita di senza fissa dimora

La narrazione di sé per il senza dimora

Abbiamo visto come una delle funzioni più importanti rivestite dalla narrazione, è quella di essere in grado di generare processi di presa di parola e di ricerca di senso. Per questo motivo l’approccio autobiografico è utilizzato, nelle sue varie accezioni, in diversi ambiti formativi, educativi, psicologici e riabilitativi (Demetrio, 1999).

Inoltre, raccontare di sé, è stato più volte accostato allo sviluppo dell’autostima, al prendere coscienza del proprio ruolo attivo ed efficace nel mondo, al sollecitare capacità progettuali e a sostenere e ricostruire un senso di continuità e unicità dell’Io. Attraverso l’ascolto dell’altro e il racconto della storia della propria vita, il soggetto può sentirsi riconosciuto, riappropriarsi dei suoi vissuti e riscoprirne il valore per sé e per gli altri (Bella, 1999).

La narrazione si rivela un efficace strumento di relazione in situazioni segnate da forti difficoltà, come ad esempio nel rapporto con i senza dimora. Essi vivono una condizione sociale e psicologica nella quale non hanno normalmente titolo e dignità a esprimere la propria voce: così il “dar voce” a chi solitamente non ne ha, contribuisce a sollecitare nuove possibilità di parola e di azione nel mondo. Nel primo capitolo abbiamo visto come la vita dei senza dimora è caratterizzata da notevoli disagi e difficoltà nel percepirsi ancora come attori e protagonisti della propria esistenza e come soggetti aventi una capacità intenzionale e progettuale.

Per questo, l’uso del metodo autobiografico (in modo speciale l’intervista in profondità) risulta di primaria importanza nell’area della grave emarginazione, poiché il potersi raccontare significa anche riappropriarsi delle dinamiche sottostanti il percorso della vita e tentare di spiegarsi le cause di determinati eventi, il valore di particolari scelte e il significato soggettivo delle esperienze vissute (Rossetti, 1999). Le “storie di vita” sono un metodo utile anche per cercare di individuare e capire quei life-stressful events che molto spesso si trovano nel passato di queste persone e che, in un modo ancora incerto da stabilire, possono averli condotti in una situazione di rischio, per poi finire in strada.

Fondamentali risultano, quindi, tanto la ricostruzione della storia del soggetto, che fornisce l’idea di come la persona si percepisca e di come percepisca il mondo, quanto la ricostruzione delle interazioni che il soggetto stabilisce o ha stabilito con altri, all’interno di specifiche situazioni (Rossetti, ivi). Tra i fenomeni narrativi tipici che possiamo ritrovare nelle narrazioni dei senza dimora, gli studiosi hanno individuato:

- La fabulazione: il senza dimora, attraverso il racconto della propria vita, costruisce un tempo e uno spazio all’interno del quale ha spesso una presenza mitica (Berzano, 1991). È tipico di alcuni senza dimora costruire, mantenere vivo e consolidare miti e leggende personali, che a volte prendono le sembianze di miti famigliari, o d’idealizzazioni del passato (mitico), della terra d’origine o della famiglia e tendere a raccontare solo episodi che non contrastino con l’immagine mitica, a chiara valenza difensiva per l’identità sociale e personale. Ciò rientra nel copione della “recita del sé” (Gemma, 2009), affinché si possa mantenere un margine di socialità. La storia si allontana così da quella biografica per riproporsi in modo più presentabile, anzi eroico e grandioso (Bonadonna, 2001);

- Il rifiuto a individuare eventi significativi in particolari periodi della vita, molto spesso l’infanzia o l’adolescenza. Ciò viene spesso esplicitato attraverso la risposta “non è successo niente”, “niente di particolare”, “niente di significativo” (Rossetti, 1999). Anche questa tendenza ha valore difensivo, tranne che nei casi dove la persona ha un reale deficit di memoria dovuto ad esempio all’uso di sostanze;

- La difficoltà ad accedere alle categorie temporali: alcuni senza dimora vivono una condizione di condensazione e di confusione delle categorie spazio-temporali, a causa dell’assunzione prolungata di sostanze, di malattie mentali o semplicemente per il deterioramento e la modificazione del senso del tempo che il vivere in strada provoca (Bonadonna, 2001).

Demetrio (2009), ha recentemente notato come le storie in strada possono emergere solo dove si sia creata una “residenza affettiva”, uno spazio di relazione, affettivo, una “dimora relazionale”. L’errore più grande che si possa commettere con i senza dimora è appunto quello di forzare il racconto, ponendosi in modo invasivo rispetto a queste persone, che invece necessitano innanzitutto di creare e stabilire un rapporto di fiducia nella persona che gli sta di fronte.

Come dice Demetrio: “occorre far emergere le storie con lentezza, dando tempo alla persona per elaborare e riflettere” (2009), accettando anche il rifiuto o la difficoltà a parlare di sé. Un’importante caratteristica del racconto di sé e della propria vita a un Altro, è che quest’Altro genera un effetto speculare: raccontandosi, il senza dimora si mette a nudo davanti a uno specchio, che necessariamente gli rimanda un’immagine di sé che può risultare inaccettabile, misera, perdente, causando un ulteriore abbassamento della già fragile autostima.

Non tutte le persone sono disposte a sopportare questo effetto disvelante della narrazione e questo è un altro motivo che induce alla prudenza e alla pazienza. Sappiamo bene, d’altronde della doppia faccia insita nel raccontare ad esempio traumi ed eventi dolorosi: da un lato è utile alla rielaborazione e all’accettazione del proprio passato, dall’altro può riattivare ricordi che prudentemente e difensivamente la mente aveva cercato di respingere.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Percorsi identitari frammentati: storie di vita di senza fissa dimora

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Informazioni tesi

  Autore: Silvia Redaelli
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2010-11
  Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia
  Relatore: Emanuela Maria Confalonieri
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 317

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Parole chiave

identità
emarginazione
narrazione
esclusione sociale
storie di vita
bruner
homelessness
senza fissa dimora
indicatori del sè
interviste autobiografiche
metodo narrativo

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