Introduzione 
Porto il nome di tutti i battesimi  
Ogni nome il sigillo di un lasciapassare 
Per un guado una terra una nuvola un canto 
Un diamante nascosto nel pane 
Per un solo dolcissimo umore del sangue 
Per la stessa ragione del viaggio viaggiare. 
 (F. De Andrè, Khorakhanè) 
 
L’idea di una tesi sui rom è nata in erasmus, dopo aver letto il 
romanzo Il calderas, di Carlo Sgorlon. Il protagonista, Sindel, è uno 
zingaro che trascorre tutta la vita in bilico tra il suo mondo e quello dei 
gagè
1
, per poi unirsi ai partigiani del Friuli durante la seconda guerra 
mondiale. Non mi era piaciuto molto, ma mi aveva fatto riflettere su 
quanto poco sapessi degli zingari.  
Avevo immagini frammentarie degli zingari, sparse qua e là in 
diversi contesti: uomini e donne in metropolitana che chiedono la 
carità, il mio piccolo paese di cinquemila abitanti che grida “Arrivano gli 
zingari”, ogni volta che un gruppo si accampa in periferia. Avevo 
l’immagine di tanti articoli che parlavano per lo più di sgomberi, furti, 
roulotte bruciate. Di campi vicini alle discariche, gonne colorate, donne 
che predicono il futuro e bambini malvestiti. Poi avevo anche le 
immagini rubate agli zingari presenti nei vari romanzi: quelli che 
portano il ghiaccio a Macondo, in Cent’anni di solitudine di G.G. 
Marquez, o la zingara seduttrice di Notre dame de Paris, di V. Hugo. 
Scrivere una tesi sui rom significava dare un filo conduttore a tutte 
queste immagini, contestualizzarle, dar loro un senso. Capire chi sono 
gli zingari, da dove vengono, qual è la loro storia. Questo è il motivo per 
cui ho scelto di focalizzare la tesi su un tratto caratteristico della loro 
cultura, e non sulle loro condizioni attuali nella nostra società. Avevo 
sempre pensato agli zingari in relazione ad una società altra, diversa 
 
8
 dalla loro. Volevo però comprenderli in quanto popolo a se stante, 
coglierli nella loro peculiarità di zingari e non nel loro rapporto coi gagè. 
Da sociologa, mi interessava scoprire il funzionamento dei loro gruppi, 
come stanno insieme, cosa significa per loro essere uno zingaro. 
Ovviamente, una tesi di laurea è troppo breve per rispondere a tutte 
queste domande. Quindi ho dovuto restringere il campo di indagine, 
scegliendo di concentrarmi sulla trasmissione orale della memoria, sul 
racconto tra diverse generazioni, sul senso che danno al passato. Il 
tema della memoria mi ha sempre affascinata: mi è sembrato naturale 
applicarlo a un popolo di cultura orale, che trasmette il proprio passato, 
le proprie leggi, i propri valori, tramite il racconto degli anziani. Così 
come è stato naturale scegliere di analizzarlo parlando con i rom, 
chiedendo loro che tipo di ricordo hanno dell’Olocausto e come lo 
trasmettono. 
L’Olocausto rappresenta, in questo contesto, l’avvenimento storico 
più grave e, insieme, più recente, che gli zingari possono ricordare. Si 
stima che durante la seconda guerra mondiale siano stati uccisi da 
500.000 a un milione di zingari, su una popolazione di non si sa quante 
persone. In alcuni paesi conquistati dal Reich, come l’Olanda, al 
termine della seconda guerra mondiale non era sopravvissuto nemmeno 
uno zingaro. La generazione degli anziani, i depositari della tradizione e 
del passato del popolo zingaro, erano stati sterminati, lasciando intere 
famiglie, gruppi, comunità, senza nessuno che potesse dare un senso a 
quello che era accaduto. 
Pertanto, il primo capitolo è una descrizione storica dei fatti che 
riguardano gli zingari durante il periodo nazista e fascista. Per la 
scarsità di documenti riguardanti l’Italia fascista, ho dedicato molto più 
spazio al destino degli zingari nella Germania nazista e nei territori 
conquistati dal Reich. E’ una descrizione ricostruita attraverso i 
                                                                                                                
