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INTRODUZIONE 
 
 
 
 
La presente tesi ha come oggetto lo studio delle conseguenze che si avrebbero dal 
ripristino in modo sistematico e selettivo di misure protezionistiche, come i dazi doganali, 
riguardanti l‟importazione di manufatti e altri beni relativi alla produzione industriale. La 
motivazione principale che mi ha spinto a intraprendere la discussione di questo argomento 
è scaturita dal recente atteggiamento assunto dall‟amministrazione americana nei confronti 
della politica degli scambi commerciali. La linea che ha adottato il Presidente Trump, 
simboleggiata dal motto „America First‟, rimette al centro dell‟azione governativa il 
particolare interesse nazionale, rappresentato dalla pragmatica volontà di rilanciare il 
settore industriale mediante il rafforzamento dei dazi doganali su determinate merci 
importate dall‟estero, a differenza di quei principi ideali, come l‟imprescindibilità della 
libertà di commercio, proclamati nel consesso delle relazioni internazionali. La Casa 
Bianca vuole così rispondere con atti concreti alle promesse elettorali di salvaguardare 
l‟industria nazionale, nel proposito di difendere i posti di lavoro esistenti e puntare alla 
creazione di nuovi, riducendo di fatto la disoccupazione e aumentando complessivamente i 
redditi in modo da poter generare una nuova crescita economica. Se un Paese sovrano 
come gli Stati Uniti d‟America, la superpotenza mondiale per eccellenza, decide di 
restaurare una politica protezionistica per garantire il benessere ai propri cittadini, allora si 
è arrivati al punto da sconfessare il libero scambio internazionale, il caposaldo 
fondamentale su cui, a partire dagli anni novanta del secolo scorso, si è voluta fondare la 
globalizzazione dei mercati. Essa doveva, secondo i suoi sostenitori, accompagnare 
l‟umanità verso un‟era di prosperità, ma i risultati non hanno rispettato pienamente le 
speranze in essa riposte. Infatti, le conseguenze che sono scaturite da questo percorso 
testimoniano invece la discordanza del pensiero teorico, per il quale l‟efficienza globale è 
data per l‟appunto dall‟eliminazione delle restrizioni commerciali, con il mondo reale che 
fino ad ora ha solo assistito a una concorrenza iniqua da parte di Stati, specie di nuova 
industrializzazione, volti esclusivamente alla ricerca del proprio predominio sull‟intera 
economia mondiale. 
Considerando queste premesse, la tesi si pone l‟obiettivo di analizzare le decisioni 
riguardanti le misure protezionistiche secondo una logica ingegneristica, trasformando
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l‟argomento in un problema di gestione industriale, invece di seguire idee astratte dettate 
da talune teorie politiche ed economiche o nel rispetto giuridico di trattati internazionali. 
L‟elaborato quindi non si limiterà solo ad illustrare le ragioni che hanno spinto gli Stati a 
ricorrere a strumenti protezionistici o a determinare le variazioni economiche dei beni, ma 
verterà sulle evidenze empiriche e sulle conseguenze „invisibili‟ che tali misure provocano 
al settore produttivo. Infatti, l‟adozione di politiche protezionistiche deve fungere da 
stimolo alla produzione nazionale, la quale, come verrà descritto in seguito, genera la 
ricchezza effettiva del Paese. Queste condizioni verranno affrontate da un punto di vista 
gestionale, definendo le possibili soluzioni strategiche che le imprese dovranno adottare 
per ridurre le perdite e aumentare le opportunità di fronte all‟evoluzione di un mercato, 
seppur globalizzato, alle prese con il preponderante ritorno del protezionismo. Di fatto le 
politiche protezionistiche sono diventate quasi necessarie per riequilibrare gli squilibri 
negli scambi commerciali. Infatti, la bilancia commerciale non sempre corrisponde alla 
ricchezza complessiva del Paese di riferimento tanto che se non vi è correlazione tra il 
mercato di produzione e il mercato di vendita, un alto valore delle esportazioni può essere 
spiegato da un basso costo del lavoro e quindi da bassi redditi. Di certo ciò non avviene 
quando esiste un nesso tra la produzione e la vendita, come può essere per il mercato 
interno, visto che i beni prodotti, seppur di diverso tipo, devono essere comunque 
acquistati con la retribuzione derivante dalla loro realizzazione. Questi temi, alla base della 
svolta americana nella politica commerciale, saranno dissertati in maniera esaustiva 
all‟interno dei vari capitoli in cui si articola la tesi. 
