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Riassunto 
 
 
 
 
                                                        Il mio lavoro prende spunto da due articoli di 
Jordi Galì. Nel primo [Galì (1999)] pubblicato nel marzo del 1999 su "The 
American Economic Review", l'economista spagnolo presenta un modello 
neokeynesiano a prezzi vischiosi, ponendosi contro la tradizione della teoria del 
Real Business Cycle. Egli, infatti, critica i modelli del RBC perché non 
forniscono una spiegazione convincente della correlazione negativa presente 
nella realtà tra le ore e la produttività del lavoro. 
Secondo questi modelli, infatti, gli shocks tecnologici provocano una 
correlazione positiva tra le due grandezze suddette, mentre quelli non tecnologici 
ne provocano una negativa. Questi ultimi, inoltre, pesando di più dei primi 
portano ad un effetto totale minore di zero per la correlazione non condizionata. 
Nel suo modello, Galì giunge ad un risultato diametralmente opposto riguardo al 
segno delle correlazioni condizionate ai due diversi shocks. La conclusione di 
Galì, però, è soggetta a due ipotesi: 
- l'offerta monetaria è poco sensibile agli shocks tecnologici; 
- la produttività marginale del lavoro cresce nel breve periodo. 
Per confermare l'evidenza teorica, Galì implementa il modello nella realtà 
utilizzando un VAR strutturale identificato secondo condizioni compatibili sia 
con la teoria neokeynesiana sia con quella del RBC. 
 
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Quella di partire dall'attitudine dei modelli a spiegare la correlazione tra alcune 
serie economiche, non è un'idea del tutto nuova nell'ambito della critica ai 
modelli RBC. Un esempio è l'articolo di Basu, Fernald e Kimball (1998). Questi 
ultimi, pur partendo da assunzioni di identificazione diverse, arrivano al 
medesimo risultato di Galì (1999) riguardo alla correlazione tra ore e produttività 
del lavoro. Sulla stessa lunghezza d'onda, inoltre, si muove il paper di Mankiw 
(1989) che può essere definito il capostipite di questo filone critico. Egli basa la 
sua opposizione alla teoria del RBC sul fatto che questa, giungendo ad una 
correlazione negativa tra inflazione e output, non ammette l'esistenza della curva 
di Phillips come, invece, avviene nei modelli neokeynesiani a prezzi vischiosi.  
La risposta dei sostenitori del RBC è ben riassunta in un articolo di Micheal 
Dotsey (1999). Nel suo lavoro, egli sostiene, infatti, che tutti i modelli citati 
hanno una debolezza evidente: l'assunzione per ipotesi che l'autorità di politica 
monetaria segua un determinato comportamento. I risultati cui si giunge con 
questi modelli, in altre parole, cambiano al variare della regola di politica 
monetaria ipotizzata. Questo non solo riguardo alla risposta agli impulsi delle 
diverse variabili, ma anche rispetto al segno delle correlazioni. 
Un secondo attacco al filone critico menzionato viene da Christiano e Todd 
(1996). Essi, pur rimanendo nell'ambito della teoria del RBC, riescono a 
raggiungere lo stesso risultato di Galì(1999) e Basu, Fernald e Kimball (1998) 
riguardo alla correlazione tra produttività e ore lavorate.  
Da quanto detto, è evidente che il dibattito, ancora oggi, è in costante evoluzione. 
 