1
  Gagè è il termine con cui gli zingari chiamano i non zingari nella propria 
lingua, il romanès. 
 
9
 documenti sopravvissuti, le leggi, i bandi, gli ordini, i registri dei campi 
di concentramento che si sono salvati. Quindi è una storia descritta dal 
punto di vista dell’autorità, della società nazista, non dal punto di vista 
dei gruppi zingari. 
Il vocabolario della lingua italiana Zingarelli, del 2002, dà le 
seguenti definizioni di “zingaro”:  
Ogni appartenente a una popolazione originaria dell’India, diffusasi in 
Europa nel XII sec., caratterizzata da nomadismo, attività lavorative 
saltuarie o più di rado specializzate, come lavorazione del rame e 
allevamento dei cavalli, e ricche tradizioni etniche, tra cui spec. La danza, la 
musica e la predizione dell’avvenire. 
 
Questa è la prima definizione, credo che pochi ne siano al corrente. 
Ma la seconda definizione è sicuramente più conosciuta: “Persona 
dall’aspetto sciatto e trasandato”. 
Il secondo capitolo vuole essere una spiegazione di queste due 
definizioni. Pertanto, si compone di una breve presentazione del popolo 
zingaro, della sua storia, delle origini e dell’arrivo in Europa. Cerco di 
analizzare perché gli zingari sono sempre stati accompagnati da un 
sentimento di ostilità da parte delle società ospitanti, quali sono i motivi 
che hanno accompagnato la nascita di questo malessere nei loro 
confronti. Ho prestato particolare attenzione alla presenza di zingari in 
Italia e nel comune di Milano, grazie alla collaborazione e ai dati forniti 
dalla sezione milanese dell’Opera Nomadi. I dati si riferiscono all’anno 
2003 e presentano una panoramica della presenza zingara nel 
capoluogo lombardo. 
Il terzo capitolo introduce il concetto di memoria collettiva, così 
come formulato da Maurice Halbwachs, sociologo francese dei primi 
anni del Novecento. Le sue opere Les cadres sociaux de la mémoire, del 
1925, La topographie légendaire des Evangiles en Terre Sainte (Etude de 
mémoire collective), del 1941 e La Mémoire collective, apparso postumo 
nel 1950, rappresentano il primo tentativo di studiare la memoria da un 
punto di vista sociologico.  
 
10
 Il quarto capitolo è la conclusione della tesi. In esso, analizzo le 
interviste che ho raccolto sul tema della memoria dell’Olocausto. 
L’analisi si sviluppa soprattutto in tre direzioni: l’esistenza di una 
memoria collettiva dell’Olocausto, le situazioni in cui avviene la 
trasmissione di tale memoria e la modalità della trasmissione, ovvero il 
racconto.  
La conclusione cui sono giunta è che esiste una memoria collettiva 
dell’Olocausto, almeno nei gruppi cui appartengono i rom intervistati. 
Tuttavia, è una memoria sotterranea, intima, di cui non si parla 
apertamente. Questo avviene perché i rom reagiscono al dolore 
negandolo: non si parla di eventi tristi, si cancellano i ricordi più penosi 
e negativi e si conservano solo quelli piacevoli. La finalità di questa 
reazione particolare è quella di garantire il futuro del gruppo, la 
sopravvivenza, la voglia di andare avanti nonostante le difficoltà e le 
tragedie. E’ un metodo perfettamente comprensibile se si tiene conto 
della storia di odio, persecuzioni e paura che ha sempre accompagnato 
gli zingari. L’Olocausto rappresenta per loro la punta di un iceberg, 
l’apice di un destino che è sempre stato segnato dal rifiuto degli altri.
 