Nel primo capitolo attraverso una lunga escursione nel campo della storia, della 
politica, e dell‟economia, si esaminerà il ruolo svolto nel recente passato dallo Stato, 
mediante l‟applicazione di misure protezionistiche, per promuovere lo sviluppo industriale 
nel proprio territorio. L‟attuale concetto di industria è nato nell‟Inghilterra del diciottesimo 
secolo e già d‟allora lo sviluppo del settore industriale è andato di pari passo con la 
formazione di dottrine politiche ed economiche sorte con lo scopo di disciplinare l‟uso 
delle risorse a disposizione per massimizzare il profitto. I primi economisti propugnavano 
un liberismo ideale in virtù del quale il mercato liberato da tutte le restrizioni esistenti e 
lasciato in mano alla libera iniziativa individuale diviene il sistema ottimale per 
raggiungere il benessere generale. Queste idee possono essere valide solo nelle ideali 
condizioni di concorrenza perfetta e per di più all‟interno di comunità in cui è garantita a 
tutti i componenti la rispettiva libertà personale. Ma d‟altro canto, come la stessa scienza 
insegna, il caso ideale è di per sé irrealizzabile e per tendervi si deve tener conto delle
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esigenze reali. Infatti, tenendo presente l‟oggetto di studio della tesi, il commercio 
internazionale mette in relazione fra loro le varie nazioni e rileva pertanto anche le diverse 
modalità e il differente grado di sviluppo raggiunto da ognuna di esse. Perciò, affinché uno 
Stato più avvantaggiato non potesse imporre la propria egemonia a livello globale, gli altri 
Stati sono dovuti ricorrere, per garantire all‟interno dei propri confini la stessa libertà 
economica propugnata dal liberismo, a politiche protezioniste per avviare e accrescere il 
proprio settore produttivo che è il vero generatore della ricchezza della nazione. In effetti 
gli interventi statali hanno caratterizzato la storia dello sviluppo industriale di Nord 
America, Europa e Giappone, ovvero di quei Paesi che a partire dall‟Ottocento, per tutto il 
Novecento e fino all‟inizio di questo secolo sono stati i più industrializzati del mondo. Ma 
l‟avvento della globalizzazione, con la decisione delle aziende di delocalizzare verso il 
Terzo Mondo e la prepotente ascesa di un gigante come la Cina, ne ha visto decrescere la 
rispettiva produzione manifatturiera, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti, 
tanto da spingere un Paese leader come gli Stati Uniti d‟America a reintrodurre pesanti 
dazi doganali per salvaguardare il proprio settore industriale. 
Nel secondo capitolo, entrando in modo dettagliato nell‟argomento di studio, si 
analizzeranno i dazi imposti dall‟amministrazione Trump. Per prima cosa si definiranno in 
maniera oggettiva le motivazioni che hanno spinto l‟amministrazione americana a imporre 
delle misure protezionistiche. Esse sono volte a riequilibrare il pesante deficit commerciale 
che nel corso degli anni, conseguentemente alla delocalizzazione degli impianti industriali 
e alla perdita dei posti di lavoro, ha aperto gravi squilibri non solo nel settore produttivo 
ma anche nel contesto sociale, economico e finanziario americano. Pertanto le tariffe 
doganali devono rappresentare una risposta adeguata al problema in questione e devono 
essere considerate nella loro misura, tanto che nella tesi verranno descritte analiticamente 
definendo le merci e i Paesi verso cui esse sono rivolte. Per quanto riguarda l‟Italia, in base 
ai dati forniti dagli organi competenti, l‟impatto dei dazi americani è limitato a una piccola 
parte, sia quantitativamente e sia merceologicamente, dell‟intero export italiano verso gli 
Stati Uniti, ma le conseguenze potrebbero essere maggiori e coinvolgere settori anche al di 
fuori del comparto manifatturiero. Esaminando le possibili ricadute sull‟industria italiana, 
la tesi ha il compito di descrivere le possibili soluzioni strategiche che le imprese possono 
adottare, in presenza di provvedimenti restrittivi, per limitare le perdite e trasformarle in 
opportunità di sviluppo. Le scelte produttive devono essere conformi al tipo di produzione 
industriale, specificando se essa è una produzione di scopo o di volume. Nel primo caso si 
ha un vantaggio competitivo dato dalla differenziazione dei prodotti rispetto ad altri articoli
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presenti sul mercato, per cui i clienti sono disposti a corrispondere un prezzo maggiorato 
rispetto alla concorrenza pur di acquistarli. Ciò è reso possibile da fattori come la qualità, il 
design, il primato tecnologico frutto di soluzioni ingegneristiche avanzate, le quali rendono 
il prodotto un modello di successo a prescindere dalle tariffe commerciali. Mentre nella 
produzione di volume il vantaggio competitivo è rappresentato dalla leadership di costo, 
essendo il prodotto più conveniente sul mercato, per cui l‟imposizione di dazi doganali 
incide enormemente sulle vendite nel Paese di esportazione. In questo caso l‟azienda dovrà 
riconsiderare la propria strategia produttiva con la possibilità di rilocalizzare, almeno in 
parte, la propria produzione industriale. 
Infine nel terzo capitolo, a dimostrazione delle tesi sviluppate nei precedenti 
capitoli, verrà affrontato un caso di studio inerente a una multinazionale, come la Fiat 
Chrysler Automobiles, operante nella produzione e nella vendita di automobili in mercati 
differenti. Studiando la recente storia delle due compartecipate, la Fiat e la Chrysler, si è 
potuto osservare che entrambe hanno operato politiche volte alla delocalizzazione della 
produzione (impiantando stabilimenti industriali in Paesi in via di sviluppo per sfruttare il 
basso costo del lavoro e acquisire nuovi mercati) e in seguito alla fusione nel gruppo FCA 
datata 2014, grazie soprattutto agli scambi di conoscenze tecnologiche che sono state la 
base per gli accordi, si è invece assistito a un processo inverso che può essere definito di 
rilocalizzazione. In particolare, studiando l‟ipotesi di imposizione di dazi doganali da parte 
del governo americano (idea già paventata dal Presidente Trump), saranno analizzate le 
scelte industriali del gruppo riguardanti il knowledge ingegneristico e la localizzazione 
degli impianti produttivi. Pertanto esse dovranno essere tempestive alle trasformazioni 
messe in atto dalla politica, in modo da evitare delle perdite e garantirsi un vantaggio 
competitivo sulla concorrenza. 
In conclusione, l‟introduzione di misure protezionistiche porterà in ogni caso un 
aumento del costo del lavoro e una perdita di produttività qualunque sia la decisione presa 
dall‟azienda. Ma se verranno affrontate, da parte delle stesse aziende, politiche industriali 
adeguate al problema tanto da trasformare i costi iniziali in un aumento delle retribuzioni, e 
perciò della domanda interna, si potrà garantire una nuova crescita economica tale da 
ripagare di gran lunga le perdite subite da qualsiasi tipo di misura protezionistica.