Nel secondo degli articoli che hanno ispirato la mia tesi [Galì e al. (2000)], lo 
studioso spagnolo riprende il modello del suo paper precedente e lo adatta allo 
scopo di svolgere un'analisi della politica monetaria della FED in risposta agli 
shocks tecnologici. L'economista divide il campione in due parti: dal 1954 al 
1979, il pre - Volcker period e dal 1982 al 1998, la Volcker - Greenspan era. 
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I risultati cui giunge si possono sintetizzare così: 
1- esistono delle differenze significative tra i due periodi; 
2- nel pre - Volcker period la Banca Centrale americana tende a dare più 
importanza all'obiettivo di stabilizzazione dell'output a danno dell'inflazione, 
che risulta troppo volatile; 
3- la risposta della FED nel secondo periodo, invece, è consistente con la regola 
ottima derivata dal modello teorico. 
Il mio lavoro si svolge secondo il seguente schema. 
Nei primi due capitoli replico parte dei due articoli di Galì citati in precedenza. In 
questo modo, introduco il modello utilizzato dallo studioso spagnolo per lo 
studio della politica monetaria della FED in risposta agli shocks tecnologici. 
L'obiettivo degli ultimi due capitoli, infine, è verificare se le conclusioni cui si 
giunge nell'articolo di Galì e al. (2000) cambiano usando i dati real - time.  
Gli articoli presi come riferimento per quest'ultima analisi sono diversi. Cito, tra i 
più importanti, il paper di Mankiw, Runkle e Shapiro (1984) riguardo alle 
caratteristiche delle revisioni e quello di Croushore e Stark (1999) riguardo al 
metodo utilizzato per lo studio con dati real - time relativamente al pre - Volcker 
period. Di seguito specifico meglio la struttura della mia tesi. 
- Nel primo capitolo, dopo aver presentato il modello di Galì (1999), replico la 
parte iniziale dell'articolo. In altre parole, stimo un VAR strutturale sui dati 
americani. Cerco, così, di dimostrare l'evidenza empirica di una correlazione 
negativa tra produttività del lavoro e input di lavoro in seguito a shocks 
tecnologici e l'evidenza contraria in seguito a shocks non tecnologici. In 
aggiunta a quanto fatto da Galì, testo, inoltre, la robustezza dei risultati 
rispetto all'allungamento del campione, al cambiamento della variabile che 
indica l'input di lavoro e al cambiamento del tipo di trend esistente in 
quest'ultima variabile. 
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- Nel secondo capitolo, poi, riporto il modello così come modificato in Galì e 
al. (2000) e replico i risultati cui l'economista spagnolo giunge riguardo al 
comportamento della FED. Testo questi ultimi, poi, rispetto all'allungamento 
del campione. 
- Nel terzo capitolo introduco il tema dell'indeterminatezza dei dati. Dapprima 
eseguo una trattazione teorica del meccanismo sottostante le revisioni. Tratto, 
poi, le proprietà di cui le stesse dovrebbero godere perché sia ininfluente 
utilizzare i dati in tempo reale piuttosto che quelli definitivi. Successivamente 
infine, presento il data set dei dati real - time in cui ho reperito le serie 
economiche utilizzate nel mio lavoro e analizzo le revisioni di queste ultime 
per verificarne la corrispondenza alle proprietà suddette. Le variabili 
analizzate sono CPI, deflatore, output nominale e output reale. 
- Nel capitolo quattro, in primis, testo la robustezza dei risultati del paper di 
Galì e al. (2000) riguardo all'indeterminatezza dei dati e al cambiamento della 
variabile presa come indicatore dei prezzi (CPI piuttosto che deflatore). 
Nell'ultima parte, infine, svolgo un interessante esperimento per verificare la 
possibilità da parte dell'autorità di politica monetaria di sfruttare la 
componente di "noise" nell'errore di revisione in modo da stimare i dati 
definitivi a partire da quelli in tempo reale. L'obiettivo è capire se, con i soli 
dati reperibili in tempo reale, sia possibile ottenere dei dati stimati che, 
inseriti nei VAR al posto di quelli real - time, avvicinino la risposta 
all'impulso empirica a quella ottima per le variabili oggetto dello studio.    
 
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Risultati 
Le conclusioni cui giunge Galì (1999) sono confermate dall'analisi svolta nel 
primo capitolo. Esse, inoltre, risultano robuste rispetto all'allungamento del 
campione e al cambiamento della variabile che indica l'input di lavoro (ore 
lavorate piuttosto che forza lavoro). 
Gli unici problemi riguardano il segno delle correlazioni condizionate tra lavoro 
e produttività nel caso si ipotizzi che la variabile che indica l'input di lavoro non 
sia caratterizzata da radice unitaria, ma da un trend deterministico. Le risposte 
all'impulso, invece, hanno un andamento consono con quanto ottenuto da Galì in 
tutti i casi presi in considerazione. 
 