11
 Capitolo 1 
Gli zingari e il dominio nazista 
Zmerinka era un grosso villaggio agricolo, in altri tempi luogo di mercato, 
come si poteva dedurre dalla vasta piazza centrale…ora rigorosamente 
vuota: solo, in un angolo, all’ombra di una quercia, era accampata una tribù 
di nomadi, visione scaturita da millenni lontani…..Erano più famiglie, una 
ventina di persone, e la loro casa era un carro enorme…trainato da quattro 
cavalloni pelosi che si vedevano pascolare poco oltre…Chi erano, donde 
venivano e dove andavano? Non sapevamo: ma in quei giorni li sentivamo 
singolarmente vicini a noi, come noi trascinati dal vento, come noi affidati 
alla mutabilità di un arbitrio lontano e sconosciuto, che trovava simbolo nelle 
ruote che trasportavano noi e loro, nella stupida perfezione del cerchio senza 
principio e senza fine…. 
(Primo Levi, La Tregua) 
Introduzione al capitolo 
Quando si parla di Olocausto è automatico pensare al popolo ebreo 
e alle sofferenze inflitte dalla persecuzione nazista in termini di morti, 
torture e umiliazioni. Tuttavia, come è ormai ben noto, non furono solo 
gli ebrei le uniche vittime del regime nazista. Altre minoranze subirono 
vessazioni e deportazioni: malati di mente, handicappati, polacchi, 
comunisti, omosessuali, testimoni di Geova, oppositori politici, zingari.  
Si calcola in dieci milioni il numero delle vittime del Reich: di 
queste, quasi sei milioni erano ebrei. Tra i restanti quattro milioni, cui 
si è meno abituati a pensare o, forse, di cui la documentazione storica è 
più scarsa, spicca un gruppo di vittime. Non prigionieri politici, 
partigiani, comunisti, malati mentali, handicappati, ma, al pari degli 
ebrei, un popolo, perseguitato in quanto tale: gli zingari.  
Non ci sono numeri precisi o statistiche certe su quanti di loro 
furono uccisi dai nazisti: la cifra oscilla da un minimo di 
duecentocinquantamila un massimo di un milione e mezzo di morti
2
, 
una cifra molto elevata se si tiene conto dell’esiguità del popolo zingaro. 
L’incertezza è dovuta alla scarsità di fonti e documenti ufficiali: non si 
 
12
 conosce il numero degli zingari che abitavano nei territori del Reich, 
poiché non era semplice censire un popolo in costante movimento e 
poco desideroso di lasciare tracce del proprio passaggio. Inoltre, molti 
zingari, al loro ingresso nei campi di sterminio, erano registrati come 
“asociali”. E non bisogna dimenticare l’alto numero di vittime 
sconosciute, quelle che non erano deportate e registrate, ma massacrate 
nei campi, nei villaggi, nei boschi, senza lasciare traccia. 
L’Olocausto zingaro, il Porrajmos o Aporraijmos, “divoramento”, 
come gli zingari lo definiscono nella loro lingua, il Romanès, fu a lungo 
trascurato: forse per l’esiguo numero di fonti, forse per la cultura 
zingara orale, che non lascia nulla di scritto. Tuttavia, oggi si è più 
propensi a riconoscere che il popolo zingaro, durante la seconda guerra 
mondiale, ebbe un trattamento pari a quello che subirono gli ebrei. 
Il seguente capitolo vuole essere una panoramica storica di quanto 
accadde agli zingari durante la dominazione nazista e fascista. Per 
motivi di documentazione mancante, la parte relativa all’Italia fascista è 
più scarna rispetto a quella della Germania nazista. La storia degli 
zingari durante l’Olocausto è stata ricostruita, in tutti i testi presi in 
esame, attraverso i documenti sopravvissuti alla seconda guerra 
mondiale. 
 
1. Prima della guerra 
Nella seconda metà del XIX secolo l’Europa centrale fu invasa da 
un’ondata di zingari, provenienti dai Balcani e dall’Ungheria, alla 
ricerca di nuove opportunità economiche e di una certa prosperità. 
Questo nuovo flusso, che si stabilì nei territori germanofoni, andò a 
sommarsi ai gruppi zingari che da secoli vi abitavano: i sinti. In tal 
modo, accanto a un nucleo più antico, si consolidò un nuovo gruppo 
che si autodefiniva rom.  
                                                                                                                
2
  L’Holocaust Memorial Museum di New York, nel 1997, ha stimato che le 
vittime zingare del nazismo oscillano tra le 500.000 unità e il milione. 
 
13
 Nello stesso periodo, in Germania, si andava diffondendo e 
consolidando una nuova coscienza razziale, anche in seguito a 
importanti progressi della biologia e agli scritti di numerosi studiosi. Tra 
il 1853 e il 1855, infatti, fu pubblicato l’Essai sur l’inégalité des races 
humaines, del conte francese Joseph-Arthur de Gobinau
3
. In questo 
saggio, l’autore sosteneva la superiorità della razza ariana, vale a dire 
quella dei parlanti lingue indoeuropee, sulla razza nera e la razza gialla 
e attribuiva uno status di inferiorità ai sanguemisti (Mischlinge). Nel 
1899 fu la volta de Le origini del XIX secolo, di H. Chamberlain
4
, nel 
quale l’autore descriveva l’affacciarsi di una nuova razza ariana 
particolarmente dotata. Inoltre si stava sviluppando in quegli anni 
l’eugenetica, termine ideato da Francis Galton
5
, che si proponeva il 
progressivo miglioramento della specie umana attraverso l’incrocio tra 
individui portatori di caratteri geneticamente favorevoli. 
Di conseguenza, in un periodo sempre più marcato da discussioni 
sulla razza e la purezza del sangue, le minoranze etniche, soprattutto 
zingari ed ebrei, assunsero una connotazione sempre più negativa 
nell’immaginario collettivo. Se fino allora gli zingari erano stati spesso 
definiti, con vena romantica, come popolo primitivo legato alla natura, 
alla fine del diciannovesimo secolo vengono esaminati dal punto di vista 
razziale, ovvero come appartenenti ad una razza inferiore che poteva 
costituire un pericolo per la purezza della razza ariana. 
Anche in Italia, Cesare Lombroso
6
, il famoso criminologo, 
condivideva questa prospettiva e nel suo Uomo delinquente in rapporto 
all’antropologia, alla giurisprudenza e alle discipline economiche (1876) 
                                       
3
  Joseph Athur de Gobinau (1816-1882) è considerato il padre del razzismo 
moderno. 
4
  Houston Stewart Chamberlain (1855-1927), scrittore tedesco di origine 
inglese, esaltatore della razza ariana. 
5
  Psicologo (1822-1911), considerato il fondatore dell’eugenetica. 
6
  Fondatore dell’antropologia criminale, (Verona 1835-Torino 1909). Spiegò la 
degenerazione morale del delinquente con determinate anomalie fisiche.  
 
14
 definisce gli zingari come individui inetti, licenziosi, violenti e propensi a 
delinquere in base alla loro costituzione razziale.  
E’ quindi in questo periodo che nei territori tedeschi e, più tardi, 
anche in quelli italiani, si prendono provvedimenti contro gli zingari, in 
modo da limitare l’afflusso di quelli stranieri, soprattutto provenienti dai 
Balcani. 
Il primo provvedimento specifico contro gli zingari venne adottato 
in Baviera nel 1885, subito seguito da un altro provvedimento del 1889: 
entrambi avevano lo scopo di dissuadere gli zingari dal mettere piede in 
Baviera. Tali provvedimenti stabilivano un controllo più rigido dei 
documenti d’identità, la revoca, al minimo pretesto, delle licenze di 
commercio concesse agli ambulanti e la possibilità di trarre in arresto 
gli zingari di dubbia cittadinanza finché lo Stato d’appartenenza non li 
accogliesse di nuovo
7
. 
Ma la svolta decisiva è del 1899, quando, sempre in Baviera, viene 
istituito un Ufficio di Coordinamento degli interventi contro gli zingari 
(Zigeunerzentrale), presso il comando generale di polizia di Monaco
8
. 
Questa operazione portò alla formazione di un vasto catalogo che 
conteneva informazioni su ogni zingaro residente nel territorio della 
Baviera. I dati venivano raccolti coinvolgendo vari organi, quali la 
polizia, i pubblici ministeri, gli uffici di stato civile e gli altri Länder. 
A tal scopo, i comandi di polizia periferici dovevano segnalare la 
presenza di zingari, o altri gruppi di girovaghi, direttamente all’Ufficio 
Centrale per gli zingari, precisando il tipo di documenti d’identità 
posseduti, il numero di animali, in particolare di cavalli, il luogo di 
provenienza, dove fossero diretti ed eventuali misure di polizia nei loro 
confronti. I pubblici ministeri erano costretti a segnalare tutti i 
procedimenti legali e le condanne riguardanti gli zingari. Così anche gli 
                                       