Con lo studio riportato nel secondo capitolo, inoltre, si giunge alle stesse 
conclusioni di Galì e al. (2000) riguardo al comportamento della Federal Reserve 
in risposta agli shocks tecnologici. I risultati non cambiano anche allungando il 
campione fino al 2000 (l'analisi dell'economista spagnolo si ferma al 1998). 
 
Dallo studio delle revisioni svolto nel terzo capitolo si evince che solo il deflatore 
e, in parte, il CPI hanno un comportamento inequivocabilmente definibile in 
termini di "noise" rispetto all'errore di revisione. L'output reale e quello 
nominale, invece, non presentano un andamento ben definito al riguardo. Con 
l'analisi svolta, comunque, si giunge alla conclusione che nel capitolo due, non è 
indifferente usare le serie in tempo reale al posto di quelle riviste. 
 
Nel quarto capitolo, perciò, ripeto lo studio già presentato nel secondo capitolo, 
utilizzando, questa volta, dati in tempo reale. Dai risultati si evince che le 
conclusioni riguardo all'azione di politica monetaria della FED restano valide 
anche utilizzando i dati real - time. 
Per introdurre l'analisi in tempo reale, ho svolto delle procedure diverse nei due 
campioni presi in considerazione. In questa sede, per ragioni di spazio, non mi 
dilungo nella descrizione delle stesse. E' interessante notare, però, che i risultati 
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ottenuti con i dati real - time per la Volcker - Greenspan era sono influenzati dal 
salto che si ha nelle serie dell'output reale e del deflatore tra il 1995:3 e il 1995:4. 
In questo trimestre, infatti, si ha un cambiamento operato dal Bureau of 
Economic Analysis nelle procedure di calcolo per il deflatore. 
Dai risultati dell'ultima parte del mio studio, infine, si evince che la Banca 
Centrale può sfruttare alcune variabili disponibili in tempo reale per ottenere 
delle stime significative dei dati definitivi. Sostituendo secondo una particolare 
procedura i dati stimati a quelli in tempo reale, ottengo, infatti, delle risposte 
all'impulso più vicine alla regola ottima teorica riguardo al secondo campione. 
 
 
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Conclusione 
La parte più originale del mio lavoro è sicuramente l'analisi real - time svolta nel 
terzo e quarto capitolo. Negli ultimi anni, infatti, è sempre più sentita dagli 
economisti la necessità di verificare se i risultati dei loro studi siano o no gli 
stessi utilizzando i dati in tempo reale. L'importanza di un test del genere è 
evidente per quei lavori che hanno lo scopo di analizzare il comportamento di 
istituzioni, quali la FED, che operano utilizzando dati real - time senza poter 
disporre delle revisioni accessibili, invece, agli studiosi. 
Implementare questo tipo di studio non è facile. Esistono, infatti, diversi 
problemi: 
- Reperire i dati real - time. 
- Scegliere quali dati considerare come valori real - time (il primo dato 
annunciato piuttosto che le successive revisioni). 
- Risolvere il problema dei cambiamenti che, nel corso degli anni, interessano 
la definizione e le procedure di calcolo delle diverse grandezze economiche. 
Quest'ultimo dilemma è, forse, il più rilevante perché i cambiamenti di cui si è 
detto provocano nelle serie interessate dei salti molto difficili da "trattare". 
 
In definitiva, nonostante tutte le difficoltà descritte, l'analisi con dati real - time è 
fondamentale per lo studio della politica monetaria e, quindi, è d'uopo svolgerla 
quando è possibile. Essa, infatti, spesso dà indicazioni rilevanti riguardo alla 
robustezza dei risultati ottenuti.