7
  Gli arrestati dovevano inoltre pagare il costo della detenzione, del 
procedimento legale o dell’espulsione.  
8
  Cfr. Lewy, G., 2002, La persecuzione nazista degli zingari, Torino, Einaudi, p. 
9. 
 
15
 uffici di stato civile (Standesämter), che registravano nascite, morti e 
matrimoni, dovevano mandare una copia della documentazione. Tutti 
questi rapporti e segnalazioni venivano catalogati in uno schedario in 
ordine alfabetico. Elenchi nominativi e fotografie arrivavano anche dagli 
altri Länder: nel 1925 questa banca dati comprendeva 14.000 nomi 
provenienti da tutta la Germania.  
Ma la Zigeunerzentrale non si limitò a catalogare le informazioni 
ricevute: iniziò a raccoglierne direttamente e a proporre provvedimenti 
contro gli zingari. In tal modo, nel 1911, essa disponeva delle impronte 
digitali di tutti gli zingari residenti in Baviera. 
Il capo della Zigeunerzentrale bavarese era Alfred Dillmann: nel 
1905, dopo un intenso lavoro di raccolta dati, pubblicò i risultati in un 
volume intitolato Zigeunerbuch.. Il libro, oltre a leggi e regolamentazioni 
sugli zingari, comprendeva anche 3350 nomi e informazioni dettagliate 
su circa 611 individui, dei quali 435 erano definiti zingari e 176 
girovaghi assimilabili agli zingari. La tiratura fu di 7000 copie. Il 
volume, di 350 pagine, era suddiviso in tre parti: nella prima si 
sosteneva che gli zingari fossero un flagello e un pericolo contro il quale 
il popolo tedesco doveva premunirsi e, soprattutto, evitare possibili 
incroci tra geni zingari e Tedeschi. Seguiva poi un censimento di tutti gli 
zingari individuati, con le origini genealogiche ed eventuali antecedenti 
criminali e una raccolta di foto delle stesse persone.  
Contemporaneamente, anche gli altri Länder iniziarono a prendere 
provvedimenti sempre più severi contro gli zingari. E anche se non 
avevano una legislazione uniforme, tali provvedimenti miravano tutti a 
fare in modo che gli zingari abbandonassero il nomadismo: venne infatti 
limitata la concessione delle licenze per il commercio ambulante, le 
bande itineranti dovevano essere scortate dalla polizia rurale, i fanciulli 
in età scolare dovevano essere sottratti ai genitori itineranti e costretti a 
frequentare la scuola
9
.  
                                       
9
  Decreto del 1903 del ministro degli Interni del Württemberg. 
 
16
 I controlli erano minuziosi e severi e spesso gli zingari violavano 
qualche norma anche senza saperlo. Lo scopo di ogni legislazione era di 
liberare nel modo più rapido possibile il territorio dagli zingari. Tuttavia 
si avvertiva l’esigenza di varare una legge che valesse per tutto il 
territorio tedesco e risolvesse, in modo definitivo, la questione degli 
zingari. 
Il 18-19 dicembre del 1911 il ministro degli Interni bavarese 
organizzò una conferenza, con lo scopo di mettere a punto una strategia 
d’azione comune. Alla conferenza, tenutasi a Monaco, parteciparono i 
ministri dell’Interno di Prussia, Sassonia, Wüttemberg, Baden, Assia e 
Alsazia-Lorena. A causa della mancanza di un’unica legislazione 
riguardante gli zingari, la conferenza si scontrò dapprima con la 
questione di chi dovesse essere considerato zingaro. Si raggiunse un 
accordo confermando la seguente definizione: «Per la polizia, sono 
zingari sia quelli che si definiscono tali in base ai dettami dell’etnologia, 
sia tutti coloro che si spostano alla maniera degli zingari» (Lewy, G., 
2002, p.11).  
Si poneva l’accento, quindi, non solo sull’appartenenza a una tribù 
zingara, ma sullo stile di vita, l’occupazione e il nomadismo, tanto che i 
provvedimenti valevano anche per gli ambulanti assimilabili agli zingari. 
Fu ancora la Baviera, nel 1926, il primo Land a varare una vera e 
propria legge per la lotta contro gli zingari, i nomadi e i refrattari al 
lavoro. Fino allora, infatti, erano stati varati solo regolamenti di tipo 
amministrativo: anche la conferenza del 1911 non era autorizzata a 
determinare le concrete misure da adottare. Tale legge, estesa anche ai 
girovaghi assimilabili agli zingari, chiariva che gli zingari non erano 
oggetto di misure speciali unicamente o a motivo del loro status 
razziale
10
. Essa prevedeva restrizioni soprattutto relative agli 
spostamenti: infatti, era necessaria l’autorizzazione della polizia per 
                                       
10
  Altrimenti avrebbe violato l’articolo 109 della Costituzione tedesca, che 
garantiva l’uguaglianza di trattamento di tutti i cittadini. 
 
17
 spostarsi a bordo di carri e carrozzoni e portarsi al seguito cavalli, cani 
e altri animali destinati al commercio. Era vietato spostarsi con bambini 
in età scolare salvo provvedere in maniera adeguata alla loro istruzione; 
era vietato spostarsi in «orde», ovvero in gruppi composti da individui 
che non appartenevano alla stessa famiglia; si poteva sostare solo in 
luoghi adibiti dalla polizia, che ritirava i documenti di identità per tutto 
il tempo di durata della sosta. Inoltre, gli individui con più di sedici anni 
che risultavano disoccupati potevano essere internati in campi di lavoro 
per una durata massima di due anni
11
.  
E’ importante notare come la mancanza di una definizione di 
«zingaro» venisse risolta dalla legge dando per scontato che il concetto di 
zingaro fosse universalmente noto e dunque non richiedesse ulteriori 
specificazioni.  
Ma fu proprio grazie all’elaborazione di tale legge, che si prefissava 
come scopo quello di risolvere il problema della presenza di zingari, che 
la Zigeunerzentrale di Monaco ottenne come risultato quello di 
diventare, nel 1929, l’organismo di supervisione e controllo centralizzato 
non solo per la Baviera, ma per tutta la Germania, col nome di «Ufficio 
Centrale per la lotta alla piaga zigana»
12
. Infatti, subito dopo 
l’approvazione della legge bavarese del 1926, si era riunito un comitato 
della Commissione della polizia criminale tedesca (DDK), con funzioni di 
coordinamento: tale comitato elaborò una serie di indicazioni orientative 
che vennero inserite in una bozza di accordo tra i Länder. Lo scopo era 
di risolvere il problema degli zingari a livello nazionale. La bozza venne 
approvata dai Länder riunitisi a Berlino nel 1929. 
                                       
11
  Il testo completo della legge è pubblicato in Ludwig Eiber, “Ich wusste es wird 
schlimm”: Die Verfolgung der Sinti und Roma in München, 1933-1945, München 1993, 
pp. 43-45. CIT in Lewy, G., op. cit., p. 12. 
12
  Cfr. Boursier, G. et al. (a cura di), 1996, Zigeuner. Lo sterminio dimenticato, 
Viterbo, Sinnos editrice, p. 27. 
 
18
 1.1 I motivi della repressione 
Gli interventi di repressione nei confronti degli zingari erano il 
risultato di un malcontento che proveniva non solo dagli organi di 
polizia, ma anche dalla popolazione: soprattutto nelle città in cui gli 
zingari sostavano durante i mesi invernali, prendendo in affitto terreni 
privati o utilizzando proprietà comunali. Fu anzi proprio a causa di 
queste continue pressioni dal basso che il partito nazista intensificò la 
persecuzioni nei loro confronti dagli anni ’30. 
Nel 1933, infatti, anno in cui Hitler diventò cancelliere della 
Germania, gli zingari erano una minoranza di 26.000 individui, di cui il 
partito nazista non si occupava. Tuttavia tale atteggiamento mutò 
sostanzialmente quando il clima nei confronti degli zingari divenne di 
aperta ostilità da parte di ogni fascia della popolazione tedesca.  
La nuova Germania che il partito nazista voleva creare era una 
società basata sull’ordine e sulla legge: gli zingari, con il loro stile di 
vita, rappresentavano l’esatto opposto, il disordine. In un’epoca in cui si 
dava sempre più peso alla purezza della razza, il loro essere nomadi o 
semi-nomadi, la loro diversità spesso evidente dal punto di vista fisico 
(carnagione più scura, occhi e capelli neri) acquistava un peso sempre 
più intollerabile. Anche la loro organizzazione sociale, che non 
prevedeva un lavoro fisso e regolare, mal si adattava alla rigida società 
tedesca. Gli zingari non avevano i criteri adatti per essere ammessi nella 
nuova società tedesca che i nazisti volevano creare. 
Erano sovente classificati come asociali, senza lavoro e senza fissa 
dimora, propensi a delinquere e molti erano a carico dell’assistenza 
pubblica: cosa che la maggior parte dei tedeschi non intendeva più 
sopportare. Inoltre, molti zingari, oltre al loro nome originale in lingua 
romanès, ne avevano molti altri assunti nel corso degli anni per rendere 
più difficoltoso il lavoro di classificazione di giudici e polizia: in tal modo 
riuscivano a rallentare le operazioni d’arresto, sgombero e detenzione, 
riuscendo a sfuggire ai rigidi schemi dell’autorità tedesca. 
 
19
 Era quindi ovvio che la loro presenza risultasse alquanto sgradita a 
tutta la popolazione tedesca, oltre che alle autorità: gli zingari non 
erano omologabili al resto della popolazione a causa della loro 
peculiarità, del loro disordine (zigeunerunwesen, dicevano i nazisti), del 
loro essere al di fuori delle regole. Il sentimento d’ostilità nei loro 
confronti aumentò ben presto in misura tale che, quando le 
persecuzioni contro gli zingari si intensificarono, la maggior parte dei 
tedeschi rimase indifferente o condivise le misure persecutorie adottate, 
ritenendole l’unica soluzione al problema degli zingari.  
La repressione che il regime nazista inflisse al popolo zingaro non 
nacque all’improvviso da un giorno all’altro. Semmai, fu 
l’estremizzazione di norme persecutorie già in atto da secoli. Se è vero 
che sotto il regime di Hitler gli zingari subirono una persecuzione senza 
precedenti, l’odio nei loro confronti aveva radici ben più lontane.  
Nel XIV e XV secolo, quando gli zingari arrivarono in Europa, 
questa stava subendo una profonda trasformazione dei suoi assetti 
politici, sociali ed economici. A livello politico, il fatto più importante fu 
la formazione dei grandi Stati nazionali, che tendevano ad escludere 
coloro che apparivano diversi. Sul piano economico il lavoro acquistava 
sempre più importanza, fino a diventare un valore condiviso: di 
conseguenza, coloro che non rientravano in questo mercato erano 
socialmente definiti inutili
13
. 
Questa fase di cambiamento favorì, fin dai primi arrivi di zingari in 
Europa, un clima teso e sospettoso nei loro confronti, per cui furono 
perseguitati, cacciati, osteggiati in vari modi. In tutti gli stati in cui 
misero piede, furono sempre visti con una connotazione negativa, un 
misto di fascino e terrore
14
. Il fatto di essere un popolo errabondo, privo 
                                       
13
  Cfr. Arlati, A., “Le persecuzioni contro gli zingari: una pagina tragica e poco 
conosciuta”, Il calendario del popolo, 606, pp.27-31. 
14
  Sull’argomento, vedi anche De Vaux De Foletier, F., 1970, Mille ans d’histoire 
des Tsiganes,  Paris. (trad. it. Mille anni di storia degli Zingari, ed. Jaca Book, Milano, 
1977). 
 
20